Traduttore


domenica 28 novembre 2021

Il terzo segno

Sito archeologico della piscina di Betesda

INTRODUZIONE 

Una delle caratteristiche peculiari del Vangelo secondo Giovanni è quella di raccogliere un piccolo numero di miracoli di Gesù definendoli in modo specifico come suoi segni (semeia). Nei Vangeli sinottici, il significato del termine segno è prevalentemente negativo, in quanto viene usato dagli oppositori di Cristo per chiedergli di convincere i dubbiosi sulla sua identità, ricevendo come risposta quasi sempre un rimprovero. Negli Atti degli Apostoli apprendiamo che Gesù compì opere potenti, prodigi e segni (2:22), incontrando per la prima volta questo termine in senso positivo, anche se generico. Nel quarto Vangelo invece, il significato di questa parola assume una dimensione molto più profonda, costituendo di fatto nelle sue ricorrenze una sorta di percorso che conduce il lettore da una superficiale apertura alla fede ad una piena consapevolezza dell'identità di Gesù Cristo, che non necessita più di miracoli per essere sostenuta.

Questi segni raccolgono l'eredità teologica dei segni che Dio ha compiuto per il suo popolo nell'esodo verso la libertà, proiettandoli nella persona di Gesù e nella pienezza della rivelazione salvifica del Padre in lui. Essi testimoniano quindi dell'identità e dello scopo di Cristo, non per far ristagnare i credenti nel deserto della continua necessità di miracoli (come accadde a Israele per la sua incredulità), ma per portarli subito nella maturità di una fede capace di vivere ancorata a lui e portare molto frutto (Gv. 15:5). Una fede capace di entrare subito nella terra promessa per conquistarla. Una terra che questa volta è estesa a tutto il mondo, per una conquista che questa volta è spirituale: mediante la proclamazione del Vangelo e la preghiera, continuando attraverso lo Spirito Santo (con l'autorità di Cristo risorto) l'opera iniziata da Gesù durante il suo ministero terreno (Gv. 17:18). 

Osservando il Vangelo secondo Giovanni nella sua interezza, è possibile ora definire con precisione quali siano i segni specifici presentati dall'opera, e la loro esatta successione. Abbiamo dunque questi sette principali segni, più uno conclusivo: 

  • trasformazione dell'acqua in vino (2:1-11);
  • guarigione del figlio dell'ufficiale reale (4:46-54);
  • guarigione dell'uomo paralizzato da trentotto anni (5:1-9);
  • moltiplicazione dei pani (6:1-14);
  • Gesù cammina sul mare (6:15-25);
  • guarigione del cieco nato (9:1-8);
  • risurrezione di Lazzaro (11:1-46) 
  • + la pesca miracolosa (21:1-14).

Ognuno di questi segni ha un preciso significato circa l'identità di Gesù, e la pienezza della rivelazione relativa alla salvezza di Dio.

Dopo aver approfondito il primo e secondo segno, passiamo adesso al terzo. Dopo la rivelazione su Gesù come Sommo Sacerdote e Sposo, oltre che come Colui che guarisce, andiamo a vedere questa nuova rivelazione cristologica. 

IL TERZO SEGNO

Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. Sotto questi portici giaceva un gran numero d'infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici, i quali aspettavano l'agitarsi dell'acqua; perché un angelo scendeva nella vasca e metteva l'acqua in movimento; e il primo che vi scendeva dopo che l'acqua era stata agitata era guarito di qualunque malattia fosse colpito. Là c'era un uomo che da trentotto anni era infermo. Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?» L'infermo gli rispose: «Signore, io non ho nessuno che, quando l'acqua è mossa, mi metta nella vasca, e mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». In quell'istante quell'uomo fu guarito; e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare.
Vangelo secondo Giovanni 5:1-9

Dopo i primi due segni miracolosi avvenuti a Cana di Galilea, ritroviamo Gesù che torna una seconda volta (cfr. 2:13) nella capitale. I giudei erano obbligati ad andare a Gerusalemme nelle tre feste principali, ossia Pasqua, Pentecoste e Tabernacoli. Gesù ci era stato a Pasqua, era ritornato in Galilea attraverso la Samaria in maggio (cfr. 4:35, i campi maturi) e possibilmente è stato pochissimo tempo nella sua regione prima di dover tornare a Gerusalemme forse proprio per la festa di Pentecoste che ricorre sette settimane (50 giorni) dopo la Pasqua, intorno al nostro mese di giugno. Il fatto che ci fossero delle persone inferme sotto i portici della vasca di Betesda conferma il fatto che doveva esserci una temperatura possibilmente mite. Durante la festa di Pentecoste si celebrava la consegna della Legge a Mosè sul Monte Sinai, e possiamo trovare un’altra conferma tematica nei successivi accenni a Mosè nel discorso di Gesù (cfr. 5:45-47).

La porta delle Pecore era a nord-est del Tempio, e veniva chiamata in questo modo perché da qui entravano le pecore che venivano introdotte in città per il sacrificio.

La piscina di Betesda è stata scoperta solo nel secolo scorso, presso l’attuale Chiesa di Sant’Anna a Gerusalemme. Il ritrovamento archeologico ha permesso di scoprirne le dimensioni: di forma trapezoidale larga da 50 a 67 metri per una lunghezza di 96 metri, con una separazione centrale e dei colonnati sui quattro lati. L’acqua proveniva da un drenaggio sotterraneo e, forse, da sorgenti intermittenti. 

Sotto i portici vi erano numerosi infermi che aspettavano un segno miracoloso per poter essere guariti, e tra questi un uomo infermo da ben 38 anni, e questo conferma l’atto realmente miracoloso che sta per verificarsi. Diverse volte nei vangeli, anche sinottici, si utilizza la descrizione di Gesù che vede qualcuno (e implicitamente o esplicitamente ne prova pietà) come mezzo per introdurre un miracolo. Alla domanda di Gesù sul desiderio di essere guarito quest’uomo risponde in modo immaturo e rassegnato, incolpando gli altri del fatto di non essere mai riuscito a entrare nella piscina per ricevere guarigione. Gesù non fa caso a nulla di tutto questo e gli comanda semplicemente di alzarsi, cosa che riesce a fare in modo miracoloso. In seguito quest’uomo parlerà ai Giudei del fatto di essere stato guarito e il tema che li scandalizzerà sarà il fatto che questa guarigione sia avvenuta in giorno di sabato. 

