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martedì 25 marzo 2014

La potatura dei tralci


Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più.
 
Giovanni 15:1,2 

In questo importante ed intenso brano, il Signore Gesù offre ai discepoli un ultimo insegnamento prima di metterli in guardia dalle persecuzioni che stavano per arrivare anche a loro, ed andare verso la passione. 

Raccogliendo un'immagine veterotestamentaria, Cristo si presenta come la vera vite, ed identifica il Padre come il vignaiuolo. Ogni tralcio che non dà frutto, Egli lo toglie. Il verbo greco utilizzato nei testi originali è airō, che significa letteralmente "sollevare", e nel contesto indica appunto una rimozione. Ogni tralcio che dà frutto invece, viene potato, affinché dia più frutto. Questo secondo verbo nell'originale è reso con kathairō e significa proprio "potare i germogli inutili", oppure "purificare dalle impurità". Risulta evidente un certo gioco di parole tra airōkathairō.

kathairō
Il termine kathairō compare solo un'altra volta nel Nuovo Testamento, utilizzato dalla Lettera agli Ebrei nel seguente brano:

La legge, infatti, possiede solo un'ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose. Perciò con quei sacrifici, che sono offerti continuamente, anno dopo anno, essa non può rendere perfetti coloro che si avvicinano a Dio. Altrimenti non si sarebbe forse cessato di offrirli, se coloro che rendono il culto, una volta purificati, avessero sentito la loro coscienza sgravata dai peccati? Ebrei 10:1,2 

In questo contesto, l'autore biblico rivela che l'osservanza della legge di Mosè non può rendere perfetti gli adoratori, i ministri di Dio. Altrimenti essi avrebbero sentito le loro coscienze sgravate dai peccati dopo aver compiuto tutti i sacrifici prescritti. Invece non è stato così, ed i sacrifici sono dovuti continuare, fino al momento in cui è arrivato il sacrificio perfetto di Cristo.

Nel secondo versetto, 
kathairō compare tradotto con "purificati", e identifica appunto le persone che rendono il culto secondo la legge, una volta che sono state purificate dalla loro obbedienza ai precetti. 

Ritengo che questa ricorrenza possa contribuire ad arricchire di significati anche il brano del vangelo di Giovanni, conferendo più spessore alle stesse parole di Gesù. I due testi sono molto differenti tra di loro per autore, stile e scopo, ma accostandoli possono rivelare una "divina somiglianza", spiegandosi quindi vicendevolmente.

Gesù è la vera vite, ed il Padre è il vignaiuolo. Ogni tralcio che dà frutto, viene purificato. Così come l'osservanza della legge mosaica purificava i figli di Israele, allo stesso modo l'opera del Padre nella vita dei credenti ha lo scopo di purificarli. Ma non solo. La legge infatti non può rendere perfetti coloro che si avvicinano a Dio, ma la Grazia di Dio può farlo. La disciplina dello Spirito Santo può intervenire, secondo la volontà del Padre, per esortare, incoraggiare, riprendere, correggere e raddrizzare, al fine di rendere perfetti i figli di Dio. Questa è l'opera di santificazione, un'opera che passa dalla sofferenza, ma che è portata avanti in modo sovrano dal Signore stesso (1Ts 5:23). 

Proverbi 17:3 Il crogiuolo è per l'argento e il fornello per l'oro,
ma chi prova i cuori è il SIGNORE.

Le persone che il Signore purifica, secondo il brano iniziale, portano già frutto. Ma lo scopo di Dio è che ne portino di più. Quanto di più? 


Il vignaiuolo sa quanto frutto può portare un tralcio messo nelle giuste condizioni, a maggior ragione il Padre sa quale sia il giusto frutto che ciascuno di noi può portare. Egli sa anche come è meglio intervenire affinché si porti un frutto maggiore. Può essere attraverso una convinzione di peccato, attraverso una riprensione da parte dello Spirito Santo, ma anche attraverso le vicende quotidiane che ci portano in situazioni nelle quali dobbiamo imparare a perdonare, a chiedere scusa, a prendere consapevolezza di alcune parti del nostro carattere che non conoscevamo. 

Questa purificazione sicuramente non è un processo facile, né indolore: del resto neanche la potatura lo è per le piante. E' necessario abbandonare quella parte di sé che ostacola la propria crescita. Il limite maggiore per la crescita infatti è rappresentato proprio da noi stessi, dal nostro ego, dal nostro "uomo vecchio", ossia non rigenerato (Ef 4:22, Col 3:9). Tutte queste cose contribuiscono alla purificazione, alla potatura di cui parlava Cristo ai discepoli. Più avanti, nel quindicesimo capitolo del vangelo di Giovanni, il Signore continuerà il Suo insegnamento esplicitando che l'unico modo per portare frutto è accogliere la Sua parola (v.3) e dimorare in Lui (v.4).
Solo dimorando il Lui si può avere la forza di rinnegare sé stessi, e prendere la propria croce. Rinnegare il proprio ego e prendere il peso spirituale che ci è dovuto per portarlo a compimento e realizzare appieno la volontà di Dio. Questo percorso di vita però non è fine a sé stesso, non è semplice mortificazione, o privazione. E' invece coraggio, conquista, consapevolezza della propria vera identità, gioia, pace, speranza, realizzazione. E' abbandonare qualcosa, per abbracciare molto di più: il motivo della nostra stessa esistenza.

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