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martedì 25 marzo 2014

La potatura dei tralci


Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più.
 
Giovanni 15:1,2 

In questo importante ed intenso brano, il Signore Gesù offre ai discepoli un ultimo insegnamento prima di metterli in guardia dalle persecuzioni che stavano per arrivare anche a loro, ed andare verso la passione. 

Raccogliendo un'immagine veterotestamentaria, Cristo si presenta come la vera vite, ed identifica il Padre come il vignaiuolo. Ogni tralcio che non dà frutto, Egli lo toglie. Il verbo greco utilizzato nei testi originali è airō, che significa letteralmente "sollevare", e nel contesto indica appunto una rimozione. Ogni tralcio che dà frutto invece, viene potato, affinché dia più frutto. Questo secondo verbo nell'originale è reso con kathairō e significa proprio "potare i germogli inutili", oppure "purificare dalle impurità". Risulta evidente un certo gioco di parole tra airōkathairō.

kathairō
Il termine kathairō compare solo un'altra volta nel Nuovo Testamento, utilizzato dalla Lettera agli Ebrei nel seguente brano:

La legge, infatti, possiede solo un'ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose. Perciò con quei sacrifici, che sono offerti continuamente, anno dopo anno, essa non può rendere perfetti coloro che si avvicinano a Dio. Altrimenti non si sarebbe forse cessato di offrirli, se coloro che rendono il culto, una volta purificati, avessero sentito la loro coscienza sgravata dai peccati? Ebrei 10:1,2 

In questo contesto, l'autore biblico rivela che l'osservanza della legge di Mosè non può rendere perfetti gli adoratori, i ministri di Dio. Altrimenti essi avrebbero sentito le loro coscienze sgravate dai peccati dopo aver compiuto tutti i sacrifici prescritti. Invece non è stato così, ed i sacrifici sono dovuti continuare, fino al momento in cui è arrivato il sacrificio perfetto di Cristo.

Nel secondo versetto, 
kathairō compare tradotto con "purificati", e identifica appunto le persone che rendono il culto secondo la legge, una volta che sono state purificate dalla loro obbedienza ai precetti. 

Ritengo che questa ricorrenza possa contribuire ad arricchire di significati anche il brano del vangelo di Giovanni, conferendo più spessore alle stesse parole di Gesù. I due testi sono molto differenti tra di loro per autore, stile e scopo, ma accostandoli possono rivelare una "divina somiglianza", spiegandosi quindi vicendevolmente.

Gesù è la vera vite, ed il Padre è il vignaiuolo. Ogni tralcio che dà frutto, viene purificato. Così come l'osservanza della legge mosaica purificava i figli di Israele, allo stesso modo l'opera del Padre nella vita dei credenti ha lo scopo di purificarli. Ma non solo. La legge infatti non può rendere perfetti coloro che si avvicinano a Dio, ma la Grazia di Dio può farlo. La disciplina dello Spirito Santo può intervenire, secondo la volontà del Padre, per esortare, incoraggiare, riprendere, correggere e raddrizzare, al fine di rendere perfetti i figli di Dio. Questa è l'opera di santificazione, un'opera che passa dalla sofferenza, ma che è portata avanti in modo sovrano dal Signore stesso (1Ts 5:23). 

Proverbi 17:3 Il crogiuolo è per l'argento e il fornello per l'oro,
ma chi prova i cuori è il SIGNORE.

Le persone che il Signore purifica, secondo il brano iniziale, portano già frutto. Ma lo scopo di Dio è che ne portino di più. Quanto di più? 


Il vignaiuolo sa quanto frutto può portare un tralcio messo nelle giuste condizioni, a maggior ragione il Padre sa quale sia il giusto frutto che ciascuno di noi può portare. Egli sa anche come è meglio intervenire affinché si porti un frutto maggiore. Può essere attraverso una convinzione di peccato, attraverso una riprensione da parte dello Spirito Santo, ma anche attraverso le vicende quotidiane che ci portano in situazioni nelle quali dobbiamo imparare a perdonare, a chiedere scusa, a prendere consapevolezza di alcune parti del nostro carattere che non conoscevamo. 

Questa purificazione sicuramente non è un processo facile, né indolore: del resto neanche la potatura lo è per le piante. E' necessario abbandonare quella parte di sé che ostacola la propria crescita. Il limite maggiore per la crescita infatti è rappresentato proprio da noi stessi, dal nostro ego, dal nostro "uomo vecchio", ossia non rigenerato (Ef 4:22, Col 3:9). Tutte queste cose contribuiscono alla purificazione, alla potatura di cui parlava Cristo ai discepoli. Più avanti, nel quindicesimo capitolo del vangelo di Giovanni, il Signore continuerà il Suo insegnamento esplicitando che l'unico modo per portare frutto è accogliere la Sua parola (v.3) e dimorare in Lui (v.4).
Solo dimorando il Lui si può avere la forza di rinnegare sé stessi, e prendere la propria croce. Rinnegare il proprio ego e prendere il peso spirituale che ci è dovuto per portarlo a compimento e realizzare appieno la volontà di Dio. Questo percorso di vita però non è fine a sé stesso, non è semplice mortificazione, o privazione. E' invece coraggio, conquista, consapevolezza della propria vera identità, gioia, pace, speranza, realizzazione. E' abbandonare qualcosa, per abbracciare molto di più: il motivo della nostra stessa esistenza.

martedì 18 marzo 2014

Il (primo) soggiorno di Paolo a Corinto


Nel 51 d.C., la città di Corinto - nella Grecia centro-meridionale - era ufficialmente una colonia romana. Probabilmente non mostrava più i fasti che precedettero la sua distruzione del 146 a.C., ma il tempo e le circostanze avevano dato una seconda possibilità a questa città, ora colonia dell'Impero, popolata da numerosi cittadini romani.

In questo tempo, intorno al 51, Paolo di Tarso raggiunse Corinto. Come sua consuetudine iniziò a predicare nella sinagoga del posto, ma l'opposizione ricevuta lo persuase ad andare a parlare del vangelo di Dio ai cittadini pagani, che non erano di origini ebraiche.
Molti Corinzi, udendo, credevano e venivano battezzati. Una notte il Signore disse in visione a Paolo: «Non temere, ma continua a parlare e non tacere; perché io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città». Ed egli rimase là un anno e sei mesi, insegnando tra di loro la Parola di Dio. Atti 18:8b-11
In modo simile a Giosuè, Paolo ricevette una parola speciale da parte del Signore. "Non temere", "io sono con te", "ho un popolo numeroso in questa città": un popolo numeroso da conquistare. Mentre Paolo prolungava il suo soggiorno a Corinto, pensò di scrivere ad un'altra comunità che aveva fondato pochi mesi prima, a Tessalonica, comunità composta da Giudei, Greci pii e da molte donne delle famiglie più importanti (Atti 17:4). A loro, tra le altre cose, rivolse queste parole:

Siate sempre gioiosi; non cessate mai di pregare; in ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito. Non disprezzate le profezie; ma esaminate ogni cosa e ritenete il bene; astenetevi da ogni specie di male. Or il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l'intero essere vostro, lo spirito, l'anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Fedele è colui che vi chiama, ed egli farà anche questo.
1 Tessalonicesi 5:16-24 