Fin dai Padri della Chiesa come Tertulliano e Crisostomo si è pensato a un motivo battesimale per questo racconto. Nella Chiesa primitiva, questo racconto insieme alla storia di Nicodemo al c.3 e a quella del cieco nato del c.9, veniva utilizzato nella preparazione dei catecumeni al battesimo. Lo studioso Blight pensa che la piscina, agitata da un angelo, sia un simbolo della Legge data da un angelo. Questo significato costituirebbe un rafforzamento della festa di Pentecoste. In più, altri studiosi vedono nei “cinque portici” un ulteriore simbolo del Pentateuco, della Torah. La parola Betesda, per ultimo, significa in ebraico “casa di grazia”.

Tutti questi elementi messi insieme portano alla naturale comprensione simbolica di questo evento: quello che la Legge divina non è riuscita a fare (e neanche i sacrifici ovini nel Tempio) è stato compiuto da Gesù, Figlio di Dio, manifestando in sé la potenza della grazia del Padre. Uno dei significati del battesimo cristiano sarebbe in effetti mostrare visibilmente questa stessa realtà spirituale.

Nel nostro racconto, dopo la descrizione del miracolo, come anticipato prima incontriamo l’ostilità dei giudei al sapere che è avvenuto di sabato, giorno nel quale è vietato dalla Legge di Mosè compiere qualsiasi tipo di lavoro. Questa discussione però permette a Gesù di introdurre un suo nuovo discorso. 

GESU’ FIGLIO DI DIO

Per questo i Giudei perseguitavano Gesù e cercavano di ucciderlo; perché faceva quelle cose di sabato. Gesù rispose loro: «Il Padre mio opera fino ad ora, e anch'io opero». Per questo i Giudei più che mai cercavano d'ucciderlo; perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Gesù quindi rispose e disse loro: «In verità, in verità vi dico che il Figlio non può da se stesso fare cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre; perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa ugualmente. Perché il Padre ama il Figlio, e gli mostra tutto quello che egli fa; e gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne restiate meravigliati. Infatti, come il Padre risuscita i morti e li vivifica, così anche il Figlio vivifica chi vuole. Inoltre, il Padre non giudica nessuno, ma ha affidato tutto il giudizio al Figlio, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.
Vangelo di Giovanni 5:16-24

I giudei di Gerusalemme, come abbiamo visto anche nei segni precedenti, sono stati sin da subito critici nei confronti di Gesù. Con questo segno, però, troviamo esplicitamente che essi perseguitavano Gesù e cercavano addirittura di ucciderlo. Perché? Per i due motivi che troviamo da introduzione a questo suo suo discorso: egli violava il sabato guarendo (e quindi compiendo un lavoro) in questo giorno sacro e, chiamando Dio suo Padre, si faceva uguale a lui.

La risposta di Gesù non nega questi due elementi ma rivela un aspetto importantissimo: la relazione che egli ha, per l’appunto, con Dio Padre. È il momento di sottolineare queste affermazioni. 

Nel simbolismo di questo segno abbiamo visto che Gesù manifesta colui che oltrepassa la Legge di Mosè offrendo un nuovo e definitivo dono divino: la Grazia. Ma come può farlo? Dalle sue parole comprendiamo che non può farlo da sé stesso ma può farlo perché lo ha visto dal Padre. In questo senso quindi, la cristologia giovannea presenta Gesù in modo specifico come rivelatore del Padre. Egli non rivela però perché riceve degli oracoli profetici ma perché è stato unito in modo intimo con lui, tale da avere visto e sentito quello che egli ha voluto fare e dire. Quello che fa il Padre, quindi, lo fa in modo speculare anche il figlio con questo tipo unico di relazione. 

  • Il Padre ama il Figlio, e per questo gli mostra tutto quello che fa
  • Il Figlio ama l’umanità e gli rivela l’amore del Padre
  • Il Padre vuole mostrare opere maggiori della guarigione dello zoppo
  • Il Figlio mostrerà queste opere per fare meravigliare l’umanità
  • Il Padre risuscita i morti e li vivifica
  • Il Figlio vivifica chi vuole
  • Il Padre affida il giudizio al Figlio
  • Il Figlio riceve onore esattamente come il Padre
  • Chi crede al Padre che ha mandato il Figlio ascolta le parole del Figlio
  • Chi ascolta le parole del Figlio passa dal giudizio della morte alla grazia della vita

Questo discorso, nella dinamica della progressione dei segni miracolosi di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni, è fondamentale perché costruisce sulle fondamenta della cristologia abbozzata in precedenza per definirla in modo molto più preciso. 

Gesù si è sovrapposto alle immagini di sacerdote, sposo, guaritore, ma ora possiamo sapere perché lo ha potuto fare. Egli non è solo un profeta o un uomo di Dio ma è il Figlio unigenito di Dio. In virtù di questo rapporto filiale e di questa intimità egli può operare e mostrare ciò che ha precedentemente visto e udito da lui, senza intervenire in modo autonomo ma camminando costantemente in ubbidienza a Dio Padre. 

CONCLUSIONE

La narrazione di una guarigione miracolosa, simile a altre raccontate dai Vangeli sinottici, si trasfigura nel nostro contesto prefigurando Gesù come promotore e garante di una nuova alleanza fondata non più sulla Legge ma sulla Grazia del Padre attraverso di lui. 

Il segno introduce poi un discorso grazie al quale possiamo comprendere come tutto questo può succedere: il rapporto unico di figliolanza tra Gesù e Dio Padre. I credenti sono figli adottati da Dio ma Gesù è il Figlio unigenito di Dio. L’intimità e la vicinanza con il Padre sono l’origine della sua autorità e la fonte delle sue opere e dei suoi insegnamenti. Una consapevolezza fondamentale per la vita cristiana e per la vita di Chiesa. 

domenica 24 ottobre 2021

Il battesimo di Gesù



INTRODUZIONE

Il Vangelo secondo Marco inizia dichiarando sin da subito il proprio intento: testimoniare la buona notizia di Gesù che è il Cristo e il Figlio di Dio. Sappiamo che la sua suddivisione letteraria passa proprio da questi due titoli, riconosciuti in due cruciali professioni di fede che troviamo in 8:27-30 e 15:39.

La scena iniziale si apre con Giovanni il battezzatore, che anticipa l’arrivo di qualcuno di maggiore a lui che avrebbe battezzato con lo Spirito Santo. Proprio Giovanni battezza Gesù, proveniente da Nazaret di Galilea, nel fiume Giordano. Questo battesimo è il primo vero avvenimento di questo vangelo e, come ogni inizio che si rispetti, non può non avere in sé numerosi significati che andremo a ricercare in questo approfondimento. 

