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sabato 27 aprile 2013

Ma ho questo contro di te: che tu tolleri Iezabel

1Re 16:29-33 Acab, figlio di Omri, cominciò a regnare sopra Israele [Il regno del Nord NdR] l'anno trentottesimo di Asa, re di Giuda; e regnò a Samaria, sopra Israele, per ventidue anni.  Acab, figlio di Omri, fece ciò che è male agli occhi del SIGNORE più di tutti quelli che l'avevano preceduto. Come se fosse stato per lui poca cosa abbandonarsi ai peccati di Geroboamo, figlio di Nebat, prese in moglie Izebel, figlia di Etbaal, re dei Sidoni, andò ad adorare Baal, a prostrarsi davanti a lui, e innalzò un altare a Baal, nel tempio di Baal, che costruì a Samaria. Acab fece anche l'idolo d'Astarte. Acab fece più di quello che avevano fatto tutti i precedenti re d'Israele per provocare lo sdegno del SIGNORE, Dio d'Israele.

Izebel, o Jezebel nella scrittura anglosassone, era una regina Fenicia nella città di Sidone. E' stata presa in moglie da Acab, re di Israele dall' 875 a.C. all' 852 a.C.
Il libro dei Re, nella Bibbia, non usa mezzi termini nell'identificare questo monarca con il peggiore tra tutti quelli succeduti al governo del regno del Nord.
Egli infatti, non solo adorò falsi dèi andando contro il comandamento del Signore (Esodo 20:3), ma costruì addirittura templi pagani a Samaria contaminando gravemente il paese che già risentiva di una debolezza spirituale.
Egli innalzò un tempio a Baal e un idolo di Astarte.
Baal era un'importante divinità fenicia associato alla tempesta, e alla fecondità; mentre Astarte  - anch'ella divinità fenicia - era legata ugualmente alla fertilità ma anche alla guerra.
Acab quindi importò in Israele le divinità del paese della moglie, iniziandone il culto tra il popolo scelto da Dio, provocando di conseguenza lo sdegno di Yahweh.

1Re 18:4 e quando Izebel sterminava i profeti del SIGNORE, Abdia aveva preso cento profeti, li aveva nascosti cinquanta in una spelonca e cinquanta in un'altra, e li aveva nutriti con pane e acqua.

La Scrittura descrive in modo intenso le vicende che legarono la famiglia reale al profeta Elia, chiamato a raddrizzare la fede della nazione ebraica mediante un confronto aperto tra il falso dio e Yahweh. Nel versetto che abbiamo appena letto, apprendiamo che questa regina straniera non si accontentò di avere portato i propri dèi nel paese di suo marito, ma promosse una vera e propria persecuzione dei profeti del Signore. Mentre Acab la lasciava fare.
Se questo monarca stato tra i peggiori di Israele, Iezebel era manovrata esplicitamente da forze sataniche. Nata e cresciuta con idoli vani (Is 44:9), a Israele mostrò appieno la sua influenza diabolica; al pari del Faraone che sterminò i bambini ebrei e di Erode, il promotore della strage degli innocenti.
In tutta la Bibbia vediamo che all'inizio di ogni nuova iniziativa del Signore, l'avversario diventa furente, accecato d'ira, violento e convulso come un serpente appena ferito. 
Ma allo sterminio del Faraone, Mosè sopravvisse
Alla strage di Erode, Gesù Cristo rimase incolume. 
E alla persecuzione di Izebel, nonostante morirono martiri innumerevoli servi del Signore, Elia sopravvisse e mostrò al popolo che Yahweh è l'unico vero Dio.

1Re 18:39 Tutto il popolo, veduto ciò, si gettò con la faccia a terra, e disse: «Il SIGNORE è Dio! Il SIGNORE è Dio!»
1Re 18:40 Elia disse loro: «Prendete i profeti di Baal; neppure uno ne scampi!» Quelli li presero, ed Elia li fece scendere al torrente Chison, e laggiù li sgozzò.

Elia sgozzò quattrocentocinquanta (18:22) profeti di Baal davanti a tutto il popolo di Israele.

Izebel però non si arrese nei suoi propositi malvagi.

1Re 19:1 Acab raccontò a Izebel tutto quello che Elia aveva fatto, e come aveva ucciso con la spada tutti i profeti.
1Re 19:2 Allora Izebel mandò un messaggero a Elia per dirgli: «Gli dèi mi trattino con tutto il loro rigore, se domani a quest'ora non farò della vita tua quel che tu hai fatto della vita di ognuno di quelli».

Ella giura sui suoi falsi dèi di uccidere Elia, dando sfogo a tutto il suo furore.

Per capire qualcosa di più di questa inquietante figura però, dobbiamo analizzare anche altri passi biblici, importanti per delineare in modo più specifico i comportamenti e le strategie di questa donna e, in un secondo momento, poter giungere a certe conclusioni.

1Re 21:5 Allora Izebel, sua moglie, andò da lui e gli disse: «Perché hai lo spirito così abbattuto, e non mangi?»
1Re 21:6 Acab le rispose: «Perché ho parlato a Nabot d'Izreel e gli ho detto: "Dammi la tua vigna per il denaro che vale; o, se preferisci, ti darò un'altra vigna invece di quella"; ed egli m'ha risposto: "Io non ti darò la mia vigna!"»
1Re 21:7 Izebel, sua moglie, gli disse: «Sei tu, sì o no, che eserciti la sovranità sopra Israele? Àlzati, mangia, e sta' di buon animo; la vigna di Nabot d'Izreel te la farò avere io».
1Re 21:8 Scrisse delle lettere a nome di Acab, le sigillò con il sigillo di lui, e le mandò agli anziani e ai notabili che abitavano nella città di Nabot.
1Re 21:9 In quelle lettere scrisse così: «Bandite un digiuno, e fate sedere Nabot in prima fila davanti al popolo;
1Re 21:10 mettetegli di fronte due malfattori, i quali depongano contro di lui, dicendo: Tu hai maledetto Dio e il re; poi portatelo fuori dalla città, lapidatelo, e così muoia».

In questo racconto infatti, vediamo che Izebel spinge suo marito alla menzogna e all'omicidio, promuovendo un abuso di potere. La sua influenza quindi non si limitava alla sfera religiosa/spirituale ma anche a quella morale e di governo, attraverso la manipolazione di Acab e la sollecitazione di iniziative perverse. Possiamo leggere una sottile manipolazione nelle sue parole: "Sei tu, sì o no, che eserciti la sovranità sopra Israele?". Una manipolazione volta a portare disagio e insicurezza, su cui fare leva per far dilagare il peccato. Se interveniva in questioni così insignificanti, chissà qual'era il suo coinvolgimento negli affari di stato.

Genesi 3:1 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio il SIGNORE aveva fatti. Esso disse alla donna: «Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?»

Questa, è la stessa satanica strategia che portò al peccato di Adamo ed Eva.
Lo stesso disagio e la stessa insicurezza, instillate con una domanda apparentemente innocua, pronunciata in modo sottile ma letale.

1Re 21:25 In verità non c'è mai stato nessuno che, come Acab, si sia venduto a fare ciò che è male agli occhi del SIGNORE, perché era istigato da sua moglie Izebel.

A questo punto, il libro dei Re palesa quello che si poteva dedurre fin dall'inizio: l'istigazione di Izebel verso tutto ciò che è male agli occhi del Signore.
Acab sicuramente non era un re giusto, sotto il suo regno condusse numerose guerre. Ma seppe difendere Israele dai potentissimi Assiri. Nel momento di peggiore crisi, durante l'assedio di Samaria da parte del re di Siria, si rivolse al Signore riconoscendo la Sua autorità. 
Forse la sua peggiore azione fu proprio sposare Izebel e restare soggiogato dalle sue arti manipolatorie, dal suo carisma perverso. Senza la sua influenza infatti, le cose potevano andare in modo molto diverso. Il peccato più grande di Acab fu quello di tollerare Izebel.

Dopo questi avvenimenti, Elia mandò un suo discepolo a ungere Ieu (il capitano dell'esercito) come re di Israele, incaricandolo di uccidere Acaz.

2Re 9:7 Tu colpirai la casa di Acab, tuo signore, e io vendicherò il sangue dei profeti miei servi e il sangue di tutti i servi del SIGNORE, sparso dalla mano di Izebel.

