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domenica 28 gennaio 2018

Amare Dio: il più grande e primo comandamento




Nota: questi sono gli appunti del sermone predicato il 18 giugno 2017 nella Missione Oikos di Como

I farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si radunarono; e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» Gesù gli disse: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti»
Matteo 22:34-40  

Questo dibattito si inserisce nella scia dei numerosi confronti farisaici del tempo di Gesù. Nel Talmud Babilonese leggiamo:

"Un altro caso in cui un gentile venne dinanzi a Shammai e gli disse: 'Convertimi a condizione di insegnarmi l'intera Torà mentre io sono su un piede solo'. [Shammai] lo spinse via con il regolo da costruttore che aveva in mano. [Il gentile] venne dinanzi a Hillel e [questi] lo convertì. Gli disse [Hillel prima di convertirlo]: 'Ciò che ti è odioso non farlo a tuo prossimo. Questa è l'intera Torà ed il resto è spiegazione. Vai e studia!"
TB Shabbat 31a

I confronti come questi all'epoca di Gesù erano numerosi e lui, in questa come in altre occasioni, riesce a dare un contributo illuminante al dibattito sintetizzando verità di enorme profondità.
Come sappiamo, questi comandamenti sono passati alla storia come i più importanti, i due comandamenti cristiani. Amare Dio, e amare il prossimo. Da questi due, è scritto che dipendono la legge e i profeti. La parola “dipendono” traduce il verbo greco Kremannymi (cremmanamy), che possiamo tradurre più letteralmente con: appeso, sospeso, agganciato. A questi due comandamenti, quindi sono appesi tutta la legge (Penteteuco) e tutti i Profeti, ossia tutto l'Antico Testamento. La Parola di Dio è appesa a questi due precetti e senza di essi è resa inefficace, proprio perché non osservata.

Oggi possiamo concentrarci sul primo comandamento, ossia sull'amore per Dio, mentre la prossima settimana rifletteremo sul secondo comandamento relativo all'amore per il prossimo. 

Questo amore deve essere vissuto con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente. Il nostro spirito, le nostre emozioni e la nostra mente devono essere allineate nel nostro amore per Dio. E questo è molto difficile. Frequentemente, noi cristiani amiamo Dio solo con la nostra emozione ai concerti di lode, senza applicare la nostra mente allo studio della sua parola per conoscerlo meglio. Oppure studiamo teologia, sezioniamo Dio in mille aspetti per poterlo studiare ma senza coinvolgerci a livello emotivo. O ancora, siamo convinti intellettualmente della nostra conversione ma il nostro spirito è ancora lontano dallo Spirito di Dio: non abbiamo attraversato realmente l'evento della nuova nascita. Essa infatti non è solo convincimento intellettuale: è anche e soprattutto nascita soprannaturale promossa dallo Spirito Santo, per Sua volontà. Chi non nasce di acqua (purificazione del peccato mostrata nel battesimo in seguito alla conversione) e di Spirito non entra nel Regno di Dio. Amare Dio con tutto noi stessi dunque deve contemplare in armonia tutte queste cose, per poter racchiudere l'intero nostro essere e non soltanto una parte. Ma andiamo al contesto originale per comprendere meglio questo comandamento:

Tu amerai dunque il SIGNORE, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima tua e con tutte le tue forze. Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, te li metterai sulla fronte in mezzo agli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte della tua città.
Deuteronomio 6:5-9 

Da questi versetti possiamo trovare le seguenti indicazioni:
  1. I comandamenti (La Parola) saranno nel tuo cuore: Amare la Bibbia, custodirla, apprezzarla nella parte più profonda del proprio essere. Farla penetrare fin nel nostro subconscio! Renderla nostra, è la nostra eredità.
  2. Li inculcherai ai tuoi figli: Inserire la cultura biblica nella propria cultura famigliare: preghiera, racconti biblici, è conseguenza dell'averla nel cuore.
  3. Ne parlerai a casa, per via, prima di dormire e quandi ti svegli: Quando davvero ci sta a cuore, ne parliamo con chiunque! Ci interessiamo! Gli ebrei dicono che la Torah ha 70 volti e questo parla dell'infinito significato della Parola di Dio. Ebbene, noi la chiudiamo nella nostra scatola mentale di quel che crediamo di sapere, oppure ci interroghiamo ed interroghiamo gli altri in questo viaggio infinito che è la scoperta delle Scritture?
  4. Te li legherai alla mano, metterai alla fronte: facciamo in modo di ricordarci di Dio! Is 49:16 Ecco, io ti ho scolpita sulle palme delle mie mani; le tue mura mi stanno sempre davanti agli occhi. Dio ha scolpito Gerusalemme sulle palme delle sue mani per averla sempre davanti agli occhi, e anche noi utilizziamo oggetti e strategia per aiutarci tenere la nostra mente su Dio. Braccialetti con versetti, calendari biblici, quadretti servono a questo.
  5. Li scriverai sugli stipiti della casa e sulle porte della città. Questo non deve essere preso come un rituale magico, ma come un gesto profetico: dobbiamo fondare le nostre case e città sulla Parola e volontà di Dio, sulla fede in Lui e non su altro.
Nel Salmo 127, al primo versetto, leggiamo:

Se il SIGNORE non costruisce la casa,
invano si affaticano i costruttori;
se il SIGNORE non protegge la città,
invano vegliano le guardie.