La prima lettera ai Tessalonicesi è il più antico scritto del Nuovo Testamento. A causa della sua scarsa lunghezza è posizionata tra le ultime lettere dell'Apostolo Paolo nel canone biblico, ma cronologicamente precede tutte le altre epistole e tutti i vangeli. Qui Paolo per la prima volta nomina l'amore fraterno (4:9), tema che contraddistinguerà tutta la sua vita ed il suo ministero. A questo riguardo - egli dice ai Tessalonicesi - "non avete bisogno che io ve ne scriva, giacché voi stessi avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e veramente lo fate verso tutti i fratelli che sono nell'intera Macedonia."
Questi fratelli e sorelle da pochi mesi nella fede, già dimostravano un profondo amore per i santi. Non solo per coloro che erano nella loro comunità, ma anche per quelli più distanti, che erano nell'intera Macedonia. Un amore genuino, un amore naturale. Una comunità sana, fondata con amore ed edificata giorno dopo giorno con lo stesso amore di Paolo e di tutti i fratelli coinvolti.  A questa comunità, l'Apostolo scrive esortando alla gioia spirituale, all'attenzione verso una preghiera incessante, alla considerazione dello Spirito Santo e delle profezie. Era una chiesa la cui fede era già rinomata in ogni luogo (1:8), e per essere sicuro che continuasse a crescere, Paolo pensò di fare queste ultime raccomandazioni finali. Sono indicazioni cariche di affetto, scritte sicuramente con il genuino desiderio di vedere progredire sempre di più la salute spirituale della comunità. La gioia, la costanza nella preghiera, la gratitudine a Dio, la libertà dello Spirito, la considerazione delle profezie e l'allontanamento dal male. Cinque aspetti che avrebbero garantito la piena manifestazione della grazia di Dio nella vita di questi fratelli e di queste sorelle. 

Nelle strade di Corinto, Paolo si rallegrava della crescita dell'opera di Dio e desiderava confortare e sostenere tutti i credenti che aveva portato a Cristo, soprattutto quelli di Tessalonica, che con la loro fede avevano contribuito rafforzare la sua gioia nel Signore.

Forse, diversamente dai Tessalonicesi quando ricevettero questa lettera, siamo credenti da ben più di qualche mese, ma queste esortazioni sono ugualmente rivolte anche a noi. La gioia è presente nella nostra vita? Se non è così, ricerchiamola nella comunione con lo Spirito Santo. Preghiamo continuamente? Se non lo facciamo, vuol dire che non ci troviamo a nostro agio nel farlo, e questo significa che c'è qualcosa da migliorare nel nostro rapporto con il Signore. Chiediamo a Lui in modo semplice una maggiore rivelazione del significato, dello scopo e del diletto che avvolgono un'intensa vita di preghiera. Chiediamo al Signore di rinnovare la nostra mente, di uscire dallo schema mentale di elenchi e richieste per entrare nella libertà dello Spirito e ricevere dal Signore stesso indicazioni su come per per cosa pregare. Preghiamo le preghiere dello Spirito. Eliminiamo ciò che si frappone tra noi e l'ascolto attivo dello Spirito Santo, per vivere nella piena libertà spirituale. Non lasciamoci scoraggiare dai nostri paradigmi, dai nostri preconcetti, ma sforziamoci di mantenere la sufficiente apertura mentale necessaria per vagliare ed esaminare ogni profezia, da chiunque essa provenga. Il Signore spesso parla in modi sorprendenti. Non lasciamoci sfuggire questa benedizione. Asteniamoci dal male. E, sopra ogni cosa, affidiamo ogni giorno la nostra vita a Colui che ci ha chiamato, e che porterà senz'altro a termine la Sua opera nella nostra vita. Il vero problema per ogni credente non è il peccato, non è il fallimento o l'inadempienza, ma l'attitudine di raggiungere gli obiettivi di Dio con le proprie forze. Quando ci sentiamo stanchi, riposiamoci: ma riposiamoci nel Signore. Invochiamo la Sua presenza anche nella solitudine della nostra stanza, anche e soprattutto quando non abbiamo nulla da dare. Perché proprio in questo momento, riceveremo. Proprio in questo momento, il Signore potrà portare avanti il progetto di santificazione che ha per noi. La Sua santità nella nostra vita. Perché, al contrario, (la nostra presunta santità sostenuta davanti al Signore) le cose non funzionano(cfr. Luca 18:10-14).

Fedele è colui che ci chiama, ed egli farà anche questo.

domenica 16 marzo 2014

Il consiglio segreto di Dio

Giobbe 15:8a Hai forse sentito quanto si è detto nel Consiglio (sôd) di Dio?

Nel quindicesimo capitolo del libro di Giobbe, prende la parola Elifaz di Teman. Giobbe, colpito da disgrazie e malattie, difende davanti ai suoi amici la sua giustizia ed integrità, evidenziando la miseria del genere umano. Elifaz però interviene, rispondendogli che nessun uomo è puro e giusto davanti a Dio. In questo contesto, Elifaz chiede a Giobbe retoricamente: "Hai forse sentito quello che si è detto nel Consiglio di Dio?"; questo proprio per sottolineare l'impossibilità umana di conoscere i propositi segreti di Dio.


Letteralmente in ebraico l'espressione "Consiglio di Dio" è resa con "segreto di Dio", in quanto  presente il termine sôd, il cui significato nelle ricorrenze scritturali è appunto "segreto, consiglio, concilio, assemblea, conversazione familiare e intima". Molto probabilmente in questo contesto l'allusione indica il Consiglio celeste che troviamo come prologo all'inizio del libro di Giobbe, ma è anche possibile che questo rimando coinvolga un "concilio celeste" avvenuto addirittura prima della fondazione del mondo. 


Termine ebraico "sôd"

Percorrendo lo stesso libro, ritroviamo il termine "sôd" soltanto altre due volte, in due contesti differenti. 

Giobbe 19:19 Tutti gli amici più stretti (sôd) mi hanno in orrore,
quelli che amavo si sono rivoltati contro di me.

In questo primo caso abbiamo un discorso di Giobbe, che si lamenta del fatto che i suoi amici "del segreto", gli amici più intimi e stretti, ora si sono rivoltati contro di lui. E' il dramma di chi sta perdendo tutto. Forse in questo contesto Giobbe si sta riferendo anche alla moglie, che all'inizio del libro gli dice:

Giobbe 2: 8b,9
 «Ancora stai saldo nella tua integrità? Ma lascia stare Dio, e muori!» 



Andrej Rublëv, Icona della Trinità, 1410 circa
Giobbe nel giorno della prova è abbandonato dalla moglie e dagli amici più intimi, quando i suoi figli sono morti e lui stesso è in punto di morte. 
Penso non sia casuale il fatto che anche in questo brano si utilizzi la parola "sôd", questa volta in relazione alla sua famiglia e alla sua cerchia più interna di amicizie. In modo speculare a questo "concilio di Dio", troviamo un "concilio degli uomini fedeli" che ciascuno di noi può avere. Ogni persona ha degli amici, degli intimi confidenti a cui chiedere consiglio e a cui confidare i propri segreti, i propri desideri, i propri progetti, pensieri e sogni. Questo elemento può avvicinarci alla comprensione di cosa sia il Consiglio di Dio. Il libro di Giobbe però presenta la parola "sôd" un'ultima volta, e questa volta torna a coinvolgere il Signore stesso. 

