Traduttore


sabato 23 marzo 2013

Storia della Teodicea


Introduzione al problema

Il significato etimologico della parola “teodicea” deriva dai lemmi greci théos (Dio) e da dìke (giustizia), ovvero la “dottrina della giustizia di Dio”.
Agostino d'Ippona, intorno al 400 d.C. scrive nel suo trattato “Confessioni” una frase che potremmo prendere come sintesi del problema della Teodicea: “Si Deus est unde malum? - Se Dio esiste [da dove] viene il male?”
La Bibbia presenta un Dio di amore e bontà, che di conseguenza non può essere la sorgente del male. Ma di fatto, Dio è l'unico Creatore, la sorgente di ogni cosa. Come spiegare questo dilemma?
A cavallo tra il 400 e il 500 d.C., il filosofo romano Severino Boezio ha ribaltato il problema ponendosi il quesito: “Si Deus non est unde bonum? - Se Dio non esiste da dove viene il bene?”

Visti i termini del problema, diventa opportuno fare una prima distinzione tra la teodicea in senso stretto, il cui compito è quello di rispondere alla domanda del perchè Dio permette il male, e la difesa il cui compito è quello di evidenziare l'assenza di contraddizioni tra le affermazioni di Dio e l'assenza del male (1).

La teodicea nell'antichità

Questa problematica in realtà precede il cristianesimo, trovando come primo vero esponente il filosofo greco Epicuro che intorno al 400 a.C. analizza il ragionamento in questi termini:
  • Gli dèi non vogliono il male ma non possono evitarlo (sarebbero buoni ma impotenti)
  • Gli dèi possono evitare il male ma non vogliono (sarebbero cattivi)
  • Gli dèi non possono e non vogliono evitare il male (sarebbero cattivi e impotenti)
  • Gli dèi possono e vogliono ma non si interessano all'uomo.
Quest'ultima affermazione era considerata dal filosofo come veritiera, era giunto quindi alla conclusione che gli dèi sono indifferenti alle vicende umane e si chiudono nella loro perfezione (2).

La teodicea nella Bibbia

Arrivando ai libri biblici, nel Salmo 73 iniziamo a trovare un tema analogo: la prosperità degli empi e la distretta dei giusti. Un apparente paradosso che trova però soluzione nel considerare la perdizione a cui gli empi sono destinati dalla volontà di Dio.
Il libro biblico che tratta questo argomento con eccellenza però, resta quello di Giobbe. Di fronte a tutto il male provato, egli inizia ad accusare Dio finché questi non si rivela a lui personalmente come il Creatore di ogni cosa. Ecco quindi che di fronte alla infinita saggezza e sapienza mostrata nella creazione della natura e al sostentamento di ogni essere vivente, non si può far altro che mostrare timore di Dio e fede in ciò che sta facendo anche se al momento non abbiamo comprensione.
Nei Vangeli, in diversi passi (Lc 13:1-5; Gv 9:3) Gesù ridimensiona il principio teologico ebraico della giustizia retributiva, secondo cui la sofferenza è la punizione che Dio infligge agli ingiusti, così come la prosperità sono un premio di Dio ai meritevoli. Emerge quindi un piano di Dio superiore a queste dinamiche, un disegno quasi completamente sconosciuto.

La teodicea in epoca moderna

In epoca moderna il problema è stato ripreso ed affrontato innumerevoli altre volte.
Dostoevskij nel suo ultimo romanzo “I fratelli Karamazov” iniziato a pubblicare nel 1879, si sofferma sulla sofferenza dei bambini, mostrando attraverso le parole di un suo personaggio il rifiuto di credere che un giorno vittime e carnefici potranno stare assieme come il leone con l'agnello (Is 65:25).
Di primaria importanza a questo riguardo troviamo le parole del premio nobel Elie Wiesel, che in un campo di concentramento nazista guardando un bambino agonizzante che stava morendo sulla forca rispose a chi gli domandava dov'era Dio: “Eccolo, è lì, appeso a quella forca”.
Sempre nella Seconda Guerra Mondiale troviamo numerose testimonianze simili, e un sentimento comune di rifiuto.
Il filosofo scozzese David Hume fu tra i primi a riprendere in mano il problema partendo proprio dalle riflessioni di Epicuro. Scrisse infatti: “La vecchia questione di Epicuro è ancora senza risposta: Egli vuole eliminare il male ma non può farlo? Allora è impotente. Può farlo ma non vuole? Allora è malvagio. Vuole e può farlo? Perché il male esiste ancora?”(3)
Possiamo schematizzare i termini del problema in questo modo:

  • Dio è buono
  • Dio è onnipotente
  • Il male esiste

Un essere onnipotente e moralmente perfetto cercherebbe di impedire ogni male. Il male però esiste ed è ben visibile. La conseguenza è che Dio non esiste, oppure bisogna ricalibrare tutto il ragionamento logico.
Un'argomentazione deduttiva concluderebbe nel fatto che tale realtà è una confutazione alla stessa fede. Un'argomentazione induttiva renderebbe improbabile l'esistenza di Dio allontanandosi però dal pensiero di una confutazione definitiva. Vi sarebbe infatti in questo caso la possibilità di conciliare in qualche modo l'esistenza di Dio con il male modificando o integrando una o più delle tre premesse iniziali:
a. Dio è un essere moralmente perfetto
b. Un essere onnipotente impedirebbe il male se solo lo volesse
c. Un essere moralmente perfetto cercherebbe di impedire ogni male.
Tale argomentazione però non è riuscita ad andare più avanti, fermandosi all'improbabilità dell'esistenza di Dio.

Anche lo scrittore cristiano C.S.Lewis trattò l'argomento nel suo libro “Il problema della sofferenza”, dove possiamo leggere:
“Se Dio fosse buono, desidererebbe rendere le Sue creature perfettamente felici, e se Dio fosse onnipotente sarebbe in grado di fare ciò che desidera.
Ma le creature non sono felici. Perciò a Dio manca o la bontà, o l’onnipotenza, o tutte e due.
Questo è il problema della sofferenza nella sua formulazione più semplice.”

La teodicea nelle altre religioni

Al di fuori del cristianesimo, il problema della teodicea non si pone nelle religioni basate sul dualismo. Il male è prodotto dalle divinità negative che si oppongono a quelle positive della divinità maggiore. Altre religioni contemplano invece la reincarnazione, vedendo nelle sofferenze presenti l'espiazione del male provocato nella vita precedente, e viceversa interpretando la prosperità presente come un premio per l'altruismo delle scorse vite.

Definizione del termine “male”

A questo punto però, è utile tornare al nostro protagonista iniziale, Agostino d'Ippona, che aveva riflettuto sul termine stesso di “male”, effettuando delle distinzioni molto calzanti:
→ Male morale – è il peccato, la trasgressione della legge di Dio
→ Male fisico – il dolore, il male come conseguenza di fenomeni naturali
→ Male ontologico/metafisico – derivato dalla nostra creaturalità

Il vocabolario ebraico dell'Antico Testamento non possedeva una parola specifica per indicare la "sofferenza", perciò viene definito come "male"; anche tutto ciò che è nel concetto di "sofferenza". Solo nella lingua greca, e quindi nel Nuovo Testamento, abbiamo una distinzione tra la sofferenza ed il male. In effetti i due concetti sono distinti: una catastrofe naturale è male solo perchè arreca sofferenza. L'esplosione della stella di un sistema solare invece non può essere considerato male, poiché dove non c'è vita non c'è la percezione della sofferenza.

Definizione del termine “onnipotente”

Avendo approfondito il concetto di male, arriviamo però ad una domanda successiva: “Cosa vuol dire che Dio è onnipotente?”
Il Catechismo di Heidelberg, risponde così:

D. 26 Cosa credi quando dici: Io credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra?
R. Che l'eterno Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che dal nulla ha creato cielo e terra con tutto ciò che è in essi, ed anche li sostiene e li governa con il Suo eterno consiglio e provvidenza, è, a motivo di Cristo Suo Figlio, mio Dio e mio Padre, nel quale io anche confido, così che non dubito che Egli mi provvederà tutto il necessario per il corpo e per l'anima e che ogni male, che mi manda in questa valle di lacrime, lo volgerà al mio bene poiché Egli può farlo, in quanto è un Dio onnipotente, e vuol farlo, in quanto è un Padre fedele.
D. 27 Che cosa intendi per provvidenza di Dio?
R. L'onnipotente e onnipresente potenza di Dio, per la quale Egli sostiene, come se fosse con la Sua mano, cielo e terra, con tutte le creature, e li governa in modo che fronde ed erba, pioggia e siccità, annate fruttuose ed infruttuose, mangiare e bere, salute ed infermità, ricchezza e povertà, ed ogni cosa, non ci avvengono per caso, ma ci provengono dalla Sua mano paterna.”

Le soluzioni proposte nel corso della storia

Nel corso della storia sono state proposte principalmente le seguenti soluzioni:
→ Dio non è onnipotente (Whitehead, Moltmann e Jonas)
→ Dio non è buono (Blumenthal)
→ Il male non esiste (Agostino, Calvino e Barth)

1a. Dualismo.
La confessione di fede monoteistica in un Dio creatore lasciava un certo margine alla credenza in forze ed energie malvagie, non però alla fede nell'esistenza di un essere trascendente, dalla stessa origine e potenza dell'unico Dio. Questo approccio infatti è sempre stato considerato eretico.

