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martedì 26 novembre 2013

Martin Lutero e la nascita della Riforma

Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono - infatti non c'è distinzione:  tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio - ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo GesùRomani 3:21-24 
Martin Lutero nasce nel 1483 in una regione della Germania orientale. Inizia a studiare filosofia e diritto, ma un evento accaduto nel 1505 cambia drasticamente la sua vita. Mentre era in viaggio infatti, viene sorpreso da una violenta bufera; temendo per la sua vita, Martin fa un voto: promette di farsi monaco se sopravviverà a quel pericoloso momento. 
Superando la tempesta, decide di entrare nell'ordine dei monaci agostiani, ricevendo l'ordinazione come sacerdote nel 1507.
L'abate e teologo von Staupitz nota da subito il suo potenziale, suggerendolo come docente al principe elettore Federico III di Sassonia, che aveva appena fondato l'Università di Wittemberg. Già dall'anno successivo iniziò qui a insegnare e approfondire i suoi studi di teologia. Lutero è ossessionato dal problema della salvezza dell'anima. Come può l'uomo sapere se, compiendo buone opere, sta uniformandosi alla volontà di Dio? Questa domanda vortica nella sua mente tormentandolo per parecchi anni attraverso un lungo percorso di ricerca spirituale. Nel 1513, mentre meditava giorno e notte su questo tema, d'improvviso colse il nesso su due importanti passi della Lettera ai Romani, iniziando a intendere la giustizia di Dio come la giustizia per la quale il giusto vive in virtù del dono di Dio ricevuto per fede. Questa scoperta conduce Lutero verso l'elaborazione di una nuova teologia. In un contesto religioso permeato dalla simonia, egli mette a fuoco l'insegnamento biblico relativo al perdono gratuito di Dio per l'uomo peccatore irrimediabilmente corrotto dal peccato, offerto come dono grazie al sacrificio di Cristo. Approfondendo lo studio della Bibbia, si consolida questo pensiero, arrivando alla prima formulazione della dottrina della giustificazione per fede. All'inizio del 1514, Alberto del Brandeburgo si candida ad arcivescovo di Magonza, per il quale insediamento gli viene richiesto di versare un'elevatissima tassa. Alberto si rivolge a dei banchieri per avere un prestito, e proprio per estinguere questo debito, il papa concede che in quel territorio venga proclamata un'indulgenza il cui ricavato andrà per l'appunto per metà ad Alberto e per l'altra metà nel fondo per la costruzione della basilica di San Pietro. A coloro che versano un'offerta viene promessa la libera scelta del confessore, la liberazione delle anime dei loro cari dal purgatorio, e la remissione completa di tutti i peccati. Profondamente indignato da questo mercanteggiare, Lutero il 31 Ottobre del 1517 affigge sul portone della chiesa del nuovo arcivescovo di Magonza 95 tesi nelle quali sfida la Chiesa cattolica romana sulla natura delle penitenze, l'autorità del papa e l'utilità delle indulgenze. Come conseguenza, viene emanata la bolla pontificia Exsurge Domine, che condanna 41 tesi e concede a Martin Lutero due mesi per fare atto di sottomissione, pena la scomunica. La sua risposta pubblica avviene il 10 Dicembre 1520, quando a Wittemberg egli brucia pubblicamente la bolla e i volumi del diritto canonico.  



Nella primavera del 1521, Lutero viene convocato davanti alla Dieta di Worms dal nuovo imperatore Carlo V di Asburgo, dove ancora una volta rifiuta di trattare:
«A meno che non venga convinto da testimonianze delle scritture o
da ragioni evidenti — poiché non confido né nel Papa, né nel solo Concilio, poiché è certo che essi hanno spesso errato e contraddetto loro stessi — sono tenuto saldo dalle scritture da me addotte, e la mia coscienza è prigioniera dalla parola di Dio, ed io non posso né voglio revocare alcunché, vedendo che non è sicuro o giusto agire contro la coscienza. Dio mi aiuti. Amen.»
 Lutero viene messo al bando dall'Impero, ma durante il viaggio di ritorno alcuni soldati di Federico di Sassonia fingono un rapimento e lo conducono nel castello di Wartburg, dove rimane nascosto per quasi un anno. Qui, continua a scrivere numerosi trattati accomunati dalla critica complessiva e radicale della Chiesa di Roma, della liturgia cattolica e del clero. All'istituzione umana della chiesa visibile, egli contrappone la Chiesa invisibile, l'insieme di credenti sinceri che accettano la Parola di Dio. Il 3 Gennaio 1521 con la bolla Decet Romanum Pontificem, papa Leone X scomunica Lutero con l'accusa di eresia. Nel 1522 Lutero pubblica la traduzione del Nuovo Testamento in tedesco. I suoi scritti riscuotono immediatamente un grande successo, diffondendosi velocemente in tutta la Germania. Fattori religiosi, sociali, politici ed economici si intrecciano a suo favore aumentando velocemente il numero dei suoi seguaci e di nuovi convertiti alla sobria verità del Vangelo. Le sue idee però si allargano anche all'intera Europa grazie alla propaganda dei suoi discepoli diffusa tramite appassionate prediche, oltre che attraverso la stampa dei trattati e libri di Lutero. Anche la musica e le arti figurative però rivestono un ruolo di primo piano, facendo breccia soprattutto nei credenti più semplici e analfabeti. Progressivamente sempre più città si rifiutano di applicare l'Editto di Worms, che condanna Lutero, abbracciando questo nuovo movimento.

Tra il 1524 e il 1525, all'apice dei contrasti, si consuma la rottura tra Riforma luterana e Umanesimo: Lutero ed Erasmo da Rotterdam si confrontano
principalmente sul tema del libero arbitrio. Erasmo sostiene la tesi che l'uomo sia dotato di libero arbitrio e che questo lo renda nella condizione di contribuire alla propria salvezza. La risposta del riformatore fu pubblicata nel libro "De servo arbitrio", dove prepara la sua confutazione affrontando l'argomento attraverso le Scritture, la riflessione sul potere umano, e il concetto di predestinazione. Leggiamo un estratto:
Che può l’uomo? Per essere corretta, la domanda deve essere espressa così, in termini assoluti, non relativi (che può, grazie a Dio, l’uomo?). Si parla infatti di forza di libero arbitrio, non di forza della grazia. Conseguentemente, soprattutto tre motivi dimostrano che l’uomo non può fare niente: solo Dio possiede il libero arbitrio, perché solo lui “può e fa” ed è dunque solo attraverso Lui che l’uomo può fare qualcosa; se noi, poi, attribuiamo all’uomo una qualche capacità d’azione nell’opera della salvezza, allora viene meno il fondamento della sua beatitudine che posa sul Cristo, che si sarebbe quindi sacrificato inutilmente e altrettanto inutilmente avrebbe inviato lo Spirito Santo (se Cristo ha redento gli uomini con il suo sangue, dobbiamo pur credere che l’uomo era completamente perduto, altrimenti renderemmo Cristo superfluo!); e infine: dal momento che c’è grazia, non può esserci libero arbitrio.
Nel 1526 Lutero fissa per la prima volta in modo completo la liturgia destinata a sostituire la messa cattolica, completando nel 1529 il "grande catechismo" dedicato agli adulti e il "piccolo catechismo" dedicato ai bambini. Il culto luterano, celebrato progressivamente solo in tedesco, si fonda su tre movimento fondamentali: la predicazione (inteso come commento dei vangeli), il canto dei cantici spirituali (molti dei quali composti da Lutero stesso) e la cena (la comunione espressa con il pane e il vino). L'appoggio del principe elettore di Sassonia, permette di ispezionare e organizzare le parrocchie secondo il nuovo modello. Quando l'imperatore Carlo V convoca una nuova dieta per frenare l'avanzata della Riforma ed esigere l'applicazione dell'Editto di Worms è già troppo tardi: due terzi delle città dell'impero hanno ormai rotto con la Chiesa di Roma. Quattordici città e sei prìncipi si oppongono all'ordine imperiale e fondano la Lega luterana di Smalcalda.

