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martedì 27 maggio 2014

L'edificio di Dio

Atti 19:1 Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, dopo aver attraversato le regioni superiori del paese, giunse a Efeso [...]

Rimarrò a Efeso fino alla Pentecoste, perché qui una larga porta mi si è aperta a un lavoro efficace, e vi sono molti avversari. 1 Corinzi 16:8, 9 


Efeso - Biblioteca di Celso

Durante il suo secondo viaggio missionario, l'apostolo Paolo arrivò a Corinto (Atti 18). Qui iniziò ad insegnare nella sinagoga, ma trovando opposizione si dedicò ad evangelizzare i pagani. Una notte il Signore gli disse di continuare a parlare e rimanere in quella città, perché Egli aveva un popolo numeroso da raggiungere. Per questo motivo si trattenne per un anno e sei mesi, insegnando tra di loro la Parola di Dio.

Successivamente passò da Efeso e raggiunse Gerusalemme. Dopo aver salutato la chiesa tornò ad Antiochia per poi partire per il terzo viaggio missionario e fermarsi ad Efeso come promesso durante l'ultimo passaggio. 

Nel suo soggiorno in questa città, Paolo scrisse la prima lettera ai Corinzi. Questa comunità era una chiesa giovanissima, fondata da pochi anni, ma grandemente arricchita da innumerevoli doni e benedizioni spirituali, tanto che l'apostolo stesso arrivò a dichiarare:


Il terzo viaggio missionario di Paolo
Perché in lui siete stati arricchiti di ogni cosa, di ogni dono di parola e di ogni conoscenza, essendo stata confermata tra di voi la testimonianza di Cristo; in modo che non mancate di alcun dono, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. 
1 Corinzi 1:5-7

Nonostante la ricchezza di doni però, la chiesa di Corinto stava dimostrando una grande immaturità a causa di numerose gelosie e contese. A questo scopo, Paolo prima di tutto insegnò loro un importante principio spirituale: i ministri sono servitori di Dio, adempiono al loro scopo ma solo il Signore può far davvero crescere una chiesa. Successivamente egli mostra ai Corinzi la realtà spirituale dietro la sua attività e la loro stessa comunità. 



Noi siamo infatti collaboratori di Dio, voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come esperto architetto, ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra. Ma ciascuno badi a come vi costruisce sopra; poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù. Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l'opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l'opera di ciascuno. Se l'opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l'opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco. 1 Corinzi 3:9-15 

L'apostolo Paolo si assomiglia ad un esperto architetto che progetta e realizza un edificio. In questo caso però l'edificio non è materiale ma spirituale, e i materiali utilizzati non sono legno o pietra ma gli stessi credenti, edificati sopra il fondamento di Gesù Cristo. L'attività apostolica di Paolo non era confusionaria o incerta in quanto ben conosceva quali fossero i suoi obiettivi e quale strategia applicare per raggiungerli. Sopra ogni cosa però, egli ascoltava ed ubbidiva ad ogni indicazione del Signore (Atti 13:2, 16:9, 18:9) che dirigeva continuamente la sua attività missionaria per raggiungere gli eletti, al fine di far conseguire loro la salvezza che è in Cristo Gesù (2 Tim 2:10). In questo insegnamento quindi, Paolo rivela con una metafora ai credenti di Corinto il significato del suo apostolato e quello della loro stessa comunità. In questo brano abbiamo un'importante polarizzazione: il "noi" che potrebbe rappresentare con un ampio senso la squadra apostolica di Paolo (in questo caso Silvano e Timoteo, cfr. 2 Cor 1:19) ma anche in modo più specifico lui stesso e il fratello Sostene (cfr. 1:1), ed il "voi" rappresentante per l'appunto la comunità di Corinto. Il problema di fondo viene trovato nella nascita di numerose fazioni e divisioni dentro la chiesa (3:1-8), mostrando in questo una profonda immaturità dei credenti ed un'incomprensione del vero significato dell'apostolato. Tale problema infatti è sintomatico di un disagio dovuto ad una certa difficoltà di comprensione e comunicazione tra la realtà intra-ecclesiale e quella extra-ecclesiale. I Corinzi vedevano vari apostoli e, affezionandosi all'uno o all'altro, si allineavano ad una personalità piuttosto che ad un'altra. Ma comportandosi in questo modo perdevano di vista l'unica corretta prospettiva, ossia quella che identifica in Dio stesso l'artefice e il sostenitore della loro chiesa locale e della Chiesa universale. Piccoli problemi distolgono l'attenzione dalla grande prospettiva necessaria a dare il giusto valore ad ogni elemento. Paolo invece viveva continuamente con questa grande prospettiva e in modo incredibilmente preciso offre loro la chiave di lettura di cui avevano bisogno.

Questi versetti sono spesso applicati ai singoli credenti in modo personale, ma il contesto suggerisce invece un significato comunitario. Gli apostoli sono i collaboratori di Dio, e i credenti sono l'edificio di Dio. Paolo è l'esperto architetto che costruisce sopra il fondamento di Cristo, e i credenti di Corinto sono coloro che continuano l'opera di costruzione di questo edificio spirituale. Nella lettera agli Efesini, Paolo porterà a compimento questo pensiero, presentando la differente natura dei doni e ministeri della Chiesa come un fondamentale elemento il cui scopo ultimo è proprio quello dell'edificazione del corpo di Cristo, ossia dell'edificazione della Chiesa stessa. Da una parte quindi abbiamo l'apostolo che ha posto il fondamento e dall'altro i credenti con la loro parte di responsabilità concernente la scelta dei materiali con cui continuano l'opera di costruzione. Vivendo la propria vita di fede comunitaria in modo infantile e immatura infatti, i Corinzi hanno edificato loro stessi con elementi poveri, che il giorno del Signore evidenzierà. L'esortazione però è quella di iniziare ad edificare con oro, argento e pietre di valore, affinché l'opera di ciascuno superi il giorno del giudizio di Dio. In tutto questo, la salvezza non viene messa in discussione, ma viene ben mostrato che i due tipi di lavoro saranno ripagati in modo completamente diverso, e coloro che costruiscono in modo improprio ne subiranno danno. 