Giobbe riprese il suo discorso e disse:
«Oh, potessi tornare come ai mesi d'una volta,
come nei giorni in cui Dio mi proteggeva,
quando la sua lampada mi risplendeva sul capo
e alla sua luce io camminavo nelle tenebre!
Oh, fossi com'ero ai giorni della mia maturità,
quando (il sôd di) Dio vegliava amico sulla mia tenda [...]
Giobbe 29:1-4 


Giobbe soffre nel ricordo dei giorni in cui Dio lo proteggeva. La traduzione della Nuova Riveduta presenta il v.4 con "quando Dio vegliava amico sulla mia tenda", ma la traduzione della Nuova Diodati in questo caso è più corretta e letterale, rendendo infatti la frase in questo modo: "quando il consiglio segreto di Dio vegliava sulla mia tenda". In ebraico sarebbe "quando il sôd di 'ĕlôahh era sopra il mio tabernacolo/tenda". C'era un tempo in cui il Consiglio segreto di Dio era sopra il tabernacolo di Giobbe. Nel capitolo 15, Telifaz provoca Giobbe, deridendolo del fatto che - benché si reputasse giusto - in realtà era un peccatore infinitamente distante da Dio. Questa però non era l'esperienza della vita di Giobbe, abituato invece a stare vicino al consiglio segreto di Dio. Nel prologo del libro, il Signore parla di Giobbe in questi termini:  «Hai notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male» (1:8). Giobbe era agli occhi di Dio l'uomo migliore della sua generazione! E Giobbe testimonia che nella sua vita il consiglio segreto di Dio dimorava sulla sua tenda. L'ironia di Elifaz dunque era in realtà fuori luogo. Sicuramente Dio è infinitamente giusto e santo, ma nella Sua giustizia e santità - come vedremo più avanti - Egli decide di coinvolgere alcuni uomini per rivelare il Suo cuore, i Suoi progetti, e parte del Suo stesso consiglio segreto. La domanda di Elifaz, mascherata da timor di Dio, celava in realtà un'ignoranza e una mancanza di conoscenza dello stesso Signore che voleva tanto difendere.

Il sôd come livello di interpretazione ebraica della Scrittura1


L'albero della Torah
Penso sia utile aprire una piccola digressione con lo scopo di avere una comprensione più completa su questo tema. Nell'ambito dell'interpretazione ebraica delle Scritture infatti, esistono quattro differenti metodi esegetici che rappresentano quattro diversi approcci ai testi sacri in ordine di complessità. Questi metodi sono indicati dalle consonanti della parola Pardès (che significa giardino, paradiso), come indicato di seguito. 

Peshat (semplice): l'interpretazione letterale.
Remez (allusione): l'interpretazione allegorica.
Darash (esposizione): commento omiletico.
Sod (mistero): l'insegnamento mistico.


Nell'alfabeto ebraico le consonanti hanno un valore numerico, oltre che letterale. Sommando il valore delle singole lettere quindi si ha il numero che rappresenta quella parola. Il quarto metodo esegetico si propone a questo riguardo di confrontare le parole nelle Scritture che hanno lo stesso valore numerico per trarne delle conclusioni ai fini della comprensione più profonda del testo. Questa interpretazione è detta per l'appunto "Sod", ed utilizza un sistema di indagine chiamato gematria. Non reputo affatto che questo metodo esegetico possa consentire di entrare nel consiglio segreto di Dio, ma piuttosto che in alcuni casi possa mostrare la perfezione - letterale e numerica - della Parola di Dio, portando alla luce elementi che altrimenti non sarebbero visibili.


L'espressione del sôd di Dio: i decreti eterni
- (I) La creazione -



Il consiglio segreto di Dio non è accennato unicamente nel libro di Giobbe. E' un tema presente in tutte le Scritture, a volte in modo implicito e a volte in modo esplicito. Riguarda le "riunioni" stabilite all'interno della trinità per approvare quello che la Bibbia descrive come i "decreti eterni di Dio". Ogni aspetto del creato, visibile ed invisibile, ogni aspetto della storia del mondo e dell'uomo infatti è stato deciso dal Signore. Il catechismo abbreviato di Westminster (1648) descrive in questo modo i decreti di Dio:
"I decreti di Dio sono il Suo eterno proposito, secondo il consiglio della Sua volontà, per cui Egli, per la Sua propria gloria, ha preordinato tutto ciò che avviene."
Tutto ciò che avviene è riconducibile al decreto che Dio ha pronunciato in seguito al consiglio della Sua volontà. La Bibbia inizia con l'atto creativo di Dio, ed è impossibile pensare che questo evento così importante non sia stato ponderato dal consiglio della Sua volontà. A questo riguardo troviamo un elemento di grande interesse nel v.26 del primo capitolo della Genesi. 

Genesi 1:26 Poi Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».

Il racconto della creazione dell'uomo è il primo contesto in cui troviamo Dio che parla di sé stesso al plurale, e teologicamente questo plurale è di grande importanza. Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo si è consultato con sé stesso, essendo un unico Dio ma in tre Persone, e la decisione del consesso è stata la seguente: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza". La creazione dell'uomo è stata una conseguenza del pensiero che Dio ha avuto dell'uomo e della decisione maturata in sé stesso di crearlo. La proclamazione del decreto è praticamente coincisa con il suo adempimento, ossia con la creazione vera e propria. Nel primo capitolo della Genesi, il Signore con la Sua parola crea ogni cosa. La Parola porta all'esistenza quello che prima era solo nel pensiero di Dio. Egli non dialoga con nessuno, parla solamente per comandare la creazione. Dopo aver creato l'uomo però, al v.28 troviamo un altro indizio di enorme importanza: "Dio li benedisse; e Dio disse loro". Dopo un lungo elenco di "Dio disse", troviamo in questo contesto per la prima volta "Dio disse loro". Dopo aver creato l'uomo, per la prima volta il Signore instaura un dialogo vero, per la prima volta parla con qualcuno! Questa è la prima volta in cui una decisione del consiglio segreto di Dio viene condivisa con una creatura umana. Quello che Dio aveva precedentemente consigliato a Sé stesso, in questo momento viene comunicato ad Adamo ed Eva. L'uomo non è stato creato per un'esistenza fine a sé stessa, è stato creato per relazionarsi con il Suo creatore. Appena è stato portato all'esistenza, Dio gli ha parlato spiegando il Suo desiderio per l'umanità: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra». Ancora al giorno d'oggi molte persone sono alla ricerca del senso della vita, di un "libretto di istruzioni" che spieghi il significato di ogni essere umano. Ebbene, questo "libretto" esiste: è la Bibbia! Nelle Scritture troviamo i messaggi di Dio per l'uomo nella forma più completa, qui troviamo quello che la teologia riformata descrive come la "volontà rivelata di Dio". 

Avanzando nella Genesi però, presto troviamo un altro brano che sembra quasi essere un racconto opposto di quello appena visto:

Genesi 6:13 Allora Dio disse a Noè: «Nei miei decreti, la fine di ogni essere vivente è giunta poiché la terra, a causa degli uomini, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò, insieme con la terra.

Sebbene questo versetto possa essere considerato come uno dei più drammatici della Bibbia, penso che la parola chiave sia rappresentata dall'espressione "disse a Noè". Il consiglio segreto di Dio aveva decretato la fine di ogni essere vivente, ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore (Ge 6:8), che decise di condividere con lui i Suoi progetti di distruzione per garantire una speranza al genere umano. Anche nell'ora più buia, alla vigilia della completa distruzione, il Signore ha deciso di condividere la Sua decisione con un uomo. Il consiglio segreto di Dio dunque, quello che per Telifaz di Teman era irraggiungibile per qualsiasi essere umano, in realtà è stato avvicinato più volte agli uomini grazie alla misericordia del Signore ed alla Sua volontà di instaurare una corretta relazione con le Sue creature. 