Martin Lutero muore a Eisleben il 18 febbraio 1546, lasciando in eredità una corrente religiosa che sembrava impensabile solo fino a pochi decenni prima. Le sue idee continuarono a vivere nella professione di fede Luterana, formando il substrato su cui si svilupparono in seguito tutte le denominazioni del cristianesimo protestante.
« (Dio) Mi ha dato vestiti e scarpe, mangiare e bere, casa, moglie e figlio, campo, bestiame e tutti i beni... e tutto questo senza merito né dignità alcuna da parte mia, per pura, paterna, divina misericordia. Per tutto questo io devo ringraziarlo e lodarlo, servirgli e obbedirgli.»(M. Lutero, Scritti religiosi)


Bibliografia

La Riforma
Lutero, Calvino e i protestanti. Olivier Christin. Ed. Universale Electa/Gallimard

Teologia Cristiana. Alister E. McGrath. Ed. Claudiana

domenica 24 novembre 2013

I passi dell'uomo li dirige il Signore


Proverbi 20:24 I passi dell'uomo li dirige il SIGNORE;
come può quindi l'uomo capire la propria via?



Credo che ciascuno di noi si sia posto almeno una volta nella vita l'interrogativo sul senso di molte esperienze vissute, perlopiù dolorose. "Perché è successo?", ma anche "in che direzione sta andando la mia vita?". A volte infatti la risolutezza delle nostre decisioni porta a conseguenze ben precise che possiamo far risalire a noi stessi. E questo rassicura. Sapere che esiste una legge "causa-effetto" ci pone nella condizione di poter intervenire in qualsiasi situazione e causare quello che desideriamo. Molto spesso però le cose non accadono in questo modo, e attraversiamo circostanze che sono molto al di sopra della nostre possibilità, provocate da "cause di forza maggiore". Nel corso della storia, gli uomini hanno tentato di spiegare queste situazioni in molteplici modi. Alcuni pensano che gli avvenimenti sul mondo siano completamente casuali, la dottrina induista crede che invece siano guidati dal principio del karma (e che quindi, nel piccolo come nel grande, tutto dipenda dalle scelte morali della persona nella sua vita e nelle sue vite precedenti), altri pensano che tutto quello che è sofferenza è causato dagli uomini, in modo molto più pragmatico e meno spirituale. C'è chi crede in un destino impersonale, chi incolpa esclusivamente Satana del male del mondo e chi invece si affida con semplicità alla provvidenza di Dio. 

Ma la Bibbia, che cosa afferma a questo proposito?
Sicuramente l'escursus biblico su questo tema risulta essere molto lungo ed elaborato, attraversando migliaia di anni e decine di libri, autori e pensieri teologici diversi. Nell'articolo sulla storia della teodicea si può vedere l'ampiezza di pensiero - storico, oltre che biblico - su questo tema. In questo contesto invece, il mio scopo non è sicuramente esaurire l'argomento ma piuttosto offrire un piccolo spunto di riflessione.

Il versetto di apertura annuncia una verità biblica. Una verità semplice ma spesso sottaciuta. In una società che idolatra il libero arbitrio, il pensiero che i passi dell'uomo possano essere diretti dal Signore è osteggiato persino da molti credenti. Ma, in fondo, quello che la Bibbia afferma è esattamente questo. In un celebre discorso ai neolaureati dell'Università di Stanford, Steve Jobs ripercorre dei "punti", delle esperienze della sua vita, offrendo chiavi di lettura che ha potuto scoprire soltanto dopo parecchi anni. Una di queste chiavi di lettura del discorso riguarda "l'unire i puntini". Paragona la sua vita al gioco in cui bisogna unire i puntini sul foglio in sequenza raggiungendo infine un disegno che prima era nascosto. Racconta eventi della sua vita che non hanno avuto alcun senso fino a quando, d'improvviso, sono serviti. E dell'influenza che questi eventi inizialmente insignificanti hanno avuto sulla sua vita, sulla sua azienda, e a cascata su tutti gli utenti dei suoi prodotti. Steve Jobs fu educato alla fede cristiana luterana ma nella sua vita ha mostrato un avvicinamento alle filosofie buddiste, e nel discorso è visibile un certo sincretismo. Chi pone la sua fede nelle Scritture tuttavia, non può far altro che giungere alla conclusione che è Dio stesso a condurre le vite delle persone, non una divinità vaga e sconosciuta ma al contrario un Dio personale e ben conosciuto. Troppo spesso viene negata la sovranità di Dio. 
Troppo spesso, come la persona nella foto all'inizio dell'articolo, si cammina a piedi nudi sul ciglio di una strada senza riconoscere che lì, a pochi passi, c'è una strada! Una strada costruita dal Signore per la nostra vita, una strada che comprende delle opere precedentemente preparate per noi (Efesini 2:10), una strada che comprende una chiamata, una giustificazione, e una glorificazione pianificate da Dio (Romani 8:30).
Questa strada è frequentemente invisibile ai nostri occhi, ed è pienamente conosciuta solo dal Signore, ma la cosa importante è che esiste. E che è per noi. Il versetto iniziale pone un'interrogativo vecchio come il mondo ma quanto mai attuale: "come può l'uomo capire la propria via?" La risposta implicita è: "non può". L'uomo non può capire la propria via, non può conoscere fino in fondo la propria strada ma può essere consapevole di essere diretto dal Signore e trarre da questa consapevolezza la fede per poter camminare a passo spedito, accelerare sempre di più ed infine correre per conseguire il premio (1 Cor 9:24). 