Costruire le nostre famiglie e la nostra società sulla pietra angolare che è la fede in Dio attraverso Cristo Gesù è, per l'appunto, il fondamento. Tutto il resto viene dopo! Se trascuriamo questo, ogni cosa perde il suo significato: la preghiera, l'intercessione, gli studi biblici, il culto domenicale, l'evangelizzazione.....persino tutta la Bibbia senza questo presupposto cade, perché svuotata del suo scopo. Nella Scrittura possiamo trovare tanti esempi/ammonimenti su questo pericolo, tra cui la situazione emergente dal primo capitolo del libro del profeta Isaia: 
 
Smettete di portare offerte inutili;
l'incenso io lo detesto;
e quanto ai noviluni, ai sabati, al convocare riunioni,
io non posso sopportare l'iniquità unita all'assemblea solenne.
Isaia 1:13
 
Il popolo di Giuda a quel tempo osservava leggi e feste ma solo formalmente e non nel proprio intimo. E tutta la loro religiosità era diventata odiosa per Dio! Facciamo di non arrivare mai a questo stato. Il pericolo è reale e molto vicino. Facendo un salto di svariati secoli, questo è l'ammonimento che Gesù glorificato rivolge alla chiesa di Efeso alla fine del I secolo:
 
 «All'angelo della chiesa di Efeso scrivi:
Queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro:
"Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi. So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato. Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore.
Apocalisse 2:1-4
 
Ora che abbiamo ben definito il pericolo però, come possiamo intervenire per scongiurarlo? Come possiamo evitare di raggiungere questo stato, di abbandonare il primo amore? La risposta biblica è più semplice di quanto ci si possa aspettare: 

Esaminami, o Dio, e conosci il mio cuore.
Mettimi alla prova e conosci i miei pensieri.
Vedi se c'è in me qualche via iniqua
e guidami per la via eterna.
Salmo 139:23,24

Facciamoci esaminare dal Signore, facciamogli conoscere il nostro cuore. Sottoponiamogli i nostri pensieri e chiediamogli perdono. E lasciamoci guidare dal suo Spirito per la vita eterna. Rimettiamo il nostro amore per Dio al centro ogni volta che ci accorgiamo che se ne discosta di poco, e in questo modo potremo camminare per lungo tempo, e saziarci della benedizione del Signore per lunghi anni.

Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso:
Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l'uomo. Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male.

Ecclesiaste 12:15-16

domenica 21 gennaio 2018

La chiamata ad essere ministri


Nota: questo messaggio è stato predicato il 14 maggio 2017 nella Missione Oikos di Como.

Dopo queste cose, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli presso il mar di Tiberiade; e si manifestò in questa maniera. Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e due altri dei suoi discepoli erano insieme. Simon Pietro disse loro: «Vado a pescare». Essi gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Uscirono e salirono sulla barca; e quella notte non presero nulla. Quando già era mattina, Gesù si presentò sulla riva; i discepoli però non sapevano che era Gesù. Allora Gesù disse loro: «Figlioli, avete del pesce?» Gli risposero: «No». Ed egli disse loro: «Gettate la rete dal lato destro della barca e ne troverete». Essi dunque la gettarono, e non potevano più tirarla su per il gran numero di pesci. Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!» Simon Pietro, udito che era il Signore, si cinse la veste, perché era nudo, e si gettò in mare. Ma gli altri discepoli vennero con la barca, perché non erano molto distanti da terra (circa duecento cubiti), trascinando la rete con i pesci. Appena scesero a terra, videro là della brace e del pesce messovi su, e del pane. Gesù disse loro: «Portate qua dei pesci che avete preso ora». Simon Pietro allora salì sulla barca e tirò a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci; e benché ce ne fossero tanti, la rete non si strappò. Gesù disse loro: «Venite a far colazione». E nessuno dei discepoli osava chiedergli: «Chi sei?» Sapendo che era il Signore. Gesù venne, prese il pane e lo diede loro; e così anche il pesce. Questa era già la terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli, dopo esser risuscitato dai morti. Quand'ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami più di questi?» Egli rispose: «Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci i miei agnelli».Gli disse di nuovo, una seconda volta: «Simone di Giovanni, mi ami?» Egli rispose: «Sì, Signore; tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pastura le mie pecore». Gli disse la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?» Pietro fu rattristato che egli avesse detto la terza volta: «Mi vuoi bene?» E gli rispose: «Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità ti dico che quand'eri più giovane, ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti». Disse questo per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio. E, dopo aver parlato così, gli disse: «Seguimi».
Giovanni 21:1-19

Settimana scorsa abbiamo visto le diverse circostanze che hanno portato alcuni dei principali discepoli a seguire Gesù. Dopo gli eventi descritti al primo capitolo del Vangelo di Giovanni, troviamo tutti i segni miracolosi e gli insegnamenti del Signore, a cui hanno potuto assistere questi stessi discepoli come testimoni oculari e come diretti interessati di quel processo di formazione. Ma, nonostante il fatto che Gesù stesso ebbe modo di avvisare tutti loro diverse volte, l'evento dell'arresto e della sua messa a morte causò lo sconforto più totale, nonché il triplice rinnegamento di Simon Pietro. I discepoli scapparono e si dispersero come pecore che vedono percosso il proprio pastore (Mt. 26:31). Nel seguito della narrazione di questo Vangelo, Gesù dopo la sua risurrezione appare a Maria Maddalena e ai discepoli. Infine torna da loro nel brano che abbiamo appena letto. 

Riflettendo su tutto questo possiamo immedesimarci e capire che in ultima analisi ogni discepolo di Gesù arriva in un certo momento a vivere questa parabola di sofferenza, affrontando la morte del proprio io nel crogiuolo del Signore (Salmo 66:10, Proverbi 17:3) e abbandonando ogni sicurezza. Può essere a causa del nostro orgoglio, nel nostro desiderio di affermazione, della nostra delusione di fronte alla mancata risposta ad alcune preghiere, dall'abbandono di coloro che ci erano vicini o altro ancora. Questo tipo di esperienza è comune a quella dei primi discepoli: sperimentare grandi cose CON Gesù e PER Gesù...ma arrivare ad un punto in cui lo smarrimento di una situazione di porta a tornare alla “nostra barca” - alla nostra attività principale - senza sapere bene che direzione prendere. E, beffa delle beffe, in tutta la notte (un ampio periodo di tempo) non troviamo alcun risultato per questo nostro lavoro. Possiamo chiamarlo un momento di crisi, privo della convinzione iniziale e della benedizione del tempo di discepolato. Ebbene, anche gli apostoli sono stati in questa situazione: sapevano della risurrezione di Gesù ma dubitavano, domandandosi che ne sarebbe stato di loro, cosa avrebbero dovuto fare, che direzione prendere. 

