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martedì 9 aprile 2013

La "teologia della confessione positiva" al vaglio della Scrittura

In ambito protestante pentecostale, esiste una "teologia della confessione positiva". Secondo questa teologia, what I confess, I possess, "quello che 'confesso' possiedo": proclamando con una fede sufficiente la propria fiducia di ottenere la prosperità e la salute il cristiano ha la certezza di ottenerle. Il Faith Movement cita Romani 10, 8-10 secondo cui "con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza" e "se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore [...] sarai salvo". "Salvo", nell'interpretazione del Faith Movement, non si riferisce soltanto alla salvezza eterna, ma anche al benessere e alla salute materiale.


In questa sede, vorrei condividere delle riflessioni bibliche basate sul dubbio della legittimità dottrinale del Movimento della Fede. Ciascuno ha la possibilità di trarre le proprie conclusioni dopo il percorso Scritturale che faremo assieme.


Povertà, abbondanza...


Ho avuto una grande gioia nel Signore, perché finalmente avete rinnovato le vostre cure per me; ci pensavate sì, ma vi mancava l'opportunità. 
Non lo dico perché mi trovi nel bisogno, poiché io ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo. So vivere nella povertà e anche nell'abbondanza; in tutto e per tutto ho imparato a essere saziato e ad aver fame; a essere nell'abbondanza e nell'indigenza. Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica. Tuttavia avete fatto bene a prender parte alla mia afflizione.
Filippesi 4:10-14 

L'Apostolo Paolo si trovava agli arresti domiciliari a Roma nel momento in cui scriveva questa lettera ai credenti di Filippi, che amava teneramente.

Questi fratelli avevano provveduto a inviargli dei doni per venire incontro alle sue necessità e,  per ringraziarli, Paolo scrive queste parole. 
Dice loro di aver imparato ad accontentarsi dello stato in cui si trovava. Dice di saper vivere nella povertà come nell'abbondanza, ad essere saziato e ad avere fame. A essere nell'abbondanza e nell'indigenza. Poteva sostenere tutte queste situazioni, perché Cristo lo fortificava. Spesso il versetto 13 viene strumentalizzato per enfatizzare una fantomatica potenza del credente che può fare ogni cosa in senso assoluto. Il contesto però è ben diverso. Cristo fortifica e rende capaci di sopportare la povertà, la fame e l'indigenza. Questo è l'insegnamento dell'Apostolo. Certo, poteva insegnare molte cose differenti. Poteva testimoniare di aver confessato la sua liberazione dalla prigionia ed averla ottenuta. Ma così non è stato, perché in realtà la sua prigionia era il modo voluto da Dio per la diffusione del Vangelo in quel preciso contesto (Fil 1:12-13). Dio ha voluto diffondere il vangelo a Roma attraverso la sofferenza e la prigionia di Paolo. Egli era afflitto. Ma il piano di Dio era realizzato.
Meditando su questa considerazione, approcciamoci ora all'Antico Testamento.

Io ti ho chiesto due cose;

non me le rifiutare, prima che io muoia;
allontana da me vanità e parola bugiarda;
non darmi né povertà né ricchezze,
cibami del pane che mi è necessario,
perché io, una volta sazio, non ti rinneghi
e dica: «Chi è il SIGNORE?»
oppure, diventato povero, non rubi,
e profani il nome del mio Dio.
Proverbi 30:7-9 

Nel libro dei proverbi troviamo i detti di Agur, un ignoto saggio, probabilmente contemporaneo di Salomone. Questi proverbi denotano umiltà e un acuto spirito teologico. 

Il versetto 30:1 apre questa collezione sapienziale con l'introduzione "Parole di Agur", traducibile anche con "oracolo" o "fardello", entrambe espressioni comuni alla letteratura biblica profetica.
"Non darmi né povertà né ricchezze, cibami del pane che mi è necessario". 
Questo è il consiglio che il saggio vuole dare ai suoi allievi.
Egli chiede al Signore protezione dall'abbondanza e dalla distretta per evitare di trovarsi in situazioni che lo porterebbero a peccare. Chi mai farebbe una preghiera simile? Chi mai pregherebbe Dio di non renderlo ricco? Un uomo molto saggio, ispirato da Dio, i cui detti sono entrati nella Parola di Dio scritta, che noi tutti conosciamo molto bene.