1b. Il dualismo radicale.
Espresso nel manicheismo, nel zoroastrismo e, con dei limiti, da Marcione.
E' contrario al messaggio biblico e mette in discussione l'onnipotenza di Dio. Infatti se il bene e il male sono sullo stesso piano, non possono essere considerati onnipotenti.

1c. Il dualismo moderato.
Presuppone un unico individuo superiore da cui deriva un principio secondario (satana) a cui si assegna un ruolo importante nell'interferenza con il mondo. Questo ragionamento non ha biblicamente molto senso. Essendo Dio onnipotente, perchè non impedisce a satana di operare il male e causare tante sofferenze?

1d. La teologia del processo.
Whitehead parte da un dualismo ontologico tra Dio e il mondo.
Dio non avrebbe creato il mondo ma lo avrebbe semplicemente ordinato ed interverrebbe nella creazione non in modo diretto ma soltanto persuadendo.

1e. Dio non è onnipotente.
Il teologo Moltmann si è fatto promotore di una dottrina vicina a quella appena descritta, in cui Dio avrebbe sofferto sulla croce, mentre la teologia ufficiale aveva limitato questa esperienza alla natura umana di Cristo. Secondo Moltmann anche il Padre soffrirebbe nella passione del Figlio. Egli presenta quindi un Dio che soffre, un Dio debole.

2a. Dio non è buono: Egli è buono in senso relativo ma non assoluto.
Di fronte alla sofferenza nel mondo, i fedeli devono chiedere conto a Dio e dare loro stessi il perdono. E' un punto di vista inconciliabile con quello biblico.

3a. Il male non è reale.
La realtà è buona
Il male è negazione del bene
Il male è negazione della realtà
Pertanto il male non è reale [Plotino – 204, 270 d.C.]

3b. Il male come privazione del bene.
Agostino d'Ippona percorre questo stesso sentiero descrivendo il male come la mancanza, l'assenza del bene. In questo senso quindi il male non avrebbe una sua natura, una sua consistenza ma sarebbe sempre in relazione del bene, senza il quale non esisterebbe.

4a. Sofferenza come pena per il peccato.
E' la spiegazione che danno gli amici al giusto Giobbe.

4b. La sofferenza come strumento per educare e mettere alla prova.
Figlio mio, non disprezzare la correzione del SIGNORE,
non ti ripugni la sua riprensione;
perché il SIGNORE riprende colui che egli ama,
come un padre il figlio che gradisce. [Proverbi 3:11-12]

4c. La sofferenza è un mistero.
Dio ha rivelato all'uomo solo quello che concerne la sua salvezza, quindi la sofferenza è un mistero che sarà svelato soltanto alla fine dei tempi.

Fondamenti della teodicea di Giovanni Calvino


1) Dio è onnipotente e governa l'universo.
Di conseguenza vuole, non permette soltanto, l'esistenza del male.
2) Il male non ha una sua ipostasi.
3) L'esperienza della sofferenza è reale.
4) Dio è buono.

Calvino interpretò la distinzione tra “potenza assoluta” e “potenza ordinata” come una distinzione tra un potere senza alcuna regola e un potere che manifesti la giustizia di Dio.
L'onnipotenza di Dio è quindi infinita ma non assoluta, in quanto inscindibile dalla Sua giustizia, sapienza e bontà.

Il potere di Dio, non deve essere considerato senza legge, tirannico o disordinato, eccessivo, senza nessuna regola né misura o separato dalla Sua giustizia.
Se Dio non fosse giusto, Egli non sarebbe più Dio, poiché la Sua gloria e la Sua divinità e il Suo essere sarebbero del tutto aboliti.” [G. Calvino]

Per Calvino era impensabile affermare che Dio può fare tutto quello che è possibile in quanto la Sua onnipotenza e volontà sono legate l'una all'altra.
Alla domanda di Platone: “il bene è tale perchè voluto da Dio, o se è voluto da Dio perchè è bene?”, Calvino rispose senza esitazione. Il bene quindi è la volontà stessa di Dio. Il bene è tale perchè voluto da Dio.

Dall'onnipotenza alla provvidenza

- Il caso quindi non esiste ma ogni avvenimento è diretto da Dio.
- Dio è la causa e l'origine di ogni movimento e controlla l'universo e la storia in modo permanente.