I decreti di Dio quindi hanno riguardato la creazione e la distruzione del creato. Ma il decreto più importante rimane quello che riguarda "l'incarico" del Figlio di Dio. 


L'espressione del sôd di Dio: i decreti eterni
- (II) il Figlio -


a. Il Servo del Signore

«Ecco il mio servo, io lo sosterrò;
il mio eletto di cui mi compiaccio;
io ho messo il mio spirito su di lui,
egli manifesterà la giustizia alle nazioni. Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade. Non frantumerà la canna rotta
e non spegnerà il lucignolo fumante;
manifesterà la giustizia secondo verità.
Isaia 42:1-3 

Nel libro di Isaia ci sono quattro "canti del Servo", brani che profetizzano la nascita del Servo del Signore, destinato a portare a compimento in modo perfetto la volontà di Dio. Queste profezie riguardano Gesù Cristo, e descrivono in modo preciso il Suo ministero terreno centinaia di anni prima della Sua incarnazione. 

I farisei, usciti, tennero consiglio contro di lui, per farlo morire. Ma Gesù, saputolo, si allontanò di là; molti lo seguirono ed egli li guarì tutti; e ordinò loro di non divulgarlo, affinché si adempisse quanto era stato detto per bocca del profeta Isaia: «Ecco il mio servitore che ho scelto; il mio diletto, in cui l'anima mia si è compiaciuta. Io metterò lo Spirito mio sopra di lui, ed egli annuncerà la giustizia alle genti. Non contenderà, né griderà e nessuno udrà la sua voce sulle piazze. Egli non triterà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante, finché non abbia fatto trionfare la giustizia. E nel nome di lui le genti spereranno».
Matteo 12:14-21

I farisei tennero un consiglio per farlo morire, ma Dio al di fuori del tempo tenne un consiglio con sé stesso per incaricare il Figlio di salvare l'umanità, per annunciare la giustizia alle genti. Il Suo scopo non era abbattere i deboli, ma al contrario sostenerli e riaccendere il lucignolo fumante, la fiamma che si stava spegnendo.   

Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni,
stroncato a causa delle nostre iniquità;
il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui
e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo smarriti come pecore,
ognuno di noi seguiva la propria via;
ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.
Isaia 53:5, 6 

Secoli prima che queste profezie si avverassero, l'autore biblico parlava di questi eventi futuri al passato, mostrando i pensieri eterni di Dio, mostrando che questo decreto è stato pronunciato al di fuori del tempo. Poco prima che queste parole si adempissero nella crocifissione di Cristo, Egli pregò il Padre con queste parole: 

Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai data da fare. Ora, o Padre, glorificami tu presso di te della gloria che avevo presso di te prima che il mondo esistesse.
Giovanni 17:4,5 

Nella "preghiera sacerdotale", Gesù rivela di aver compiuto tutta l'opera che il Padre gli ha affidato. Nel consiglio segreto di Dio dunque c'è stato un dialogo in merito a queste opere e in questo contesto è stato deciso di affidarle al Figlio. Gesù ha la consapevolezza di aver compiuto totalmente la volontà del Padre e per questo è pronto in questo momento così travagliato a pensare di tornare alla gloria che aveva prima che il mondo stesso esistesse, quando non esisteva altro che Dio e il Suo consiglio segreto. Il decreto della salvezza dell'uomo è stato deciso dal Dio Trino, annunciato nelle profezie dell'Antico Testamento e realizzato a tempo debito da Gesù Cristo, il Figlio di Dio.
L'opera di Cristo però non comprendeva soltanto la manifestazione della giustizia, né unicamente l'espiazione vicaria. La Sua opera completa comprende questi aspetti ma abbraccia anche la glorificazione che abbiamo appena letto, una glorificazione che è stata anch'essa preannunciata da tempo all'interno delle Sacre Scritture. 

b. Il Figlio glorificato

Io annuncerò il decreto:
Il SIGNORE mi ha detto: «Tu sei mio figlio,
oggi io t'ho generato.
Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni
e in possesso le estremità della terra.
Tu le spezzerai con una verga di ferro;
tu le frantumerai come un vaso d'argilla».
Salmo 2:7, 9 

Dio Padre al momento opportuno annuncerà questo fondamentale decreto deciso nel consiglio segreto di Dio. E Dio Figlio riferirà di aver sentito in questo consiglio segreto: «Tu sei mio figlio, oggi io t'ho generato. Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra. Tu le spezzerai con una verga di ferro; tu le frantumerai come un vaso d'argilla». Anche questo "oggi" è un'indicazione eterna, fuori dal tempo. Se lo scopo di Cristo nell'incarnazione era quello di salvare l'umanità per portare Grazia al posto che Giudizio, al Suo ritorno sarà necessario invece portare il giusto Giudizio al fine di estirpare la zizzania che è nata e cresciuta nel tempo presente (cfr. Mt 13:24-30). I vangeli testimoniano che Gesù non è venuto a tritare la canna rotta, ma al Suo ritorno Egli spezzerà le nazioni ribelli con una verga di ferro, frantumandole come un vaso d'argilla. 
Questa è la seconda parte del decreto di Dio in relazione al Figlio, una parte necessaria per poter vivere con i credenti per l'eternità. L'ingiustizia del mondo deve essere giudicata. 

Nel frattempo però, in attesa di quel giorno, Cristo Gesù è alla destra del Padre con il compito di intercedere per i credenti:

Chi li condannerà [gli eletti di Dio]? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi
Romani 8:34

Il SIGNORE ha detto al mio Signore:
«Siedi alla mia destra
finché [cioè, fino a quando arriverà il tempo in cui] io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi».
Sal 110:1

Esso ora salva anche voi, mediante la risurrezione di Gesù Cristo, che, asceso al cielo, sta alla destra di Dio, dove angeli, principati e potenze gli sono sottoposti.
1 Pietro 3:21b, 22



Gesù Cristo è alla destra di Dio Padre ed intercede per credenti fino a quando non arriverà il tempo in cui il Signore sconfiggerà tutti i Suoi nemici.

[...] poi verrà la fine, quando consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna ch'egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. Difatti, Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi; ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa, ne è eccettuato. Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti.

1 Corinzi 15:24-28

Alla fine, dopo aver vinto tutti i nemici, il decreto di Dio prevede che il Figlio consegni il regno nelle mani di Dio Padre affinché Dio sia tutto in tutti. 
Questa è la decisione del consiglio segreto di Dio, probabilmente la decisione ed il decreto più importante, poiché decide le opere di Dio Figlio e il destino dell'intera umanità.  


