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martedì 18 marzo 2014

Il (primo) soggiorno di Paolo a Corinto


Nel 51 d.C., la città di Corinto - nella Grecia centro-meridionale - era ufficialmente una colonia romana. Probabilmente non mostrava più i fasti che precedettero la sua distruzione del 146 a.C., ma il tempo e le circostanze avevano dato una seconda possibilità a questa città, ora colonia dell'Impero, popolata da numerosi cittadini romani.

In questo tempo, intorno al 51, Paolo di Tarso raggiunse Corinto. Come sua consuetudine iniziò a predicare nella sinagoga del posto, ma l'opposizione ricevuta lo persuase ad andare a parlare del vangelo di Dio ai cittadini pagani, che non erano di origini ebraiche.
Molti Corinzi, udendo, credevano e venivano battezzati. Una notte il Signore disse in visione a Paolo: «Non temere, ma continua a parlare e non tacere; perché io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male; perché io ho un popolo numeroso in questa città». Ed egli rimase là un anno e sei mesi, insegnando tra di loro la Parola di Dio. Atti 18:8b-11
In modo simile a Giosuè, Paolo ricevette una parola speciale da parte del Signore. "Non temere", "io sono con te", "ho un popolo numeroso in questa città": un popolo numeroso da conquistare. Mentre Paolo prolungava il suo soggiorno a Corinto, pensò di scrivere ad un'altra comunità che aveva fondato pochi mesi prima, a Tessalonica, comunità composta da Giudei, Greci pii e da molte donne delle famiglie più importanti (Atti 17:4). A loro, tra le altre cose, rivolse queste parole:

Siate sempre gioiosi; non cessate mai di pregare; in ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito. Non disprezzate le profezie; ma esaminate ogni cosa e ritenete il bene; astenetevi da ogni specie di male. Or il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l'intero essere vostro, lo spirito, l'anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Fedele è colui che vi chiama, ed egli farà anche questo.
1 Tessalonicesi 5:16-24 

La prima lettera ai Tessalonicesi è il più antico scritto del Nuovo Testamento. A causa della sua scarsa lunghezza è posizionata tra le ultime lettere dell'Apostolo Paolo nel canone biblico, ma cronologicamente precede tutte le altre epistole e tutti i vangeli. Qui Paolo per la prima volta nomina l'amore fraterno (4:9), tema che contraddistinguerà tutta la sua vita ed il suo ministero. A questo riguardo - egli dice ai Tessalonicesi - "non avete bisogno che io ve ne scriva, giacché voi stessi avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e veramente lo fate verso tutti i fratelli che sono nell'intera Macedonia."
Questi fratelli e sorelle da pochi mesi nella fede, già dimostravano un profondo amore per i santi. Non solo per coloro che erano nella loro comunità, ma anche per quelli più distanti, che erano nell'intera Macedonia. Un amore genuino, un amore naturale. Una comunità sana, fondata con amore ed edificata giorno dopo giorno con lo stesso amore di Paolo e di tutti i fratelli coinvolti.  A questa comunità, l'Apostolo scrive esortando alla gioia spirituale, all'attenzione verso una preghiera incessante, alla considerazione dello Spirito Santo e delle profezie. Era una chiesa la cui fede era già rinomata in ogni luogo (1:8), e per essere sicuro che continuasse a crescere, Paolo pensò di fare queste ultime raccomandazioni finali. Sono indicazioni cariche di affetto, scritte sicuramente con il genuino desiderio di vedere progredire sempre di più la salute spirituale della comunità. La gioia, la costanza nella preghiera, la gratitudine a Dio, la libertà dello Spirito, la considerazione delle profezie e l'allontanamento dal male. Cinque aspetti che avrebbero garantito la piena manifestazione della grazia di Dio nella vita di questi fratelli e di queste sorelle. 

Nelle strade di Corinto, Paolo si rallegrava della crescita dell'opera di Dio e desiderava confortare e sostenere tutti i credenti che aveva portato a Cristo, soprattutto quelli di Tessalonica, che con la loro fede avevano contribuito rafforzare la sua gioia nel Signore.

Forse, diversamente dai Tessalonicesi quando ricevettero questa lettera, siamo credenti da ben più di qualche mese, ma queste esortazioni sono ugualmente rivolte anche a noi. La gioia è presente nella nostra vita? Se non è così, ricerchiamola nella comunione con lo Spirito Santo. Preghiamo continuamente? Se non lo facciamo, vuol dire che non ci troviamo a nostro agio nel farlo, e questo significa che c'è qualcosa da migliorare nel nostro rapporto con il Signore. Chiediamo a Lui in modo semplice una maggiore rivelazione del significato, dello scopo e del diletto che avvolgono un'intensa vita di preghiera. Chiediamo al Signore di rinnovare la nostra mente, di uscire dallo schema mentale di elenchi e richieste per entrare nella libertà dello Spirito e ricevere dal Signore stesso indicazioni su come per per cosa pregare. Preghiamo le preghiere dello Spirito. Eliminiamo ciò che si frappone tra noi e l'ascolto attivo dello Spirito Santo, per vivere nella piena libertà spirituale. Non lasciamoci scoraggiare dai nostri paradigmi, dai nostri preconcetti, ma sforziamoci di mantenere la sufficiente apertura mentale necessaria per vagliare ed esaminare ogni profezia, da chiunque essa provenga. Il Signore spesso parla in modi sorprendenti. Non lasciamoci sfuggire questa benedizione. Asteniamoci dal male. E, sopra ogni cosa, affidiamo ogni giorno la nostra vita a Colui che ci ha chiamato, e che porterà senz'altro a termine la Sua opera nella nostra vita. Il vero problema per ogni credente non è il peccato, non è il fallimento o l'inadempienza, ma l'attitudine di raggiungere gli obiettivi di Dio con le proprie forze. Quando ci sentiamo stanchi, riposiamoci: ma riposiamoci nel Signore. Invochiamo la Sua presenza anche nella solitudine della nostra stanza, anche e soprattutto quando non abbiamo nulla da dare. Perché proprio in questo momento, riceveremo. Proprio in questo momento, il Signore potrà portare avanti il progetto di santificazione che ha per noi. La Sua santità nella nostra vita. Perché, al contrario, (la nostra presunta santità sostenuta davanti al Signore) le cose non funzionano(cfr. Luca 18:10-14).

Fedele è colui che ci chiama, ed egli farà anche questo.

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