Con il primo principio Calvino mise in discussione la dottrina epicurea che affermava che tutto avviene per caso.
Con il secondo, si distanziò dagli stoici che identificavano Dio dai processi naturali.
Per Calvino infatti Dio regge l'universo ma non si identifica con esso.

A questo punto però se Dio è onnipotente e governa ogni cosa, controlla anche il male?
In effetti, per Calvino è esattamente così.
Il diavolo è tenuto al guinzaglio e non può fare nulla senza ottenere prima il permesso da Dio, esattamente come viene esplicitato nel libro di Giobbe.
Se satana e suoi non fossero tenuti al guinzaglio infatti, tutto precipiterebbe nel disordine più totale.

In quale condizione saremmo se Satana fosse libero di agire contro di noi?
Se Dio non mantenesse sempre il controllo e desse le briglie a Satana, tutto crollerebbe in totale confusione e noi dovremmo sopportare molto di più di quanto Giobbe ha dovuto sopportare.” [G. Calvino]

In quest'ottica quindi crolla la debole posizione di chi argomenta che il male venga “permesso” da Dio. Il male è uno strumento usato da Dio per portare al bene, così come accadde al patriarca Giuseppe.

Agostino e Calvino

Calvino cito’ nelle sue opere oltre 4.119 volte Agostino: 1175 nelle Istituzioni, 2214 in altri trattati di teologia, 504 nei commentari, 47 nelle lettere, 33 nei sermoni, e 146 in altre opere.

L’intento teologico occupa più della metà dei riferimenti ad Agostino: 59%.
Lo storico il 17%; il polemico il 10%; l’esegetico l’, 8%; il retorico il 3%; il filosofico l’, 1% e il resto il 2%.

Il male non ha ipostasi ontologica

Per quanto riguarda il male e il peccato , essi non affermano soltanto che si tratta di una privazione di bene, ma è una qualcosa che non esiste. Essi ne parlano nella stessa maniera in cui Paolo parla degli idoli, quando scrisse che “un idolo è nulla" (I Cor. 8,4). [G.Calvino]

1) Il male non ha una ipostasi ontologica e, di conseguenza ogni soluzione dualistica del problema della teodicea è fermamente escluso. Solo Dio è responsabile di qualunque cosa accade nell'universo e nella storia.

2) Il male e il peccato sono sinonimi, nel senso che il male non è altro che un atto.

3) Un atto è di per sé né buono o cattivo.

4) Il solo criterio per distinguere se un atto è bene o male è legato alla persona che lo compie: qualsiasi Dio faccia è giusto di per se , mentre tutto quello che l’uomo fa è peccato e quindi male.
Calvino però non assume più la triplice classificazione di Agostino tra male morale, fisico e metafisico. Promuove invece una distinzione tra causa remota e causa prossima per dimostrare che Dio non è l'autore diretto del male.

La volontà di Dio fu "la causa remota" dell’ indurimento del Faraone, ma la volontà di quest’ultimo che indurì il suo cuore, ne fu la causa prossima.
La causa prossima della riprovazione di Israele, fu il loro non aver creduto al Vangelo, mentre il proposito di Dio ne costituisce la causa remota.
Lo stesso accadde con Giobbe, il quale riconoscendo che "il Signore ha dato, il Signore ha tolto", ammise i ladri come la causa prossima e la volontà di Dio come causa remota della sua sofferenza e mai si sognò di accusare " Dio di peccato." [G.Calvino]

Egli affermò inoltre che quello che Dio compie è sempre giusto, perché le Sue intenzioni sono pure e sante, mentre quello che gli uomini compiono è sempre ingiusto, perché le loro intenzioni sono comunque malvagie.
In altre parole, un atto non ha alcuna qualità morale in sé, ma la sua legalità è in funzione delle intenzioni, che in Dio sono sempre giuste e nell’uomo sempre malvagie.
In altre parole, lo stesso atto può essere giusto o sbagliato a seconda della persona che lo compie.

La sofferenza però viene vista anche con una funzione pedagogica ed educativa, se non addirittura come medicina.

Tutto verte sul fatto però, che Dio convertirà tutto il male in bene, la realtà del male è quindi provvisoria: ha carattere strumentale e non definitivo!

Il Dio di ogni bontà non sopporterebbe che il male venga compiuto a meno che esso non provochi il bene. [G. Calvino]


Fonti:

(1) God, Freedom and Evil – Alvin Plantinga
(2) Manuale di filosofia. Dalle origini a oggi, ed. Lulu.com p.60
(3) Dialogues Concerning Natural Religion, David Hume.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Letto. Ma da rileggere e assimilare. Grazie davide. Corbus

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...