Ieu ubbidisce, ed entra nel palazzo reale.

2Re 9:30 Poi Ieu giunse a Izreel. Izebel, che lo seppe, si diede il belletto agli occhi, si acconciò la capigliatura, e si mise alla finestra a guardare.
2Re 9:31 Mentre Ieu entrava per la porta della città, lei gli disse: «Porti pace, nuovo Zimri, uccisore del tuo signore?»
2Re 9:32 Ieu alzò gli occhi verso la finestra, e disse: «Chi è per me? chi?» E due o tre funzionari, affacciatisi, volsero lo sguardo verso di lui.
2Re 9:33 Egli disse: «Buttatela giù!» Quelli la buttarono; e il suo sangue schizzò contro il muro e contro i cavalli. Ieu le passò sopra, calpestandola;
2Re 9:34 poi entrò, mangiò e bevve, quindi disse: «Andate a vedere quella maledetta donna e sotterratela, poiché è figlia di un re».
2Re 9:35 Andarono dunque per sotterrarla, ma non trovarono di lei altro che il cranio, i piedi e le mani.
2Re 9:36 E tornarono a riferir la cosa a Ieu, il quale disse: «Questa è la parola del SIGNORE pronunciata per mezzo del suo servo Elia il Tisbita, quando disse: "I cani divoreranno la carne di Izebel nel campo d'Izreel;
2Re 9:37 e il cadavere di Izebel sarà, nel campo d'Izreel, come letame sulla superficie del suolo, in modo che non si potrà dire: 'Questa è Izebel'"».

Ieu, capitano dell'esercito con l'autorità di re da parte del Signore, ordina l'uccisione di Izebel nell'istante stesso in cui la vede, senza lasciare il tempo per altri vaneggiamenti. 
Lei si era truccata, intenta a circuire anche il nuovo re. Ma un uomo di carattere, nominato da Dio e con discernimento spirituale non poteva in alcun modo essere soggiogato da lei. Non poteva in alcun modo tollerarla. 

Qui termina la storia di Izebel, questa terribile donna Fenicia. Ma purtroppo il suo nome tornerà ancora una volta nella Bibbia. Nel Nuovo Testamento infatti troviamo ulteriori indicazioni.

Apocalisse 2:18-23 «All'angelo della chiesa di Tiatiri scrivi:
Queste cose dice il Figlio di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco, e i piedi simili a bronzo incandescente: "Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio, la tua costanza; so che le tue ultime opere sono più numerose delle prime. Ma ho questo contro di te: che tu tolleri Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli. Le ho dato tempo perché si ravvedesse, ma lei non vuol ravvedersi della sua fornicazione. Ecco, io la getto sopra un letto di dolore, e metto in una grande tribolazione coloro che commettono adulterio con lei, se non si ravvedono delle opere che ella compie. Metterò anche a morte i suoi figli; e tutte le chiese conosceranno che io sono colui che scruta le reni e i cuori, e darò a ciascuno di voi secondo le sue opere.

Gesù comanda all'Apostolo Giovanni di scrivere delle lettere alle principali comunità cristiane del I sec d.C. Alla chiesa di Tiatiri, nell'odierna Turchia, riconosce le opere, l'amore, la fede, il servizio, la costanza. Ma anche una vigorosa riprensione: "tu tolleri Iezabel".
Una falsa profetessa nella chiesa stava inducendo i credenti alla fornicazione e all'idolatria. Gesù la identifica immediatamente con Iezabel, riconoscendo lo stesso problema spirituale di questa terribile donna vissuta quasi un migliaio di anni prima. 
Una nuova Iezabel che porta corruzione nella chiesa, senza volersi ravvedere dal suo comportamento satanico. Il Signore rivela la punizione che riguarda lei e coloro che commettono adulterio con lei. 
Ritorna alla memoria il brano di Ieu, con Izebel che si acconciava e imbellettava per sedurlo. Quanti cristiani di questa comunità saranno stati sedotti? Quanti credenti hanno mancato di discernimento e l'hanno lasciata fare? Considerando un'intervento in persona del Signore, stiamo parlando di tante persone. Magari anche nella leadership della comunità. Come il personaggio storico manipolava il re di Israele, è probabile che anche questa falsa profetessa facesse lo stesso con le guide della chiesa. 
Non ho la certezza che esista uno "spirito di Iezabel", ma ho la certezza che il diavolo va attorno come un leone ruggente cercando chi divorare (1 Pt 5:8) e per questo motivo dobbiamo restare sobri. Dobbiamo vegliare, essere svegli per potere avere discernimento su ciò che accade nella nostra vita, nella nostra famiglia e nella nostra chiesa. 
Questa donna è realmente esistita e una falsa profetessa ne ha calcato le orme in una chiesa cristiana. Può succedere ancora, magari ai giorni nostri? Personalmente, credo che sia già accaduto innumerevole volte. L'esortazione biblica del resto è molto chiara:

1Giovanni 4:1 Carissimi, non crediate a ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio; perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo.

Ho trovato molto interessante il fatto che il termine di Ap 2:20 tradotto con "tolleri" - il verbo greco "eaō" - viene usato anche in altri brani evangelici e in particolare in un passo del Vangelo di Matteo.

Matteo 24:43 Ma sappiate questo, che se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte il ladro deve venire, veglierebbe e non lascerebbe [eaō] scassinare la sua casa.
Matteo 24:44 Perciò, anche voi siate pronti; perché, nell'ora che non pensate, il Figlio dell'uomo verrà.

Anche in questo contesto il termine viene espresso da Gesù per mettere in guardia da un pericolo concreto. Dopo il Suo discorso profetico, dopo aver predetto che <<molti verranno nel mio nome, dicendo: "Io sono il Cristo". E ne sedurranno molti.>>; dopo aver profetizzato della tribolazione, Egli esorta i discepoli alla vigilanza. Nessuno conosce il giorno del Suo ritorno e per questo motivo è necessario essere sobri e vigili per mantenersi puri. 
Il degrado spirituale e morale crescerà costantemente e prolifereranno falsi profeti, falsi apostoli, falsi dottori. Senza un sano discernimento spirituale, si subirà la loro seduzione. Questo è il messaggio di Gesù nel capitolo ventiquattro del Vangelo di Matteo.
Fratelli, noi siamo in questi tempi, noi siamo negli ultimi giorni (Eb 1:2).
Se sapessimo a quale ora della notte il ladro debba venire, gli lasceremmo scassinare la nostra casa? Tollerare falsi profeti e profetesse nelle nostre chiese è la stessa cosa. 
Questo non deve portarci a disprezzare il ministero e dono profetico (1 Tess 5:20) ma a usare discernimento ed esprimere giusti giudizi. 
Non dobbiamo tollerare Iezabel.

1Corinzi 5:11 Quel che vi ho scritto è di non mischiarvi con chi, chiamandosi fratello, sia un fornicatore, un avaro, un idolatra, un oltraggiatore, un ubriacone, un ladro; con quelli non dovete neppure mangiare.
1Corinzi 5:12 Poiché, devo forse giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro?
1Corinzi 5:13 Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi.

Il termine "oltraggiatore" - in greco loidoros - significa anche "maldicente".
Qualcuno che continuamente e senza pentimento parla male degli altri fratelli, specie di quelli con qualche incarico con lo scopo di screditarli agli occhi di tutti. Anche questa è manipolazione. Non stiamo parlando di un pettegolezzo o di una critica ma di un'attitudine sistematica e continuativa con uno scopo ben preciso: portare distruzione nella vita delle persone. Essere falsi fratelli è anche questo.