I collaboratori dei decreti di Dio2



Nell'anno della morte del re Uzzia, vidi il Signore seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio.  Sopra di lui stavano dei serafini, ognuno dei quali aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi, e con due volava. L'uno gridava all'altro e diceva: «Santo, santo, santo è il SIGNORE degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria!» Le porte furono scosse fin dalle loro fondamenta dalla voce di loro che gridavano, e la casa fu piena di fumo. Allora io dissi: «Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il SIGNORE degli eserciti!» Ma uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, tolto con le molle dall'altare. Mi toccò con esso la bocca, e disse: «Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato». 
Poi udii la voce del Signore che diceva:
«Chi manderò? E chi andrà per noi?»
Allora io risposi: «Eccomi, manda me!»
Ed egli disse: «Va', e di' a questo popolo:
"Ascoltate, sì, ma senza capire;
guardate, sì, ma senza discernere!"
Rendi insensibile il cuore di questo popolo,
rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi,
in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi,
non intenda con il cuore,
non si converta e non sia guarito!»
Isaia 6:1-10 

Sebbene questo brano possa apparentemente rientrare nel genere delle vocazioni, comparandolo con i testi delle vocazioni di Mosè, Gedeone, Geremia e Maria, appare chiaro che in realtà descrive un'esperienza diversa, ancora più profonda. In tutti i racconti delle vocazioni, ci sono degli elementi costanti che vengono puntualmente ripresi ogni volta. La manifestazione di Dio, il compito affidato al protagonista, l'obiezione ed il rifiuto a causa della debolezza umana e successivamente la rassegnazione e il coinvolgimento nella missione. Nel nostro testo però, l'obiezione - componente chiave delle vocazioni - manca completamente. Certo, esiste la consapevolezza di Isaia di essere "un uomo dalle labbra impure", ma questa consapevolezza è qualcosa di differente. Non si trova neanche la promessa rituale del Signore di assistenza ("Io sono/sarò con te"..), e l'immediata auto-offerta dell'uomo non può far altro che insospettire, a riprova della difficoltà nel far rientrare il testo nel genere letterario delle vocazioni. Se non è una vocazione, dunque, che cosa può mai essere? 

Possiamo trovare un'importante indizio nell'unico altro contesto in cui appare un'auto-offerta simile a quella di Isaia:

Micaia replicò: «Perciò ascolta la parola del SIGNORE. Io ho visto il SIGNORE seduto sul suo trono, e tutto l'esercito del cielo che gli stava a destra e a sinistra. Il SIGNORE disse: "Chi ingannerà Acab affinché vada contro Ramot di Galaad e vi perisca?" Ci fu chi rispose in un modo e chi in un altro. Allora si fece avanti uno spirito, il quale si presentò davanti al SIGNORE, e disse: "Lo ingannerò io". Il SIGNORE gli disse: "E come?" Quello rispose: "Io uscirò e sarò spirito di menzogna in bocca a tutti i suoi profeti". Il SIGNORE gli disse: "Sì, riuscirai a ingannarlo; esci e fa' così".
1 Re 22:19-22 

Micaia descrive una corte celeste, nella quale il Signore chiede chi possa ingannare Acab e dopo un certo tempo prende la parola uno spirito che si offre volontario per questa missione. 

Ebbene, il testo di Isaia presenta molte similitudini con questa visione di Micaia. Anche nella visione di Isaia infatti c'è una corte celeste, composta questa volta non da spiriti indefiniti ma da serafini, capaci di purificare con il fuoco tutto ciò che è immondo. Il luogo non è la realtà celeste ma il tempio, anche se quest'ultimo veniva visto dalla tradizione ebraica come il luogo dove il cielo e la terra si incontrano. La preghiera fatta nel tempio saliva al trono di Dio come se fosse fatta nel cielo stesso, secondo l'invocazione del re Salomone (1 Re 8:29). Infine - e forse questo è l'elemento più importante - nella visione di Isaia torna questa auto proposta per compiere il progetto divino, anche se in questo contesto il profeta non lo conosceva ancora.

Questi indizi possono suggerire l'interpretazione che Isaia con la purificazione delle labbra, sia stato in realtà separato dal "popolo dalle labbra impure" ed accolto in una vera e propria iniziazione per diventare un associato al consiglio celeste e potersi quindi auto-proporre. In questo caso è probabile che l'iniziazione fosse la parte più drammatica della vocazione e per questo motivo redatta in modo incompleto (senza descrivere con la stessa minuzia di particolari sia la vocazione che l'iniziazione, sempre che in questo caso le due esperienze non coincidessero). Il profeta può quindi accettare la missione di Dio che si rivelerà amara e faticosa. La sua predicazione infatti non produrrà ascolto e conversione, ma rifiuto e indurimento. 

Questo prezioso racconto, descriverebbe quindi in un modo incredibilmente profondo e completo l'accettazione di un uomo nel consiglio celeste di Dio. Come abbiamo visto precedentemente, sia Adamo che Noè hanno ricevuto importanti rivelazioni dei decreti di Dio, ma in questo caso Isaia è stato reso parte in una certa misura del suo consiglio segreto, per renderlo adatto al difficile compito che gli spettava: rendere insensibile il cuore del popolo eletto, del suo popolo.  

La considerazione più incredibile a questo riguardo sembra quindi essere proprio il fatto che questo segreto per eccellenza, in realtà sia stato in molti casi condiviso con gli uomini, coinvolti in altrettanti progetti divini. Se immaginiamo la segretezza legata ad importanti decisioni militari, politiche ed economiche dei vari paesi del mondo, la nostra riflessione può soffermarsi sul consiglio segreto di Dio associandolo a decisioni e progetti di un'esclusività assoluta. Ma l'agire dell'uomo è ben diverso dall'agire di Dio. Sebbene il Signore mantenga la Sua totale sovranità, come abbiamo visto fino ad ora, Egli ha deciso numerose volte di rendere partecipi gli esseri umani dei Suoi progetti. Rimane veramente difficile da credere, ma la Bibbia è chiara nel rivelare la natura inclusiva e non esclusiva dei decreti di Dio. Certo, molti di questi sono stati per millenni veri e propri misteri, ma nel tempo presente sono infine stati rivelati (cfr. 1 Pt 1:12, Rm 11:25, 16:25, 1 Co 15:51, Ef 1:9, 3:5, 3:9, 5:32). Il consiglio segreto del Signore è stato conosciuto soltanto da Adamo, Noè, Giobbe ed Isaia? I seguenti versetti rispondono a questa domanda.

Il segreto (sôd) del SIGNORE è rivelato a quelli che lo temono,
egli fa loro conoscere il suo patto.
Salmo 25:14 

Poiché il SIGNORE ha in abominio l'uomo perverso,
ma la sua amicizia (sôd) è per gli uomini retti.
Proverbi 3:32 

Poiché il Signore, DIO, non fa nulla
senza rivelare il suo segreto (sôd) ai suoi servi, i profeti.
Amos 3:7 


Il consiglio segreto del Signore è rivelato a quelli che lo temono, è qualcosa che viene dedicato agli uomini retti, e ai profeti. Non è un coinvolgimento circoscritto a pochi personaggi biblici, ma a tutti coloro che lo temono, a tutti gli uomini retti e a tutti i profeti. Questo vuol dire forse che tutto il consiglio segreto di Dio venga condiviso? Non credo proprio. I misteri restano, la sovranità di Dio resta, lo scandalo del male resta, resta la fondamentale consapevolezza che conosciamo in parte, e in parte profetizziamo (1 Cor 13:9). Ma associata ad essa, vi deve essere però anche la consapevolezza che il Signore vuole parlare ai Suoi figli, per renderli partecipi dei Suoi pensieri e dei Suoi progetti.