Questo brano viene anche interpretato nell'ambiente cattolico romano per introdurre il concetto di purgatorio, ma analizzando l'intera lettera ed il pensiero di Paolo, appare evidente la sua estraneità a questa dottrina sviluppata molto tardivamente da parte della tradizione cristiana. 


L'attività apostolica negli "Atti".

La responsabilità dei Corinzi quindi, come visto, è solo un'aspetto della realtà ecclesiale che presenta dall'altro capo il ministero degli apostoli, ed in particolare dell'apostolo Paolo. Come mai però egli si definisce un esperto architetto? Il significato di questo aggettivo viene associato direttamente al fondamento posto, ossia Cristo Gesù. Forse bisogna essere "esperti" per porre come fondamento Cristo? Non è relativamente semplice considerare il Signore come Capo della Chiesa? Evidentemente no.

Infatti, è possibile predicare Cristo con ipocrisia o con sincerità (Filippesi 1:18). Ed oltre alla semplice predicazione, come abbiamo visto è possibile edificare con materiali pregiati o con materiali scadenti. Paolo non solo era capace di porre il fondamento con sincerità, ma anche di continuare a costruire su di esso in modo da realizzare edifici solidi e durevoli. Il Signore nelle Scritture è spesso descritto come la "pietra angolare" (Mt 21:42, Mc 12:10, Lc 20:17, Atti 4:11). Ebbene, la pietra angolare ha lo scopo di sostenere tutta la costruzione. Su di essa poggia il muro portante, che vi scarica il peso delle strutture sovrastanti il muro stesso. Continuando ad illustrare questa immagine, il muro portante potrebbe essere rappresentato dagli apostoli e dai profeti, e quindi dai ministri stessi di Dio che collaborano per l'edificazione della Chiesa universale di cui fanno parte. 


Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, sulla quale l'edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore. In lui voi pure entrate a far parte dell'edificio che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito. Efesini 2:20-22



Ritroviamo con questo concetto un ulteriore dualismo. Da una parte l'edificio di Dio costituito dalla chiesa locale (di Corinto nel nostro contesto) e dall'altra l'edificio di Dio costituito dalla Chiesa universale di cui i ministri extra-ecclesiali sono servitori. Le comunità sono fondate su Cristo, edificate dagli apostoli e dagli altri credenti, ma la Chiesa di ogni generazione è composta anche da apostoli, missionari, profeti che collaborano per innalzare mura portanti nell'edificio, in modo che esso possa crescere costantemente in completezza. La Chiesa di Dio qui viene paragonata ad un'edificio e un tempio, ma nel dodicesimo capitolo della stessa prima lettera ai Corinzi viene anche paragonata ad un'organismo vivente. Questo diverso paragone ben evidenzia la natura rigenerativa del corpo di Cristo, una natura che di generazione in generazione ricrea sé stessa con nuovi membri, per raggiungere il numero esatto degli eletti di Dio, fra i quali si troveranno tanto gli stranieri quanto Israele (Rm 11:25).


Conclusione

La prima lettera ai Corinzi continua toccando i molti problemi di questa comunità. L'orgoglio, la licenziosità, la confusione a riguardo del matrimonio, il corretto esercizio dei doni spirituali, il significato ultimo della vita cristiana in vista della resurrezione finale. Ogni aspetto tuttavia, penso che possa essere riassunto con quest'unica frase:

1Corinzi 11:1 Siate miei imitatori, come anch'io lo sono di Cristo.

Essere imitatori del proprio missionario fondatore non significa disprezzare gli altri ministri. Non significa reputarsi migliori di altre comunità. Non significa simulare ogni aspetto del suo carattere per divenirne un discepolo-fotocopia. Al contrario, significa studiare con attenzione la manifestazione della grazia di Dio in lui, imparare tutto il possibile per poter allineare il proprio stile di vita con quello richiesto da Cristo. Avere il privilegio di poter osservare un esempio della santità cristiana, della condotta, della gestione delle finanze, della collaborazione ministeriale. Il vero discepolato infatti non è limitato allo studio di poche dottrine bibliche, ma si estende alla vita quotidiana e ad una comunione continua. 

Al suo "figlio legittimo nella fede", Timoteo, l'apostolo Paolo si riferirà qualche anno dopo con parole più intime:

Tu dunque, figlio mio, fortìficati nella grazia che è in Cristo Gesù, e le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, affidale a uomini fedeli, che siano capaci di insegnarle anche ad altri. 2Timoteo 2:1, 2 

Questo è l'elemento che garantisce la trasmissione delle esperienze di intere generazioni di ministri di Dio alle generazioni successive. Non deve essere qualcosa di tradizionalista, ma qualcosa di vivo, dinamico, efficace. La Chiesa ha iniziato ad edificare questo edificio spirituale nel I secolo ed i cristiani del tempo presente sono chiamati a lavorare nella stessa opera, nel loro contesto. Ciascuno di noi è chiamato ad edificare con materiali pregiati, allo stesso modo dei Corinzi. Ogni credente è chiamato ad abbandonare litigi, contese, faziosità, licenziosità e confusione per crescere invece nell'amore e nella maturità spirituale....e tutto questo per aiutare altri ancora a fare lo stesso percorso! Riflettere con la giusta prospettiva aiuta a comprendere i propri errori per scegliere di camminare nella strada di Cristo. Questo era lo scopo per il quale l'apostolo Paolo scrisse la sua lettera, e questo deve essere il proposito anche per noi lettori del XXI secolo. Che il Signore possa preservare tutti i santi fino al momento della dichiarazione di aver combattuto il buon combattimento, finito la corsa e conservato la fede! L'obiettivo comune infatti è quello di arrivare dinanzi al trono di Dio ed ascoltare le stesse parole che il padrone della parabola dei talenti pronuncia al suo primo servitore:

Matteo 25:21 Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". 



venerdì 16 maggio 2014

Chiesa invisibile

1.IL DONATISMO

Alla fine del III secolo d.C., il cristianesimo si era ben radicato nell'Impero romano: alcune analisi suggeriscono che il 10% della sua popolazione appartenesse a questa religione. Il cristianesimo si era sviluppato a tutti gli effetti come uno Stato nello Stato, mantenendo una stretta unione grazie alle celebrazioni ed alle autorità dei vescovi. La transizione dall'episcopato collegiale a quello monarchico infatti aveva favorito un certo equilibrio ed una certa coesione, anche se non mancarono occasioni di scontro tra la Chiesa d'Asia e quella d'Occidente. Ormai il gran numero di cristiani avevano prodotto anche una certa ricchezza e un'influenza nella società che infastidivano parecchio gli altri cittadini romani, soprattutto nella politica e nel governo.

Principalmente per queste ragioni, nel 303 d.C. l'imperatore Diocleziano (assieme a Massimiano, Galerio e Costanzo Cloro) emise una serie di editti volti a revocare i diritti legali dei cristiani, dando inizio all'ultima grande persecuzione. I cristiani erano tenuti a consegnare i propri testi sacri per destinarli al rogo, vedendosi confiscati tutti i beni delle chiese. I funzionari statali vennero arrestati e furono vietate cariche e privilegi ai credenti di alto rango. Molti morirono come martiri, mentre altri - definiti lapsi - per evitare i lavori forzati o la morte consegnarono le proprie copie delle Scritture e rinnegarono la propria fede con atti di adorazione agli dei pagani. 

La persecuzione si protrasse fino al 313, quando il successivo imperatore Costantino (assieme all'imperatore d'Oriente Licinio), promulgò l'editto di Milano che prevedeva per ogni cittadino la libertà di onorare le proprie divinità. 

Come era già accaduto nel 251 alla fine della persecuzione di Decio, anche in questa occasione si presentò il problema di come trattare i traditores, ossia coloro che appunto avevano fatto apostasia. Molti di essi infatti terminate le persecuzioni si ripresentarono nelle comunità chiedendo di essere riammessi. Alcuni di loro erano anche vescovi, e questo fatto non poté che complicare ulteriormente la problematica. Nelle chiese si svilupparono presto due correnti opposte: coloro che in modo intransigente non volevano riammettere nelle assemblee queste persone e coloro invece che erano più tolleranti e li accettavano previa penitenza, linea quest'ultima maggiormente abbracciata a livello generale. Questa diatriba si strinse ulteriormente attorno al seguente quesito: le ordinanze celebrate da un vescovo che era stato un traditor, avevano valore? In altre parole, i sacramenti avevano efficacia di per sé a causa della Grazia divina, oppure assieme a questo fattore era indispensabile anche la dignità di chi li amministrava? 

In questo contesto, a Cartagine nel 312 venne eletto come vescovo Ceciliano, consacrato da un ministro traditor. I vescovi della Numidia però non furono d'accordo, deposero Ceciliano, promossero Maiorino e poco dopo - nel 313 - a causa della morte di Maiorino nominarono al suo posto Donato di Case Nere. Vedendo minata la pace religiosa d'Africa, l'imperatore Costantino provvedette ad un tribunale composto da vescovi incaricati di risolvere il conflitto, che promulgarono un verdetto a favore di Ceciliano, condannando invece i seguaci di Donato. Questi ultimi si mantennero nelle loro posizioni, continuando ad alimentare quello che la storia tramanda come lo scisma donatista.

Il donatismo fu il primo vero problema ecclesiologico, presto affiancato da quello ben più grave dell'arianesimo

Nel 395, Agostino divenne vescovo di Ippona, consacrato dal Primate di Numidia. Egli si interessò anche al problema donatista, dissociandosi dal movimento con alcune considerazioni. La prima riguardava la natura della Chiesa, che le parabole di Cristo nei vangeli (in particolare, il grano e la zizzania, e la rete che cattura molti pesci nel tredicesimo capitolo di Matteo) rappresentano come composta sia da santi che da peccatori, quindi come un "corpo misto" che non deve essere prematuramente separato. La seconda considerazione riguardava la santità della Chiesa, che per Agostino non è derivata dalla santità dei suoi membri ma piuttosto quella di Cristo. La terza invece, di carattere pratico, nasceva dall'osservazione che i donatisti non avevano uno stile di vita all'altezza dei loro stessi princìpi morali. L'ultima considerazione sosteneva che tra la momentanea caduta dalla fede e lo scisma, il peccato più grave fosse senza dubbio lo scisma. 

I donatisti quindi concepivano la Chiesa come la società dei puri, completamente separata dal "mondo", rifiutando quindi anche quella relazione tra Impero e Chiesa che con Costantino stava cementandosi. Agostino invece, come appena visto, vedeva la Chiesa come un "corpo misto" composto sia da santi che da peccatori. Quest'ultima visione ha riscosso molto successo, ed è probabilmente alla base del concetto teologico di Chiesa invisibile. 

2.LA TEOLOGIA PROTESTANTE

Nel XVI secolo, Martin Lutero iniziò il grande movimento che viene comunemente conosciuto sotto il nome di "riforma protestante". Lutero considerava il credente, in quanto giustificato, dipendente dal potere della parola divina ed estraneo all'autorità ecclesiastica romana. In questa visione diventava presto chiara la distinzione tra la vera Chiesa, composta da tutti i santi rigenerati e per questo invisibile e conosciuta solo da Dio, e la Chiesa mista di giusti ed ingiusti. Tuttavia è Zwingli ad introdurre per primo il termine "Chiesa invisibile", associando ad esso la totalità dei veri credenti di ogni epoca, mentre egli identificava nella Chiesa visibile tutti coloro che si dichiarano apertamente cristiani, senza conoscere la loro effettiva rigenerazione spirituale. 