“E FU BATTEZZATO”: IL RACCONTO DEL BATTESIMO DI GESÙ SECONDO L’EVANGELISTA MARCO

In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato da Giovanni nel Giordano. A un tratto, come egli usciva dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito scendere su di lui come una colomba. Una voce venne dai cieli: «Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto».
Vangelo secondo Marco 1:9-11

Nonostante la sua grande importanza, possiamo rilevare che questo racconto è incredibilmente sintetico nel nostro Vangelo che, ricordiamo, secondo gli studiosi è il più antico tra i canonici. Confrontandolo con gli altri sinottici possiamo vedere infatti come gli evangelisti successivi aggiunsero altri dettagli all’episodio per elaborare quello che qui è solo accennato. Notiamo a titolo di esempio come Luca aggiunge che lo Spirito scese su Gesù “in forma corporea” come una colomba (3:22) mentre Matteo inserisce un dialogo tra Gesù e Giovanni con il riserbo di quest’ultimo a battezzarlo considerandosi inferiore a lui (3:14-15). In effetti se Giovanni predicava un battesimo di ravvedimento dai peccati, e Gesù fu addirittura concepito senza peccato, come mai volle farsi battezzare dal Battista? Questa è una domanda spinosa alla quale i primi cristiani dovettero trovare una risposta teologica. 

Nonostante la sua brevità, nel testo marciano ci sono degli indizi su diversi temi di teologia biblica che dall’Antico Testamento approdano qui per trovare uno sviluppo che potrà sbocciare appieno con la completezza degli altri scritti neotestamentari. L'introduzione di Marco nei versetti immediatamente precedenti ai nostri introduce la cornice dell'ambientazione che viene presentata come un nuovo esodo e la funzione di Giovanni come nuovo Elia che chiama Israele al pentimento. Dopodiché la narrazione si sposta, e incontriamo il nostro episodio che ha Gesù come protagonista. 

Il battesimo presentato da Giovanni ha conosciuto diverse interpretazioni in quanto pratica innovativa per questo tempo e ben diversa dalle comuni abluzioni e lavaggi rituali che, contrariamente al battesimo, venivano praticate frequentemente. Questo battesimo potrebbe alludere al battesimo dei proseliti ma non vi è certezza che un tale significato fosse conosciuto in epoca così antica. Più probabilmente si tratta di una ripresa dell’attraversamento del mare durante l’esodo, in accordo alla seguente tradizione profetica biblica: 

Allora il suo popolo si ricordò dei giorni antichi di Mosè:
Dov'è colui che li fece uscire dal mare
con il pastore del suo gregge?
Dov'è colui che mise in mezzo a loro lo Spirito suo santo,
che fece andare il suo braccio glorioso alla destra di Mosè,
che divise le acque davanti a loro,
per acquistarsi una rinomanza eterna,
che li condusse attraverso gli abissi,
come un cavallo nel deserto,
senza che inciampassero?
Come il bestiame che scende nella valle,
lo Spirito del SIGNORE li condusse al riposo.
Così tu guidasti il tuo popolo,
per acquistarti una rinomanza gloriosa.
Guarda dal cielo, e osserva,
dalla tua abitazione santa e gloriosa.
Dove sono il tuo zelo, i tuoi atti potenti?
Il fremito delle tue viscere e le tue compassioni
non si fanno più sentire verso di me.
Tuttavia, tu sei nostro padre;
poiché Abraamo non sa chi siamo
e Israele non ci riconosce.
Tu, SIGNORE, sei nostro padre,
il tuo nome, in ogni tempo, è Redentore nostro.
SIGNORE, perché ci fai peregrinare lontano dalle tue vie
e rendi duro il nostro cuore perché non ti tema?
Ritorna, per amor dei tuoi servi,
delle tribù della tua eredità!
Per poco tempo il tuo popolo santo ha posseduto il paese;
i nostri nemici hanno calpestato il tuo santuario.
Noi siamo diventati come quelli che tu non hai mai governati,
come quelli che non portano il tuo nome!
Oh, squarciassi tu i cieli, e scendessi!
Davanti a te sarebbero scossi i monti.
Isaia 63:11-64:1

Questo testo descrive alla perfezione il sentimento religioso che doveva esserci nell’ambiente che stiamo considerando, promosso da Giovanni. In entrambi i casi considerati è da rilevare che il presupposto comune, compreso quello appena indicato, assume l’apostasia di Israele e la necessità del suo pentimento. La carica sacerdotale da tempo non osservava più le dinastie indicate dalla Torah, le nazioni pagane da secoli occupavano i territori di Israele e molti giudei sentivano il bisogno di un ritorno alla fede genuina dei loro padri e di un nuovo intervento diretto di YHWH. 

Gesù dunque si fa battezzare da Giovanni nel fiume Giordano, lo stesso fiume che il popolo di Israele attraversò per conquistare con Giosuè la terra promessa, ricapitolando così la storia di Israele e identificandosi egli stesso con l’Israele fedele a Dio. L’immersione e l’emersione riecheggiano tanto l’attraversamento del Mar Rosso durante l’esodo quanto l’attraversamento del fiume Gerico, come appena accennato. 

Durante l’emersione però il nostro testo riporta che Gesù “vide aprirsi i cieli”, espressione utilizzata nei testi apocalittici per descrivere un evento escatologico divino. Possiamo trovare dei paralleli nei seguenti testi: 

Il trentesimo anno, il quinto giorno del quarto mese, mentre mi trovavo presso il fiume Chebar, fra i deportati, i cieli si aprirono, e io ebbi delle visioni divine.
Ezechiele 1:1

Allora si aprì il tempio di Dio che è in cielo e apparve nel tempio l'arca dell'alleanza. Vi furono lampi e voci e tuoni e un terremoto e una forte grandinata.
Apocalisse 11:19

I cieli aperti introducono l’azione divina che nel nostro contesto consiste di due elementi: la discesa dello Spirito come una colomba e la voce di Dio. 

La discesa dello Spirito ricorre nell’Antico Testamento tanto a riguardo del “germoglio che spunterà dal tronco di Iesse”, ossia il messia (Is. 11:1-2) quanto al Servo di YHWH con il compito di portare la rivelazione alle nazioni (Is. 42:1). La colomba invece appare nel racconto del diluvio, che nella tradizione cristiana assume significati battesimali (1 Pt. 3:20-21). Nel Cantico dei cantici viene presentata come simbolo della fidanzata (Ct. 2:14), mentre ancora in Isaia, oltre che in Osea, rappresenta il ritorno in patria di Israele dopo l’esilio:

Chi mai sono costoro che volano come una nuvola,
come colombi verso le loro colombaie?