Restando su questo tema però, torna opportuno leggere nuovamente dei versetti tratti da un'altra lettera dell'Apostolo Paolo, scritta intorno a una decina di anni prima della Lettera ai Filippesi, e indirizzata a un'altra chiesa fondata da lui dopo una lunga attività evangelistica sul luogo. In queste circostanze, dei nuovi apostoli giudeo-cristiani erano arrivati con delle lettere credenziali (3:1) di alcune chiese che avevano lo scopo di raccomandarli presso la comunità di Corinto. Si definivano "servitori di Cristo" (1:23), mostravano vanto in sé stessi (5:12) e probabilmente si facevano mantenere dalle comunità stesse (argomento su cui Paolo insiste al cap.11). La loro immagine era quella di persone particolarmente ricche di talenti che passavano di successo in successo nell'apostolato, tanto da mietere continui "trionfi" nella vigna del Signore. Paolo avrebbe dovuto congratularsi davanti a tanto successo e tanta "fede" manifestata da carismi e doni spirituali? Leggiamo direttamente le sue parole:


Infatti, se uno vi riduce in schiavitù, se uno vi divora, se uno vi prende il vostro, se uno s'innalza sopra di voi, se uno vi percuote in faccia, voi lo sopportate. 
Lo dico a nostra vergogna, come se noi fossimo stati deboli; eppure, qualunque cosa uno osi pretendere (parlo da pazzo), oso pretenderla anch'io. Sono Ebrei? Lo sono anch'io. Sono Israeliti? Lo sono anch'io. Sono discendenza d'Abraamo? Lo sono anch'io. Sono servitori di Cristo? Io (parlo come uno fuori di sé) lo sono più di loro; più di loro per le fatiche, più di loro per le prigionie, assai più di loro per le percosse subite. Spesso sono stato in pericolo di morte. Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio; ho passato un giorno e una notte negli abissi marini. Spesso in viaggio, in pericolo sui fiumi, in pericolo per i briganti, in pericolo da parte dei miei connazionali, in pericolo da parte degli stranieri, in pericolo nelle città, in pericolo nei deserti, in pericolo sul mare, in pericolo tra falsi fratelli; in fatiche e in pene; spesse volte in veglie, nella fame e nella sete, spesse volte nei digiuni, nel freddo e nella nudità. Oltre a tutto il resto, sono assillato ogni giorno dalle preoccupazioni che mi vengono da tutte le chiese. Chi è debole senza che io mi senta debole con lui? Chi è scandalizzato senza che io frema per lui? Se bisogna vantarsi, mi vanterò della mia debolezza. 
2Corinzi 11:20-30 

...ed eccellenza spirituale.



Bisogna vantarsi? Non è una cosa buona; tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa (se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. So che quell'uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all'uomo di pronunciare. Di quel tale mi vanterò; ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolezze. Pur se volessi vantarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, perché nessuno mi stimi oltre quello che mi vede essere, o sente da me. E perché io non avessi a insuperbire per l'eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l'allontanasse da me; ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella DEBOLEZZA». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte.
2Corinzi 12:1-10 

Di fronte al successo e alla prosperità di questi apostoli "raccomandati", Paolo snocciola tutte le persecuzioni subite, tutte le disavventure, le fatiche, le pene, la fame, la sete, il freddo e la nudità patiti nel suo ministero. Di fronte ai doni spirituali di questi operai fraudolenti, lui racconta in terza persona di essere stato rapito in paradiso, precisando che non si vanterà di questo ma piuttosto delle sue debolezze.

Perchè non avesse ad insuperbirsi di queste eccezionali esperienze spirituali, racconta di come un angelo di Satana gli ha messo una spina nella carne. E in questa circostanza cosa fa? Confessa in fede una liberazione? Pretende una guarigione da parte di Dio?
No, umilmente chiede al Signore queste cose e la risposta che riceve da Lui è un profondo principio spirituale:  «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». La potenza di Dio non si dimostra perfetta nella fede, ma nella debolezza!