E Paolo, stando in piedi in mezzo all'Areòpago, disse:
«Ateniesi, vedo che sotto ogni aspetto siete estremamente religiosi. Poiché, passando, e osservando gli oggetti del vostro culto, ho trovato anche un altare sul quale era scritto: Al dio sconosciuto. Orbene, ciò che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annuncio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d'uomo; e non è servito dalle mani dell'uomo, come se avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa. Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. Difatti, in lui viviamo, ci moviamo, e siamo, come anche alcuni vostri poeti hanno detto: "Poiché siamo anche sua discendenza". Essendo dunque discendenza di Dio, non dobbiamo credere che la divinità sia simile a oro, ad argento, o a pietra scolpita dall'arte e dall'immaginazione umana. Dio dunque, passando sopra i tempi dell'ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell'uomo ch'egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti, risuscitandolo dai morti»
Atti 17:22-31 

Il Signore ha dato a tutti la vita, il respiro ed ogni cosa. Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini determinando epoche e confini a tutte le nazioni affinché cerchino Dio come a tastoni. Chi non conosce Dio è come se fosse bendato, cercandolo come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. Chi lo conosce però è chiamato a camminare con Lui. E' chiamato a prendere consapevolezza della propria strada e a percorrerla con risolutezza. E quel che accade senza alcun motivo apparente? E le circostanze avverse che si presentano nella vita dei credenti? Il dolore, il lutto, la sofferenza? Molte cose restano un mistero, molte cose restano sconosciute anche a chi conosce e segue il Signore. Ma chi lo conosce davvero sa una cosa: che da tutto il male esistente Egli può -e vuole - trarne del bene. Questo non deve far rallentare il nostro passo, perché la certezza della nostra fede non si basa neanche sulla nostra stessa vita ma sulla vita di Dio per noi.
La Bibbia è piena di testimonianze di persone che hanno affrontato disagi, sventure, umiliazioni e malattie ma che infine hanno capito come Dio ha potuto trasformare tutto questo in qualcosa di buono. I pensieri corrono subito a Giobbe, ma anche a molti altri personaggi biblici. Quasi tutti infatti hanno vissuto momenti davvero difficoltosi: Mosè, Sansone, Davide, Elia, Cristo stesso, l'Apostolo Pietro, Paolo, e molti, molti altri. L'esempio che più mi sta a cuore tuttavia è quello del patriarca Giuseppe. Venduto dai suoi fratelli come schiavo, vissuto nelle prigioni, umiliato, perseguitato per gran parte della sua vita, alla fine si trova ad essere il secondo uomo più potente d'Egitto (la nazione più importante del mondo antico). La sua famiglia, lontana, si trova a Canaan durante una grave carestia ed è destinata a morire. I suoi fratelli salgono in Egitto con la speranza di poter sopravvivere e Giuseppe capisce, dopo lunghi anni, il perché di molte cose. Riconosce che la strada che ha percorso non è stata casuale, non è stata maledetta ma è stata creata da Dio stesso per un fine superiore. Il brano biblico però è così stupendo che la cosa migliore da fare rimane quella di tornare ad esso, e assaporare nelle parole di Giuseppe la gioia, la speranza e la fede a cui ciascuno di noi è destinato - in questa vita o direttamente dinanzi al Signore - per volontà stessa di Dio. 

Allora Giuseppe non potè più contenersi davanti a tutto il suo seguito e gridò: «Fate uscire tutti dalla mia presenza!» Nessuno rimase con Giuseppe quando egli si fece riconoscere dai suoi fratelli. Alzò la voce piangendo; gli Egiziani lo udirono e l'udì la casa del faraone. Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Io sono Giuseppe; mio padre vive ancora?» Ma i suoi fratelli non gli potevano rispondere, perché erano atterriti dalla sua presenza. Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Vi prego, avvicinatevi a me!» Quelli s'avvicinarono ed egli disse: «Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse portato in Egitto. Ma ora non vi rattristate, né vi dispiaccia di avermi venduto perché io fossi portato qui; poiché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Infatti, sono due anni che la carestia è nel paese e ce ne saranno altri cinque, durante i quali non ci sarà raccolto né mietitura. Ma Dio mi ha mandato qui prima di voi, perché sia conservato di voi un residuo sulla terra e per salvare la vita a molti scampati. Non siete dunque voi che mi avete mandato qui, ma è Dio. Egli mi ha stabilito come padre del faraone, signore di tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d'Egitto. Affrettatevi a risalire da mio padre e ditegli: "Così dice tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto l'Egitto; scendi da me, non tardare; tu abiterai nel paese di Goscen e sarai vicino a me: tu e i tuoi figli, i figli dei tuoi figli, le tue greggi, i tuoi armenti e tutto quello che possiedi. Qui io ti sostenterò (perché ci saranno ancora cinque anni di carestia), affinché tu non sia ridotto in miseria: tu, la tua famiglia e tutto quello che possiedi". Ecco, voi vedete con i vostri occhi, e mio fratello Beniamino vede con i suoi occhi, che è proprio la mia bocca quella che vi parla. Raccontate dunque a mio padre tutta la mia gloria in Egitto e tutto quello che avete visto; e fate che mio padre scenda presto qua». 
Genesi 45:1-13 

Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso. Ora dunque non temete. Io provvederò al sostentamento per voi e i vostri figli». Così li confortò e parlò al loro cuore.
Genesi 50:20-21 

giovedì 21 novembre 2013

La promessa di Sichem


Giosuè 24:1 Giosuè radunò tutte le tribù d'Israele a Sichem 
[...e disse...] 
Dunque temete il SIGNORE e servitelo con integrità e fedeltà; togliete via gli dèi ai quali i vostri padri servirono di là dal fiume e in Egitto, e servite il SIGNORE. E se vi sembra sbagliato servire il SIGNORE, scegliete oggi chi volete servire: o gli dèi che i vostri padri servirono di là dal fiume o gli dèi degli Amorei, nel paese dei quali abitate; quanto a me e alla casa mia, serviremo il SIGNORE». 
Giosuè 24: 14 

Nel ventiquattresimo capitolo del libro biblico di Giosuè, leggiamo l'ultimo accorato discorso che Giosuè fece al popolo di Israele prima della sua morte. Il libro racconta la storia della conquista del paese di Canaan da parte degli israeliti e della spartizione di questo territorio fra le sue varie tribù. Molto tempo dopo che il Signore ebbe dato riposo a Israele liberandolo da tutti i nemici che lo circondavano - come leggiamo al capitolo ventitré - Giosuè, ormai molto vecchio e avanti negli anni, convocò tutto Israele per fare il suo ultimo discorso, che potremmo quasi interpretare come un vero e proprio testamento spirituale. Egli ripercorse tutta la storia del popolo, tutti gli interventi e le benedizioni sovrannaturali di Dio, proprio per evidenziare il fatto che, senza una cura costante e attiva da parte del Signore, essi non sarebbero stati in vita. Esortò ad allontanarsi dagli idoli dei popoli limitrofi per non attirarsi le maledizioni che questo comportava a causa del patto che avevano fatto con YHWH. E, alla fine, arrivò a pronunciare le parole che possiamo leggere in apertura a questo articolo: "E se vi sembra sbagliato servire il SIGNORE, scegliete oggi chi volete servire: o gli dèi che i vostri padri servirono di là dal fiume o gli dèi degli Amorei, nel paese dei quali abitate; quanto a me e alla casa mia, serviremo il SIGNORE".
Una lettura attenta delle parole sottolineate rivela che, in realtà,  in questo contesto Giosuè non disse al popolo: "Scegliete se servire il Signore o gli altri dèi", ma piuttosto: "Se - dopo aver capito che siete stati formati, protetti e condotti dal Signore - vi sembra male seguire Lui, allora scegliete tra il servire gli dèi dei popoli al di là del fiume Giordano oppure gli dèi dei popoli che ora vi sono vicini". La scelta che Giosuè pose con questa frase non è tra il Signore e gli altri dèi ma tra gli idoli del passato di Israele e quelli del presente. In questi versetti, dunque, egli non stava parlando realmente di una scelta per Dio. Lo farà in questo stesso discorso, poco più in là, ma con un significato più profondo. Israele, infatti, aveva ricevuto la Legge di Dio - tramite Mosè - proprio come in tempi medievali i vassalli ricevevano dal sovrano l'affidamento di incarichi amministrativi e di gestione dei territori, prestando giuramento di obbedienza e fedeltà. Non fu Israele a scegliere Dio ma, piuttosto, fu il Signore a creare questa nazione da un sol uomo e condurla passo a passo attraverso la storia. Israele fu liberato dal legame con il faraone, signore dell'Egitto, per essere legato in maniera indissolubile con YHWH, il Signore dei Signori. 