Noi abbiamo la mente di Cristo

Ma com'è scritto: «Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì, e che mai salirono nel cuore dell'uomo, sono quelle che Dio ha preparate per coloro che lo amano». A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito, perché lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Infatti, chi, tra gli uomini, conosce le cose dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così nessuno conosce le cose di Dio se non lo Spirito di Dio. Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, per conoscere le cose che Dio ci ha donate; e noi ne parliamo non con parole insegnate dalla sapienza umana, ma insegnate dallo Spirito, adattando parole spirituali a cose spirituali. Ma l'uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché esse sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perché devono essere giudicate spiritualmente. L'uomo spirituale, invece, giudica ogni cosa ed egli stesso non è giudicato da nessuno. Infatti «chi ha conosciuto la mente del Signore da poterlo istruire?» Ora noi abbiamo la mente di Cristo.
1 Corinzi 2:9-16 

Come conoscere le cose segrete e sconosciute che Dio ha preparato per coloro che Lo amano? Unicamente attraverso lo Spirito Santo. Lo Spirito ha provveduto a condividere i misteri di Dio attraverso gli autori che scrissero le Scritture. Ma ancora oggi, Egli parla ad ogni credente, guidandolo verso la conoscenza, l'esperienza e la consapevolezza di tutta la verità (Gv 16:13). Lo Spirito Santo scruta le profondità di Dio, è presente ad ogni consiglio segreto di Dio, e fa conoscere tutte le cose che Dio ci ha donato. Grazie allo Spirito Santo, i credenti hanno un riscontro spirituale su tutto quello che gli serve sapere, ed è molto più di quanto possiamo pensare! Noi infatti abbiamo la mente di Cristo. Non siamo solo chiamati ad evangelizzare, ma condividiamo con il Signore l'urgenza spirituale del farlo. Non abbiamo solo l'incarico di discepolare tutti i popoli, ma abbiamo gli strumenti spirituali per adempiere questo mandato con eccellenza. Non siamo semplicemente obbligati a lodare e glorificare il Signore, ma percepiamo la gioia di farlo ricevendo immediatamente l'onore che spetta a chi vive questa meravigliosa proclamazione. Non si tratta soltanto di ubbidienza, ma anche e soprattutto di collaborazione. Solo nel momento in cui perdiamo il nostro "io" nel Signore, acquisiamo la nostra vera identità. Solo quando perdiamo la nostra volontà, acquisiamo la Sua volontà. Solo lasciando la nostra stessa vita, troveremo la vita di Dio! Questo è vivere nel consiglio segreto di Dio. Una conoscenza che oltrepassa il livello intellettuale e che abbraccia quello esperienziale, che vive delle esperienze sovrannaturali che l'uomo non potrebbe mai e poi mai vivere con le sue uniche forze! Una vita che non appartiene solo a pochi protagonisti dei racconti biblici ma che è destinata a tutti coloro che amano Dio.

Il segreto di Dio vegliava amico sulla tenda di Giobbe.
Lo scopo di Dio per l'umanità fu comunicato ad Adamo.
Il decreto di Dio in relazione al diluvio fu rivelato a Noè.
La missione del Figlio fu annunciata nelle Scritture.
La stessa corte celeste accolse con un'iniziazione il profeta Isaia. 
Tutti i credenti hanno la mente di Cristo. 

Aspiriamo dunque alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; perché noi morimmo e la nostra vita è nascosta CON Cristo IN Dio (Col 3:2). La nostra vita è nascosta in Dio. La posizione spirituale di ogni credente è nel Signore. Una posizione, una condizione di vita sovrannaturale che appartiene a tutti i figli di Dio. Ecco perché aspirare alle cose celesti. Non per guadagnare la fiducia del Signore, non per acquietare la nostra coscienza, e neanche per dimostrare qualcosa al mondo. La nostra vita, la nostra concentrazione, i nostri pensieri devono aspirare alle cose di lassù per vivere pienamente nel luogo in cui già siamo: in Dio

Nel nostro tempo è sempre più frequente vivere con la mente altrove, essere distratti da computer, smartphone, dispositivi tecnologici che attirano l'attenzione distogliendola dal luogo fisico in cui troviamo. E' possibile essere al parco ma parlare con i nostri amici distanti, andare ad un concerto e fissare lo schermo del dispositivo con cui lo registriamo, essere a cena con qualcuno e contemporaneamente scrivere a molte altre persone. Anche se siamo al parco, al concerto, o a cena, la nostra attenzione in realtà è altrove.
La condizione della vita spirituale può essere simile a questa realtà. Anche se siamo nascosti con Cristo in Dio, la nostra attenzione può essere sulle nostre paure, sui nostri insuccessi, sulle nostre debolezze, sulle nostre sovrastrutture teologiche, sulla nostra carne, sui nostri peccati. La nostra attenzione, la nostra mente però deve essere concentrata sul luogo in cui realmente ci troviamo: in Dio. Solo realizzando il significato della nostra posizione spirituale, potremo vivere pienamente nel consiglio di Dio. Solo in questo modo potremo realizzare appieno il proposito del Signore per noi. Solo così vedremo cose che occhio non ha mai visto, udremo cose che orecchio non ha mai udito e conosceremo ciò che non è mai salito in cuor d'uomo: esattamente quello che Dio ha preparato per coloro che lo amano. 


Note:
[1] Le indicazione sui livelli interpretativi ebraici sono tratti da:
http://www.abem.it/app/download/7390753786/Albero+della+Torah+-+SCHEDA.pdf?t=1410720211
[2] Le indicazioni sul brano della vocazione di Isaia sono tratte da:
Renato De Zan, Isaia (Capitoli 1-39), Edizioni Messaggero Padova, pp. 85-97.

martedì 11 marzo 2014

La persecuzione dei figli della promessa

Nella lettera ai Galati, l'Apostolo Paolo scrive per riprendere queste comunità dalla pericolosa apertura dimostrata nei confronti di alcuni falsi dottori giudaizzanti che insegnavano la necessità di osservare la legge di Mosè ai fini della salvezza. Coinvolgendo in buona parte gli stessi temi della lettera ai Romani, egli dimostra tanto con l'Antico Testamento quanto con il ricordo delle rivelazioni e dimostrazioni spirituali che aveva già condiviso con loro, l'impotenza della legge e la superiorità della fede in Cristo, dalla quale scaturisce la vera libertà nello Spirito Santo. Fra i tanti esempi veterotestamentari che l'Apostolo riporta per convalidare il suo messaggio, troviamo anche quello di Ismaele, Isacco, Giacobbe ed Esaù. Attorno alle loro storie, testimoniate nella Genesi, egli tesse un importante insegnamento spirituale, di estrema profondità e attualità.
Ditemi, voi che volete essere sotto la legge, non prestate ascolto alla legge? Infatti sta scritto che Abraamo ebbe due figli: uno dalla schiava e uno dalla donna libera; ma quello della schiava nacque secondo la carne, mentre quello della libera nacque in virtù della promessa. Queste cose hanno un senso allegorico; poiché queste donne sono due patti; uno, del monte Sinai, genera per la schiavitù, ed è Agar. Infatti Agar è il monte Sinai in Arabia e corrisponde alla Gerusalemme del tempo presente, che è schiava con i suoi figli. Ma la Gerusalemme di lassù è libera, ed è nostra madre. Infatti sta scritto: «Rallègrati, sterile, che non partorivi! Prorompi in grida, tu che non avevi provato le doglie del parto! Poiché i figli dell'abbandonata saranno più numerosi di quelli di colei che aveva marito». Ora, fratelli, come Isacco, voi siete figli della promessa. E come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello che era nato secondo lo Spirito, così succede anche ora. Ma che dice la Scrittura? «Caccia via la schiava e suo figlio; perché il figlio della schiava non sarà erede con il figlio della donna libera». Perciò, fratelli, noi non siamo figli della schiava, ma della donna libera. Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù.Galati 4:21-31; 5:1 