Nel 1562 il teologo e riformatore svizzero Heinrich Bullinger completò la redazione della seconda confessione elvetica, confessione di fede richiesta da Federico III del Palatinato che voleva motivare il proprio passaggio alla dottrina riformata. Tale confessione fu presto adottata da tutte le chiese riformate della svizzera tedesca. Anch'essa affronta la questione della Chiesa invisibile, affermando:
D’altra parte, tutti coloro che sono annoverati nella Chiesa non per questo sono vivi e veri membri della stessa. Vi sono infatti molti ipocriti che ascoltano la Parola di Dio esteriormente e ricevono pubblicamente i sacramenti e sembrano invocare Dio unicamente attraverso Gesù Cristo e confessare che Gesù Cristo è la sola loro giustizia, così come sembrano servire Dio, esercitare le opere di carità e, per un certo tempo sopportare pazientemente le calamità e le afflizioni, e tuttavia, dentro [interiormente], sono privi della vera illuminazione dello Spirito e della fede e sincerità di cuore e non perseverano fino alla fine; e così, alla fine, essi vengono scoperti e conosciuti per quello che sono. E’ dunque di essi che ha parlato l’Apostolo Giovanni dicendo: “Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma ciò è avvenuto perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri” (1 Gv. 2:19). Ciononostante, per il tempo in cui fingono di temere e di amare Dio, vengono contati nella Chiesa, benché non siano affatto della Chiesa, esattamente come in una repubblica i traditori vengono contati nel numero dei cittadini prima che il loro tradimento sia scoperto e come il loglio e la paglia è mescolato con il grano, e come gli ascessi e le gobbe si trovino in un corpo sano, benché, in verità, si tratti piuttosto di malattie [tumori] e di deformità del corpo che non di vere membra dello stesso. La Chiesa di Dio viene perciò a ragione paragonata ad una rete che contiene ogni sorta di pesci e ad un campo in cui si trovino erbacce in mezzo al buon grano (Mt. 13:47ss; 13:24ss). Ma in tutto questo dobbiamo fare attenzione a non giudicare a non giudicare prima del tempo, per non correre il rischio di escludere e rigettare o togliere coloro che il Signore non vuole che siano tolti o coloro che non possiamo separare dalla Chiesa senza arrecarle un danno. D’altro canto bisogna vegliare per impedire che, se i fedeli si addormentano, i malvagi si facciano avanti e rechino danno alla Chiesa. [1]
Tra il 1643 e il 1646 invece si riunirono a Westminster teologi e delegati inglesi e scozzesi, incaricati di redigere un credo adatto per entrambi, sotto la convocazione di Carlo I d'Inghilterra, preoccupato per la guerra civile scoppiata per motivi religiosi. Questo scritto è conosciuto come la "confessione di fede di Westminster", e venne adottato in Inghilterra e in Scozia come documento ufficiale normativo della Chiesa. Su questo tema, la confessione dichiara:

Questa chiesa universale è stata a volte più, a volte meno, visibi­le e le chiese particolari, membri di essa, sono più o meno pure a seconda della misura in cui la dottrina dell'Evangelo viene insegnato ed abbracciato, le ordinanze amministrate ed il culto pubblico celebrato con più o meno purezza. [2]

La teologia protestante quindi abbraccia e sviluppa questo pensiero di Agostino, trasportandolo nel XVI secolo ed adattandolo alla nuova situazione religiosa e sociale. La separazione dalla Chiesa cattolica romana offre un grande incentivo per ripensare e consolidare questo concetto teologico acquisito ormai in modo definitivo.  

3.LE SACRE SCRITTURE

Come abbiamo visto precedentemente, la dottrina della Chiesa invisibile affonda le sue radici nella Sacra Scrittura. Sono numerosi i passi biblici che sostengono questo insegnamento, offrendo spesso sfumature differenti e complementari. Diventa opportuno dunque analizzare qualcuno di questi brani, per acquisire una maggiore consapevolezza sul tema. 

Principalmente possiamo riconoscere da una parte le esortazioni apostoliche nelle epistole a porre attenzione ai falsi fratelli/apostoli/profeti/dottori, e dall'altra gli insegnamenti di Gesù nei vangeli in relazione al Regno di Dio (Mt 13, Mc 4, Lc 8) e al giudizio (Mt 7).

Però ci furono anche falsi profeti tra il popolo, come ci saranno anche tra di voi falsi dottori che introdurranno occultamente eresie di perdizione, e, rinnegando il Signore che li ha riscattati, si attireranno addosso una rovina immediata. Molti li seguiranno nella loro dissolutezza; e a causa loro la via della verità sarà diffamata. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna già da tempo è all'opera e la loro rovina non si farà aspettare. 
2 Pietro 2:1-3 

Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma ciò è avvenuto perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri. 
1 Giovanni 2:19 

Le lettere degli Apostoli sono effettivamente chiare nel fatto che all'interno delle chiese ci siano anche persone che pur sembrando parte spirituale delle stesse in realtà non lo sono affatto, manifestandosi a tempo debito. 
Cristo stesso inoltre mette in guardia dai falsi profeti, esortando a riconoscere la genuinità della fede di ciascuno dai propri frutti:

«Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso di voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così, ogni albero buono fa frutti buoni, ma l'albero cattivo fa frutti cattivi. Un albero buono non può fare frutti cattivi, né un albero cattivo fare frutti buoni. Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco. Li riconoscerete dunque dai loro frutti. «Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: "Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demòni e fatto in nome tuo molte opere potenti?" Allora dichiarerò loro: "Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!"  
Matteo 7:15-23 



La liberazione dai demoni e le opere potenti pur essendo eclatanti manifestazioni spirituali non garantiscono in modo certo da parte di chi li compie l'appartenenza a Cristo. In questo brano risulta curiosamente chiaro il fatto che queste espressioni di potenza non sono considerate come i "frutti buoni" appena illustrati dal Signore. I frutti buoni sono altri, e nascono prima di tutto dall'essere conosciuti da Gesù, e dal dimorare in Lui. 