Avanzando nella lettura, infatti, troviamo Giosuè che arriva addirittura a scoraggiare Israele dal servire il Signore, sapendo che questo servizio doveva essere svolto in modo santo. Egli però spinge infine il popolo a fare - ora sì, ed in modo esplicito - una scelta per il Signore. Una scelta, però, che sorge come naturale conseguenza di quello che Israele aveva vissuto, e del modo speciale in cui ha potuto conoscere il suo Dio. Una volta che si incontra il Signore, non si può più tornare indietro.

E Giosuè disse al popolo: «Voi non potete servire il SIGNORE, perché egli è un Dio santo, è un Dio geloso; egli non perdonerà le vostre ribellioni e i vostri peccati. Quando abbandonerete il SIGNORE e servirete dèi stranieri, egli si volterà contro di voi, vi farà del male e vi consumerà, dopo avervi fatto tanto bene». E il popolo disse a Giosuè: «No! Noi serviremo il SIGNORE»,. E Giosuè disse al popolo: «Voi siete testimoni contro voi stessi, che vi siete scelto il SIGNORE per servirlo!» Quelli risposero: «Siamo testimoni!» Giosuè disse: «Togliete dunque via gli dèi stranieri che sono in mezzo a voi, e inclinate il vostro cuore al SIGNORE, che è il Dio d'Israele!» Il popolo rispose a Giosuè: «Il SIGNORE, il nostro Dio, è quello che serviremo, e alla sua voce ubbidiremo!» Così Giosuè stabilì in quel giorno un patto con il popolo, e gli diede delle leggi e delle prescrizioni a Sichem. Poi Giosuè scrisse queste cose nel libro della legge di Dio; prese una gran pietra e la rizzò sotto la quercia che era presso il luogo consacrato al SIGNORE. E Giosuè disse a tutto il popolo: «Ecco, questa pietra sarà una testimonianza contro di noi; perché essa ha udito tutte le parole che il SIGNORE ci ha dette; essa servirà quindi da testimonianza contro di voi; affinché non rinneghiate il vostro Dio».
Giosuè 24:19-27 

Il dialogo tra Giosuè e il popolo di Israele termina con un patto, secondo una dinamica che richiama alla mente il celebre passo evangelico in cui Gesù mette alla prova i suoi discepoli:

Perciò Gesù disse ai dodici: «Non volete andarvene anche voi?» Simon Pietro gli rispose: «Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
Giovanni 6:67-69 

Israele ha creduto e conosciuto il Dio Santo che li ha liberati dalla schiavitù e condotti verso la conquista della terra promessa. Ha conosciuto che solo Lui ha parole di vita eterna, e dunque da chi altro potrebbero andare?
Purtroppo questa risolutezza si spegnerà presto, così come possiamo leggere nel libro dei Giudici, ma in questo momento il popolo prese una posizione ben precisa. Trovo molto significativo il fatto che questo patto così importante avvenga proprio a Sichem. Tale località infatti ha un precedente di grande importanza, che porta a riconsiderare l'intera vicenda appena letta: 


Giunsero così nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese. Il SIGNORE apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua discendenza». Lì Abramo costruì un altare al SIGNORE che gli era apparso. Genesi 12:6-7 

Centinaia di anni prima, il Signore apparve ad Abramo proprio nella stessa località, e lì promise di dare quel paese per la sua discendenza. Il discorso di Giosuè deve perciò essere letto come un adempimento di questa promessa. L'altare che Abramo costruì ebbe un seguito nella pietra che Giosuè rizzò come testimonianza del patto di fedeltà che fece il popolo di Israele. Dio promise in quel luogo la terra ai discendenti di Abramo, ed essi rinnovarono in quello stesso luogo il loro patto con Lui. Che meravigliosa armonia possiamo trovare nella Parola di Dio! 

Ma gli indizi che portano ad una piena consapevolezza di questi eventi biblici non terminano qui. Arrivano, infatti, anche al Nuovo Testamento, celati in uno dei brani meglio conosciuti dai credenti: quello di Gesù e la donna Samaritana.

[Gesù] Giunse dunque a una città della Samaria, chiamata Sicar, vicina al podere che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe; e là c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del cammino, stava così a sedere presso il pozzo. Era circa l'ora sesta. Una Samaritana venne ad attingere l'acqua. Gesù le disse: «Dammi da bere». Giovanni 4:5-7


Il brano è molto ben conosciuto, e si svolge nella località di Sicar, presentata come città della Samaria. Andando alla mappa presente all'inizio dell'articolo, si può notare la grande vicinanza tra la regione della Samaria e Sichem. Se questa coincidenza non bastasse, molti studiosi hanno pensato a fugare l'alone di dubbio che avvolge la città di Sicar. Essa infatti non sarebbe altro che Sichem stessa, presentata con il suo nome aramaico. Un altro importante anello che ora congiunge una collana di notevole significato teologico. Perché? Rileggiamo insieme gli insegnamenti di Gesù in quel luogo.

Gesù le disse: «Donna, credimi; l'ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l'adorano, bisogna che l'adorino in spirito e verità». Giovanni 4:21-24 

Ad ovest di Sichem vi era il monte Garizim, dove i Samaritani ritenevano si dovesse adorare Dio. E proprio ai suoi piedi - nella città di Sichem/Sicar - Gesù proclamò che l'ora era venuta che né in quel luogo, né a Gerusalemme si sarebbe adorato il Padre ma soltanto in spirito e verità. 
A Sichem il Signore promise ad Abramo quel territorio per i suoi discendenti. A Sichem i discendenti di Abramo rinnovarono il loro patto con il Signore, possedendo la terra promessa. E sempre a Sichem il Signore incarnato annunciò un nuovo patto, svincolato da luoghi sacri e caratterizzato unicamente dall'ubbidienza dello Spirito di verità. 