La salute fisica...


La paternità paolina della prima lettera a Timoteo è stata oggetto di discussione in ambito accademico, ma è sempre stata attribuita all'Apostolo secondo la tradizione cristiana.
Compare nel Codex Sinaiticus, uno dei più antichi manoscritti biblici risalente al 330 d.C. e nel canone muratoriano, la più antica lista dei libri del Nuovo Testamento, tradotta in greco da un testo datato circa al 170 d.C. 
Seguendo l'ipotesi tradizionalista, la lettera sarebbe stata scritta da Paolo dopo la sua prima prigionia e poco prima del martirio nel 67 d.C.
La lettera appare scritta principalmente per esortare Timoteo a restare ad Efeso per difendere la sana dottrina (1:3,4). Quasi al termine dello scritto, troviamo una curiosa indicazione:

1Timoteo 5:23 Non continuare a bere acqua soltanto, ma prendi un po' di vino a causa del tuo stomaco e delle tue frequenti indisposizioni.

Timoteo, collaboratore nella squadra apostolica di Paolo, a quanto pare soffriva di frequenti indisposizioni di stomaco. Spesso aveva disturbi fisici che non lo facevano stare bene.

Di per sè questo elemento non avrebbe nulla di strano.
Proviamo però a riflettere un attimo. Lui era considerato da Paolo come legittimo figlio nella fede (1:2), aveva un rapporto incredibilmente stretto di figliolanza spirituale con l'Apostolo dei gentili, l'uomo che ha portato il Vangelo nel mondo extra giudaico, sulle cui rivelazioni è stata costruita la dottrina di tutto il cristianesimo. 
Paolo, protagonista di molti miracoli (Atti 14:9) ed eccezionale autorità spirituale (Atti 16:18), non poteva dire al suo più stretto collaboratore di dichiarare con fede la sua guarigione?
Così come scriverà più tardi della necessità di ravvivare il suo carisma mediante l'imposizione delle sue mani (2 Tim 1:6), non poteva forse scrivere di pazientare di aspettarlo per ricevere una guarigione miracolosa con la stessa imposizione? Perchè Paolo non compie un miracolo guarendo fisicamente Timoteo? Perchè evidentemente la realtà spirituale non è in questi termini. Paolo operava nella potenza dell'ubbidienza a Dio. Ogni suo grande successo era dovuto dall'allineamento con le indicazioni del Signore (Atti 16:7-10). Ecco quindi che a questo problema fisico viene data una soluzione quasi ridicola rispetto alla dottrina della confessione positiva. Al posto di esortare Timoteo a confessare una guarigione, Paolo gli raccomanda di prendere un po' di vinoE' come se andassimo dal più grande uomo di Dio della nostra generazione, protagonista di innumerevoli miracoli, e raccontando dei nostri disturbi di emicrania, sentissimo raccomandarci  di mangiare in modo sano e prendere pastiglie per il mal di testa.
Evidentemente non tutte le malattie hanno origini spirituali.
Evidentemente la guarigione non si ottiene sempre con una semplice confessione.
Evidentemente la fede di per sè e vuota, se non è ancorata a ciò che Dio vuole fare.

Però ho ritenuto necessario mandarvi Epafròdito, mio fratello, mio compagno di lavoro e di lotta, inviatomi da voi per provvedere alle mie necessità; egli aveva un gran desiderio di vedervi tutti ed era preoccupato perché avevate saputo della sua malattia. È stato ammalato, infatti, e ben vicino alla morte; ma Dio ha avuto pietà di lui; e non soltanto di lui, ma anche di me, perché io non avessi dolore su dolore.
Filippesi 2:25-27 

Per rimarcare questo concetto, confrontiamoci con altre Scritture.