Vegliamo, stiamo sobri, domandiamo a Dio il discernimento necessario per "non lasciare scassinare la nostra casa", per "non tollerare Iezabel".
La riprensione alla chiesa di Tiatiri è stata durissima. Facciamo in modo che non sia mai rivolta alla nostra comunità e a noi stessi. Questo non deve aprire una nuova "caccia alle streghe" ma una consapevolezza della santità nella casa del Signore. Entriamo nella chiamata che Dio ha messo sulla nostra vita ed appropriamoci della risolutezza e dello zelo di Ieu. Ovviamente non per uccidere, in quanto il nostro combattimento non è contro sangue e carne (Ef 6:12), ma per prendere posizione spiritualmente. Indossare l'intera armatura di Dio per resistere nel giorno malvagio, e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il nostro dovere (Ef 6:13)

A Dio sia la lode e la gloria, ora e sempre. 

domenica 21 aprile 2013

La ricapitolazione in Cristo

Efesini 1:7-10 In lui [Gesù] abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che egli ha riversata abbondantemente su di noi dandoci ogni sorta di sapienza e d'intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra. (Traduzione Nuova Riveduta)


v.10 per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose,quelle del cielo come quelle della terra. (Traduzione CEI)

Questo brano incastonato nel prologo della Lettera agli Efesini è il nucleo del meraviglioso tema della "ricapitolazione".  Il termine tradotto con "raccogliere" o "ricapitolare" è reso in greco dal verbo anakephalaiomai, traducibile letteralmente con "per riassumere (di nuovo)", "ripetere sommariamente", "condensare in una sintesi." In effetti "raccogliere" è una traduzione riduttiva rispetto al significato originario. 
In senso più ampio, troviamo legato a questo concetto due significati molto importanti: "ridare un capo" e "fondare, instaurare". In Cristo tutto l'universo è (ri)fondato, restaurato; e contemporaneamente sottomesso alla Sua autorità. Questa è sempre stata la volontà di Dio ma si è espressa nel tempo opportuno con il sacrificio, la morte e la resurrezione del Signore Gesù. Nella risurrezione Egli diventa il primogenito di una nuova creazione (Col 1:18), avendo però precedentemente riassunto in sé tutta la vecchia creazione nell'incarnazione (Gv 1:14).  Oltrepassando la dimensione mortale, Cristo ha portato una tensione verso la piena manifestazione del regno di Dio. Egli è il nuovo Adamo (1 Cor 15:45), Colui che ha il compito di condurre non solo i credenti, ma anche l'intera creazione verso una piena redenzione.


Romani 8:22-27 Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con pazienza. Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio.

La creazione, i credenti, e lo Spirito stesso gemono come se fossero in travaglio; aspettando il parto, la piena manifestazione di questa nuova creazione. Infatti noi abbiamo solo le primizie dello Spirito, abbiamo solo i "fiori primaverili" dello Spirito Santo e questo anziché portare sazietà, porta un intenso e bruciante desiderio di entrare completamente nell'"estate", nella piena adozione e redenzione del nostro corpo per diventare a tutti gli effetti simili a Cristo e godere della vittoria del Signore sulla morte (1 Co 15:54-55).


Colossesi 1:15-17 Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui.

Gesù è il fulcro della vecchia e della nuova creazione. Ogni cosa converge in Lui ed ogni cosa esiste grazie a Lui, tanto le cose visibili quanto le realtà spirituali invisibili.
Una ricapitolazione di portata cosmica che comprende però in modo speciale tutti i figli di Dio che avvertono questo travaglio spirituale.
Tutto infatti è già stato compiuto sulla croce (Gv 19:30), ma non è già stato interamente manifestato, attendendo la pienezza dei gentili (Ro 11:25, 26); la salvezza di tutti gli eletti di Dio (2 Pt 3:9).

Trovo interessante notare che il termine anakephalaiomai compare solo un'altra volta nel Nuovo Testamento, in un contesto che trova alcune differenze ma anche significative somiglianze:


Romani 13:8-10 Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso». L'amore non fa nessun male al prossimo; l'amore quindi è l'adempimento (plērōma) della legge.

Potremmo parafrasare così: "qualsiasi comandamento si ricapitola in questa parola: ama il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa alcun male al prossimo; l'amore infatti è la pienezza della legge."

L'amore non è una semplice sintesi ma una fioritura, una manifestazione del pieno significato della legge di Mosè. L'amore è il plērōma, la pienezza della legge. 
Esattamente come Cristo è il plērōma, la pienezza di tutta la creazione.

Dio stesso nella persona del Figlio si è incarnato entrando nella creazione pur non appartenendole, per portarla ad una piena manifestazione, per portarla alla pienezza desiderata e concepita prima di ogni tempo.
Una pienezza che nessuna creatura, visibile o invisibile,  poteva darle. 
Un significato, una piena esistenza che solo un intimo coinvolgimento del Creatore poteva portare.

A Lui sia la gloria, l'onore e la potenza!

domenica 14 aprile 2013

Gli apostoli nel Nuovo Testamento

I dodici apostoli

Luca 6:13 Quando fu giorno, [Gesù] chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli:
Luca 6:14 Simone, che chiamò anche Pietro, e suo fratello Andrea; Giacomo e Giovanni; Filippo e Bartolomeo;
Luca 6:15 Matteo e Tommaso; Giacomo, figlio d'Alfeo, e Simone, chiamato Zelota;
Luca 6:16 Giuda, figlio di Giacomo, e Giuda Iscariota, che divenne traditore.

Tutti noi conosciamo i dodici apostoli di Gesù. 
Anche chi non ha familiarità con le Scritture infatti, ha avuto sicuramente occasione di vedere qualche film, qualche quadro famoso, o ascoltato delle storie di tradizione cristiana.
Vengono presentati nei tre Vangeli sinottici, anche se con piccole differenze di ordine e di nome.

Una loro caratteristica molto importante è quella di essere stati testimoni oculari dell'incarnazione di Cristo.


1Giovanni 1:1 Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita
1Giovanni 1:2 (poiché la vita è stata manifestata e noi l'abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata),
1Giovanni 1:3 quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi; e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo.

Dopo la Sua ascensione al cielo quindi, i dodici si ritrovano con il compito di testimoniare non solo del messaggio del Signore; ma anche di tutto il tempo in cui lo hanno seguito e tutti gli insegnamenti piccoli e grandi che hanno ricevuto da Lui. 

Termini ed etimologie

Il termine originale riportato nel Nuovo Testamento è apostolos, e letteralmente significa "delegato, messaggero, colui che è inviato". Richiama l'idea degli affidatari di un messaggio molto importante, ma con l'autorità delegata del mittente. Un concetto simile a quello di un ambasciatore che deve dare una comunicazione in un paese straniero. 
Sappiamo che a loro infatti è stata affidata la predicazione dell' Evangelo, cioè della buona notizia della morte e resurrezione di Cristo per la salvezza di ciascuno che crede, e un ruolo di guida nella Chiesa. Le Scritture attestano che venivano reputati come colonne (p.es Gal 2:9) nella chiesa primitiva.

Il vocabolo deriva probabilmente da apostellō, a sua volta costituito da "apò" , da, che indica separazione, allontanamento;  e "stèllo", colloco, ordino. Possiamo tradurre letteralmente con "ordino ad uno di recarsi dove che sia". Apostellō compare anch'esso nel Nuovo Testamento e viene generalmente tradotto con "inviato". E' presente per esempio in Atti 15:27, in relazione a Giuda e Sila, ma, in modo ancor più interessante, in 1 Pietro 1:12 dove è associato allo "Spirito Santo, inviato dal cielo".

(Altrove invece [p.es Lc 7:24], viene utilizzato il termine aggelos, sempre tradotto con "inviato", ma dal significato comune di "messaggero". Nonostante questa parola designi gli "angeli", nelle Scritture è utilizzata anche per inviati e messaggeri umani.)

Il tredicesimo apostolo

E' concezione diffusa ritenere che i dodici apostoli siano gli unici apostoli che la Chiesa cristiana ha conosciuto. Ma è davvero così? Iniziamo ad approfondire una prima eccezione: Paolo di Tarso, ritenuto di fatto il "tredicesimo apostolo".
Nel suo ministero infatti, egli in ogni occasione si è definito:

2Corinzi 1:1 Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio [...]

Apostolo messo a parte per il vangelo di Dio (Ro 1), apostolo degli stranieri (Ro 11), apostolo non da parte di uomini né per mezzo di un uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo (Gal 1), apostolo di Cristo Gesù per ordine di Dio (1 Tim 1). Raccontando la sua storia, scrive:


1Corinzi 15:8 e [Gesù risorto], ultimo di tutti, apparve anche a me, come all'aborto;
1Corinzi 15:9 perché io sono il minimo degli apostoli, e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio.
1Corinzi 15:10 Ma per la grazia di Dio io sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana; anzi, ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me.