CONCLUSIONI

Questi tre eventi non possono essere scollegati tra di loro, acquistando un notevole significato se collegati insieme. La successione di eventi nello stesso luogo specifico di Sichem dimostra la fedeltà di Dio verso la Sua promessa, adempiuta secoli dopo e rivelata interamente più di milleduecento anni dopo nella dichiarazione del Figlio incarnato. Nessun particolare è casuale quando coinvolge il Dio sovrano presente nella storia e nel mondo, che ha voluto rivelare e manifestare passo dopo passo i Suoi propositi coinvolgendo innumerevoli generazioni. L'altare di Abramo è stato seguito da quello di Giosuè, che ha prefigurato il Cristo: la pietra di fondamento per la Chiesa universale di ogni tempo. 

domenica 10 novembre 2013

Le locuste dell'abisso

 Apocalisse 9:1-11 Poi il quinto angelo suonò la tromba e io vidi un astro che era caduto dal cielo sulla terra; e a lui fu data la chiave del pozzo dell'abisso. Egli aprì il pozzo dell'abisso e ne salì un fumo, come quello di una grande fornace; il sole e l'aria furono oscurati dal fumo del pozzo. Dal fumo uscirono sulla terra delle cavallette a cui fu dato un potere simile a quello degli scorpioni della terra. E fu detto loro di non danneggiare l'erba della terra, né la verdura, né gli alberi, ma solo gli uomini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte. Fu loro concesso, non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi con un dolore simile a quello prodotto dallo scorpione quando punge un uomo. In quei giorni gli uomini cercheranno la morte ma non la troveranno; brameranno morire ma la morte fuggirà da loro. L'aspetto delle cavallette era simile a cavalli pronti per la guerra. Sulla testa avevano come delle corone d'oro e la loro faccia era come viso d'uomo. Avevano dei capelli come capelli di donne e i loro denti erano come denti di leoni. Il loro torace era simile a una corazza di ferro e il rumore delle loro ali era come quello di carri tirati da molti cavalli che corrono alla battaglia. Avevano code e pungiglioni come quelli degli scorpioni, e nelle code stava il loro potere di danneggiare gli uomini per cinque mesi. Il loro re era l'angelo dell'abisso il cui nome in ebraico è Abaddon e in greco Apollion. 

Alla quinta tromba, nel libro dell'Apocalisse, dall'abisso emergono una moltitudine di cavallette, mostrando davanti ai nostri occhi un'immagine che non può non richiamare alla nostra memoria il libro dell'Esodo.

Esodo 10:12 Allora il SIGNORE disse a Mosè: «Stendi la tua mano sul paese d'Egitto per farvi venire le cavallette; ed esse salgano sul paese d'Egitto e divorino tutta l'erba del paese, tutto quello che la grandine ha lasciato».



Quando Israele era ancora un popolo giovane e schiavo in terra d'Egitto infatti, il Signore ha ordinato a Mosè di compiere dei gesti per realizzare le piaghe con cui voleva punire l'Egitto. Una di queste prevedeva proprio l'invasione di un numero incalcolabile di cavallette. Questi insetti, migrando in massa, si nutrono dei raccolti che trovano nei nuovi campi divorando in pochissimi giorni quello che darebbe da mangiare ai contadini per interi mesi.
Dopo questa piaga, è addirittura detto che non rimase nulla di verde in tutto il paese d'Egitto (Es 10:15). Immaginiamo l'incredibile desolazione che questi insetti possono aver causato in un paese così potente. Quella che prima era la nazione più florida del mondo, in pochi giorni viene ridotta ad un deserto. 
Questo è il primo importante pensiero che si può associare al brano che abbiamo appena letto nell'Apocalisse. Queste cavallette tuttavia, a differenza di quelle dell'Esodo, non sono mandate da Dio ma piuttosto da Satana.
Il racconto infatti inizia mostrando un astro caduto dal cielo a cui fu data la chiave del pozzo dell'abisso, ricalcando una serie di immagini bibliche (Is 14:12) culminate da una chiara proclamazione di Cristo stesso:

Luca 10:18 Ed egli disse loro: «Io vedevo Satana cadere dal cielo come folgore. 

Caduto dal cielo, l'Avversario ottiene dunque le chiavi dell'abisso e, aprendolo, libera un fumo che oscura il sole e questa moltitudine di cavallette a cui viene ordinato di non danneggiare alcuna verdura ma piuttosto di danneggiare gli uomini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte. A questi demoni non venne concesso di uccidere ma piuttosto di tormentare le persone per cinque mesi. Da una parte, troviamo il fatto significativo che soltanto coloro che non avevano il sigillo di Dio potevano essere colpiti, ossia soltanto coloro che non sono figli di Dio, che non hanno il sigillo dello Spirito Santo (2 Cor 1:22). Dall'altro, l'indicazione dei cinque mesi nasconde più significati di quanto si possa immaginare. Studiando i numeri nella Bibbia infatti troviamo che il cinque rappresenta principalmente la metà del numero dieci, che viene associato alla perfezione. Il decalogo della perfezione quindi viene spezzato e dà luogo ad un tempo ben circoscritto, limitato e fondamentalmente imperfetto. Dio non lascia a Satana il potere di agire in modo indiscriminato e in un tempo infinito ma al contrario gli dà le chiavi per poter agire su un gruppo selezionato di persone (chi non ha il sigillo di Dio) e per un tempo ben preciso e per definizione lontano dalla perfezione. 

L'interpretazione storicista vede in questo brano la descrizione del male stesso distribuito nella storia, descritto nei dettagli di questi esseri.
Essi infatti avevano volto d'uomo e sulla testa corone d'oro. La corona inequivocabilmente rappresenta il potere bramato dagli uomini. Un potere che corrompe e che inquina tutta la storia. 
Avevano capelli come capelli di donna, una chiara allusione ai peccati sessuali associati alla donna a causa del contesto storico e sociale in cui è stato scritto il libro. Si parla inoltre di denti come denti di leoni, elementi che simboleggiano la tortura e la violenza lenta e continua. 
Il torace di queste cavallette era come una corazza di ferro e il rumore delle loro ali come quello di cavalli che trainano molti carri correndo vero la battaglia. Questa descrizione richiama alla violenza espressa attraverso le armi e gli eserciti, aggiungendo un altro male a questo elenco di flagelli. 
Infine, avevano code e pungiglioni come quelli degli scorpioni, laddove lo scorpione rappresenta l'inganno e l'astuzia. 
La corruzione del potere, i peccati sessuali, la tortura, le guerre e l'inganno vengono quindi sparsi nella storia dell'umanità da Satana per un tempo imperfetto, permesso da Dio. La stessa storia dell'uomo può essere descritta come un tempo imperfetto, in quanto il tempo perfetto - quello della piena comunione con Dio - deve ancora arrivare. Queste cavallette però, pur essendo legate ad una stretta simbologia, rappresentano comunque degli esseri viventi con una intelligenza e volontà. Come si potrebbe comandargli altrimenti di "non danneggiare l'erba ma solo gli uomini senza il sigillo di Dio"? Proprio questa capacità di selezione e di comprensione dimostra una personalità che non si può trovare nelle realtà inanimate facendo quindi pensare chiaramente alle schiere demoniache che, liberate dall'abisso, invadono il mondo propagando tutti i principali peccati esistenti. Dal mio punto di vista non ci sono abbastanza elementi per associare questo "evento" ad un momento particolare della narrazione biblica, quello che si sa però è che si sta parlando di un evento accaduto. Sicuramente nel momento in cui Adamo ed Eva disubbidirono a Dio in Eden, il peccato e la morte entrarono nel mondo causando una totale depravazione. L'uomo decaduto quindi ha già in sé una natura peccaminosa, ma questa natura, descritta spesso con il termine "carne", viene anche eccitata da Satana e dai suoi demoni che sfruttano tutte le debolezze umane per istigare una ribellione e un'allontanamento con il Signore.