Anche noi possiamo essere stati in questa situazione o possiamo esserlo adesso, quest'oggi. In tutto questo però cosa fa Gesù?
  1. Chiede il frutto del loro lavoro. Non per accusare ma per far prendere consapevolezza.
  2. Chiede di riprovare a lavorare ancora sulla sola base della fede nelle sue parole.
  3. Resta in comunione e condivisione con i discepoli.
E dopo queste cose, inizia un dialogo molto importante con Pietro, mostrando il suo affetto e il piano che c'è e che c'è sempre stato sulla sua vita. E' ampiamente risaputo che Gesù chiede per due volte “mi ami” utilizzando il termine agape (amore disinteressato) e l'ultima volta viene incontro a Pietro chiedendogli se lo ama utilizzando il termine fileo (amore famigliare). Non voglio speculare su questo aspetto del dialogo, né sul significato allegorico dei centocinquantatré grossi pesci. Vorrei invece semplicemente soffermarmi sul senso piano di questo dialogo. Come dimostrazione di amore per lui, Gesù chiede a Pietro di pasturare e pascere i suoi agnelli e le sue pecore. Naturalmente, questi ultimi sono simboli che rappresentano gli altri credenti. Gesù chiede a Pietro di essere un suo ministro, nel senso letterale di servitore. Pietro in questo passo rappresenta infatti i ministri della Chiesa, ma in una certa misura anche tutti i credenti. Lo scopo dei discepoli, una volta cresciuti nella maturità e affinati dalle difficoltà, è quello di servire gli altri discepoli. Come? Pasturando e pascendo, con un rapporto personale. In Gv. c. 10 apprendiamo che in primo luogo Gesù è il Buon Pastore. E in quanto tale:
  • E' pronto a dare la vita per il gregge
  • E' responsabile verso di loro
  • Le conosce
  • Loro conoscono lui
Di conseguenza, con le opportune proporzioni, queste sono anche le richieste che vengono ora avanzate verso Pietro. Il pastore deve proteggere, nutrire, dirigere le pecore. Queste attività sono svolte in primo luogo da Gesù, che continua ad essere presente nella Chiesa, ma anche dai ministri di Dio (1 Ts. 5:12,13) e in una misura inferiore da tutti i credenti (1 Ts. 5:14) che sono chiamati ad ammonirsi, confortarsi e sostenersi reciprocamente nell'amore. 

Questa è la grande sfida che Gesù ha messo davanti a Pietro, e con lui (come abbiamo detto, a livelli diversi) a tutti i credenti. Dopo l'essere discepoli, nasce l'esigenza di fare discepoli. Non come piace a noi, ma come piace a Gesù. Non per soddisfare la nostra realizzazione, ma per soddisfare i Suoi propositi. Questa è la vita cristiana, questa è la nostra vita. In tutto questo non siamo soli, il Signore ci precede, affianca ed anticipa in ogni nostro passo, ma ogni passo lo dobbiamo compiere in piena libertà e solamente per amore di Gesù. 

domenica 14 gennaio 2018

La chiamata ad essere discepoli



Nota: questi sono gli appunti di un sermone predicato il 7 maggio 2017 nella Missione Oikos di Como.

Andrea, fratello di Simon Pietro, era uno dei due che avevano udito Giovanni e avevano seguito Gesù. Egli per primo trovò suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» (che, tradotto, vuol dire Cristo); e lo condusse da Gesù. Gesù lo guardò e disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; tu sarai chiamato Cefa» (che si traduce «Pietro»).

Il giorno seguente, Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo, e gli disse: «Seguimi».Filippo era di Betsàida, della città di Andrea e di Pietro. Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti: Gesù da Nazaret, figlio di Giuseppe». Natanaele gli disse: «Può forse venir qualcosa di buono da Nazaret?» Filippo gli rispose: «Vieni a vedere». Gesù vide Natanaele che gli veniva incontro e disse di lui: «Ecco un vero Israelita in cui non c'è frode». Natanaele gli chiese: «Da che cosa mi conosci?» Gesù gli rispose: «Prima che Filippo ti chiamasse, quando eri sotto il fico, io ti ho visto». Natanaele gli rispose: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele». Gesù rispose e gli disse: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, tu credi? Tu vedrai cose maggiori di queste». Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico che vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».
Giovanni 1:40-51

Questo mese affronteremo il tema della chiamata di Gesù nel Vangelo di Giovanni in due parti. Oggi vedremo la chiamata del Signore ad essere discepoli, mentre domenica prossima vedremo la chiamata ad essere ministri, sulla base di Gv. 21. Il brano di oggi si può dividere in due parti: la prima riguardante Andrea e Pietro, e la seconda collocata “il giorno seguente”.

In questo brano, Andrea comprende da Giovanni Battista il fatto che Gesù è “l'Agnello di Dio, che toglie i peccati dal mondo” (1:29) e subito prende la decisione di seguire il Signore. Andrea era un discepolo di Giovanni (1:35), era un uomo timorato di Dio che già seguiva le indicazioni del suo maestro e non ebbe problemi a riconoscere in Gesù l'Agnello di Dio. Molti credenti si possono specchiare in lui: molti credenti erano già sulla via del timore di Dio quando Egli si è mostrato a loro in tutta la sua gloria, chiamandoli a sé. Andrea però non si limita a seguire Gesù, ma fa qualcosa di ugualmente importante, e lo fa da subito: va da suo fratello e gli dice: «Abbiamo trovato il Messia». Egli dichiara immediatamente la sua fede in Gesù, e Pietro, ascoltando questa dichiarazione, lo segue a sua volta, ricevendo dal Signore la sua chiamata al discepolato. Il testo passa sotto silenzio la risposta di Pietro e manifesta invece la libera scelta di Gesù e l'autorità del Signore su questo apostolo che si rivelerà molto importante in seguito (cfr. c.21). Abbiamo dunque due situazioni: la prima riguardante una persona che ricerca Dio e che viene raggiunta dal Figlio, e la seconda riguardante una persona che riceve una pronta testimonianza da parte di un familiare e una chiamata personale. Tanto Andrea quanto Simon Pietro, entrano in questo modo nel processo di discepolato di Gesù. Sono chiamati ad essere discepoli. Tre riflessioni:
1) La risposta alla chiamata da Dio si trasforma spesso in un immediato zelo evangelistico, manifestazione di un “primo amore” da custodire gelosamente.
2) Chi cerca il Signore lo trova! (Is. 55:6)
3) Il Signore cambia il nome a Simon Pietro conoscendo perfettamente il suo passato e il suo futuro. Il nome nel mondo ebraico riguarda la vita stessa delle persone e il cambiamento di nome indica il cambiamento radicale di vita. Non si può incontrare Dio e rimanere gli stessi ed è per questo che moltissimi uomini di Dio nella Bibbia dopo averlo incontrato hanno visto cambiato il loro nome.