Giovanni 15:6 Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. 

I veri cristiani sono conosciuti da Cristo e dimorano in Lui. I falsi cristiani non sono conosciuti da Cristo ma sono similmente vicini a Lui, come un tralcio che non porta frutto perché, anche se vicino alla vite, in realtà non ne riceve la linfa

Infine vi sono i brani che ispirarono originariamente Agostino, ossia le parabole sul Regno, in particolar modo la parabola del grano e della zizzania e la parabola della rete che cattura molti pesci, che possiamo leggere di seguito:

«Il regno dei cieli è anche simile a una rete che, gettata in mare, ha raccolto ogni genere di pesci; quando è piena, i pescatori la traggono a riva, poi si mettono a sedere e raccolgono il buono in vasi, e buttano via quello che non vale nulla. Così avverrà alla fine dell'età presente. Verranno gli angeli, e separeranno i malvagi dai giusti e li getteranno nella fornace ardente. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti.
Matteo 13:47 

La rete e la separazione dei pesci raccolti non vengono paragonati al mondo o alle nazioni (che potrebbero invece essere il mare), ma al Regno dei cieli. Cristo pertanto sta parlando della chiesa e del giudizio che alla fine dell'età presente separerà i malvagi dai giusti, che fino a quel momento sembravano essere parte dello stesso Regno spirituale. 
Nella parabola della zizzania invece:

«Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo; il campo è il mondo; il buon seme sono i figli del regno; le zizzanie sono i figli del maligno; il nemico che le ha seminate, è il diavolo; la mietitura è la fine dell'età presente; i mietitori sono angeli. Come dunque si raccolgono le zizzanie e si bruciano con il fuoco, così avverrà alla fine dell'età presente. Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli che raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono l'iniquità, e li getteranno nella fornace ardente. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti. Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi oda.
Matteo 13:37-43 

Tutti questi inequivocabili elementi conducono a riconoscere nella Chiesa una natura mista, che verrà purificata solamente alla fine dell'età presente, quando il Signore giudicherà ogni cosa secondo un giusto giudizio. Gli stessi elementi quindi, fungono da fondamento per la dottrina della Chiesa invisibile. 

4.CONCLUSIONI

Il concetto teologico della Chiesa invisibile prevede l'esistenza di una Chiesa visibile, nella quale siano presenti tanto gli effettivi eletti di Dio (la Chiesa invisibile), quanto degli impostori che lo sono soltanto apparentemente. 

Questo insegnamento è presente in modo molto chiaro nella Bibbia, ed è stato oggetto di particolare riflessione per Agostino d'Ippona e per i Riformatori che dovettero cercare un riscontro dottrinale per l'esistenza stessa di una Chiesa cattolica corrotta in un modo così grave. Il loro contributo quindi è stato essenziale per lo sviluppo di tale dottrina, che è entrata a pieno titolo nella teologia protestante, grazie anche alla formulazione di precise descrizioni nelle fondamentali confessioni di fede utilizzate soprattutto in Inghilterra, Scozia e Svizzera tedesca. 

Alcuni teologi moderni hanno esteso questo concetto secondo la teoria del "cristianesimo anonimo", portandola anche oltre i limiti fino ad ora condivisi della religione cristiana. 

Personalmente ritengo che la dottrina della Chiesa invisibile sia correttamente applicabile all'intera Chiesa cristiana, comprensiva di ogni sua denominazione. Penso infatti che in ogni comunità locale e in ogni denominazione cristiana vi siano veri credenti e falsi credenti. Questo non deve scoraggiare ma al contrario esortare all'esercizio della misericordia verso tutti, al discernimento, alla difesa della sana dottrina ed alla fiducia nella giustizia di Dio. 

Note:

Bibliografia:
Giancarlo Rinaldi, Cristianesimi nell'antichità, Ed. GBU.
Alister E. McGrath, Teologia cristiana, Ed. Claudiana. 

sabato 10 maggio 2014

Le sette lettere dell'Apocalisse (parte III): la chiesa di Pergamo


Ancora una volta ricorre lo stesso schema comune alle sette lettere: intestazione, presentazione del Signore, riscontro sulla condizione della comunità, esortazione, invito ad ascoltare lo Spirito e promessa.

Ai credenti di Pergamo, il Signore si presenta come colui che ha la spada affilata a due tagli, in accordo con l'immagine di Cristo che Giovanni vede dopo essere stato rapito dallo Spirito:

Apocalisse 1:16 Nella sua mano destra teneva sette stelle; dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, affilata, e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza.

Nel primo capitolo, Giovanni descrive il corpo del Messia: la lingua è una spada. Questo simbolismo era sicuramente immediato per i credenti di origine giudaica, o per quelli che avevano comunque studiato l'Antico Testamento. Nel libro di Isaia infatti, quando egli profetizza l'arrivo dell'Emmanuele, è chiaro il fatto che il Messia non sarà un sovrano che pronuncerà sentenze ingiuste o inefficaci, ma al contrario pronuncerà sentenze eque per gli umili del paese. Colpirà il paese con la verga della sua bocca, e con il soffio delle sue labbra farà morire l'empio (Is 11:4). 
L'immagine di Isaia è ereditata dall'Apocalisse: la bocca del Cristo, cioè la parola del Cristo è un giudizio reale, efficace, è una spada a due tagli che divide e che guarisce, è una spada che passa nell'interno della carne degli uomini1 (cfr. Ebrei 4:12).
E questo stesso discernimento e giudizio si esprime nelle parole immediatamente successive. Il Signore riconosce che la comunità abita dove è il trono di Satana e che nonostante questo rimane fedele, senza rinnegare la propria fede nemmeno quando il credente Antipa, fedele martire, fu ucciso nella dimora di Satana. 