Paolo vede in queste vicende un principio spirituale per la Chiesa, due stirpi spirituali che sono destinate ad incrociarsi nel tempo. Da una parte infatti ci sono i credenti, che come Isacco sono "figli della promessa", generati da Dio per adempiere le opere precedentemente preparate dal Signore (Ef 2:10). Dall'altra, invece, ci sono i figli della carne, che come Ismaele ed Esaù vengono privati dell'eredità spirituale della propria famiglia, e che si ritrovano a perseguitare per gelosia i figli della promessa. I primi sono figli della donna libera, della Gerusalemme celeste. I secondi invece sono figli della schiava, della Gerusalemme terrena. E' interessante notare che tutti i personaggi biblici sono parte delle rispettive famiglie (Ismaele era figlio di Abramo tanto quanto Isacco ed Esaù era fratello gemello di Giacobbe, entrambi figli di Isacco stesso), e non persone esterne ad esse. Così come i dottori giudaizzanti che avevano influenzato i Galati si proponevano come veri cristiani, veri dottori delle Scritture, e non come pagani o idolatri. L'insidia dei figli della carne dunque è sempre stata e sempre sarà all'interno del popolo di Dio, e non all'esterno. Certo, le false religioni, filosofie e dottrine proliferano nel mondo che non conosce Cristo, ma all'interno della chiesa visibile ci sono altrettanti pericoli che il Nuovo Testamento identifica con molta chiarezza. Quasi ogni epistola infatti presenta avvertimento ai falsi profeti, falsi apostoli, falsi dottori che escono di mezzo a noi (1 Giovanni 2:19), dimostrando così di non essere mai stati in realtà "dei nostri". 

Colui che è nato secondo la carne dunque, è destinato a perseguitare colui che è nato secondo lo Spirito, anche ai giorni nostri. Ovviamente la persecuzione di cui si parla può manifestarsi in molti modi diversi, nel caso dei Galati si era realizzata attraverso una serie di insegnamenti che allontanavano dalla fede e dalla grazia genuina di Dio per avvicinare invece all'idea che il proprio comportamento e l'osservanza dei precetti di Mosè fossero fondamentali per la vita cristiana. I credenti avevano dunque conosciuto Cristo con la potenza dello Spirito Santo ma avevano accettato questi insegnamenti, tornando ad una vita carnale, basata sulle propria forza al posto di quella di Dio. 

Questo principio spirituale è ben visibile anche nel resto della Scrittura, e testimoniato da Gesù stesso. Nel Vangelo secondo Matteo, per esempio, al decimo capitolo, il Signore conferisce agli Apostoli il potere di scacciare gli spiriti immondi e guarire miracolosamente ogni malattia, affidando loro l'incarico di predicare alla casa d'Israele che "il regno di Dio è vicino". Dopo aver dato loro delle precise indicazioni pratiche però, li mette in guardia dalle persecuzioni che da lì a poco sarebbero cominciate.

«Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini; perché vi metteranno in mano ai tribunali [nell'originale: "sunedrion", i sinedri] e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per servire di testimonianza davanti a loro e ai pagani. 
[...]Un discepolo non è superiore al maestro, né un servo superiore al suo signore. Basti al discepolo essere come il suo maestro e al servo essere come il suo signore. Se hanno chiamato Belzebù il padrone, quanto più chiameranno così quelli di casa sua! Non li temete dunque; perché non c'è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di occulto che non debba essere conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e quello che udite dettovi all'orecchio, predicatelo sui tetti. E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perire l'anima e il corpo nella geenna. Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri. Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua. Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me. Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Matteo 10:16-18; 24-39 
Queste raccomandazioni del Signore, sono inserite in un contesto ben preciso: quello del popolo di Israele. La persecuzione profetizzata infatti, parte dalle sinagoghe, dai luoghi religiosi ebraici, per poi essere estesa ai governatori ed ai re, e coinvolgere in un secondo momento anche i pagani. Gli ebrei hanno chiamato Belzebù il Signore stesso. Hanno scambiato Dio per Satana, tanto erano mancanti di ogni discernimento spirituale. E se hanno scambiato Cristo per il demonio, a maggior ragione chiameranno così ogni Suo vero discepolo. La cosa triste però è che questa persecuzione non è confinata al mondo pagano ma al contrario coinvolge in prima persona il popolo di Dio. Proprio coloro che dovrebbero conoscere meglio di chiunque altro il Signore, si sono ritrovati a perseguitare coloro che Lo conoscevano davvero. E questo, Paolo lo sapeva bene. Egli infatti era nel numero dei persecutori, nel numero dei "figli della carne".
Il martirio di Stefano, Pietro da Cortona.
Infatti voi avete udito quale sia stata la mia condotta nel passato, quand'ero nel giudaismo; come perseguitavo a oltranza la chiesa di Dio, e la devastavo; e mi distinguevo nel giudaismo più di molti coetanei tra i miei connazionali, perché ero estremamente zelante nelle tradizioni dei miei padri. Ma Dio che m'aveva prescelto fin dal seno di mia madre e mi ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché io lo annunciassi fra gli stranieri. Galati 1:13-16a 
Paolo perseguitava la Chiesa, distinguendosi più di molti altri connazionali, ma l'azione sovrana di Dio lo ha chiamato mediante la Sua grazia, manifestandolo come "figlio della promessa", anche se agli occhi di tutti è stato per lungo tempo un persecutore della Chiesa, un "figlio della carne".

Nel brano di Matteo, il Signore indica una serie di cose ben precise, che si potrebbero riepilogare nel seguente modo:

1) La persecuzione dei credenti che conoscono il Signore da parte di quelli che non lo conoscono davvero, è normale

2) Tutto il consiglio di Dio, tutto il Vangelo va predicato ugualmente.

3) Non bisogna temere per la propria vita, perché Dio è sovrano e ricompenserà coloro che non Lo rinnegheranno. 


4) Seguire fedelmente il Signore può significare trovarsi divisi dalla propria madre, dal proprio padre, dalla propria famiglia. E non necessariamente perché gli altri componenti della famiglia non sono credenti.

In tutto questo però, c'è speranza. I figli della promessa sono chiamati a vincere il male con il bene, vincere la persecuzione dei figli della carne con la preghiera e le armi spirituali. C'è speranza che qualcuno di quelli che perseguitano i figli della promessa siano loro stessi del Signore, e che debbano ancora incontrarlo per la prima volta sul serio. 
Evita inoltre le dispute stolte e insensate, sapendo che generano contese. Il servo del Signore non deve litigare, ma deve essere mite con tutti, capace di insegnare, paziente. Deve istruire con mansuetudine gli oppositori nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità, in modo che, rientrati in se stessi, escano dal laccio del diavolo, che li aveva presi prigionieri perché facessero la sua volontà.2 Timoteo 2:23-26 
Gli oppositori di cui Paolo parla con Timoteo, sono alcuni di quelli che hanno "deviato dalla verità", come si capisce leggendo tutto il secondo capitolo di questa epistola. Imeneo e Fileto, per esempio, che nomina apertamente. Ma, continua l'Apostolo, il solido fondamento di Dio rimane fermo portando questo sigillo: «Il Signore conosce quelli che sono suoi». Il servo del Signore deve applicare il discernimento, ma non deve giudicare, perché il giudizio appartiene a Dio e soltanto Lui conosce quelli che sono suoi. Noi non possiamo sapere se ai nostri oppositori sarà concesso dal Signore di ravvedersi oppure no, e per questo motivo dobbiamo istruire con mansuetudine ogni oppositore. Ed ancora una volta, Paolo non parla di oppositori pagani, ma cristiani! Come l'Apostolo stesso fu chiamato da Dio sulla via di Damasco quindi, anche altri oppositori possono ravvedersi e portare gloria a Dio, per questo motivo la Scrittura esorta a pregare e ad istruire con mansuetudine: due facce dello stesso combattimento della fede.