Successivamente Gesù chiama in modo diretto Filippo che era di Betsaida (= casa della pesca) proprio come Andrea e Pietro. Anche egli lo segue, e anche egli si dirige da un amico (Natanaele) per testimoniare del Messia. Quest'ultimo è scettico per le umili origini di Gesù, però accetta di andare a conoscerlo. Qui si svolge l'incontro, Natanaele è colpito dal dono di conoscenza di Gesù e da questo ha la prova che gli serviva per capire che egli era
il Figlio di Dio, il re d'Israele.

Natanaele è protagonista di un dialogo con Gesù molto intenso e non privo di significato. In Osea leggiamo:

Osea 9:10 «Io trovai Israele come uve nel deserto;
vidi i vostri padri come i fichi primaticci
di un fico al suo primo frutto;
ma, non appena giunsero a Baal-Peor,
si appartarono per darsi alla vergogna
e divennero abominevoli come la cosa che amavano.

Natanaele quindi appare come tipo dell'Israele fedele al Signore. 

Gesù invece che tipologia assume in questo brano?

Giacobbe partì da Beer-Sceba e andò verso Caran. Giunse ad un certo luogo e vi passò la notte, perché il sole era già tramontato. Prese una delle pietre del luogo, se la mise per capezzale e lì si coricò. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima toccava il cielo; e gli angeli di Dio salivano e scendevano per la scala. Il SIGNORE stava al di sopra di essa e gli disse: «Io sono il SIGNORE, il Dio d'Abraamo tuo padre e il Dio d'Isacco. La terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e tu ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a meridione, e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza. Io sono con te, e ti proteggerò dovunque tu andrai e ti ricondurrò in questo paese, perché io non ti abbandonerò prima di aver fatto quello che ti ho detto».
Genesi 28:10-15

→ Gesù è il nuovo Giacobbe. Giacobbe è il patriarca di Israele, erede della promessa della terra, Gesù Figlio di Dio invece è erede di tutti i credenti della terra (mediatore tra Dio e gli uomini attraverso il servizio degli angeli).

Ma torniamo ora al nostro brano.

Questi discepoli ben rappresentano diverse storie e diverse caratteristiche che possono appartenere anche a noi oggi, ma che sono accomunate dall'unico destino di ricevere la chiamata di Gesù ad essere suoi discepoli, proprio come noi abbiamo ricevuto la nostra.

- Andrea era un uomo genuinamente religioso, ed aveva incontrato Gesù.

- Pietro aveva un fratello di sangue che aveva fatto questa esperienza, e la sua testimonianza lo ha portato a Gesù.

- Filippo stava svolgendo la sua attività quando Gesù stesso viene direttamente incontro a lui.

- Natanaele è scettico, ma accetta la sfida di andare da Gesù e confrontandosi con lui ne è illuminato.

Il Signore si usa di modi diversi per raggiungere le persone. Questo è valido per i dodici discepoli e apostoli, è valido per noi, ed è valido anche per coloro che devono ancora essere chiamati dal Signore. Non c'è un unico modo per incontrare Gesù, ma egli può usare diverse situazioni per raggiungere quest'unico scopo. Uno scopo però che è unico e condiviso: essere suoi discepoli. Prima di ogni cosa, noi siamo suoi discepoli. Studiamo la Bibbia per essere discepoli più preparati. Preghiamo per essere discepoli più intimi. Ma come possiamo essere buoni discepoli? Leggendo ed ubbidendo alla Parola di Dio e ascoltando ed ubbidendo alla voce dello Spirito Santo. E, facendo questo, mettiamo in pratica la nostra fedeltà facendo esperienza del cammino con Gesù secondo le stesse tappe che hanno contraddistinto il discepolato dei dodici. Tutto questo, in vista dell'opera del ministero, sul quale rifletteremo la prossima settimana. 

domenica 7 gennaio 2018

Un'attitudine inclusiva



Nota: questi sono gli appunti del sermone predicato il 12 febbraio 2017 nella Missione Oikos di Como.

1. INTRODUZIONE
                                         
La natura dell'essere umano è senza dubbio una natura dal carattere sociale. Ognuno di noi costruisce la propria identità, la propria autostima, e la propria auto comprensione attraverso le relazioni sociali. Le relazioni più importanti sono sicuramente quelle con i nostri genitori, i nostri fratelli e le nostre sorelle. Poi arriviamo ai compagni di classe a scuola, alle relazioni amorose e quelle professionali/lavorative. Passiamo tutta la vita a coltivare relazioni di diverso tipo, trovando però spesso in esse le difficoltà più grandi della nostra esistenza. In quanto cristiani poi, affrontiamo una sfida in più: quella di vivere le nostre relazioni conformemente al carattere di Cristo. Amare i nostri nemici, pregare per coloro che ci perseguitano. Riscattare tutte le nostre relazioni per poterle vivere nell'amore di Dio, nella verità e nella giustizia. La Bibbia in quanto Parola di Dio definisce molto chiaramente i criteri per delle corrette relazioni tra l'uomo e Dio e tra gli uomini stessi. E questa comprensione è un punto di partenza importante per questa nostra riflessione. La Bibbia in realtà non parla di Dio e basta. Non analizza la natura di Dio, la sua provenienza, tutti i suoi gusti, i suoi scopi ultimi. E non descrive neanche la natura umana in ogni sua componente: biologica, psicologica, sociale, comportamentale, spirituale. La Bibbia non è né un trattato su Dio, né un trattato sull'uomo. La Bibbia è invece un autorevole libro, ispirato da Dio, che definisce la relazione tra lui e l'uomo. Tutto quello che sappiamo su Dio infatti deriva da speculazioni o affermazioni collaterali delle Scritture, quando il centro di ogni argomentazione resta comunque la relazione. Allo stesso modo, quello che conosciamo della natura umana dal punto di vista biblico lo conosciamo  in modo tangente, in quanto il cuore di ogni racconto resta l'aspetto relazionale. Non conosciamo tutto su Dio grazie alla Bibbia, e non conosciamo tutto sull'uomo; ma conosciamo tutto quello che dobbiamo conoscere sulla relazione tra Dio e l'uomo.  E questo non è poco. Vediamo un esempio tratto dalle prime battute della Genesi:

2. DIO DISSE LORO   
 
Poi Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra».
Genesi 1:26-29

Dopo aver creato con la parola il cosmo, la terra, gli animali, vediamo che Dio provvede a creare l'uomo, e lo fa introducendo una variante eccezionale: l'uso della parola per scopi comunicativi. Sino ad ora, Dio aveva parlato solo per creare o benedire. Con l'esistenza dell'uomo però, Dio inizia a compiere una attività sbalorditiva: la comunicazione. Dio parla all'uomo e alla donna. Dio comunica con loro. Dio stabilisce una relazione. Questo è il vero inizio della Bibbia. Tutto il resto, tutto l'universo, è compreso solo come la culla per questa relazione speciale che possiamo vivere anche noi oggi. In queste prime battute potremmo trovare un'infinità di considerazioni, ma in questa sede vorrei soffermarmi solo su una: il contenuto della prima frase di Dio per l'uomo. La prima parola che Dio dedica all'uomo infatti è un comando: siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra rendendovela soggetta. Dal fatto che Dio ha creato l'uomo comprendiamo che la sua natura è creativa. Dal fatto che Dio ha ordinato all'uomo di moltiplicarsi comprendiamo che la natura dell'uomo è riproduttiva. Dio si compiace nella moltiplicazione, non nell'estinzione. Dio si compiace nelle relazioni dell'uomo, nella sua componente sociale. Dio ha creato l'uomo e la donna in modo da essere inclusivi. Questa parola significa “che include, che comprende in sé qualche cosa”, e cosa comprendevano in sé Adamo ed Eva? Tutta la loro discendenza, tutta l'umanità. Questa caratteristica però dopo la loro disubbidienza si è degradata in una forma di insicurezza e solitudine cronica, che porta per reazione ad un atteggiamento contrario: un atteggiamento esclusivo. Il senso di abbandono nel cuore dell'uomo porta al desiderio di trovare approvazione  e valore nella propria auto affermazione ed esclusività, ossia nell'entrare o nel creare una piccola cerchia di persone grazie alle quali ci sentiamo affermati. Separarci dagli altri, e far parte di una specifica compagnia di amici a numero chiuso, in un particolare ufficio, in una confraternita, in un club. Tutti gli altri non ci capiscono, ma nel nostro gruppo esclusivo, siamo qualcuno. Ebbene, il Signore sa che questo non è il meglio per l'uomo, e da sempre cerca di dimostrargli il suo amore per consentirgli di uscire da questo inganno e poter tornare ad essere aperto con il prossimo e saldo nella consapevolezza del proprio valore per il proprio Creatore. Ci sarebbero molti esempi nelle Scritture, ma a questo punto vorrei continuare soffermandomi in particolare su un momento del racconto biblico, un momento cruciale per la storia di Israele.  Dio infatti ha scelto di stabilire la propria relazione con l'umanità (in modo inclusivo) con un moto dal particolare al generale. Da Adamo all'umanità tutta, da Abramo alle famiglie della terra, da Mosè a Israele, da Gesù all'intera umanità che ora può essere riscattata dal peccato e dalla morte.  Dopo l'esempio di Adamo possiamo vedere ora l'esempio dell'attitudine di Mosè.
 

3. FOSSERO TUTTI PROFETI!  

Mosè dunque uscì e riferì al popolo le parole del SIGNORE; radunò settanta fra gli anziani del popolo e li dispose intorno alla tenda. Il SIGNORE scese nella nuvola e parlò a Mosè; prese dello Spirito che era su di lui, e lo mise sui settanta anziani; e appena lo Spirito si fu posato su di loro, profetizzarono, ma poi smisero. Intanto, due uomini, l'uno chiamato Eldad e l'altro Medad, erano rimasti nell'accampamento, e lo Spirito si posò su di loro; erano fra i settanta, ma non erano usciti per andare alla tenda; e profetizzarono nel campo. Un giovane corse a riferire la cosa a Mosè, e disse: «Eldad e Medad profetizzano nel campo». Allora Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè fin dalla sua giovinezza, prese a dire: «Mosè, signor mio, non glielo permettere!» Ma Mosè gli rispose: «Sei geloso per me? Oh, fossero pure tutti profeti nel popolo del SIGNORE, e volesse il SIGNORE mettere su di loro il suo Spirito!» E Mosè si ritirò nell'accampamento, insieme con gli anziani d'Israele.
Numeri 11:24-30

In questo contesto, il Signore voleva dividere il peso di governo di Mosè con altre persone per aiutarlo. Decide quindi di prendere dello Spirito che era su di lui e di dividerlo sui settanta anziani prescelti. Questa attività non era per sminuire l'importanza di Mosè ma era per aiutarlo a condividere il peso che portava per tutto il popolo. Mosè lo aveva ben capito, ma un giovane Giosuè invece no. Vedendo altri profetizzare infatti si era risentito e lo aveva percepito come un affronto all'autorità spirituale di Mosè. Giosuè era geloso per Mosè, perché gli voleva bene e non voleva che altri usurpassero il suo ruolo. Ma non era questo il caso, e la risposta di Mosè è in accordo con l'attitudine stessa di Dio: Oh, fossero pure tutti profeti nel popolo del SIGNORE, e volesse il SIGNORE mettere su di loro il suo Spirito! Mosè aveva radicato la sua identità nella relazione con il Signore, e in questo modo riusciva a vivere in modo sano la propria relazione con il resto del popolo santo. E così dobbiamo fare noi. Un profeta non deve essere geloso del proprio dono tanto da non volerlo condividere perché la condivisione è parte essenziale del significato del dono stesso. Il massimo desiderio di un insegnante non deve essere quello di riservare a pochi la propria conoscenza, ma di semplificarla affinché possa raggiungere più persone possibili. Il desiderio di un dottore deve essere quello di arrivare all'adempimento di questa profezia:

Abacuc 2:14 Poiché la conoscenza della gloria del SIGNORE riempirà la terra
come le acque coprono il fondo del mare.