Il termine martus, che significa testimone, rappresenta infatti anche l'origine etimologica della parola "martire". I testimoni di Cristo morivano così spesso a causa della propria fede che questi due concetti iniziarono a sovrapporsi. 
L'altare di Zeus ricostruito nel Pergamonmuseum di Berlino
L'espressione "trono di Satana" si riferisce invece sicuramente ad un elemento ben preciso che l'archeologia ha individuato con un capolavoro dell'arte ellenistica: l'altare di Zeus. Questo imponente edificio fu distrutto dalle invasioni barbariche e ricostruito con i frammenti superstiti dagli archeologi tedeschi, che lo portarono nel 1886 a Berlino2. L'altare di Zeus agli occhi dell'autore dell'Apocalisse si sovrappone quindi all'altare stesso di Satana che dalla sommità dell'acropoli si ergeva su tutta la città. A questo altare di Satana però si affianca anche quella che viene nominata come sua "dimora". Questa allusione probabilmente riprende l'immagine della "sinagoga di Satana" della lettera alla chiesa di Smirne. Il persecutore dei cristiani non era soltanto il Satana che dominava dal suo altare, ma anche il Satana che dimorava nella sinagoga. Un avversario che influenzava tanto i pagani quanto i falsi giudei per mettere a morte quanti più possibili testimoni di Cristo.

Dopo queste considerazioni sulla fedeltà dei credenti di Pergamo arriva la seconda parte del riscontro del Signore, introdotta con le parole: "ma ho qualcosa contro di te". Questo qualcosa riguarda la tolleranza nella comunità di alcuni che professavano la dottrina dei Nicolaiti, coloro che invece i cristiani efesini non tolleravano. Questa viene assomigliata alla dottrina di Balaam, la
cui storia è narrata nel libro dei Numeri, dal capitolo 22 al capitolo 24. Balac, re di Moab mandò degli ambasciatori all'indovino Balaam per chiedergli di maledire Israele, ma egli ripetutamente gli rispose che non era in suo potere farlo, poiché Israele era stato benedetto dal Signore. Desiderando la ricompensa di Balac, egli andò comunque da lui cercando di accontentarlo ma riuscendo invece soltanto a benedire Israele secondo la volontà di Dio. Poco dopo però:

Israele era stanziato a Sittim e il popolo cominciò a fornicare con le figlie di Moab. Esse invitarono il popolo ai sacrifici offerti ai loro dèi; e il popolo mangiò e si prostrò davanti ai loro dèi. Israele si unì a Baal-Peor e l'ira del SIGNORE si accese contro Israele. 
Numeri 25:1-3 

La lettera alla chiesa di Pergamo chiarisce il fatto che Balaam in realtà insegnò a Balac come far cadere i figli di Israele: attraverso la seduzione, la fornicazione e l'idolatria. I culti della fertilità, la prostituzione sacra, un culto corposo e fisico esercitavano un grande fascino sul popolo che era chiamato invece a servire l'unico vero Dio, trascendente e purissimo. In questo modo, anche se Balac non riuscì a maledire Israele, riuscì però a far accendere l'ira del Signore contro di lui. Questa dottrina - questo insegnamento satanico - era lo stesso all'opera contro i credenti di Pergamo. I Nicolaiti li inducevano infatti alla fornicazione e a mangiare le carni sacrificate agli idoli, inseguendo una licenziosità ben lontana dalla vera libertà che deriva dalla grazia di Dio. 

Ravvediti dunque, altrimenti fra poco verrò da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca. (Ap 2:16)

La comunità di Pergamo era dunque fedele, ma troppo tollerante, e di questo doveva ravvedersi. Altrimenti il Signore stesso avrebbe dovuto combattere contro i Nicolaiti attraverso il Suo giudizio. 

Dopo l'esortazione ad ascoltare lo Spirito, la lettera continua con una promessa inedita, la promessa della manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve. Agli efesini che avevano abbandonato il primo amore, il Signore promette per i vincitori la vita eterna alla presenza di Dio. Ai credenti di Smirne, chiamati ad essere fedeli fino alla morte, Egli promette la corona della vita. Ai vincenti tra i cristiani di Pergamo però la promessa riguarda la manna nascosta. A questa comunità che stava vivendo la stessa crisi morale passata da Israele infatti, viene offerta simbolicamente la stessa manifestazione della provvidenza di Dio che mantenne in vita il popolo di Israele per quarant'anni. Cogliendo l'esortazione al ravvedimento e alla purificazione da fornicazioni e idolatrie, la chiesa avrebbe vissuto della piena provvidenza di Dio. Altrimenti, avrebbe vissuto un tempo di giudizio, necessario per la purificazione. Oltre alla manna nascosta però, viene promessa anche una pietruzza bianca. La pietra (angolare) per eccellenza è Cristo, il bianco è il colore dell'escatologia e del regno messianico e il nome nuovo è il destino futuro di vita e di salvezza del cristiano. Nell'Antico Testamento il sommo sacerdote portava sul suo pettorale dodici pietre, simboleggianti le tribù di Israele. 
Similmente, anche il fedele avrà un nuovo nome, un nuovo destino fondato sulla pietra bianca che è Cristo.3
CONSIDERAZIONI FINALI

Come visto nello studio introduttivo l'Apocalisse in genere, e quindi anche questo brano specifico, possono essere interpretati secondo l'ottica preterista, storicista, idealista o futurista. Nell'ordine, significa cioè che questa lettera può essere considerata come esclusiva della chiesa di Pergamo del I secolo, può rappresentare l'intera Chiesa cristiana accondiscendente del periodo che va dal 312 al 606 d.C., oppure può essere svincolata da un contesto storico particolare ed essere valida genericamente per tutte le comunità che rispondono a queste caratteristiche. 