Conclusione

I credenti saranno sempre perseguitati da persone carnali, che pensano tuttavia di essere spirituali e di rendere un servizio a Dio, e questo si può vedere chiaramente in tutte le Scritture.

Per questo motivo è necessario impegnarsi nella predicazione del vangelo, nella preghiera e nell'insegnamento, sperando che Dio conceda agli oppositori di ravvedersi e vincere in questo modo "il male con il bene".


Bisogna inoltre impegnarsi a vegliare nel discernimento, per non cadere preda di false dottrine e ricadere nuovamente sotto il giogo della schiavitù.

In tutto questo inoltre, il Signore conosce i Suoi, e conosce ogni sofferenza ed ingiustizia subita. Egli saprà riconoscere ogni vero credente davanti al Padre al momento opportuno. Ognuno infatti avrà la sua ricompensa.
Vita eterna a quelli che con perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità; ma ira e indignazione a quelli che, per spirito di contesa, invece di ubbidire alla verità ubbidiscono all'ingiustizia. Tribolazione e angoscia sopra ogni uomo che fa il male; sul Giudeo prima e poi sul Greco; ma gloria, onore e pace a chiunque opera bene; al Giudeo prima e poi al Greco; perché davanti a Dio non c'è favoritismo.Romani 2:7-11

mercoledì 5 marzo 2014

L'amore paziente di Dio

Maria, invece, se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, lì dov'era stato il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l'abbiano deposto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l'ortolano (= kēpouros), gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò». Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di' loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro"». Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose.
Giovanni 20:11-18 

In questo brano del vangelo secondo Giovanni, troviamo una descrizione del primo incontro di Maria Maddalena con il Signore dopo la Sua resurrezione. Dopo aver parlato con due angeli, Maria vede Gesù, ma non lo riconosce subito. Solo quando Egli la chiama per nome, lei si rende conto di star parlando con il Signore. Nel momento in cui Cristo è resuscitato, appare diverso, nonostante sia sempre Lui. L'autore biblico ce lo ricorda anche questa volta.

L'Apostolo Giovanni in questo contesto crea una scena unica, aggiungendo nuovi livelli di significato celati dietro due particolari espressioni che vengono utilizzate nel brano, e che alludono al Cantico dei cantici. 

La prima espressione si può trovare nel sostantivo che la traduzione Nuova Riveduta (versione del 1994) rende con "ortolano". Nel testo originale infatti troviamo il termine kēpouros, che letteralmente sarebbe "il custode del giardino", "il giardiniere". Il tema del giardino è appunto ricorrente nel Cantico, e designa il corpo dell'amata. Lo troviamo per esempio in questo versetto, che esalta la verginità della protagonista:

O mia sorella, o sposa mia, tu sei un giardino serrato,
una sorgente chiusa, una fonte sigillata.
Cantico dei Cantici 4:12 

La scena della resurrezione acquisisce quindi un ulteriore piano di lettura, un nuovo significato spirituale. Davanti ai nostri occhi si dipana una scena nuova: il Signore risorto viene presentato come il dodì, "l'amato" del Cantico. Colui che ha nel proprio appellativo la radice del nome di Davide, il più illustre antenato del Messia. 

Il brano però evidenzia anche una seconda espressione, resa nelle parole di Gesù "non trattenermi", o "non toccarmi". Il Cantico dei cantici infatti è permeato dalla ricerca reciproca dei protagonisti, ricerca che raggiunge l'apice nella drammatica scena del quinto capitolo.

"Per Giovanni dunque, Gesù è il Messia-Sposo che si sottrae non per scomparire, ma per dare tempo all'amore di trovarlo."1 

Il tempo del Signore era giunto: il tempo di salire al Padre. Ma non era ancora giunto il tempo delle nozze dell'Agnello (cfr. Apocalisse 19), non era ancora il tempo della pienezza dei gentili (cfr. Romani 11), non era il tempo della totalità degli eletti di Dio. Cominciava invece il tempo della Chiesa, il tempo in cui conoscere e ricercare l'amore del Signore, per poterlo infine raggiungere al Suo ritorno.

1 Corinzi 13:4a L'amore è paziente [...]

2 Pietro 3:9 Il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento. 

L'amore di Dio è paziente verso di noi. E' paziente nel "conquistarci", è paziente nelle nostre debolezze, è paziente nell'attesa che tutti gli eletti giungano al ravvedimento. Dal momento in cui il Signore è salito al Padre, intercede per noi (Romani 8:34) per realizzare in pieno il Suo proponimento. Egli è un Dio geloso (2 Corinzi 11:2), la Sua gelosia però non è frenetica ma è una gelosia paziente. E' una gelosia che non viene ben rappresentata da quella umana, proprio perché nella sua connotazione divina è piena di amore. La gelosia di Dio è una gelosia che brama il meglio per noi. E' una gelosia che comprende i nostri limiti e che ci mostra passo dopo passo come poter vivere nella pienezza di vita e non nella schiavitù del peccato e della morte. E' una gelosia che desidera il nostro amore disinteressato, per ristabilirci nella nobile posizione che il Signore aveva pensato per noi.

In questo si è manifestato per noi l'amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo affinché, per mezzo di lui, vivessimo. In questo è l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha tanto amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.
1 Giovanni 4:9 

L'amore sta nel fatto che il Signore ha amato noi, affinché potessimo vivere e ricambiare il Suo amore. Se Dio ci ha tanto amati però, noi dobbiamo anche amarci gli uni gli altri, perché questo è il riscontro più genuino dell'incontro avuto con il Suo amore. Incontrando l'amore di Dio possiamo cercarlo e conoscerlo sempre di più, e condividerlo gli uni con gli altri. 

Una relazione di coppia è al massimo del suo splendore quando i due cercano rispettivamente il meglio per l'altro. Questo è vero anche nelle altre relazioni sociali, ed è specchio della relazione tra il Signore e la Chiesa (Efesini 5:22-33). Alla base di queste tre situazioni però, vi è proprio l'amore paziente. L'attesa dell'altro, l'attesa che l'altro sia pronto a vivere i nostri sentimenti e pensieri, per poter condividere pienamente noi stessi. Si potrebbe illustrare questo concetto con due strumenti musicali che si accordano contemporaneamente. Il primo strumento viene accordato prima, ma aspetta anche il secondo per poter rendere al meglio l'armonia complessiva. Il Signore non ha bisogno di noi per essere completo, perché è completo in sé stesso, ma per noi la situazione è differente. Solo quando siamo in comunione con Lui infatti possiamo dire di essere pienamente realizzati. E questo è esattamente ciò che attende pazientemente, per ogni singolo credente. 

L'esortazione dunque è quella di riflettere sul grande amore di Dio, e di vivere questo amore nella preghiera e nella nostra quotidianità. Più questa realtà sarà nella nostra vita, più saremo capaci di condividerla con gli altri. Adempiendo appieno lo scopo di Dio per la Sua Chiesa.   


Citazione:

[1] Pier Luigi Galli Stampino e Elena Lea Bartolini De Angeli, Parola & parole, Periodico dell'Associazione Biblica della Svizzera Italiana, Settembre 2013 - Numero 14, p. 76.
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