La massima aspirazione di un insegnante biblico deve essere quella che non ci sia più bisogno di insegnamento, sapendo che la propria identità non è nell'insegnamento ma in Cristo! Nel popolo di Dio (in Israele così come nella Chiesa) non ci deve essere un sentimento di esclusività ma di inclusività: il desiderio di includere più persone possibili nelle proprie relazioni, in modo sincero e veritiero. Essere aperti al dialogo, non avere paura del confronto, essere fiduciosi nella qualità che le relazioni sociali possono avere in Cristo!
 
 4. NON GLIELO IMPEDITE

Giovanni gli disse: «Maestro, noi abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo vietate, perché non c'è nessuno che faccia qualche opera potente nel mio nome, e subito dopo possa parlar male di me. Chi non è contro di noi, è per noi. Chiunque vi avrà dato da bere un bicchier d'acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, in verità vi dico che non perderà la sua ricompensa.
Marco 9:38-41

Dopo gli esempi di Adamo e Mosè, possiamo arrivare ora direttamente a Gesù, visto che abbiamo un tempo limitato. Questo episodio evidenzia ancora una volta il desiderio inclusivo di Dio, ma questa volta attraverso il Figlio di Dio stesso. Giovanni, colui che sarebbe stato conosciuto da tutto il mondo cristiano come “il discepolo dell'amore”, in questo episodio vede una persona che stava scacciando demoni nel nome di Gesù e insieme ad altri discepoli glielo vieta, perché questo non voleva seguirli. Tale gesto di immaturità viene corretto da Gesù, e in questa correzione possiamo ritrovarci anche noi stessi. Quante volte abbiamo pensato che altri credenti non avessero il diritto di manifestare la loro fede semplicemente perché lo facevano in modo diverso dal nostro, senza uniformarsi al nostro modo di fare? Ognuno di noi ha delle convinzioni molto forti, ed è giusto che sia così, ma chi ubbidisce a Cristo riceverà il suo premio anche se non lo fa assecondando i nostri gusti e la nostra cultura religiosa. La Bibbia definisce senza dubbio dei limiti su come sia giusto comportarsi, ma molto spesso ci sono delle “zone grigie” dove la Parola di Dio lascia libertà e dove si inserisce prepotentemente la nostra cultura religiosa. Gesù taglia in modo netto questa problematica, riconoscendo che chi non è contro di lui è con lui. Chi serve il prossimo con gesti di misericordia nel suo nome, avrà la sua ricompensa. Non c'è esclusività del Regno di Dio ma purtroppo spesso c'è esclusività in singole comunità locali. Purtroppo ci sono situazioni nelle quali il senso di appartenenza alla chiesa locale è superiore al senso di appartenenza a Cristo! E questo è un problema molto grave. Questo è settarismo, e il settarismo è un'opera della carne, non dello Spirito.

5. CONCLUSIONE

Potremmo vedere altri esempi ancora, ma mi fermo qui, per cercare di riannodare tutti i fili ed evidenziare il messaggio comune a tutti questi brani biblici. In questo nostro percorso, siamo partiti dalla creazione dell'uomo e abbiamo compreso come la natura di quest'ultimo sia innanzitutto relazionale. L'uomo è stato creato per relazionarsi con altri suoi simili e per relazionarsi con Dio. La stessa Bibbia ha come centro di ogni suo insegnamento la relazione tra Dio e l'uomo. In queste relazioni, la volontà di Dio è che si stabiliscano delle attitudini inclusive e non esclusive, ossia che l'uomo non si isoli dal prossimo e da Dio ma che – al contrario – cresca fiducioso nell'interazione con gli altri, moltiplicandosi e vivendo in modo sereno la propria dimensione matrimoniale e sociale.

Dopo la disubbidienza di Adamo ed Eva, il progetto originario di Dio si è guastato, ma il Creatore ha perseguito comunque un piano di riscatto attraverso una scelta particolare (Abramo) per uno scopo generale (la benedizione di tutte le famiglie della terra). Egli ha dunque formato il popolo di Israele per poter benedire tutta l'umanità attraverso questa nazione. Proprio nella storia di Israele troviamo l'episodio di Mosè e dei settanta anziani scelti per aiutarlo. Mosè ben dimostra di avere la stessa attitudine di Dio desiderando di condividere l'elezione e i doni ricevuti con tutti! Non voleva tenere per sé lo Spirito, non voleva vivere in modo esclusivo ma voleva che tutti potessero conoscere il Signore come lo conosceva lui e vivere nella sua stessa dimensione profetica. Questo è il cuore di Dio, e anche noi in quanto credenti dobbiamo ricercare questo stesso sentimento!

Infine abbiamo visto l'apertura di Gesù verso tutti coloro che conoscono e riconoscono la sua autorità e si pongono in sottomissione ad essa. Per lui non c'era bisogno di seguire per forza i suoi discepoli stretti per poter essere a sua volta discepoli. Bastava riconoscere la sua autorità. Anche in questo caso abbiamo un importante ammonizione contro il settarismo, e l'esortazione ad avere delle relazioni sane e fiduciose tra figli di Dio.