Similmente a quanto già detto in riferimento alle lettere precedenti, personalmente ritengo che si possa considerare come un'epistola diretta in primo luogo alla comunità del tempo ed in secondo luogo ai credenti di ogni tempo, esattamente come ogni altra lettera del Nuovo Testamento. 

Ogni comunità cristiana - comprese quelle del tempo presente -  ha sempre dovuto fronteggiare due pericoli ugualmente gravi ma opposti: il legalismo e la licenziosità. Vincolarsi alla legge di Mosè, oppure abusare della libertà della grazia, rappresentano infatti gli errori più comuni del cristianesimo di ogni tempo. Nel I secolo il primo aspetto era promosso dal fenomeno del giudeo cristianesimo, mentre il secondo dallo gnosticismo e dalla cultura greco-romana. Ai giorni d'oggi, l'identità originaria di entrambe queste correnti di pensiero si è persa, ma gli stessi pericoli riaffiorano con altrettanta forza sotto i nuovi volti del tradizionalismo, dell'umanesimo, della secolarizzazione e dell'antropocentrismo. Per questo motivo una lettera di migliaia di anni fa è ancora incredibilmente attuale per i cristiani di tutto il mondo. Per questo motivo i cristiani di tutto il mondo sono chiamati a leggerla, meditarla e studiarla, per essere completi e ben preparati per ogni opera buona (2 Tim 3:17).


Note:
[1] La Bibbia di Gerusalemme
Volume XII, commenti di Gianfranco Ravasi, Edizioni Dehoniane Bologna, p.602.
[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Altare_di_Zeus.
[3] La Bibbia di Gerusalemme
Volume XII, commenti di Gianfranco Ravasi, Edizioni Dehoniane Bologna, p.620.

domenica 4 maggio 2014

Il digiuno per lo Sposo

I discepoli di Giovanni e i farisei erano soliti digiunare. Alcuni andarono da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano e i tuoi discepoli non digiunano?» Gesù disse loro: «Possono gli amici dello sposo digiunare, mentre lo sposo è con loro? Finché hanno con sé lo sposo, non possono digiunare. Ma verranno i giorni in cui lo sposo sarà loro tolto; e allora, in quei giorni, digiuneranno.
Marco 2:18-20

I vangeli riportano spesso il confronto che le persone facevano tra il ministero di Giovanni Battista e quello di Gesù, in quanto non era chiaro il rapporto tra i due. Noi sappiamo che Giovanni ha preparato la via per il Messia, iniziando a portare al ravvedimento molti giudei. Lo stile di vita ascetico di Giovanni, il suo dimorare nel deserto, la sua dieta eccezionalmente povera erano indicatori della sua intera vita spesa per adempiere alla volontà di Dio. Gesù però non si comportava in questo modo. Tutti vedevano che il Suo stile di vita per quanto fosse sano e sobrio non ricalcava l'austerità di quello di Giovanni. Perché? Coinvolti da questa domanda, alcuni hanno sentito la necessità di andare direttamente da Gesù per chiederglielo, come abbiamo appena letto in questo brano. 

La letteratura profetica veterotestamentaria è ricca di immagini che descrivono Dio come uno sposo e Israele come la sua sposa. L'idolatria di Israele era sempre paragonata all'infedeltà matrimoniale ed alla prostituzione, così come il patto di alleanza che univa i due rappresentava il vincolo tra due fidanzati e successivamente tra due sposi:

Ezechiele 16:8 Io ti passai accanto, ti guardai, ed ecco, il tuo tempo era giunto: il tempo degli amori; io stesi su di te il lembo della mia veste e coprii la tua nudità; ti feci un giuramento, entrai in un patto con te", dice il Signore, DIO, "e tu fosti mia.

La risposta di Gesù è quindi al tempo stesso tradizionale e innovativa. Tradizionale perché riprende un tema ben presente nelle Scritture, il tema del matrimonio tra Dio e il Suo popolo. Innovativa per più di un motivo: in primo luogo qui è Cristo stesso lo sposo (e non YHWH, il Padre), in secondo luogo i termini raffigurano un matrimonio futuro, che deve ancora svolgersi. In terzo luogo vi è un ulteriore elemento di novità: lo sposo verrà tolto agli amici. Gli amici dello sposo nella cultura ebraica provvedevano a redarre i documenti per il matrimonio, la loro funzione era quindi essenziale. In questo contesto gli amici dello Sposo sono i discepoli di Gesù. Perché essi non digiunano? Perché in quel tempo lo Sposo era con loro. Ma quando lo Sposo sarà tolto, allora digiuneranno. Questo è il cuore della risposta. I discepoli di Giovanni digiunavano perché il suo ministero era in attesa del Messia. I discepoli di Cristo non digiunavano perché loro erano con il Messia-Sposo. Per sottolineare le novità introdotte però, il Signore continua a parlare, dicendo:

Nessuno cuce un pezzo di stoffa nuova sopra un vestito vecchio; altrimenti la toppa nuova porta via il vecchio, e lo strappo si fa peggiore. Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino fa scoppiare gli otri, e il vino si perde insieme con gli otri; ma il vino nuovo va messo in otri nuovi».
Marco 2:21,22 

Il vino nuovo va messo in otri nuovi. L'incarnazione di Cristo, è qualcosa di così importante da portare ad una nuova alleanza, un nuovo matrimonio. Per la prima volta dunque, lo sposalizio diventa quello tra il Figlio e la Chiesa. Questo non significa che essa ha sostituito Israele, ma che piuttosto è stata inclusa nei piani di Dio per un nuovo matrimonio escatologico. 
Il tempo che intercorre dall'ascensione di Cristo fino al Suo ritorno quindi, può essere descritto come il tempo di digiuno per lo Sposo. Certo, lo Spirito Santo è ben presente nella Chiesa (1 Cor 3:16) come sostituto, ma al tempo presente lo Sposo è assente, essendo alla destra di Dio Padre (Mc 16:19), e la Chiesa è fidanzata con Lui.