E' comune l'idea che Paolo fosse un apostolo solitario, unico nel suo genere.
Di fatto non ha avuto molti contatti con i dodici, ed ha adempiuto al suo ministero quasi totalmente al di fuori di Gerusalemme e della Giudea. Dopo la sua conversione si è presentato a loro (Atti 9:27) ma l'inizio vero e proprio della sua attività missionaria ha origine altrove:

Atti 13:1 Nella chiesa che era ad Antiochia c'erano profeti e dottori: Barnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaem, amico d'infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo.
Atti 13:2 Mentre celebravano il culto del Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse: «Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati».
Atti 13:3 Allora, dopo aver digiunato, pregato e imposto loro le mani, li lasciarono partire.

Ecco che a Saulo (Paolo), che fino ad allora era considerato un dottore (2 Tim 1:11) a causa della sua alta formazione teologica (Atti 22:3), viene affidato un incarico dallo Spirito Santo, viene messo a parte per un opera particolare. Dopo questo evento lui e Barnaba partirono per il primo viaggio missionario (Atti 13:4, 14:28); a cui lui ne aggiunse altri due (Atti 15:36, 18:22 e 18:23, 21:16) prima del suo viaggio verso Roma in cattività (27:1, 28:31). In questi tre viaggi missionari l'attività di Paolo portò alla conversione di innumerevoli persone e alla fondazione di chiese locali in un territorio che va dalla Cilicia all'Achea.


 [fonte]

E' proprio durante questa attività missionaria che Paolo inizia a definirsi apostolo, soprattutto scrivendo lettere alle chiese fondate da lui o alle comunità che vorrebbe visitare (come appunto quella di Roma).
Sebbene la sua attività evangelistica iniziasse in ogni città solitamente nella sinagoga del posto, la sua missione era quella di portare il Vangelo ai Gentili, ossia alle persone di origine non Ebraica. Per questo motivo egli è l'apostolo degli stranieri. 
Il titolo "apostolo" quindi, in questo caso coincide con una missione affidata da Dio e manifestata nella predicazione del Vangelo e nella fondazione di chiese locali. Una volta fondata una comunità, Paolo nominava degli anziani, dei pastori per la guida della chiesa e dopo un certo lasso di tempo ripartiva per la sua attività, restando in rapporto epistolare con loro e tornando a trovarli per rafforzarli nella fede ed istruirli in ogni cosa. Se vi erano problemi  interveniva personalmente, o, come ad Efeso, inviando a sua volta uno dei suoi collaboratori. Sì, perchè anche se si pensa a lui come ad un uomo solitario, egli in realtà si avvaleva di una squadra di collaboratori che vedremo più avanti.

Il ministero apostolico nel corpo di Cristo


Efesini 4:11 È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori,
Efesini 4:12 per il perfezionamento dei santi in vista dell'opera del ministero e dell'edificazione del corpo di Cristo [...]

1Corinzi 12:28 E Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori [...]

Proprio l'apostolo Paolo, nelle lettere scritte alle comunità di Efeso e Corinto, insegna e rivela quale sia la natura stessa della Chiesa e il suo corretto funzionamento. Mostra cinque differenti ministeri che hanno lo scopo di lavorare in sinergia per il perfezionamento dei santi. Tra questi ministeri nomina per primo proprio quello dell'apostolo, con l'esatto termine apostolos
Il dono di Cristo che illustra agli Efesini è dato in questi cinque ministeri con un ruolo di prim'ordine.
Sicuramente non stiamo parlando dello stesso incarico che Gesù affidò ai dodici; non identico perlomeno.
Come abbiamo visto, loro sono testimoni oculari scelti da Gesù nel Suo ministero terreno e, in questo, sono unici. La Bibbia stessa li identifica con un ruolo di fondamento che sarà onorato nell'eternità (Ap 21:14).

Loro però, non sono gli unici a detenere questo titolo. Paolo in questo passaggio parla in un tempo verbale tradotto in italiano con il passato prossimo, e parla di apostoli e profeti. E' chiaro che non si sta riferendo ai dodici, ma ad un'organizzazione molto più ampia che raggruppa cinque gruppi di persone diverse fra di loro per dono e chiamata. Una nuova generazione di apostoli, con nuove chiamate specifiche e personali che portino all'edificazione del corpo di Cristo e al perfezionamento dei santi, esattamente con una nuova generazione di profeti, evangelisti, pastori e dottori che hanno uno stesso scopo comune ma competenze diverse.


Romani 16:7 Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia, i quali si sono segnalati fra gli apostoli ed erano in Cristo già prima di me.

Il ruolo apostolico da questo momento oltrepassa il ministero dei dodici apostoli e si allarga a tutto il tempo della Grazia, perchè il corpo di Cristo ha necessità di essere edificato e perfezionato fino alla pienezza dei Gentili, e al ritorno di Gesù per le nozze dell'Agnello (Ap 19:7).

La squadra apostolica

Come abbiamo accennato prima, nonostante la fama di Paolo come ministro solitario, in realtà egli era in un ruolo di conduzione all'interno di una squadra - o team - apostolico.
Nella maggior parte dei casi non viaggiava da solo. Nel primo viaggio è stato accompagnato da Barnaba; nel secondo Sila e, successivamente Luca e Timoteo; solo nel terzo visitò da solo le chiese fondate in precedenza, rafforzandole. Nelle sue lettere troviamo altre informazioni di questa interessante formazione ministeriale:


1Tessalonicesi 1:1 Paolo, Silvano e Timoteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace [...]
1Tessalonicesi 2:6 E non abbiamo cercato gloria dagli uomini, né da voi, né da altri, sebbene, come apostoli di Cristo, avessimo potuto far valere la nostra autorità;
1Tessalonicesi 2:7 invece, siamo stati mansueti in mezzo a voi, come una nutrice che cura teneramente i suoi bambini.

Nella prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo parla di Silvano (o Sila) e Timoteo come apostoli, al pari del suo ministero e con la stessa autorità apostolica di fondazione.

2Corinzi 8:23 Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore in mezzo a voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono gli inviati delle chiese, e gloria di Cristo.

Ai credenti di Corinto scrive che Tito è suo compagno e collaboratore e che i loro fratelli (coloro che i Corinzi avevano visto insieme a Paolo) sono gli apostolos delle chiese, a gloria di Cristo.
Nonostante la traduzione italiana renda "inviati", Paolo in greco usa proprio il termine "apostoli".

Tito 1:5 Per questa ragione ti ho lasciato a Creta: perché tu metta ordine nelle cose che rimangono da fare, e costituisca degli anziani in ogni città, secondo le mie istruzioni.

Per questo motivo dà a Tito un incarico apostolico, costituire degli anziani (una leadership) in ogni comunità locale...

1Timoteo 1:3 Ti ripeto l'esortazione che ti feci mentre andavo in Macedonia, di rimanere a Efeso per ordinare ad alcuni di non insegnare dottrine diverse [...]

...E a Timoteo l'importante compito di intervenire in una chiesa locale e difendere la sana dottrina che rischiava di essere compromessa a causa di persone all'interno della comunità, probabilmente con un ruolo di guida (cfr. 1:7)...

2Timoteo 2:2 e le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, affidale a uomini fedeli, che siano capaci di insegnarle anche ad altri.

...Oltre a quello, infine, di discepolare altre persone e probabilmente costituire una nuova squadra apostolica nel momento in cui sapeva di dover morire martire.

Paolo dunque era in un team apostolico e questa è l'unica formazione di cui abbiamo esempio nel Nuovo Testamento in relazione al ministero apostolico successivo ai dodici apostoli di Gesù. Anche quando saluta altri apostoli di questo tipo, ne parla al plurale (Ro 16:7) lasciando intendere che lavoravano insieme ad altre persone e non da soli. E' lecito dunque pensare che anche al giorno d'oggi l'indicazione del Signore sia sempre quella di collaborare nel ministero insieme agli altri fratelli come un corpo, in sinergia. Ogni ministro deve rendere conto agli altri e ogni ministero deve discepolare altri credenti con questa chiamata, perchè nel regno di Dio non esiste l'individualismo. Il Signore ha creato la Chiesa come un corpo, non come una serie di individui a sé stanti. Ne consegue che gli apostoli non debbano adempiere al loro ministero in solitudine ma collaborando con gli altri ministeri e discepolando altri apostoli che a loro volta potranno tramandare l'opera di Dio alle successive generazioni, fino al ritorno del Signore.

giovedì 11 aprile 2013

Credi tu questo?


Giovanni 11:25 Gesù disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà;
Giovanni 11:26 e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?»