Torniamo alla lettera ai Filippesi, scoprendo questa volta le dinamiche con cui la comunità di Filippi aveva provveduto a recapitare il sostegno economico a Paolo. Essi avevano infatti mandato il fratello Epafròdito, e scopriamo con queste parole che una volta arrivato a Roma si è ammalato arrivando vicino alla morte. Anche in questo caso però, Paolo non ha confessato la sua guarigione. Riporta infatti molto più semplicemente che Dio ha avuto pietà di lui e di Paolo stesso. Frase che evidenzia l'umiltà di chi sa quale sia il suo posto e il posto di Dio.
Il fratello è stato guarito con suppliche, per la misericordia del Signore, non con confessioni positive.

Vediamo ora un ultimo passo biblico nel tema della salute fisica.

3Giovanni 2 Carissimo, io prego che in ogni cosa tu prosperi e goda buona salute, come prospera l'anima tua.


L'Apostolo Giovanni scrive al caro fratello Gaio, che ama (1:1) profondamente. 

Rivela subito di come prega che lui possa prosperare e godere di buona salute. Il discepolo che Gesù amava (Gv 21:7), l'uomo che avuto la maggiore intimità possibile con il Cristo incarnato, prega il Signore per la salute e prosperità di un suo fratello.
Prega. Chiede in preghiera.
Anche in questo caso, non leggiamo nulla a riguardo di confessioni di prosperità in fede.
Tutto è sottomesso alla volontà di Dio tramite la preghiera.

...e la fede.


Apocalisse 13:10 Se uno deve andare in prigionia, andrà in prigionia; se uno dev'essere ucciso con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada. Qui sta la costanza e la fede dei santi.


La Scrittura attesta che la fede dei santi negli ultimi tempi sta nell'accettare il martirio, non nell'essere prosperi.


Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. 
Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo. 1Pietro 5:8-9 

La Scrittura attesta che la fede dei santi sta nel resistere al diavolo sapendo che le medesime sofferenze - non le medesime ricchezze materiali - affliggono tutti i loro fratelli sparsi nel mondo. 

Ebrei 11:39 Tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza per la loro fede, non ottennero ciò che era stato promesso.


La Scrittura attesta che tutti gli "eroi della fede" non ottennero per fede ciò che era stato promesso per adempiere a una superiore volontà di Dio.

Se esistesse un principio spirituale secondo cui con la semplice confessione in fede si ottiene ciò che si desidera, questi uomini di Dio dovrebbero essere la prima testimonianza dell'esistenza di questo principio spirituale.

Frequenti interpretazioni sbagliate.


a)


Quando Gesù fu entrato in Capernaum, un centurione venne da lui, pregandolo e dicendo: 
«Signore, il mio servo giace in casa paralitico e soffre moltissimo». Gesù gli disse: «Io verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anche io sono uomo sottoposto ad altri e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: "Va'", ed egli va; e a un altro: "Vieni", ed egli viene; e al mio servo: "Fa' questo", ed egli lo fa». Gesù, udito questo, ne restò meravigliato, e disse a quelli che lo seguivano: «Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande! E io vi dico che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abraamo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Là ci sarà pianto e stridor di denti». Gesù disse al centurione: «Va' e ti sia fatto come hai creduto». E il servitore fu guarito in quella stessa ora. Matteo 8:5-13 

In questo brano del Vangelo di Matteo, Gesù si meraviglia della fede di questo centurione. Dice addirittura che in tutto Israele non ha trovato una fede così grande.

Ma qual è la caratteristica di questa meravigliosa fede? 
Molti pensano che sia la certezza di ottenere la guarigione del proprio servo. Sembrerebbe quindi che la fede in questa certezza di guarigione abbia portato effettivamente a tale risultato.
Nel contesto, le parole del centurione però mostrano decisamente qualcos'altro.
"...anche io sono uomo sottoposto ad altri e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: "Va'", ed egli va; e a un altro: "Vieni", ed egli viene; e al mio servo: "Fa' questo", ed egli lo fa".
Il centurione era uno dei gradi della catena di comando nell'Esercito Romano. Comandava un gruppo di uomini che andava tra le 80 e le 300 unità. Il suo compito era coordinare la sua centuria secondo gli ordini a sua volta ricevuti. Era un ruolo militare, che quotidianamente ubbidiva ed impartiva ordini militari. Ordini ai quali non si poteva evitare l'ubbidienza, pena la morte. Ecco quindi che questo centurione associa il suo retaggio militare alla persona di Cristo. Perchè? Perchè era convinto che questo Messia era il Figlio di Dio
Solo Colui che ha creato il mondo e ogni essere umano può avere l'autorità di guarire una malattia solo con un pensiero. Il centurione aveva riconosciuto questa autorità in Gesù.
Più tardi, lo stesso Vangelo testimonierà della confusione che c'era attorno all'identità di Gesù:

Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?»
 Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti».
Matteo 16:13-14 

Gli Ebrei, il popolo creato e scelto da Dio, non avevano riconosciuto Gesù come Suo Figlio.

Un militare pagano invece sì.
Ecco perchè Gesù si meraviglia! Una meraviglia che non era causata dalla fede in sé stessa di quest'uomo, ma sull'oggetto di questa sua fede: l'identità di Cristo! Vediamolo in un altro brano spesso frainteso:


Ed ecco una donna, malata di un flusso di sangue da dodici anni, avvicinatasi da dietro, gli toccò il lembo della veste, perché diceva fra sé: «Se riesco a toccare almeno la sua veste, sarò guarita». Gesù si voltò, la vide, e disse: «Coraggio, figliola; la tua fede ti ha guarita». Da quell'ora la donna fu guarita.
Matteo 9:20-22 

La sua fede ha guarito dalla malattia questa donna. Molti assolutizzano questa frase senza comprenderne il vero significato. Non è la persuasione interiore fine a sé stessa che ha operato la guarigione, ma la certezza che bastava toccare un lembo della veste del Messia! Altrimenti per essere guariti basterebbe avere fede di ottenere la guarigione toccando i vestiti di qualsiasi persona.
Da questa considerazione però dobbiamo fare un ulteriore passo per schivare un errore dottrinale simile. Qualcuno infatti potrebbe pensare: "allora basta credere che Gesù è Dio e chiedergli in fede qualsiasi cosa per ottenerlo". Abbiamo già visto nei passi precedenti che non è così, e non è stato così nemmeno per Gesù stesso!
Luca 22:42 «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta».

Giovanni 5:30 Io non posso far nulla da me stesso; come odo, giudico; e il mio giudizio è giusto, perché cerco non la mia propria volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

Esiste infatti una volontà di Dio, un disegno del Signore superiore a qualsiasi volontà e richiesta umana. Gesù stesso si è sottomesso alla volontà del Padre. Tanto più i credenti devono essere sempre in ascolto della voce di Dio, per adempiere alla Sua volontà. E' un principio presente in tutta la Bibbia, dall'inizio alla fine. Vediamo solo alcuni esempi per non dilungarci troppo.

Romani 1:10 chiedendo sempre nelle mie preghiere che in qualche modo finalmente, per volontà di Dio, io riesca a venire da voi.

Paolo, ancora una volta, prega che per volontà di Dio possa conoscere i credenti di Roma; nonostante avendo un grande desiderio di raggiungerli si sottomette alla volontà del Signore. Non sgrida fantomatici spiriti demoniaci territoriali, e non dà per scontato che andare a Roma per motivi ministeriali è nella volontà di Dio. Chiediamo a Dio in modo analogo prima di intraprendere un'attività ministeriale o diamo per scontato che sia la volontà di Dio? In effetti, dovremmo pregare.

Romani 12:2 Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.