Prendiamo forza però dal fatto che il Signore stesso governa ogni cosa. Egli dà un tempo ben preciso a Satana per fare il suo lavoro e protegge tutti coloro che per fede ricevono la grazia della salvezza attraverso il sacrificio di Cristo, tutto coloro cioè che possiedono il sigillo di Dio: la caparra dello Spirito Santo. Come durante l'ultima piaga in Egitto, coloro che avevano sparso il sangue di agnello sugli stipiti della porta erano risparmiati dalla morte del proprio primogenito, allo stesso modo oggi tutti coloro che sono sparsi del sangue di Cristo sono risparmiati dalla morte del peccato. Questo non assicura la mancanza di sofferenza ma piuttosto la certezza di una salvezza perfetta e definitiva, la sicurezza di entrare nel tempo perfetto di Dio, un tempo che non è più rappresentato da un dieci spezzato (come nel caso dei cinque mesi) ma da un dieci pieno, completo ed eterno. Un tempo eterno alla presenza di Dio.

domenica 3 novembre 2013

La festa delle Capanne

LA FESTA DELLE CAPANNE

Celebrerete questa festa in onore del SIGNORE per sette giorni, ogni anno. È una legge perenne, di generazione in generazione. La celebrerete il settimo mese. Abiterete in capanne per sette giorni; tutti quelli che saranno nativi d'Israele abiteranno in capanne, affinché i vostri discendenti sappiano che io feci abitare in capanne i figli d'Israele, quando li feci uscire dal paese d'Egitto. Io sono il SIGNORE, il vostro Dio"».  
Levitico 23:41-43 

Celebrerai la festa delle Capanne per sette giorni, quando avrai raccolto il prodotto della tua aia e del tuo torchio;
ti rallegrerai in questa tua festa, tu, tuo figlio, tua figlia, il tuo servo, la tua serva, il Levita, lo straniero, l'orfano e la vedova che abitano nelle tue città.
Celebrerai la festa per sette giorni in onore del SIGNORE tuo Dio, nel luogo che il SIGNORE avrà scelto; poiché il SIGNORE, il tuo Dio, ti benedirà in tutta la tua raccolta e in tutta l'opera delle tue mani, e ti darai interamente alla gioia.  
Deuteronomio 16:13-15 

Schema che illustra le principali caratteristiche della festa delle Capanne

Nel ventitreesimo capitolo del libro del Levitico troviamo le feste solenni ebraiche, le festività che il Signore ha comandato ad Israele di rispettare annualmente. Tra queste feste è presente anche quella autunnale "delle Capanne", fondata da una parte sul carattere agricolo (ringraziare Dio per il raccolto) e dall'altra su una funzione memoriale (ricordare la liberazione dall'Egitto per mano del Signore e la peregrinazione nel deserto per quarant'anni). Ben presto questa festa si è legata anche ad un pellegrinaggio a Gerusalemme, obbligatorio per tutti gli uomini che vi abitavano lontano. 
Inizialmente era limitata a sette giorni ma nel corso della storia è stata dilungata con un giorno in più per tutti coloro che si trovano al di fuori della terra di Israele. Durante questa festa, si conclude la lettura annuale della Torah, e dal Deuteronomio si torna al libro iniziale della Genesi. Questa festa viene festeggiata ancora oggi dagli Ebrei, e viene chiamata principalmente con il nome di "Sukkot". 
I CANTI DEI PELLEGRINAGGI

Da un certo momento in poi, sono stati selezionati alcuni Salmi per questa ricorrenza, ed in generale per le tre ricorrenze che prevedono un pellegrinaggio a Gerusalemme. I Salmi dal 120 al 134 infatti presentano l'indicazione "canto dei pellegrinaggi", oppure "delle ascensioni" proprio per evidenziare questo legame. Si tratta di Salmi che parlano di Gerusalemme o che per altri motivi sono stati reputati particolarmente adatti a queste occasioni. Per comprendere meglio il sentimento e il significato di questa festa, credo sia importante approfondirli e poter vedere le loro profondità nascoste.
In questo articolo ho deciso di soffermarmi sul Salmo 131 che per me ha sempre esercitato un particolare fascino.  

Canto dei pellegrinaggi.
Di Davide.
SIGNORE, il mio cuore non è orgoglioso
e i miei occhi non sono altèri;
non aspiro [= hâlaka, lett. cammino in...] cose troppo grandi e troppo alte per me. In verità l'anima mia è calma e tranquilla.
Come un bimbo divezzato[= gâmal]sul seno di sua madre,
così è tranquilla in me l'anima mia.
O Israele, spera nel SIGNORE,
ora e per sempre.  
Salmo 131

La prima osservazione che si può fare su questo Salmo, riguarda il nome del Signore (YHWH) che apre e chiude il testo secondo uno schema che potremmo definire di inclusione letteraria. Questo schema è comune nel panorama biblico e riveste di certo una particolare importanza. Il canto quindi si svolge attraverso una continua presenza e attenzione del Signore che rimane al centro dell'attenzione anche quando non è il soggetto principale del testo. 
Una seconda considerazione da fare coinvolge la triplice negazione del primo versetto. Il cuore NON è orgoglioso, gli occhi NON sono altèri e NON aspiro al cose troppo grandi. Stranamente in questo contesto è stata fatta una traduzione errata del termine ebraico che nella versione della Nuova Riveduta viene presentato con "aspiro". Il verbo ebraico originale infatti è "hâlaka" e il suo significato è quello di "camminare". La traduzione corretta dell'ultima parte del primo versetto quindi sarebbe "non cammino in cose troppo grandi e troppo alte per me". Questa triplice negazione riguarda perciò il cuore, gli occhi e i passi, in un'espressione che vuole alludere all'interezza dell'essere umano. Il cuore infatti rappresenta la parte più intima e segreta dell'uomo, gli occhi mostrano la sua espressività ed eventualmente le sue intenzioni mentre i passi del suo camminare palesano le decisioni prese e lo scopo che si sta perseguendo. Tutti questi aspetti sono ora accordati in una tranquillità che si appoggia direttamente sul Signore. 
Il secondo versetto del Salmo però si apre ad una nuova immagine, cioè quella di un bimbo divezzato sul seno di sua madre. Sebbene io stesso abbia sempre interpretato questa espressione come una completa e totale dipendenza da Dio - nello stesso modo in cui un neonato dipende fisicamente dal latte e dalla cura materna - in questo contesto però possiamo leggere di un bimbo divezzato e non da divezzare. Il bambino con cui si paragona il salmista quindi è già stato divezzato ed è tutt'ora tranquillo sul seno di sua madre. Dietro a questa sottile, ma fondamentale differenza, credo sia utile analizzare tre altri contesti in cui si utilizza questo stesso verbo che trova la sua espressione ebraica originale con "gâmal". La prima ricorrenza riguarda Abramo ed Isacco.