Fermati.
Rileggi queste parole che il Signore Gesù ti sta rivolgendo.
Dalla tua risposta si deciderà il tuo destino.

Caro lettore, molto probabilmente io non ti conosco. Ma Gesù sì. Eri nei Suoi pensieri prima ancora di nascere. Eri nei Suoi pensieri mentre Lui ti stava intessendo, in tua madre.
Sei continuato ad esserlo per tutta la tua vita, fino a questo momento.
Forse non credi in Lui.
Sicuramente Gesù crede in te. Ha sempre creduto in te. Per questo esisti.
In questo istante particolare dunque, in questo preciso momento della tua esistenza, fermati. Ferma ogni ragionamento, ogni priorità. Ascolta. No, non ciò che dicono i tuoi pensieri. Ascolta il tuo cuore. Ascolta le parole di Gesù.

«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai.
Credi tu questo?»


So quanto conosci bene il dolore. L'ingiustizia. La frustrazione. La malvagità degli uomini. La delusione. La paura.
Pensi di avere bisogno di un "perché?" ma non è questo quello che ti aiuterà. Cosa è importante allora? Cosa è veramente importante?
Conoscere chi può comprendere ogni tuo dolore. Soffrire con te per ogni ingiustizia. Sanare ogni tua frustrazione. Donarti la chiave per vincere la malvagità. Consolare il tuo cuore ad ogni delusione. Rinfrancare il tuo cuore per superare ogni paura. Stare al tuo fianco. Per sempre.

Questa persona è il Signore Gesù. Non è una religione né una filosofia. E' una Persona. Invoca il Suo nome. Lui ti risponderà. Nessuno che si è avvicinato a Lui è mai stato deluso. Te lo dico per esperienza.

Leggi e conosci chi è Gesù. Invocalo e chiedigli di rivelarsi a te, personalmente. Così come sei personalmente conosciuto, così Egli vuole farsi conoscere personalmente. E sperimenterai cosa vuole fare per te oggi.

Quando avrai fatto queste cose, allora potrai fissare gli occhi del tuo cuore su di Lui. Egli con dolcezza ti chiederà ancora una volta:
"Credi tu questo?"
Con franchezza potrai rispondergli, corrergli incontro e abbracciarlo. E la certezza di vivere per sempre con Lui riempirà la tua vita.

martedì 9 aprile 2013

La "teologia della confessione positiva" al vaglio della Scrittura

In ambito protestante pentecostale, esiste una "teologia della confessione positiva". Secondo questa teologia, what I confess, I possess, "quello che 'confesso' possiedo": proclamando con una fede sufficiente la propria fiducia di ottenere la prosperità e la salute il cristiano ha la certezza di ottenerle. Il Faith Movement cita Romani 10, 8-10 secondo cui "con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza" e "se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore [...] sarai salvo". "Salvo", nell'interpretazione del Faith Movement, non si riferisce soltanto alla salvezza eterna, ma anche al benessere e alla salute materiale.


In questa sede, vorrei condividere delle riflessioni bibliche basate sul dubbio della legittimità dottrinale del Movimento della Fede. Ciascuno ha la possibilità di trarre le proprie conclusioni dopo il percorso Scritturale che faremo assieme.


Povertà, abbondanza...


Ho avuto una grande gioia nel Signore, perché finalmente avete rinnovato le vostre cure per me; ci pensavate sì, ma vi mancava l'opportunità. 
Non lo dico perché mi trovi nel bisogno, poiché io ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo. So vivere nella povertà e anche nell'abbondanza; in tutto e per tutto ho imparato a essere saziato e ad aver fame; a essere nell'abbondanza e nell'indigenza. Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica. Tuttavia avete fatto bene a prender parte alla mia afflizione.
Filippesi 4:10-14 

L'Apostolo Paolo si trovava agli arresti domiciliari a Roma nel momento in cui scriveva questa lettera ai credenti di Filippi, che amava teneramente.

Questi fratelli avevano provveduto a inviargli dei doni per venire incontro alle sue necessità e,  per ringraziarli, Paolo scrive queste parole. 
Dice loro di aver imparato ad accontentarsi dello stato in cui si trovava. Dice di saper vivere nella povertà come nell'abbondanza, ad essere saziato e ad avere fame. A essere nell'abbondanza e nell'indigenza. Poteva sostenere tutte queste situazioni, perché Cristo lo fortificava. Spesso il versetto 13 viene strumentalizzato per enfatizzare una fantomatica potenza del credente che può fare ogni cosa in senso assoluto. Il contesto però è ben diverso. Cristo fortifica e rende capaci di sopportare la povertà, la fame e l'indigenza. Questo è l'insegnamento dell'Apostolo. Certo, poteva insegnare molte cose differenti. Poteva testimoniare di aver confessato la sua liberazione dalla prigionia ed averla ottenuta. Ma così non è stato, perché in realtà la sua prigionia era il modo voluto da Dio per la diffusione del Vangelo in quel preciso contesto (Fil 1:12-13). Dio ha voluto diffondere il vangelo a Roma attraverso la sofferenza e la prigionia di Paolo. Egli era afflitto. Ma il piano di Dio era realizzato.
Meditando su questa considerazione, approcciamoci ora all'Antico Testamento.

Io ti ho chiesto due cose;

non me le rifiutare, prima che io muoia;
allontana da me vanità e parola bugiarda;
non darmi né povertà né ricchezze,
cibami del pane che mi è necessario,
perché io, una volta sazio, non ti rinneghi
e dica: «Chi è il SIGNORE?»
oppure, diventato povero, non rubi,
e profani il nome del mio Dio.
Proverbi 30:7-9 

Nel libro dei proverbi troviamo i detti di Agur, un ignoto saggio, probabilmente contemporaneo di Salomone. Questi proverbi denotano umiltà e un acuto spirito teologico. 

Il versetto 30:1 apre questa collezione sapienziale con l'introduzione "Parole di Agur", traducibile anche con "oracolo" o "fardello", entrambe espressioni comuni alla letteratura biblica profetica.
"Non darmi né povertà né ricchezze, cibami del pane che mi è necessario". 
Questo è il consiglio che il saggio vuole dare ai suoi allievi.
Egli chiede al Signore protezione dall'abbondanza e dalla distretta per evitare di trovarsi in situazioni che lo porterebbero a peccare. Chi mai farebbe una preghiera simile? Chi mai pregherebbe Dio di non renderlo ricco? Un uomo molto saggio, ispirato da Dio, i cui detti sono entrati nella Parola di Dio scritta, che noi tutti conosciamo molto bene.

Restando su questo tema però, torna opportuno leggere nuovamente dei versetti tratti da un'altra lettera dell'Apostolo Paolo, scritta intorno a una decina di anni prima della Lettera ai Filippesi, e indirizzata a un'altra chiesa fondata da lui dopo una lunga attività evangelistica sul luogo. In queste circostanze, dei nuovi apostoli giudeo-cristiani erano arrivati con delle lettere credenziali (3:1) di alcune chiese che avevano lo scopo di raccomandarli presso la comunità di Corinto. Si definivano "servitori di Cristo" (1:23), mostravano vanto in sé stessi (5:12) e probabilmente si facevano mantenere dalle comunità stesse (argomento su cui Paolo insiste al cap.11). La loro immagine era quella di persone particolarmente ricche di talenti che passavano di successo in successo nell'apostolato, tanto da mietere continui "trionfi" nella vigna del Signore. Paolo avrebbe dovuto congratularsi davanti a tanto successo e tanta "fede" manifestata da carismi e doni spirituali? Leggiamo direttamente le sue parole:


Infatti, se uno vi riduce in schiavitù, se uno vi divora, se uno vi prende il vostro, se uno s'innalza sopra di voi, se uno vi percuote in faccia, voi lo sopportate. 
Lo dico a nostra vergogna, come se noi fossimo stati deboli; eppure, qualunque cosa uno osi pretendere (parlo da pazzo), oso pretenderla anch'io. Sono Ebrei? Lo sono anch'io. Sono Israeliti? Lo sono anch'io. Sono discendenza d'Abraamo? Lo sono anch'io. Sono servitori di Cristo? Io (parlo come uno fuori di sé) lo sono più di loro; più di loro per le fatiche, più di loro per le prigionie, assai più di loro per le percosse subite. Spesso sono stato in pericolo di morte. Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio; ho passato un giorno e una notte negli abissi marini. Spesso in viaggio, in pericolo sui fiumi, in pericolo per i briganti, in pericolo da parte dei miei connazionali, in pericolo da parte degli stranieri, in pericolo nelle città, in pericolo nei deserti, in pericolo sul mare, in pericolo tra falsi fratelli; in fatiche e in pene; spesse volte in veglie, nella fame e nella sete, spesse volte nei digiuni, nel freddo e nella nudità. Oltre a tutto il resto, sono assillato ogni giorno dalle preoccupazioni che mi vengono da tutte le chiese. Chi è debole senza che io mi senta debole con lui? Chi è scandalizzato senza che io frema per lui? Se bisogna vantarsi, mi vanterò della mia debolezza. 
2Corinzi 11:20-30 

...ed eccellenza spirituale.