Ma tutto questo, come può essere vissuto da ciascuno di noi? Prima di tutto comprendendo che la nostra identità è nell'amore del Padre e non nell'approvazione degli uomini. In secondo luogo amando il prossimo, in accordo con il grande comandamento. E una sfumatura dell'amore è proprio quella del dialogo, della comprensione, del rispetto. Possiamo non condividere le stesse idee e gli stessi modi di fare del nostro prossimo ma...possiamo comunque cercare di comprenderlo. Ascoltarlo. Capirlo. Fare un passo verso di lui, verso di lei, proprio come il Signore ha fatto dei passi verso di noi pur non condividendo molti aspetti della nostra vita. Ed infine evitando di custodire gelosamente i doni che Dio ci ha dato, nascondendoli per cercare di “aumentare il nostro valore”, ma al contrario condividendoli con le persone. Nel mercato dei materiali preziosi, la preziosità si stabilisce proprio dalla rarità dei materiali. Nel Regno dei cieli però, la logica è al contrario: la preziosità viene riconosciuta da quanto si dà con abbondanza. Diamo con abbondanza e raccoglieremo con abbondanza. Facciamo fruttare quello che Dio ci ha affidato, così da poter ricevere ancora di più, facendo moltiplicare in questo modo la benedizione di Dio attorno a noi.

martedì 2 gennaio 2018

Continua a parlare e non tacere



Nota: Questo sermone è stato predicato l'8 gennaio 2017 nella Missione Evangelica "Oikos" di Como.

Una notte il Signore disse in visione a Paolo: «Non temere, ma continua a parlare e non tacere; perché io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città». Ed egli rimase là un anno e sei mesi, insegnando tra di loro la Parola di Dio.
Atti 18:9-11

Il libro degli Atti degli Apostoli, che troviamo nel Nuovo Testamento dopo i quattro Vangeli, racconta le vicende iniziali della Chiesa in Gerusalemme dopo la risurrezione e ascensione del Signore e la diffusione del messaggio cristiano dal Medio Oriente fino in Europa. Qui troviamo per l'appunto gli “Atti” dell'apostolo Pietro, Giovanni, Giacomo....e successivamente gli atti dell'apostolo Paolo. Il vero soggetto però è lo Spirito Santo, che da Pentecoste in poi ha iniziato ad accompagnare tutti i credenti con la sua potenza e la sua autorità, confermando la predicazione del vangelo di Dio. Partendo dalla città di Antiochia di Siria, dove c'era una bella comunità, l'apostolo Paolo intraprese prima un viaggio missionario in Siria, Galazia e Asia minore e, dopo essere passato a Gerusalemme, iniziò un secondo viaggio ritornando nei posti già visti e ubbidendo alla visione del Signore nel dirigersi in Macedonia e successivamente in Grecia. Proprio in Grecia, dopo essere stato ad Atene continua il viaggio arrivando nella città di Corinto. Corinto era una città molto grande, in una posizione strategica del Peloponneso che consentiva alle navi di risparmiare 400 km di navigazione passando per il suo istmo. Aveva un grandissimo passaggio di persone e anche una situazione sociale molto dissoluta.

Qui il Signore dice a Paolo: «Non temere, ma continua a parlare e non tacere; perché io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città». Che meravigliosa conferma! L'oracolo di rassicurazione si compone delle seguenti parti:
  • Non avere paura, non stare zitto ma continua a parlare
  • Nessuno di farà del male
  • Io ho un popolo numeroso in questa città

Paolo era in difficoltà, la predicazione del Vangelo nella sinagoga aveva portato a opposizione ma la parola del Signore ha incoraggiato questo uomo di Dio per continuare e perseverare nel suo servizio. Io sono convinto che questo incoraggiamento è anche per noi, oggi. Io sono convinto che il Signore Gesù oggi ci voglia esortare nello stesso modo a non avere paura di condividere la nostra esperienza di Lui, a non tacere ma a continuare a parlare. Sono tre anni che condividiamo questo importante percorso spirituale, è più di un anno che ubbidiamo al comandamento di Gesù di predicare il Vangelo, e lo facciamo con costanza nel cuore della città di Como e in ogni luogo. E il Signore oggi ci dice: CONTINUATE. Perché continuare? Per condividere l'esperienza che ognuno di noi ha avuto dell'incontro con Gesù, e di come questa esperienza ha cambiato in meglio la nostra vita. Per ubbidire al comandamento di Gesù di predicare la meravigliosa notizia che Lui ha pagato al posto nostro e che nel suo nome noi ora abbiamo pace con il Padre. Per rispondere all'amore di Dio con l'amore per Lui e per il prossimo, lasciando fluire la benedizione che abbiamo ricevuto affinché raggiunga anche altri. Dio aveva un popolo numeroso che ancora non lo conosceva a Corinto, e noi siamo convinti che anche a Como Dio abbia in questa generazione un popolo numeroso che ancora non lo conosce. 
 
La prima missione cristiana ufficiale nel territorio di Como è avvenuta a partire dal 1°novembre 386 su attività di Felice (primo vescovo di Como) e sostegno di Ambrogio, vescovo di Milano. Da allora la testimonianza cristiana è cresciuta, si è consolidata. Oggi costituisce la cultura della città. Ma quanti degli 84.450 abitanti della città conoscono personalmente il Signore Gesù, e non solamente per cultura locale? Non parlo di religione, parlo di una esperienza spirituale, l'esperienza dell'incontro personale con Gesù. Forse tra di voi c'è qualcuno che non ha fatto ancora questo incontro, a voi dico: Gesù vuole incontrarti. Abbandona e rifiuta gli atteggiamenti sbagliati della tua vita, cambia strada e chiedi al Signore Gesù di mostrarsi a te. Egli lo farà, esattamente come ha fatto con noi. Lo Spirito Santo ti prenderà per mano e ti condurrà a vivere una nuova vita ripiena di gioia e pace. Una gioia e una pace che non sarà più derivata da fattori esterni ma troverà la sua fonte nella presenza stessa di Dio in te. Se desideri fare questa esperienza, vieni avanti, e pregheremo per te.

Il Vangelo secondo Matteo: appunti introduttivi




















1. La dimensione letteraria

Mt. compie una sintesi sulla base di due testi anteriori: Il Vangelo di Marco e Q. Marco funge da cornice narrativa entro la quale sono aggiunti i dialoghi (materiale discorsivo) di Q. Mt. Però modifica l'ordine delle fonti per comporre unità tematiche, diversamente da Lc che segue invece Mc.