Il bambino dunque crebbe e fu divezzato[= gâmal]Nel giorno che Isacco fu divezzato, Abraamo fece un grande banchetto.
Genesi 21:8 

La Scrittura attesta che quando Isacco fu divezzato, Abramo fece una grande festa. Nel capitolo immediatamente successivo però, troviamo uno tra gli episodi più significativi della vita dei patriarchi:

Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abraamo e gli disse: «Abraamo!» Egli rispose: «Eccomi». E Dio disse: «Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco, e va' nel paese di Moria, e offrilo là in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò».  
Genesi 22:1-2 

Nella narrazione biblica, la prova di Abraamo è messa vicina al divezzamento di Isacco. E' possibile vedere di conseguenza dei legami tra i due avvenimenti. Se il primo evento è associato ad un grande banchetto ed una grande gioia, il secondo riguarda il momento di maggior tensione. Isacco ora divezzato viene chiesto in olocausto da Dio stesso per una richiesta assurda e paradossale rispetto a tutto quanto avvenuto finora. Il divezzamento viene mostrato quindi come anticamera della prova più dura, che sfocerà però in una maggiore rivelazione di Dio come "Il Signore che provvede" (v.14), e in una conferma della promessa di moltiplicazione e benedizione (v. 16-18).

Il secondo contesto riguarda invece il profeta Samuele.

1Samuele 1:24 Quando (Anna) lo ebbe divezzato[= gâmal] (Samuele), lo condusse con sé e prese tre torelli, un efa di farina e un otre di vino; e lo condusse nella casa del SIGNORE a Silo. Il bambino era ancora molto piccolo.
1Samuele 2:11 [...] il bambino rimase a servire il SIGNORE sotto gli occhi del sacerdote Eli.

Subito dopo essere stato divezzato infatti, Samuele ancora bambino viene portato al tempio dove rimane a servire il Signore. Anche in questo caso il divezzamento coincide con l'inizio di una nuova fase della vita del protagonista, coincide con l'inizio di una consacrazione fattiva ed un servizio attivo nella casa del Signore. 

Il terzo testo che prenderemo in considerazione, riguarda invece una famosa profezia tratta dal libro del profeta Isaia: 

Il lattante giocherà sul nido della vipera,
e il bambino divezzato[= gâmal] stenderà la mano nella buca del serpente.
Isaia 11:8 

Questo versetto si colloca in una porzione di Isaia (cc.7-11) chiamata "Libretto dell'Emmanuele", e come appena letto descrive un bambino divezzato che stende la mano nella buca del serpente. Il tempo è quello escatologico e il soggetto ultimo di questi capitoli è il Messia. Egli appena divezzato gioca con i serpenti, stende la mano sulla buca del serpente che ora è un gioco grazie alla trasformazione e redenzione dell'intero universo. Affronta il male, ora reso innocuo. Il serpente che fin dalla Genesi appare come piena manifestazione di satana, ora invece perde completamente la sua potenza tanto da poter essere affrontato nella condizione di massima vulnerabilità. 

Queste tre situazioni credo che si possano applicare anche al sentimento del bambino presentato dal Salmo 131. Il bambino con il quale si identifica il salmista infatti è già divezzato, e pur essendo nelle braccia della madre non è più dipendente da lei in modo così fisico ed intimo come prima. E' come se pur restando tra le sue braccia spostasse lo sguardo altrove, verso la prova, verso la consacrazione ed il servizio per il Signore e verso il conflitto con il male. La tranquillità dunque non si traduce in una apatia ma al contrario in un momento di serenità che precede l'azione decisiva del combattimento spirituale. Un combattimento che non viene affrontato con orgoglio o con una sopravvalutazione di sé, ma con la consapevolezza di essere fra le braccia di Dio e di poter contare sulla sua protezione e forza. 

Immaginiamo dunque un ipotetico pellegrino diretto a Gerusalemme per la festa delle Capanne mentre canta questo salmo. Riflettiamo su questa visione che sposta l'attenzione dall'inedia per portarla verso una piena fiducia in Dio e l'attesa di un'azione decisiva di fede. Arriva il ricordo del pellegrinaggio nel deserto per quarant'anni, a mostrare la debolezza umana ma l'onnipotenza di Dio. Il ringraziamento per la sua provvidenza realizzata tramite il raccolto, il cibo che garantisce sussistenza e vita. E la meta di Gerusalemme, davanti a lui. La capitale di Israele, la città di Dio! La direzione verso cui ogni sincero credente è in cammino. La prospettiva sta cambiando e l'orizzonte si sta allargando portando ad una nuova realizzazione e consapevolezza del presente e del futuro. 
IL RISTABILIMENTO POST ESILICO

Il secondo giorno, i capi famiglia di tutto il popolo, i sacerdoti e i Leviti si radunarono presso Esdra, lo scriba, per esaminare le parole della legge.Trovarono scritto nella legge, che il SIGNORE aveva data per mezzo di Mosè, che i figli d'Israele dovevano abitare in capanne durante la festa del settimo mese, e che in tutte le loro città e in Gerusalemme si doveva pubblicare questo bando: "Andate al monte, a cercare rami d'olivo, rami d'olivastro, di mirto, di palma e di alberi ombrosi, per fare delle capanne, come sta scritto". Allora il popolo andò fuori, portò i rami, e ciascuno fece la sua capanna sul tetto della propria casa, nel proprio cortile, nei cortili della casa di Dio, sulla piazza davanti alla porta delle Acque, e sulla piazza davanti alla porta di Efraim. Così tutta l'assemblea di quanti erano tornati dall'esilio si fece delle capanne, e abitò nelle capanne. Dal tempo di Giosuè, figlio di Nun, fino a quel giorno, i figli d'Israele non avevano più fatto così. E ci fu grandissima gioia.  
Neemia 8:13-17 

Dopo l'esilio Babilonese, la tribù di Giuda tornò in patria ristabilendo l'osservanza della Torah e di tutte le pratiche comandate da Dio. 
Tra queste anche la festività delle Capanne. Leggiamo questa testimonianza nel libro di Neemia. Un fatti di grande significato però è quello che per aver festeggiato questa ricorrenza ci fu una grandissima gioia. Come abbiamo visto questa non è una festa fine a sé stessa ma ha un significato bene preciso, così come ha un significato ben preciso il suo ristabilimento dopo la deportazione. In questo contesto infatti Israele si stava riappropriando della sua identità di fede. Stava riconoscendo il suo passato con il Signore, il suo presente e soprattutto il suo futuro. Un futuro legato alla presenza di Dio, all'ubbidienza di Dio e a quel sentimento così magistralmente descritto nel Salmo 131 e che potrebbe essere riassunto con questo ulteriore versetto:

Allora egli mi rispose: «È questa la parola che il SIGNORE rivolge a Zorobabele: "Non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio", dice il SIGNORE degli eserciti.
Zaccaria 4:6 


Non è per potenza o per forza degli uomini che Israele è tornato dall'esilio ed ugualmente non è per questi motivi che sta ricostruendo un intero paese. Tutto è accaduto per lo Spirito del Signore ed è grazie allo Spirito che il popolo ha un futuro ed una speranza. 