Più tardi ribadisce ancora l'esigenza di conoscere la volontà di Dio rinnovando la propria mente, non proclamando la propria, di volontà. 


b)


Quando tornarono tra la folla, un uomo gli si avvicinò, gettandosi in ginocchio davanti a lui, 
e gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio, perché è lunatico e soffre molto; spesso, infatti, cade nel fuoco e spesso nell'acqua. L'ho condotto dai tuoi discepoli ma non l'hanno potuto guarire». Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo qui da me». Gesù sgridò il demonio e quello uscì dal ragazzo, che da quel momento fu guarito. Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: «Perché non l'abbiamo potuto cacciare noi?» Gesù rispose loro: «A causa della vostra poca fede; perché in verità io vi dico: se avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte: "Passa da qui a là", e passerà; e niente vi sarà impossibile. Questa specie di demòni non esce se non per mezzo della preghiera e del digiuno».
Matteo 17:14-21 

Sulle parole del versetto 20 si sono costruite intere dottrine sulla fede, prendendo queste parole di Gesù come fulcro di tutta la vita cristiana. Ma è davvero così?

Analizziamo con calma il contesto.
Quando Cristo inviò i Suoi discepoli in missione (Mt 10:6-8), diede loro esplicitamente l'incarico di compiere questo genere di miracoli. Dopo parecchi mesi passati adempiendo questo compito, fallirono dove precedentemente erano sempre riusciti. Gesù imputa a questo fallimento la loro fede insufficiente, ma in questo caso la mancanza di fede non riguardava la possibilità che questo miracolo avvenisse; al contrario erano SORPRESI del fatto che non potevano scacciare questo demone. Il problema allora probabilmente era da ricercare nel fatto che avevano riposto la loro fiducia nei doni piuttosto che in Dio!
Il digiuno infatti serve proprio a mortificare la propria carnalità per mettere in condizione il proprio spirito di ascoltare meglio la voce di Dio ed essere in sintonia con il Suo Spirito. 

1Giovanni 5:14 Questa è la fiducia che abbiamo in lui: che se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce.


La vera fede implica sempre la sottomissione alla volontà di Dio.


c)

Filippo gli disse: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 
Gesù gli disse: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: "Mostraci il Padre"? Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle opere stesse. In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anch'egli le opere che faccio io; e ne farà di maggiori, perché io me ne vado al Padre; e quello che chiederete nel mio nome, lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.
Giovanni 14:8-14 

Come ultimo esempio vediamo questo brano del Vangelo di Giovanni.

Ancora una volta è facile trovare citazioni fuori luogo che incitano a chiedere qualsiasi cosa "nel nome di Gesù" con la promessa di un certo esaudimento.
E ancora una volta la Sacra Scrittura ci chiama a leggere il contesto per capire quello che il Vangelo dice e non quello che l'animo umano vuole sentirsi dire. 
In questi versetti, il Signore rivela la Sua unità con il Padre, ma anche la sua morte, resurrezione e ascensione (vedi tutto il capitolo 14). Dice ai discepoli di chiedere qualcosa nel Suo nome e che Egli lo farà. Ma questo invito a cosa è correlato?


Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre.
Giovanni 14:15-16 

E' un invito che riguarda la comunione con il Consolatore, lo Spirito Santo.
Solo ascoltando e seguendo lo Spirito Santo riceviamo insegnamento in ogni cosa (14:26), e di conseguenza, solo sottomettendoci alla Sua guida possiamo domandare al Padre nel nome del Figlio e ricevere quello che domandiamo, perché in accordo con la stessa volontà di Dio!
Come mai il Figlio ne risulta glorificato? Forse ne sarebbe glorificato esaudendo la volontà degli uomini? Oppure la Sua gloria risulterebbe dall'esaudire una richiesta che rientra nella volontà del Padre, mostrando a tutto il creato che Lui e il Padre sono Uno! Proprio ciò che stava dicendo ai discepoli! Ecco il vero significato di queste parole. 

Ancora una volta la volontà di Dio viene innalzata e quella dell'uomo abbassata.

Conclusioni:


Come anticipato nell'introduzione, non credo di dover aggiungere nulla all'insegnamento biblico che abbiamo appena visto. 

Ciascuno ha la libertà di giungere alla propria conclusione, sapendo che ognuno è responsabile di sé stesso davanti a Dio; responsabilità di cui, un giorno, si dovrà rendere conto. Possa il Signore illuminarci e guidarci verso tutta la Verità (Gv 16:13).

1 commento:

pierluigi ha detto...

grazie dell'esposizione, condivido al 100%

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