Isaia 60:8

Accorreranno in fretta dall'Egitto come uccelli
e dal paese d'Assiria come colombe;
io li farò abitare nelle loro case», dice il SIGNORE.

Osea 11:11

Il tema biblico dell’uscita dall’Egitto e del rientro dall’esilio si intrecciano più volte, quindi, nel nostro racconto battesimale. Si intrecciano con il simbolo dell’acqua ma anche con lo Spirito e con la colomba. Tutte queste immagini si vanno a fondere con l’identità di Gesù e la missione che sta per intraprendere. 

A questo punto, però, come ulteriore elemento arriva la voce di Dio, che dice: «Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto». Questa frase è una combinazione di espressioni bibliche riprese dal racconto del sacrificio di Isacco e dalla letteratura profetica. Di seguito i testi più significativi:

E Dio disse: «Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco, e va' nel paese di Moria, e offrilo là in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò».
[...]
E l'angelo: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli male! Ora so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo».
[...]
«Io giuro per me stesso, dice il SIGNORE, che, siccome tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo
Genesi 22:2-12-16 

Trasformerò le vostre feste in lutto
e tutti i vostri canti in lamento;
coprirò di sacchi tutti i fianchi
e ogni testa sarà rasa.
Il paese piomberà nel lutto come quando muore un figlio unico,
la sua fine sarà come un giorno d'amarezza.

Amos 8:10

«Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme
lo Spirito di grazia e di supplicazione;
essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto,
e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico,
e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito.

Zaccaria 12:10

Io annuncerò il decreto:
Il SIGNORE mi ha detto: «Tu sei mio figlio,
oggi io t'ho generato.

Salmo 2:7

Isacco diventa il “tipo” di cui Gesù è l’“anti-tipo”: il figlio amato che viene richiesto in sacrificio. Ma Gesù è ancor di più di questo, e nelle parole che si sentono provenire dall’alto ci sono allusioni anche al lutto nazionale per la morte di una persona amata dal popolo oltre che all’intronizzazione di un nuovo re di Israele. 

Questa semplice frase che viene dai cieli appare dunque, una volta comparata con l’Antico Testamento, come il programma di Dio per la persona che si sta facendo battezzare da Giovanni: come la missione e il destino di Gesù.

Lui, come Isacco, verrà chiamato da Dio al sacrificio supremo. Lui, causerà lutto per il popolo di Israele. Sempre lui, riceverà una dichiarazione di figliolanza divina, un'eredità composta da nazioni e dalla totalità delle terre con l’intronizzazione celeste preparata in seguito alla sua morte e manifestata con potenza attraverso la risurrezione.

Ecco quindi come un battesimo svolto per mostrare pentimento, acquisisce numerosi e profondi significati diversi in questo caso particolare. Gesù si fa battezzare da Giovanni, sì, ma non per pentirsi dai propri peccati quanto per ricapitolare in sé la storia di Israele, promuovere l’intervento di Dio in una fase cruciale della storia attraverso un progetto che lo vede protagonista. Questi sono i significati del battesimo di Gesù, che le prime comunità cristiane compresero solo dopo qualche tempo. Questo è l’inizio, che fin dal primo momento dichiara la fine. 

CONSIDERAZIONI FINALI

Il battesimo di Gesù, all’inizio del Vangelo secondo Marco, dà il via al suo ministero terreno e a tutti gli insegnamenti e i miracoli che che arriveranno. Questo battesimo non riguarda una necessità di pentimento da parte di Gesù, in quanto egli è senza peccato, ma una ricapitolazione della storia di Israele e una immedesimazione con l’Israele fedele. Di fronte a questo gesto simbolico e profetico i cieli si aprono e appaiono due manifestazioni divine: la discesa dello Spirito Santo che conferma questo ruolo e la voce di Dio Padre. Egli attesta che Gesù è il suo amato Figlio, nel quale si è compiaciuto. Figlio amato come lo fu Isacco, chiamato al sacrificio come Isacco. Figlio unico la cui morte avrebbe causato un grande lutto in Israele, ma anche Figlio erede della terra e di ogni potenza. Questa parabola di sofferenza, morte e gloria seppur paradossale è la sintesi del vangelo di Dio: la buona notizia per tutti coloro che accolgono la salvezza di Cristo Gesù.

domenica 3 ottobre 2021

Il secondo segno


INTRODUZIONE 

Una delle caratteristiche peculiari del Vangelo secondo Giovanni è quella di raccogliere un piccolo numero di miracoli di Gesù definendoli in modo specifico come suoi segni (semeia). Nei Vangeli sinottici, il significato del termine segno è prevalentemente negativo, in quanto viene usato dagli oppositori di Cristo per chiedergli di convincere i dubbiosi sulla sua identità, ricevendo come risposta quasi sempre un rimprovero. Negli Atti degli Apostoli apprendiamo che Gesù compì opere potenti, prodigi e segni (2:22), incontrando per la prima volta questo termine in senso positivo, anche se generico. Nel quarto Vangelo invece, il significato di questa parola assume una dimensione molto più profonda, costituendo di fatto nelle sue ricorrenze una sorta di percorso che conduce il lettore da una superficiale apertura alla fede ad una piena consapevolezza dell'identità di Gesù Cristo, che non necessita più di miracoli per essere sostenuta. Possiamo dunque schematizzare tale percorso nel seguente modo: 


Questi segni raccolgono l'eredità teologica dei segni che Dio ha compiuto per il suo popolo nell'esodo verso la libertà, proiettandoli nella persona di Gesù e nella pienezza della rivelazione salvifica del Padre in lui. Essi testimoniano quindi dell'identità e dello scopo di Cristo, non per far ristagnare i credenti nel deserto della continua necessità di miracoli (come accadde a Israele per la sua incredulità), ma per portarli subito nella maturità di una fede capace di vivere ancorata a lui e portare molto frutto (Gv. 15:5). Una fede capace di entrare subito nella terra promessa per conquistarla. Una terra che questa volta è estesa a tutto il mondo, per una conquista che questa volta è spirituale: mediante la proclamazione del Vangelo e la preghiera, continuando attraverso lo Spirito Santo (con l'autorità di Cristo risorto) l'opera iniziata da Gesù durante il suo ministero terreno (Gv. 17:18). 