Anche dal punto di vista teologico, Mt. è un'opera di sintesi.

→ Procedimenti stilistici: la letteratura del NT nasce dall'incrocio culturale del mondo ellenistico con quello semitico. Questo avviene in particolar modo in Mt che è il più giudaico dei vangeli ma che tuttavia scrive in un greco più corretto di Mc. L'accuratezza di Mt si manifesta anzitutto in molte pericopi e sezioni unitarie. La conoscenza di questi procedimenti è essenziale:

  • Inclusioni: ripetizione di parole o espressioni chiave all'inizio e alla fine di una sezione. Cfr. 1:23 con 28:20. Cfr. 4:23 e 9:35, 7:16 e 20.
  • Parallelismi e chiasmi: 7:24-27 parellelismo antitetico. 16:25 chiasmo. Comune nell'AT
  • Ripetizioni di parole (fratello 39 volte in Mt. 20 in M.c 19 in Lc., chiesa 3/0/0, adempiere 16/2/9, profeti 13/0/1, figlio di Davide 10/4/4, Cristo 16/7/12)
  • Enumerazioni: Tre sono i gruppi delle genealogie, le apparizioni angeliche, le tentazioni, le opere buone, tre gruppi di miracoli comprendenti tre miracoli, tre le preghiere (26:39-44), i rinnegamenti.
    Sette sono le maledizioni (23:13-32), le parabole (13)

Cosa significano queste cose? Che il vangelo è ben costruito e presuppone una continua lettura del testo, che sono ben costruite soprattutto le unità minori e che le tecniche letterarie sono simili a quelle dell'AT.

Anche dal punto di vista dottrinale Mt è più schematico e conciso, cercando di rendere espliciti ammaestramenti dottrinali. L'interesse dottrinale si rivela soprattutto nei cinque grandi discorsi di Gesù che strutturano tutta l'opera e dimostrano la grande abilità nel produrre sintesi combinando le proprie fonti. Nel giudaismo di tendeva a raggruppare in numero di 5: 5 libri di Mosè e 5 libri di Salmi.

a) Mt. 5:1-7:29 il discorso della montagna: Gesù proclama il regno dei cieli e le esigenze che comporta:

Introduzione
I Esordio: le beatitudini e la missione
II La giustizia del regno dei cieli
III Finale: mettere in pratica

b) Mt. 9:35-10:42: il discorso di missione L'espansione del regno dei cieli

c) Mt. 13: il discorso in parabole, la natura del regno dei cieli 

d) Mt. 18:3-34: il discorso ecclesiale, la comunità che accoglie il regno dei cieli

e) Mt. 23:1-25:46: il discorso escatologico, pronti per la venuta del regno dei cieli

Mt. è quindi un testo narrativo con cinque grandi discorsi inseriti nella trama.

STRUTTURA:
  1. INTRODUZIONE (1:1-4:22)
  2. GESU', MESSIA POTENTE IN PAROLE E OPERE (4:23-9:35), tre gruppi di tre miracoli
  3. I DISCEPOLI INVIATI DA GESU' E LE DIVERSE RISPOSTE (9:36-12:50)
  4. GESU' SI CONCENTRA SUI DISCEPOLI (13:1-17:27)
  5. ROTTURA CON IL GIUDAISMO (18:1-22:45)
  6. DISCORSO DI CONGEDO, PASSIONE E PASQUA (23-28:20)

Mt. 28:16 Quanto agli undici discepoli, essi andarono in Galilea sul monte che Gesù aveva loro designato. 17 E, vedutolo, l'adorarono; alcuni però dubitarono. 18 E Gesù, avvicinatosi, parlò loro, dicendo:

FONDAMENTO
«Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra.
COMANDO
19 Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate.
GARANZIA
Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente.

       2. La dimensione teologica 

Il rapporto con il giudaismo fu un problema per la chiesa primitiva che traspare in tutto il NT ma soprattutto in Mt., il vangelo paradossalmente più giudaico e contemporaneamente più ostile al giudaismo.

Nella genealogia Gesù è ricondotto ad Abramo diversamente con Lc. che avanza fino ad Adamo. L'infanzia di Gesù ha paralleli inoltre con le origini di Mosè e di Israele.

Mt. sottolinea che Israele respinge il messia che gli è stato inviato (21:43).

La polemica antigiudaica viene condotta proprio perché la comunità di Mt è giudeocristiana. Vi era una forte polemica tra la sinagoga e la chiesa di Mt e quest'ultima a differenza di Paolo non elabora una teologia su Israele e sul suo futuro rapporto con Dio.

Gesù è il messia inviato a Israele come compimento delle promesse. 22:41-45: Gesù è anche più del messia.

E' inoltre Figlio di Dio. Mt è il sinottico che più spesso parla di Dio come Padre.

E' Signore

Dio con noi
Mt. 18:20 cfr. con la massima rabbinica “se due stanno insieme occupati nelle parole della legge la shekinà (= dimora, abitazione di Dio) abita in loro. Gesù prende il posto della Shekinà.

Figlio dell'uomo. Cfr. Daniele 7:13-14.

Mt. non continua il vangelo con una storia degli apostoli perchè quest'ultima è una storia che continua l'azione del Cristo glorificato.

Mt è sempre stato il vangelo ecclesiale per antonomasia: 16:18 Gesù promette l'edificazione della SUA chiesa; Gesù è sempre presente nella comunità.

I discepoli sono paradigma dei cristiani di ogni tempo: non li idealizza ma ne conosce luci ed ombre. I discepoli hanno fede ma questa è sempre minacciata. Il problema non è come accedere alla fede ma come restare fedeli.

Mt. combatte due deviazioni opposte: un antinomismo che prescinde dalla legge e un legalismo come quello degli scribi e farisei.

Mt. afferma che il signore ritarda (24:48, 25:5) e bisogna vegliare.

Bibliografia  

Rafael Aguirre Monasterio e Antonio Rodriguez Carmona, Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, 1995, Brescia, Paideia Editrice.
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