IL PELLEGRINAGGIO DI CRISTO

Or la festa dei Giudei, detta delle Capanne, era vicina.
Perciò i suoi fratelli gli dissero: «Parti di qua e va' in Giudea, affinché i tuoi discepoli vedano anch'essi le opere che tu fai. Poiché nessuno agisce in segreto, quando cerca di essere riconosciuto pubblicamente. Se tu fai queste cose, manifèstati al mondo». Poiché neppure i suoi fratelli credevano in lui.
Gesù quindi disse loro: «Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo, invece, è sempre pronto. Il mondo non può odiare voi; ma odia me, perché io testimonio di lui che le sue opere sono malvagie. Salite voi alla festa; io non salgo a questa festa, perché il mio tempo non è ancora compiuto».
Giovanni 7:2-8 

Il vangelo di Giovanni, diversamente dai vangeli sinottici è stato redatto seguendo una cronologia che coinvolge le festività ebraiche ed una parte rilevante della narrazione (corrispondente ai capitoli 7 e 8) è ambientata proprio alla festa delle Capanne. Tutto ha inizio con una provocazione dei fratelli del Signore che lo volevano spingere ad una presa di posizione pubblica in un modo che però non rientrava nel tempo stabilito da Dio. Inizialmente dunque Gesù non parte per Gerusalemme perché in questo momento il suo tempo non era ancora compiuto. 

Ma quando i suoi fratelli furono saliti alla festa, allora vi salì anche lui; non palesemente, ma come di nascosto.
Giovanni 7:10 

Verso la metà della festa, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. Perciò i Giudei si meravigliavano e dicevano: «Come mai conosce così bene le Scritture senza aver fatto studi?»
Giovanni 7:14-15 

A metà festa però Gesù decide di salire di nascosto e ad un certo punto si mette ad insegnare al tempio, stupendo i presenti con la sua conoscenza, ed entrando con loro in una disputa riguardante la sua identità e autorità. 

Nell'ultimo giorno, il giorno più solenne della festa, Gesù stando in piedi esclamò: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno». Disse questo dello Spirito, che dovevano ricevere quelli che avrebbero creduto in lui; lo Spirito, infatti, non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora glorificato.  
Giovanni 7:37-39 

Nell'ultimo giorno della festa delle Capanne, il giorno più solenne, Gesù preannuncia l'arrivo dello Spirito Santo in un contesto particolare che i primi lettori del vangelo potevano cogliere ma che un lettore contemporaneo difficilmente può riconoscere. Nella fase conclusiva della festa infatti, era consueto un rito ben preciso comprendente una processione fino alla fonte di Siloe per attingere dell'acqua e trasportarla fino al tempio di Gerusalemme cantando:

Voi attingerete con gioia l'acqua
dalle fonti della salvezza,
e in quel giorno direte: «Lodate il SIGNORE, invocate il suo nome, fate conoscere le sue opere tra i popoli, proclamate che il suo nome è eccelso!
Isaia 12:3-4
Sito della piscina di Siloam
L'esclamazione di Cristo "Se qualcuno ha sete, venga a me e beva", dunque ha un significato ancora più profondo della semplice anticipazione dello Spirito Santo. E' da interpretare a tutti gli effetti come una proclamazione profetica nella quale il Signore annunciava di sostituirsi alla fonte di Siloe. Da quel momento in avanti infatti sarà lui stesso la meta di ogni pellegrinaggio dell'uomo verso la vita. 

Dopo questo evento nel vangelo di Giovanni leggiamo della controversia nata attorno a lui, del perdono accordato alla donna adultera e dell'insegnamento sulla luce del mondo. La narrazione dei fatti però termina in questo modo:

Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico: prima che Abraamo fosse nato, io sono». 
Giovanni 8:58
 
Cristo afferma in modo chiaro la sua divinità presentandosi come l'IO SONO, il nome sacro di Dio nell'Antico Testamento. 

Allora essi presero delle pietre per tirargliele; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
Giovanni 8:59 


Con questo gesto Gesù esce dal tempio, allontanando la presenza di Dio dal luogo sacro. Questo eventi hanno causato una profonda rottura dell'equilibrio e dello stato spirituale di Israele, capitolato definitivamente con la passione di Cristo e la sua resurrezione per l'instaurazione del nuovo patto.
Gesù quindi pur essendo salito alla festa non vi ha partecipato, perché non era ancora il suo tempo di parteciparvi. Ha però insegnato la dottrina del Padre ed ha proclamato di essere la nuova fonte di Siloe grazie alla manifestazione dello Spirito Santo che da lì a poco (a Pentecoste, altra festività ebraica) sarebbe avvenuta.

IL PELLEGRINAGGIO MESSIANICO

La festa delle Capanne però non scompare dal panorama biblico, ma torna proiettata verso un tempo escatologico. Al ritorno del Signore infatti, Egli stesso parteciperà a questa festività ricevendo shâchâh, termine che significa tanto prostrazione quanto adorazione. Cristo sarà riconosciuto da tutti quelli che saranno rimasti di tutte le nazioni come fonte di Siloe e tutti saliranno in pellegrinaggio verso di Lui per celebrare il pieno significato della festa delle Capanne. 

Tutti quelli che saranno rimasti di tutte le nazioni
venute contro Gerusalemme,
saliranno di anno in anno
prostrarsi(= shâchâh) davanti al Re, al SIGNORE degli eserciti,
e a celebrare la festa delle Capanne.
Zaccaria 14:16 

Questo sarà il tempo opportuno, questo sarà il senso compiuto di una festività indicata da Dio millenni fa al popolo di Israele, ma che solo in questo tempo troverà un pieno adempimento. 


CONCLUSIONI

La festa delle Capanne è stata istituita da Dio per il popolo di Israele ed aveva il duplice scopo di ringraziare Dio per il raccolto e ricordarsi del tempo passato a peregrinare nel deserto. Presto questa festa ha subìto delle modifiche contemplando il pellegrinaggio a Gerusalemme cantando dei salmi che riguardavano la città santa ed un'attitudine di fiducia attiva nei confronti di Dio. Gesù stesso è salito a Gerusalemme in concomitanza con questa festa evitando di festeggiarla per prendere invece l'iniziativa di insegnare al tempio e proclamare il vero senso della festa: la Sua stessa identità come vero Dio e tempio definitivo. La Sua partecipazione alla festa delle Capanne però rimane un evento in attesa di essere adempiuto, quando in un tempo escatologico tutte le nazioni omaggeranno il Signore in questa circostanza salendo a Gerusalemme. 
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