Osservando il Vangelo secondo Giovanni nella sua interezza, è possibile ora definire con precisione quali siano i segni specifici presentati dall'opera, e la loro esatta successione. Abbiamo dunque questi sette principali segni, più uno conclusivo:
  1. trasformazione dell'acqua in vino (2:1-11);

  2. guarigione del figlio dell'ufficiale reale (4:46-54);

  3. guarigione dell'uomo paralizzato da trentotto anni (5:1-9);

  4. moltiplicazione dei pani (6:1-14);

  5. Gesù cammina sul mare (6:15-25);

  6. guarigione del cieco nato (9:1-8);

  7. risurrezione di Lazzaro (11:1-46) 

  •  + la pesca miracolosa (21:1-14)5.

Ognuno di questi segni ha un preciso significato circa l'identità di Gesù, e la pienezza della rivelazione relativa alla salvezza di Dio. Dopo aver approfondito il primo segno, passiamo adesso al secondo, strettamente collegato a quest'ultimo.

IL SECONDO SEGNO 


Egli dunque venne di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. Vi era un ufficiale del re, il cui figlio era infermo a Capernaum. Come egli ebbe udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, andò da lui e lo pregò che scendesse e guarisse suo figlio, perché stava per morire. Perciò Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non crederete». L'ufficiale del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli disse: «Va', tuo figlio vive». Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detta, e se ne andò. E mentre già stava scendendo, i suoi servi gli andarono incontro e gli dissero che suo figlio viveva. Allora egli domandò loro a che ora avesse cominciato a stare meglio; ed essi gli risposero: «Ieri, all'ora settima, la febbre lo lasciò». Così il padre riconobbe che la guarigione era avvenuta nell'ora che Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive»; e credette lui con tutta la sua casa. Gesù fece questo secondo segno miracoloso, tornando dalla Giudea in Galilea.

Vangelo secondo Giovanni 4:46-54


Dopo qualche tempo dal primo segno, leggiamo che Gesù torna nello stesso posto che vide la sua prima manifestazione miracolosa. Questo dettaglio viene detto esplicitamente mettendo in diretto confronto il cambiamento dell’acqua in vino con questo nuovo episodio. Lo schema generale dei due segni, del resto, è molto simile: 

  • Gesù è appena tornato in Galilea

  • Qualcuno gli rivolge una richiesta 

  • Gesù sembra rifiutare la richiesta

  • Il richiedente insiste

  • Gesù esaudisce la richiesta

  • Questo porta un altro gruppo di persone a credere in lui


Ci sono somiglianze anche nel contesto, infatti i due miracoli di Cana sono gli unici due segni che non servono immediatamente di introduzione a un discorso. Dopo ciascun miracolo di Cana Gesù sale a Gerusalemme e al Tempio. 

Il dialogo tra l’ufficiale del re Erode e Gesù, inizialmente restio a operare a favore della guarigione miracolosa, risente dell’eco degli avvenimenti dell’Esodo, dove leggiamo:

Ma io indurirò il cuore del faraone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d'Egitto. Il faraone non vi darà ascolto e io metterò la mia mano sull'Egitto; farò uscire dal paese d'Egitto le mie schiere, il mio popolo, i figli d'Israele, mediante grandi atti di giudizio.

Esodo 7:3-4


Molti segni e prodigi non fecero cambiare idea al faraone e, in modo simile, per Gesù la fede non si deve fondare sui segni in sé quanto piuttosto sulla sua parola. Nonostante questo, all’incalzare dell’uomo, egli interviene. Intervenendo mette in rilievo la sua potenza di dare la vita, introducendo e anticipando i temi che saranno centrali nell’ultima parte del Vangelo. In questo segno dunque Gesù appare come portatore della salvezza di Dio, del Dio che dona la vita e la salute, così come nell’Esodo YHWH si rivelò agli ebrei:

«Se tu ascolti attentamente la voce del SIGNORE che è il tuo Dio, e fai ciò che è giusto agli occhi suoi, porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi, io non ti infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono il SIGNORE, colui che ti guarisce».
Esodo 15:26 

Un altro tema fondamentale questa volta per l’inizio dell’opera e anche per lo scorso segno è quello della fede: la reazione di singoli individui a Gesù in termini di fede. L’ufficiale credette alla parola di Gesù e il segno servì come conferma. In seguito a questo credette tutta la casa dell’ufficiale: di fede in fede. 

La fede con cui culmina il primo e il secondo segno offre poi un drammatico contrasto con le successive azioni in Gerusalemme che producono incredulità e opposizioni da parte dei Giudei: 

I Giudei allora presero a dirgli: «Quale segno miracoloso ci mostri per fare queste cose?»
Giovanni 2:18 

Per questo i Giudei perseguitavano Gesù e cercavano di ucciderlo; perché faceva quelle cose di sabato.
Giovanni 5:16

Gesù è portatore della salvezza di Dio nella vita e nella salute, attraverso la sua parola, ma questa parola non viene accolta da tutti: c’è chi la accoglie aprendo le porte al segno e comprendendo il suo significato e c’è invece chi, prigioniero delle proprie idee e dei propri interessi religiosi, non solo non vuole comprendere il segno ma vogliono addirittura perseguitare e allontanare Gesù.

CONCLUSIONE


Così come YHWH si è mostrato così potente da suscitare le piaghe in Egitto ma proteggere Israele dalla morte e devastazione, allo stesso modo Gesù si è rivelato come colui che ha autorità sulla malattia e la morte. 

Cristo dunque non è solo lo Sposo della Chiesa ma è anche colui che la guarisce in virtù della fede.

D’altra parte, però, chi rigetta la sua parola rigetta anche la sua guarigione e rimane sottoposto al giudizio di Dio, esattamente come il faraone durante il processo che ha portato alla liberazione dalla schiavitù egiziana il popolo di Israele. 

Ancora una volta quindi, per noi lettori del XXI secolo, c’è una buona notizia ma anche il rinnovo di un appello: aderire per fede nell’invisibile alle parole di Gesù per poter abbracciare nel modo più maturo il Regno di Dio. 

domenica 29 agosto 2021

Il ricco incontra Gesù


INTRODUZIONE

Come già condiviso ampiamente negli studi precedenti, la struttura letteraria del Vangelo secondo Marco è composta da due parti distinte. La seconda parte, che inizia al c. 8 v. 21, comincia con il riconoscimento di Gesù come “il Cristo” da parte di Pietro. Questo riconoscimento però era suscettibile di fraintendimenti ed è per questo che Gesù è dovuto intervenire per chiarire che la sua identità messianica si sovrapponeva in modo inaspettato per i suoi interlocutori con quella del Servo sofferente e non con quella del re vittorioso. Da questo momento in avanti, infatti, la direzione del suo percorso sarebbe stata verso il Golgota e la Croce anche se persino i suoi discepoli non lo capivano e non lo volevano ancora accettare. In questo contesto incontriamo il brano che vorrei esporre con il presente articolo.