Bisogna vantarsi? Non è una cosa buona; tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa (se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. So che quell'uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all'uomo di pronunciare. Di quel tale mi vanterò; ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolezze. Pur se volessi vantarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, perché nessuno mi stimi oltre quello che mi vede essere, o sente da me. E perché io non avessi a insuperbire per l'eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l'allontanasse da me; ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella DEBOLEZZA». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte.
2Corinzi 12:1-10 

Di fronte al successo e alla prosperità di questi apostoli "raccomandati", Paolo snocciola tutte le persecuzioni subite, tutte le disavventure, le fatiche, le pene, la fame, la sete, il freddo e la nudità patiti nel suo ministero. Di fronte ai doni spirituali di questi operai fraudolenti, lui racconta in terza persona di essere stato rapito in paradiso, precisando che non si vanterà di questo ma piuttosto delle sue debolezze.

Perchè non avesse ad insuperbirsi di queste eccezionali esperienze spirituali, racconta di come un angelo di Satana gli ha messo una spina nella carne. E in questa circostanza cosa fa? Confessa in fede una liberazione? Pretende una guarigione da parte di Dio?
No, umilmente chiede al Signore queste cose e la risposta che riceve da Lui è un profondo principio spirituale:  «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». La potenza di Dio non si dimostra perfetta nella fede, ma nella debolezza!


La salute fisica...


La paternità paolina della prima lettera a Timoteo è stata oggetto di discussione in ambito accademico, ma è sempre stata attribuita all'Apostolo secondo la tradizione cristiana.
Compare nel Codex Sinaiticus, uno dei più antichi manoscritti biblici risalente al 330 d.C. e nel canone muratoriano, la più antica lista dei libri del Nuovo Testamento, tradotta in greco da un testo datato circa al 170 d.C. 
Seguendo l'ipotesi tradizionalista, la lettera sarebbe stata scritta da Paolo dopo la sua prima prigionia e poco prima del martirio nel 67 d.C.
La lettera appare scritta principalmente per esortare Timoteo a restare ad Efeso per difendere la sana dottrina (1:3,4). Quasi al termine dello scritto, troviamo una curiosa indicazione:

1Timoteo 5:23 Non continuare a bere acqua soltanto, ma prendi un po' di vino a causa del tuo stomaco e delle tue frequenti indisposizioni.

Timoteo, collaboratore nella squadra apostolica di Paolo, a quanto pare soffriva di frequenti indisposizioni di stomaco. Spesso aveva disturbi fisici che non lo facevano stare bene.

Di per sè questo elemento non avrebbe nulla di strano.
Proviamo però a riflettere un attimo. Lui era considerato da Paolo come legittimo figlio nella fede (1:2), aveva un rapporto incredibilmente stretto di figliolanza spirituale con l'Apostolo dei gentili, l'uomo che ha portato il Vangelo nel mondo extra giudaico, sulle cui rivelazioni è stata costruita la dottrina di tutto il cristianesimo. 
Paolo, protagonista di molti miracoli (Atti 14:9) ed eccezionale autorità spirituale (Atti 16:18), non poteva dire al suo più stretto collaboratore di dichiarare con fede la sua guarigione?
Così come scriverà più tardi della necessità di ravvivare il suo carisma mediante l'imposizione delle sue mani (2 Tim 1:6), non poteva forse scrivere di pazientare di aspettarlo per ricevere una guarigione miracolosa con la stessa imposizione? Perchè Paolo non compie un miracolo guarendo fisicamente Timoteo? Perchè evidentemente la realtà spirituale non è in questi termini. Paolo operava nella potenza dell'ubbidienza a Dio. Ogni suo grande successo era dovuto dall'allineamento con le indicazioni del Signore (Atti 16:7-10). Ecco quindi che a questo problema fisico viene data una soluzione quasi ridicola rispetto alla dottrina della confessione positiva. Al posto di esortare Timoteo a confessare una guarigione, Paolo gli raccomanda di prendere un po' di vinoE' come se andassimo dal più grande uomo di Dio della nostra generazione, protagonista di innumerevoli miracoli, e raccontando dei nostri disturbi di emicrania, sentissimo raccomandarci  di mangiare in modo sano e prendere pastiglie per il mal di testa.
Evidentemente non tutte le malattie hanno origini spirituali.
Evidentemente la guarigione non si ottiene sempre con una semplice confessione.
Evidentemente la fede di per sè e vuota, se non è ancorata a ciò che Dio vuole fare.

Però ho ritenuto necessario mandarvi Epafròdito, mio fratello, mio compagno di lavoro e di lotta, inviatomi da voi per provvedere alle mie necessità; egli aveva un gran desiderio di vedervi tutti ed era preoccupato perché avevate saputo della sua malattia. È stato ammalato, infatti, e ben vicino alla morte; ma Dio ha avuto pietà di lui; e non soltanto di lui, ma anche di me, perché io non avessi dolore su dolore.
Filippesi 2:25-27 

Per rimarcare questo concetto, confrontiamoci con altre Scritture.

Torniamo alla lettera ai Filippesi, scoprendo questa volta le dinamiche con cui la comunità di Filippi aveva provveduto a recapitare il sostegno economico a Paolo. Essi avevano infatti mandato il fratello Epafròdito, e scopriamo con queste parole che una volta arrivato a Roma si è ammalato arrivando vicino alla morte. Anche in questo caso però, Paolo non ha confessato la sua guarigione. Riporta infatti molto più semplicemente che Dio ha avuto pietà di lui e di Paolo stesso. Frase che evidenzia l'umiltà di chi sa quale sia il suo posto e il posto di Dio.
Il fratello è stato guarito con suppliche, per la misericordia del Signore, non con confessioni positive.

Vediamo ora un ultimo passo biblico nel tema della salute fisica.

3Giovanni 2 Carissimo, io prego che in ogni cosa tu prosperi e goda buona salute, come prospera l'anima tua.


L'Apostolo Giovanni scrive al caro fratello Gaio, che ama (1:1) profondamente. 

Rivela subito di come prega che lui possa prosperare e godere di buona salute. Il discepolo che Gesù amava (Gv 21:7), l'uomo che avuto la maggiore intimità possibile con il Cristo incarnato, prega il Signore per la salute e prosperità di un suo fratello.
Prega. Chiede in preghiera.
Anche in questo caso, non leggiamo nulla a riguardo di confessioni di prosperità in fede.
Tutto è sottomesso alla volontà di Dio tramite la preghiera.

...e la fede.


Apocalisse 13:10 Se uno deve andare in prigionia, andrà in prigionia; se uno dev'essere ucciso con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada. Qui sta la costanza e la fede dei santi.


La Scrittura attesta che la fede dei santi negli ultimi tempi sta nell'accettare il martirio, non nell'essere prosperi.


Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. 
Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo. 1Pietro 5:8-9 

La Scrittura attesta che la fede dei santi sta nel resistere al diavolo sapendo che le medesime sofferenze - non le medesime ricchezze materiali - affliggono tutti i loro fratelli sparsi nel mondo. 

Ebrei 11:39 Tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza per la loro fede, non ottennero ciò che era stato promesso.


La Scrittura attesta che tutti gli "eroi della fede" non ottennero per fede ciò che era stato promesso per adempiere a una superiore volontà di Dio.

Se esistesse un principio spirituale secondo cui con la semplice confessione in fede si ottiene ciò che si desidera, questi uomini di Dio dovrebbero essere la prima testimonianza dell'esistenza di questo principio spirituale.