2 Corinzi 11:2 Infatti sono geloso di voi della gelosia di Dio, perché vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo. 

Il termine "fidanzare" traduce dal greco la parola harmozō, che ha principalmente due accezioni: la prima riguarda il fidanzamento che precede un matrimonio e la seconda il fissaggio di più travi o tavole di legno per la costruzione di case, navi o altro. Questo secondo significato è molto curioso, e può avere un senso anche nel nostro contesto alla luce del paradigma della Chiesa come edificio spirituale. Cristo infatti viene anche definito come "pietra angolare" (Atti 4:11, Ef 2:20), la prima ad essere posata, il cui scopo è quello di sorreggere l'intero edificio. E in altri passi del Nuovo Testamento, i credenti vengono anche paragonati a delle "pietre viventi", usate per edificare una casa spirituale (1 Pt 2:5). Il misterioso (Ef 5:31) rapporto tra Cristo e la Chiesa dunque è come quello tra due promessi sposi, che già al presente sono coinvolti in un legame indissolubile, come può essere quello tra la pietra angolare e gli altri mattoni che vengono sovrapposti durante la costruzione. Del resto lo stesso fidanzamento nella cultura ebraica era vincolato da un vero e proprio contratto, e rappresentava una parte integrante del matrimonio.

Da circa duemila anni, stiamo vivendo nel tempo del digiuno per lo Sposo. Certo, abbiamo le primizie dello Spirito, ma in realtà gemiamo dentro di noi aspettando l'adozione (Rm 8:23), e lo stesso Spirito Santo intercede per noi con sospiri ineffabili, conoscendo il volere di Dio e venendo incontro al disagio spirituale che ogni credente vive: il disagio dato dalla tensione dell'attesa del ritorno dello Sposo

Cantico dei Cantici 8:14 Fuggi, amico mio,
come una gazzella o un cerbiatto,
sui monti degli aromi!

Come l'amata del Cantico, anche la Chiesa vive in modo consapevole (per alcuni) o inconsapevole (per altri) questa passione che si può esternare con l'invito conclusivo di questo meraviglioso libro biblico: l'invito che l'amata rivolge all'amato di ricercare il suo corpo (il monte degli aromi). Il Cantico sorprendentemente non finisce in alcun modo: i due non si ritrovano definitivamente né sono definitivamente separati ma vivono invece una ricerca rinnovata l'uno dell'altra. La stessa ricerca che al tempo presente sta vivendo la Chiesa di Cristo. 

1 Corinzi 16:22 Se qualcuno non ama il Signore, sia anatema. Marana tha.

L'Apostolo Paolo esterna questo sentimento nelle note conclusive della prima lettera ai Corinzi, quando maledice chiunque "non ami il Signore" ed invoca quest'ultimo con l'espressione aramaica Maràna tha, ossia: "Vieni, o Signore". La stessa espressione che ritroviamo in greco al termine dell'Apocalisse di Giovanni: 

Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni». E chi ode, dica: «Vieni». 
[...]
Colui che attesta queste cose, dice: «Sì, vengo presto!»
Amen! Vieni, Signore Gesù!
Apocalisse 22:17,20

Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni". E lo Sposo dice: "Si, vengo presto!". 
Nell'invocazione della sposa c'è il viscerale desiderio di vedere la giustizia di Dio (Lc 18:7), di rivedere il proprio amato, il centro della propria vita, della propria fede, il senso della propria esistenza. Nella risposta dello Sposo invece c'è la gioia di vedere il pieno frutto del travaglio della Sua anima. 

Il ritorno di Cristo è stato spesso dipinto come un momento drammatico e terribile, un momento di giudizio e di punizione, un giorno che verrà di sorpresa come un ladro nella notte. Questo è tutto vero, ma soltanto gli increduli e i ribelli vivranno l'evento in questo modo. I figli di Dio non sono infatti nelle tenebre, così che quel giorno abbia da sorprenderli come un ladro (1 Tess 5:4). Il ritorno di Cristo non sarà una sorpresa per la Chiesa! Lo stesso tema del "rapimento" evoca pensieri negativi, perché nella nostra cultura il rapimento è un atto criminale. Ma non è questo il caso. La Chiesa non sarà sorpresa dal ritorno di Cristo e dal rapimento, e per essa non sarà sicuramente un'avvenimento traumatico in sé. Anzi, l'apparizione dello Sposo non potrà che essere il momento più gioioso e glorioso dell'intera storia dell'umanità. E quando lo Sposo e la sposa si incontreranno, al tempo opportuno, potranno finalmente essere officiate le nozze. L'inizio di un nuovo, eterno, matrimonio. 

Poi udii come la voce di una gran folla e come il fragore di grandi acque e come il rombo di forti tuoni, che diceva: «Alleluia! Perché il Signore, nostro Dio, l'Onnipotente, ha stabilito il suo regno. Rallegriamoci ed esultiamo e diamo a lui la gloria, perché sono giunte le nozze dell'Agnello e la sua sposa si è preparata. Le è stato dato di vestirsi di lino fino, risplendente e puro; poiché il lino fino sono le opere giuste dei santi». E l'angelo mi disse: «Scrivi: "Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell'Agnello"». Poi aggiunse: «Queste sono le parole veritiere di Dio».
Apocalisse 19:6-9 
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