Traduttore


giovedì 29 novembre 2012

La definizione del canone neotestamentario

La teologia cristiana è stata fin dagli albori strettamente legata alle Scritture. Inizialmente però, questo termine designava la Tanakh, l'Antico Testamento.
Con il passare del tempo, in modo progressivo, il periodo patristico fu testimone di un processo decisionale in cui furono fissati i limiti del Nuovo Testamento.

Giustino Martire fu tra i primi padri della chiesa a fare riferimento ad un "Nuovo Testamento", ben distinto dall'Antico Testamento e di pari dignità e autorità.
Fin dai tempi di Ireneo erano comunemente riconosciuti quattro Vangeli.
Nella parte finale del II secolo, i Vangeli, gli Atti degli Apostoli e le lettere furono riconosciute con la status di  Scritture ispirate.

Clemente Alessandrino riconosceva come canonici (termine derivante dal greco kanon, "regola") i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli, le quattordici lettere paoline (la lettera agli Ebrei era considerata come tale) e l'Apocalisse.

Tertulliano dichiarava che accanto alla "legge e i profeti" c'erano gli scritti "evangelici e apostolici", e che si dovevano considerare entrambi di pari autorità.

Lentamente si raggiunse un accordo univoco sull'elenco e la disposizione dei libri neotestamentari, e nel 367 Atanasio facendo circolare la sua lettera paschale, iniziò a definire come canonici i ventisette libri del Nuovo Testamento, così come li conosciamo oggi.

Sicuramente però in questi secoli non mancarono i dibattici a riguardo. La chiesa occidentale aveva esitazioni riguardanti l'inclusione della lettera agli Ebrei (non attribuita esplicitamente ad alcun Apostolo), mentre la chiesa orientale nutriva dubbi riguardanti l'Apocalisse.
Quattro lettere minori (II Pt, II e III Gv, Giuda) venivano spesso omesse dai primi elenchi. Mentre altri scritti oggi extra-canonici erano ben visti in alcuni settori della chiesa. Basti pensare la Prima lettera di Clemente come esempio. Di sicuro tuttavia, nessuno di essi riuscì ad essere universalmente riconosciuto come libro canonico.

Anche la disposizione degli scritti subì alcuni rimaneggiamenti. Sebbene infatti i Vangeli ebbero fin da subito il posto d'onore all'interno del canone, seguiti dagli Atti; le chiese d'Oriente collocavano le sette lettere cattoliche prima delle quattordici lettere di Paolo (comprendendo anche Ebrei) mentre le chiese occidentali posizionavano queste ultime consecutivamente agli Atti. In entrambi i casi l'Apocalisse chiudeva il canone, nonostante il dibattito per la sua inclusione sorto per un tempo in Oriente.

Quali furono però i criteri secondo i quali furono inclusi i libri del Nuovo Testamento?
Il principio fondamentale sembra essere stato quello del riconoscimento, piuttosto che dell'imposizione. Era opinione comune infatti che gli scritti ispirati fossero già in possesso di un'autorità intrinseca.
Ireneo affermava che la chiesa non crea il canone, essa riconosce, conserva e riceve la Scrittura canonica sulla base dell'autorità che è già presente in essa.
La paternità apostolica degli scritti rivestiva probabilmente un'importanza decisiva, anche se non sono mancate alcune eccezioni. In ogni caso, all'inizio del V secolo la questione fu definitivamente chiusa in Occidente, senza essere più ripresa in mano fino ai tempi della Riforma.


Bibliografia:
Teologia Cristiana, Alister E. McGrath, Editrice Claudiana

Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...