Frequenti interpretazioni sbagliate.


a)


Quando Gesù fu entrato in Capernaum, un centurione venne da lui, pregandolo e dicendo: 
«Signore, il mio servo giace in casa paralitico e soffre moltissimo». Gesù gli disse: «Io verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anche io sono uomo sottoposto ad altri e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: "Va'", ed egli va; e a un altro: "Vieni", ed egli viene; e al mio servo: "Fa' questo", ed egli lo fa». Gesù, udito questo, ne restò meravigliato, e disse a quelli che lo seguivano: «Io vi dico in verità che in nessuno, in Israele, ho trovato una fede così grande! E io vi dico che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abraamo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Là ci sarà pianto e stridor di denti». Gesù disse al centurione: «Va' e ti sia fatto come hai creduto». E il servitore fu guarito in quella stessa ora. Matteo 8:5-13 

In questo brano del Vangelo di Matteo, Gesù si meraviglia della fede di questo centurione. Dice addirittura che in tutto Israele non ha trovato una fede così grande.

Ma qual è la caratteristica di questa meravigliosa fede? 
Molti pensano che sia la certezza di ottenere la guarigione del proprio servo. Sembrerebbe quindi che la fede in questa certezza di guarigione abbia portato effettivamente a tale risultato.
Nel contesto, le parole del centurione però mostrano decisamente qualcos'altro.
"...anche io sono uomo sottoposto ad altri e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: "Va'", ed egli va; e a un altro: "Vieni", ed egli viene; e al mio servo: "Fa' questo", ed egli lo fa".
Il centurione era uno dei gradi della catena di comando nell'Esercito Romano. Comandava un gruppo di uomini che andava tra le 80 e le 300 unità. Il suo compito era coordinare la sua centuria secondo gli ordini a sua volta ricevuti. Era un ruolo militare, che quotidianamente ubbidiva ed impartiva ordini militari. Ordini ai quali non si poteva evitare l'ubbidienza, pena la morte. Ecco quindi che questo centurione associa il suo retaggio militare alla persona di Cristo. Perchè? Perchè era convinto che questo Messia era il Figlio di Dio
Solo Colui che ha creato il mondo e ogni essere umano può avere l'autorità di guarire una malattia solo con un pensiero. Il centurione aveva riconosciuto questa autorità in Gesù.
Più tardi, lo stesso Vangelo testimonierà della confusione che c'era attorno all'identità di Gesù:

Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?»
 Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti».
Matteo 16:13-14 

Gli Ebrei, il popolo creato e scelto da Dio, non avevano riconosciuto Gesù come Suo Figlio.

Un militare pagano invece sì.
Ecco perchè Gesù si meraviglia! Una meraviglia che non era causata dalla fede in sé stessa di quest'uomo, ma sull'oggetto di questa sua fede: l'identità di Cristo! Vediamolo in un altro brano spesso frainteso:


Ed ecco una donna, malata di un flusso di sangue da dodici anni, avvicinatasi da dietro, gli toccò il lembo della veste, perché diceva fra sé: «Se riesco a toccare almeno la sua veste, sarò guarita». Gesù si voltò, la vide, e disse: «Coraggio, figliola; la tua fede ti ha guarita». Da quell'ora la donna fu guarita.
Matteo 9:20-22 

La sua fede ha guarito dalla malattia questa donna. Molti assolutizzano questa frase senza comprenderne il vero significato. Non è la persuasione interiore fine a sé stessa che ha operato la guarigione, ma la certezza che bastava toccare un lembo della veste del Messia! Altrimenti per essere guariti basterebbe avere fede di ottenere la guarigione toccando i vestiti di qualsiasi persona.
Da questa considerazione però dobbiamo fare un ulteriore passo per schivare un errore dottrinale simile. Qualcuno infatti potrebbe pensare: "allora basta credere che Gesù è Dio e chiedergli in fede qualsiasi cosa per ottenerlo". Abbiamo già visto nei passi precedenti che non è così, e non è stato così nemmeno per Gesù stesso!
Luca 22:42 «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però non la mia volontà, ma la tua sia fatta».

Giovanni 5:30 Io non posso far nulla da me stesso; come odo, giudico; e il mio giudizio è giusto, perché cerco non la mia propria volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

Esiste infatti una volontà di Dio, un disegno del Signore superiore a qualsiasi volontà e richiesta umana. Gesù stesso si è sottomesso alla volontà del Padre. Tanto più i credenti devono essere sempre in ascolto della voce di Dio, per adempiere alla Sua volontà. E' un principio presente in tutta la Bibbia, dall'inizio alla fine. Vediamo solo alcuni esempi per non dilungarci troppo.

Romani 1:10 chiedendo sempre nelle mie preghiere che in qualche modo finalmente, per volontà di Dio, io riesca a venire da voi.

Paolo, ancora una volta, prega che per volontà di Dio possa conoscere i credenti di Roma; nonostante avendo un grande desiderio di raggiungerli si sottomette alla volontà del Signore. Non sgrida fantomatici spiriti demoniaci territoriali, e non dà per scontato che andare a Roma per motivi ministeriali è nella volontà di Dio. Chiediamo a Dio in modo analogo prima di intraprendere un'attività ministeriale o diamo per scontato che sia la volontà di Dio? In effetti, dovremmo pregare.

Romani 12:2 Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.


Più tardi ribadisce ancora l'esigenza di conoscere la volontà di Dio rinnovando la propria mente, non proclamando la propria, di volontà. 


b)


Quando tornarono tra la folla, un uomo gli si avvicinò, gettandosi in ginocchio davanti a lui, 
e gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio, perché è lunatico e soffre molto; spesso, infatti, cade nel fuoco e spesso nell'acqua. L'ho condotto dai tuoi discepoli ma non l'hanno potuto guarire». Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo qui da me». Gesù sgridò il demonio e quello uscì dal ragazzo, che da quel momento fu guarito. Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: «Perché non l'abbiamo potuto cacciare noi?» Gesù rispose loro: «A causa della vostra poca fede; perché in verità io vi dico: se avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte: "Passa da qui a là", e passerà; e niente vi sarà impossibile. Questa specie di demòni non esce se non per mezzo della preghiera e del digiuno».
Matteo 17:14-21 

Sulle parole del versetto 20 si sono costruite intere dottrine sulla fede, prendendo queste parole di Gesù come fulcro di tutta la vita cristiana. Ma è davvero così?

Analizziamo con calma il contesto.
Quando Cristo inviò i Suoi discepoli in missione (Mt 10:6-8), diede loro esplicitamente l'incarico di compiere questo genere di miracoli. Dopo parecchi mesi passati adempiendo questo compito, fallirono dove precedentemente erano sempre riusciti. Gesù imputa a questo fallimento la loro fede insufficiente, ma in questo caso la mancanza di fede non riguardava la possibilità che questo miracolo avvenisse; al contrario erano SORPRESI del fatto che non potevano scacciare questo demone. Il problema allora probabilmente era da ricercare nel fatto che avevano riposto la loro fiducia nei doni piuttosto che in Dio!
Il digiuno infatti serve proprio a mortificare la propria carnalità per mettere in condizione il proprio spirito di ascoltare meglio la voce di Dio ed essere in sintonia con il Suo Spirito. 

1Giovanni 5:14 Questa è la fiducia che abbiamo in lui: che se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce.


La vera fede implica sempre la sottomissione alla volontà di Dio.


c)

Filippo gli disse: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 
Gesù gli disse: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: "Mostraci il Padre"? Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se no, credete a causa di quelle opere stesse. In verità, in verità vi dico che chi crede in me farà anch'egli le opere che faccio io; e ne farà di maggiori, perché io me ne vado al Padre; e quello che chiederete nel mio nome, lo farò; affinché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.
Giovanni 14:8-14 

Come ultimo esempio vediamo questo brano del Vangelo di Giovanni.

Ancora una volta è facile trovare citazioni fuori luogo che incitano a chiedere qualsiasi cosa "nel nome di Gesù" con la promessa di un certo esaudimento.
E ancora una volta la Sacra Scrittura ci chiama a leggere il contesto per capire quello che il Vangelo dice e non quello che l'animo umano vuole sentirsi dire. 
In questi versetti, il Signore rivela la Sua unità con il Padre, ma anche la sua morte, resurrezione e ascensione (vedi tutto il capitolo 14). Dice ai discepoli di chiedere qualcosa nel Suo nome e che Egli lo farà. Ma questo invito a cosa è correlato?


Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre.
Giovanni 14:15-16 

E' un invito che riguarda la comunione con il Consolatore, lo Spirito Santo.
Solo ascoltando e seguendo lo Spirito Santo riceviamo insegnamento in ogni cosa (14:26), e di conseguenza, solo sottomettendoci alla Sua guida possiamo domandare al Padre nel nome del Figlio e ricevere quello che domandiamo, perché in accordo con la stessa volontà di Dio!
Come mai il Figlio ne risulta glorificato? Forse ne sarebbe glorificato esaudendo la volontà degli uomini? Oppure la Sua gloria risulterebbe dall'esaudire una richiesta che rientra nella volontà del Padre, mostrando a tutto il creato che Lui e il Padre sono Uno! Proprio ciò che stava dicendo ai discepoli! Ecco il vero significato di queste parole. 

Ancora una volta la volontà di Dio viene innalzata e quella dell'uomo abbassata.

Conclusioni:


Come anticipato nell'introduzione, non credo di dover aggiungere nulla all'insegnamento biblico che abbiamo appena visto. 

Ciascuno ha la libertà di giungere alla propria conclusione, sapendo che ognuno è responsabile di sé stesso davanti a Dio; responsabilità di cui, un giorno, si dovrà rendere conto. Possa il Signore illuminarci e guidarci verso tutta la Verità (Gv 16:13).

sabato 6 aprile 2013

La profezia nel Nuovo Testamento



Efesini 4:11 È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti [prophētēs], altri come evangelisti, altri come pastori e dottori,
Efesini 4:12 per il perfezionamento dei santi in vista dell'opera del ministero e dell'edificazione del corpo di Cristo [...]


Nel Nuovo Testamento appare chiaro fin da subito che il ruolo dei profeti nella nuova dimensione che è la Chiesa, è molto diverso in confronto a quello dell'Antico Testamento.
L'Apostolo Paolo rivela la natura e il funzionamento della Chiesa paragonandolo più volte ad un corpo umano. Ecco quindi una pluralità di membra, e una pluralità di leader con lo scopo dell'edificazione stessa del corpo di Cristo. Se nel Vecchio Patto avevamo principalmente tre classi di uomini di Dio nel paese (re, sacerdoti e profeti), nel Nuovo ne abbiamo addirittura cinque, con identità e ruoli molto diversi.
I cinque ministeri infatti non sono a capo di una vera e propria nazione, come è Israele, ma sono piuttosto al servizio di un gruppo eterogeneo di persone che ha in comune l'elezione e la chiamata da parte di Dio.
Nazioni, tribù, lingue e popoli diversi (Ap 7:9) scelti da Dio tra tutta l'umanità. Non più una nazione con regime teocratico, ma un'insieme di persone sempre con questo stesso tipo di governo, limitato però ora al mondo spirituale, in attesa di una piena manifestazione del regno di Dio.
Ecco quindi una conformazione più organica e meno istituzionale, che rappresenta con esattezza il piano di Dio per l'uomo in questo tempo.

In ebraico il termine profeta è reso con la parola "nâbı̂y'", e il suo ufficio nell'Antico Testamento era principalmente quello di parlare "al posto, per, a favore" di Dio davanti al popolo. Ecco perchè i falsi profeti, coloro che dicevano di parlare per conto di Dio, dovevano essere messi a morte (De 18:20): i profeti erano i custodi della voce del Signore. Egli infatti non parlava in altro modo che attraverso di loro. I sacerdoti avevano i loro metodi per investigare la volontà di Dio con l'urim e il tummim (Es 28:30), ma era una pratica ritualistica che non permetteva di ascoltare messaggi complessi ed estesi come quelli dei profeti.
Dopo l'ascesa al cielo di Cristo però, lo Spirito Santo scese a Pentecoste su tutti i discepoli  (Atti 2), allargando ora a tutti l'ascolto e la comunione personale con Dio. Infatti tutti i credenti ora sono il tempio dello Spirito Santo (1 Cor 3:17), tutti quindi hanno la possibilità di essere ricolmi dello Spirito Santo (Ef 5:18) e non solo essere investiti temporaneamente (1 Sam 10:10)  come accadeva nell'Antico Testamento.

Anche al giorno d'oggi l'incarico profetico può essere quello di "parlare per conto di Dio", "mettere davanti cose nascoste", o parlare di "ciò che avverrà in futuro". Vediamo un esempio in Atti 21:10-11 dove un profeta di nome Agabo profetizza la prigionia di Paolo quando sarà arrivato a Gerusalemme.
Un importante differenza con la prospettiva veterotestamentaria però, sta nel fatto che adesso tutti sono abilitati a giudicare le profezie e operare in sinergia:


1Corinzi 14:29 Anche i profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino;
1Corinzi 14:30 se una rivelazione è data a uno di quelli che stanno seduti, il precedente taccia.
1Corinzi 14:31 Infatti tutti potete profetare [prophēteuō] a uno a uno, perché tutti imparino e tutti siano incoraggiati.
1Corinzi 14:32 Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti,
1Corinzi 14:33 perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace.

L'Apostolo Paolo dà indicazioni molto precise ai credenti di Corinto nella prima lettera a loro indirizzata. Leggiamo infatti come "gli altri" debbano giudicare le parole dei profeti. Comprendiamo che non sta parlando  solo di "altri profeti" dal contesto e dai versetti successivi dove continua dicendo che tutti possono profetare, purchè tutti imparino e tutti siano incoraggiati. Questa lettera non è stata scritta solo per i profeti di Corinto (1 Cor 1:2) ma a tutta la chiesa di quella città. Ecco quindi come il soggetto restano tutti i credenti che scopriamo essere abilitati a queste funzioni. Ogni cosa deve essere fatta con ordine e gli spiriti dei profeti devono essere sottoposti a chi ha l'ufficio di profeta a causa dell'autorità delegata da Dio. Ma la chiesa nel suo insieme è chiamata a giudicare le profezie dei profeti. Non è più necessaria la pena di morte come nell'Antico Testamento perchè ora tutti possono operare discernimento!
Tutti inoltre possono imparare e, in questo processo, sbagliare.
Esiste però un fondamento che deve essere comune a tutte le profezie per essere vere:


1Corinzi 14:3 Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione.

Ogni profezia infatti deve essere di edificazione, esortazione e consolazione.
Tutto ciò che è al di fuori di queste categorie non è conforme all'insegnamento delle Scritture.
Ecco quindi un elemento che può mettere in grado di giudicare una profezia su basi bibliche, prima ancora che tramite l'attestazione dello Spirito. 
Questo però non esclude parole di riprensione, che possono essere considerate di edificazione qualora portino ad una tristezza secondo Dio (di ravvedimento) e non ad una tristezza del mondo (2 Cor 7:10), ma comunque necessarie solo in particolari casi.

E' da preferire al parlare in altre lingue, in quanto chi parla in altre lingue edifica se stesso, mentre chi profetizza edifica la chiesa (1 Co 14:4).
E, soprattutto, il dono di profezia deve essere ricercato ed esercitato da tutti, per la benedizione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nella fede. 


1Corinzi 14:1 Desiderate ardentemente l'amore, non tralasciando però di ricercare i doni spirituali, principalmente il dono di profezia.

Tristemente, sono numerose le chiese che hanno deciso di ignorare completamente quest'ultimo comandamento biblico a causa di delusioni provocate da ministri ospiti che hanno profetizzato in modo sbagliato, creando divisioni o scoraggiamento.
La soluzione biblica a questo problema però non è l'esclusione della profezia dalla vita cristiana ma piuttosto una maggiore maturità dell'assemblea (e della leadership) che possa giudicare immediatamente se una profezia è corretta o se non è genuina.


1Tessalonicesi 5:19 Non spegnete lo Spirito.
1Tessalonicesi 5:20 Non disprezzate le profezie;
1Tessalonicesi 5:21 ma esaminate ogni cosa e ritenete il bene;
1Tessalonicesi 5:22 astenetevi da ogni specie di male.

Prestiamo dunque ascolto alla voce del Signore, per poter comprendere al meglio quale sia la Sua volontà specifica; e portare edificazione, esortazione e consolazione laddove Egli ci ha posto.
Ricerchiamo il dono di profezia, desiderando ardentemente l'amore.
Adempiamo alla chiamata del Signore sulla nostra vita.


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