1. LA LETTURA

Gesù e il ricco

Mentre Gesù usciva per la via, un tale accorse e, inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio. Tu sai i comandamenti: "Non uccidere; non commettere adulterio; non rubare; non dire falsa testimonianza; non frodare nessuno; onora tuo padre e tua madre"». Ed egli rispose: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia gioventù». Gesù, guardatolo, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca! Va', vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva molti beni.

Gesù e i discepoli

Gesù, guardatosi attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno delle ricchezze entreranno nel regno di Dio!» I discepoli si stupirono di queste sue parole. E Gesù replicò loro: «Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio». Ed essi sempre più stupiti dicevano tra di loro: «Chi dunque può essere salvato?» Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini è impossibile, ma non a Dio; perché ogni cosa è possibile a Dio».

Gesù e Pietro

Pietro gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito». Gesù rispose: «In verità vi dico che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna. Ma molti primi saranno ultimi e molti ultimi primi».

Marco 10:17-31

2. IL COMMENTO

Come ho suggerito nella suddivisione del brano, questo dialogo si divide in tre parti: la prima tra Gesù e il ricco, la seconda con i suoi discepoli e la terza con Pietro. 

La prima cosa da notare è proprio la sua posizione letteraria, in una fase della narrazione che ormai è diretta a Gerusalemme verso l’epilogo che conosciamo tutti. Questo cammino non ha soltanto una rilevanza letteraria ma anche teologica e spirituale. Si incastona in un momento che definisce con grandissima chiarezza il costo della sequela di Gesù, una salvezza che, per usare le parole del teologo Bonhoeffer, è contemporaneamente gratuita ma anche a caro prezzo. 

Questo racconto si apre con Gesù che esce per la via, come abbiamo visto la via per Gerusalemme. Accorre a lui una persona che teneva Gesù in altissima considerazione. Lo possiamo capire dai seguenti indizi: 

  • Si inginocchia davanti a lui
  • Lo chiama Maestro
  • Lo chiama buono

Da questi elementi risulta evidente quanto questo “giovane” (Mt. 19:22) e “notabile” (Lc. 18:18) riconosca in Gesù una grande autorevolezza. Accostandosi a lui chiede cosa deve fare per ereditare la vita eterna. Al di là delle tante “opere buone” questa domanda riguarda piuttosto l’opera specifica senza la quale si è automaticamente esclusi dalla possibilità di accedere alla vita eterna. Di fronte a questo esordio, e avendo in mente i brani precedenti di questo Vangelo, viene naturale pensare alla risposta di Gesù con un elogio, l’accoglienza nella cerchia dei propri discepoli e la rassicurazione di entrare nella vita eterna. Ma, inaspettatamente, Gesù risponde in modo diametralmente opposto. 

Egli rimprovera il giovane di averlo chiamato “buono”, appellandosi alla tradizione biblica secondo la quale “Dio è buono!”, e solo lui è fonte ultima di ogni bontà. Poi, per valutare il livello religioso del suo interlocutore, chiede - in forma negativa - se segue le Dieci Parole, ossia il Decalogo nelle specifiche relative al rapporto con il prossimo. La risposta è affermativa: questa persona sin dalla sua gioventù ha sempre osservato la Torah. Gesù a questo punto al posto di compiacerlo lo ama sinceramente e chiede l’unica cosa che gli manca: vendere tutte le sue ricchezze per darle ai poveri prima di seguirlo. Questa risposta stupisce e rattrista tanto il giovane quanto i discepoli attorno a lui. Lo stupore è condizionato prima di tutto dal fatto che nella mentalità dell’epoca la ricchezza era un riflesso della benedizione di Dio. Solo i profeti avevano osato mettere in discussione questo assioma per denunciare le ingiustizie dei ricchi a scapito dei poveri e, probabilmente, a questa tradizione Gesù decide di associarsi. Oltre a questo, neanche i discepoli avevano venduto le loro proprietà e per questo stavano iniziando a preoccuparsi.

Il secondo dialogo riguarda per questo proprio i discepoli. 
E, anche in questo caso, Gesù anziché essere accondiscendente rimarca il concetto della difficoltà per i ricchi di entrare nel regno dei cieli. Utilizza l’immagine dell’animale più grande conosciuto nel suo contesto affiancandolo all’apertura più piccola: come un cammello non può entrare nella cruna di un ago, così un ricco (non) può entrare nel regno dei cieli. I discepoli giungono alla conclusione che in pochissimi potranno allora essere salvati, se non addirittura nessuno. Ma Gesù chiude questa conversazione indicando alla potenza di Dio, una potenza che tuttavia può solo convincere a queste privazioni oppure trasformare il cuore in modo che non abbia più alcun attaccamento terreno. 

In seguito a questa laconica speranza, Pietro diviene portavoce dei Dodici e afferma che in realtà loro hanno lasciato ogni cosa per seguirlo. Hanno lasciato il loro lavoro, la loro casa. E Gesù risponde che non vi è nessuno che abbia lasciato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi, per amor mio e per amor del vangelo, il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna.

Questo è il momento della rinuncia assoluta e i requisiti della sequela diventano più che mai radicali, ma a queste rinunce corrispondono la sovrabbondante provvidenza divina: cento volte superiore alle rinunce su questa terra e, nel tempo futuro, la vita eterna. 

3. L'ATTUALIZZAZIONE

Questo brano presenta indubbiamente delle difficoltà. Preso a sé stante, secondo questo episodio e queste parole di Gesù ogni persona che non vende i suoi averi e decide di seguirlo come discepolo itinerante non ha parte nel regno di Dio e non otterrà a vita eterna. Vengono quindi esclusi la maggior parte dei cristiani di ogni epoca e luogo. Leggendo il Vangelo secondo Marco nella sua interezza e tutto il Nuovo Testamento sappiamo però che non è così, e per questo ci viene richiesto lo sforzo di comprendere e armonizzare questi aspetti apparentemente contraddittori.

Sappiamo che i discepoli nel gruppo dei Dodici hanno abbandonato tutto per seguire Gesù nel suo ministero terreno, e probabilmente anche altri seguaci hanno imitato - come dice Pietro - questo comportamento. Gesù assicura un premio presente e futuro per queste rinunce. 

Le condizioni e il messaggio del gruppo pre Pasquale però non sono rimasti immutati, sono invece stati trasformati dall’evento della morte e risurrezione di Cristo. Come visto sin dalla “introduzione”, questo episodio si inserisce nella tensione di un cammino diretto alla Croce, in un’atmosfera sempre più drammatica. Il gruppo di discepoli però non si è fermato alla Croce ma in seguito alla Risurrezione si è trasformato in una comunità di discepoli e, in seguito, in un grande numero di comunità sparse ovunque nel mondo. Dobbiamo quindi comprendere una progressione e un cambiamento nell’approccio al discepolato. Questo processo, o perlomeno l’esistenza di diverse prospettive, ci appare evidente anche confrontando i vari Vangeli: laddove per Luca sono beati i poveri tout court (6:20), in Matteo lo sono i poveri in spirito (5:30): le parole di Gesù sono state attualizzate per la comunità.

Questa relativizzazione è obbligatoria proprio per attualizzare e armonizzare il messaggio evangelico ma non dobbiamo comunque neanche radicalizzarla: ci sono dei principi infatti che possiamo considerare ancora validi e degli aspetti di questo episodio che ci devono ancora oggi interpellare. Se infatti difficilmente possiamo diventare tutti dei predicatori itineranti senza fissa dimora, tutti i cristiani sono certamente chiamati comunque a rispondere all’appello a una sequela personale e completa. La salvezza è gratuita ma costa la nostra intera vita: l’incontro con Cristo non ci può lasciare come ci ha trovati ma - per essere un incontro genuino - deve essere un incontro trasformante. Ecco quindi che la trasformazione deve poter toccare i nostri pensieri, le nostre azioni quotidiane, le nostre priorità...in altre parole la gestione della nostra intera vita. Gesù ci invita ad affidare a lui la nostra vita e non alla nostra forza, alle nostre finanze, alla nostra intelligenza. Questo è un punto fermo, un principio del regno di Dio: Dio e Cristo sono al centro. L’esortazione di questo brano quindi, per noi oggi, quale può essere? Proprio questa: lasciare ogni peso e ogni presunta sicurezza per abbracciare Cristo. Lasciamo che si prenda cura lui di noi. Se non lo abbiamo mai fatto o se lo abbiamo fatto in passato ma siamo tornati in un secondo momento sui nostri passi...oggi è il momento opportuno. Torniamo a Gesù, torniamo a seguire le sue impronte, e la sua benedizione quotidiana non tarderà ad abbondare. 

CONCLUSIONE

Il brano del “giovane ricco” è per certi versi enigmatico: Gesù si comporta in modo apparentemente duro e ingiusto nei confronti di una persona che lo ammirava e seguiva. 

Nel contesto letterario e teologico del Vangelo secondo Marco possiamo rilevare una prima chiave di lettura: l’elevatissimo prezzo di questo discepolato è da correlare con l’imminente prezzo assoluto del sacrificio di Cristo.

Ogni cristiano, però, può prendere spunto da questo episodio per riflettere sulla serietà della proprio vita di fede: il proprio incontro con Cristo ha trasformato ogni aspetto della nostra vita? La nostra sicurezza è nelle finanze, nel lavoro, nella forza o nella provvidenza di Dio? Gesù esorta a non essere attaccati alla casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli, o campi (lavoro) ma in Dio. Lui ricompenserà questa adesione cento volte tanto in questo tempo (pur essendoci anche persecuzioni) e, in quello a venire, la vita eterna. 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  • Rafael Aguirre Monasterio, Antonio Rodriguez Carmona, Vangeli Sinottici e Atti degli Apostoli, Paideia Editrice, Brescia, 1995.
  • Santi Grasso - nuova versione, introduzione e commento, Vangelo di Marco, Figlie di San Paolo, Milano, 2003.

domenica 4 luglio 2021

Le benedizioni in Cristo
















INTRODUZIONE

La Lettera agli Efesini secondo la tradizione cristiana è una delle lettere della prigionia, scritte dall'apostolo Paolo nel 62 d.C. forse a Roma. Buona parte della moderna critica biblica, invece, prende le distanze dalla paternità paolina, principalmente a causa del suo lessico peculiare e della sua dipendenza letteraria con la Lettera ai Colossesi.

Qualsiasi sia il suo autore, comunque, è indubbio che il contenuto di Efesini ha saputo entrare nel cuore dei cristiani di ogni epoca grazie alla sua straordinaria ricchezza teologica. 

In questa occasione desidero tracciare delle linee esegetiche fondamentali per avvicinarci alla lettura e alla comprensione del primo esordio di questa lettera, problematico a livello grammaticale (nel testo originale non troviamo segni di interpunzione ma solo un periodo unico di smisurata grandezza) ma anche di grande fascino a livello teologico. 

LA LETTURA


Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. 
 
In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio. 
 
In lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, il perdono dei peccati secondo le ricchezze della sua grazia, che egli ha riversata abbondantemente su di noi dandoci ogni sorta di sapienza e d'intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo il disegno benevolo che aveva prestabilito dentro di sé, per realizzarlo quando i tempi fossero compiuti. Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra. 
 
In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà, per essere a lode della sua gloria; noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. 
 
In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria.

Lettera agli Efesini 1:3-14 

IL COMMENTO


L'apertura di questo esordio letterario avviene con una lode orante a Dio, nel solco veterotestamentario, dove troviamo formule simili:

Benedetto sia il SIGNORE, il Dio d'Abraamo mio signore, che non ha cessato di essere buono e fedele verso il mio signore!
Genesi 24:27a 

Ietro disse: «Benedetto sia il SIGNORE, che vi ha liberati dalla mano degli Egiziani e dalla mano del faraone; egli ha liberato il popolo dal giogo degli Egiziani!
Esodo 18:10

Allora Davide disse ad Abigail: «Sia benedetto il SIGNORE, il Dio d'Israele, che oggi ti ha mandata incontro a me!
1Sam 25:32


Possiamo rilevare che la lode a Dio si inserisce in una risposta per la bontà e fedeltà nella provvidenza ricevuta, nella salvezza e liberazione dagli Egiziani e nell'arrivo di una mediatrice in una situazione di tensione militare che avrebbe causato uno spargimento di sangue. Paragonando queste espressioni possiamo notare un parallelo tra la provvidenza salvifica ricevuta e ogni benedizione celeste ricevuta in Cristo


Queste benedizioni sono, appunto, nei luoghi celesti. Questo forse significa che non hanno a che vedere con le cose della terra? In realtà no, in quanto " i cieli" sono il luogo dal quale Cristo esercita la propria signoria universale (Ef. 3:10-12) e a cui noi stessi abbiamo accesso (Ef. 2:6-7). Se la benedizione ci raggiunge nei cieli, quindi, è perché noi vi siamo ormai entrati, ossia siamo divenuti definitivamente partecipi della signoria salvifica di Cristo. Essere "in" Cristo, perciò, indica che siamo associati al suo statuto.


Nel v.4 troviamo le azioni divine che rappresentano queste benedizioni, la prima delle quali è la scelta di noi credenti. Questa scelta è anteriore alla fondazione del mondo e dunque non derivata da vicende contingenti, dagli eventi storici. Poiché Cristo è il mediatore di queste benedizioni, ne risulta senza dubbio anche la sua stessa preesistenza alla creazione del mondo. Esiste quindi una predestinazione tuttavia, mentre la tradizione teologica successiva utilizzerà questa terminologia per identificare una predestinazione relativa al destino escatologico dei singoli, qui non troviamo indicazioni di questo tipo. Non vi è infatti qui alcun destino negativo e, soprattutto, non si ha in vista il destino individuale ma l'unico riferimento è al "noi" credente. Inoltre, l'oggetto di questa predestinazione divina è lo statuto attuale dei credenti, che nel resto della lettera troverà una realizzazione escatologica anche se non completa. Questa predestinazione divina, dunque, esprime una scelta di amore, una gratuità incondizionata che giunge sino al punto di considerarci (noi, credenti) come figli. 


Il piano eterno del Padre è reso conoscibile dall'esperienza presente della salvezza, espressa per mezzo di un parallelismo il cui secondo membro è in apposizione al primo e con una corrispondenza verbale in Colossesi 1:14. Possiamo descrivere nel seguente modo questo parallelismo:


a) redenzione

b) mediante il suo sangue

a') remissione dei peccati 

b') secondo le ricchezze della sua grazia


Il termine "redenzione" originariamente indica la liberazione di schiavi attraverso il pagamento di un prezzo. Nella traduzione LXX ricorre, per esempio, in:


Ho anche udito i gemiti dei figli d'Israele che gli Egiziani tengono in schiavitù e mi sono ricordato del mio patto. Perciò, di' ai figli d'Israele: "Io sono il SIGNORE; quindi vi sottrarrò ai duri lavori di cui vi gravano gli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi salverò con braccio steso e con grandi atti di giudizio.
Esodo 6:5-6

Mentre il sangue di Cristo indica la modalità attraverso cui è elargita la redenzione: ossia l'auto-donazione di Cristo sulla croce. Questa è in parallelo con la grazia di Dio, mentre la redenzione - questa liberazione ricevuta - è affiancata alla remissione dei peccati, qui designati dal sostantivo "caduta, colpa". 

La grazia dona anche l'intelligenza e la sapienza di conoscere il "mistero della sua volontà" che consiste nella riepilogazione, nella ricapitolazione universale in Cristo. 

Il termine tradotto con "raccogliere" o "ricapitolare" è reso in greco dal verbo anakephalaiomai, traducibile letteralmente con "per riassumere (di nuovo)", "ripetere sommariamente", "condensare in una sintesi." In effetti "raccogliere" è una traduzione riduttiva rispetto al significato originario. In senso più ampio, troviamo legato a questo concetto due significati molto importanti: "ridare un capo" e "fondare, instaurare". A monte deve essere avvertito il presupposto di un universo disgregato, di una realtà svuotata del suo senso causa del peccato. In Cristo tutto l'universo è (ri)fondato, restaurato, e contemporaneamente sottomesso alla sua autorità. Questa è sempre stata la volontà di Dio ma si è espressa nel tempo opportuno con il sacrificio, la morte e la resurrezione del Signore Gesù. Nella risurrezione Egli diventa il primogenito di una nuova creazione (Col 1:18), avendo però precedentemente riassunto in sé tutta la vecchia creazione nell'incarnazione (Gv 1:14). Oltrepassando la dimensione mortale, Cristo ha portato una tensione verso la piena manifestazione del regno di Dio. Egli è il nuovo Adamo (1 Cor 15:45), Colui che ha il compito di condurre non solo i credenti, ma anche l'intera creazione verso una piena redenzione.

La parola anakephalaiomai compare solo un'altra volta nel Nuovo Testamento, nel seguente testo:

Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono (anakephalaiomai)
in questa parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso». L'amore non fa nessun male al prossimo; l'amore quindi è l'adempimento (plērōma) della legge.
Romani 13:8-10 

Potremmo parafrasare così: "qualsiasi comandamento si ricapitola, si rifonda in questa parola: ama il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa alcun male al prossimo; l'amore infatti è la pienezza della legge." A livello teologico può esserci un contatto interessante tra l'idea che l'amore riassume e rifonda la legge in modo analogo a come Cristo riassume e rifonda in sé tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra. 

Nel testo successivo, infine, troviamo i tre momenti logici che hanno scandito l'inserimento dei destinatari in queste benedizioni. Il primo è l'ascolto della parola di verità, ossia il Vangelo. Il secondo è l'adesione di fede. Il terzo è la ricezione del sigillo dello Spirito, ossia il dono dello Spirito come dono che convalidi l'essere inseriti nel piano salvifico di Dio che rende i destinatari sua "proprietà", fino alla piena manifestazione escatologica di questa redenzione.

CONCLUSIONE


La Lettera agli Efesini esordisce con una frase estremamente lunga, che nel greco originario non presenta nemmeno una punteggiatura. Come una colata di lava incandescente avanza sul terreno coprendo ogni cosa, così il suo autore ha voluto esprimere la ricchezza del suo pensiero teologico relativo alla benedizione che i credenti hanno in Cristo. Una benedizione che copre ogni cosa, che si sta già vivendo ma che si manifesterà pienamente nei tempi escatologici. 

Questa benedizione riguarda l'elezione della Chiesa, ossia dei credenti, per essere liberati dalla schiavitù del peccato ed essere resi liberi. Non solo liberi, però, ma anche adottati dal Padre per mezzo del sacrificio di Cristo e grazie al suo amore e alla sua volontà disinteressata. 

E' questa dunque la condizione dei credenti, la loro forza e il loro destino. 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE


- Lettera agli Efesini, nuova versione, introduzione e commento di Stefano Romanello, Ed. Figlie di San Paolo, 2003. 


domenica 27 giugno 2021

L'insegnamento di Gesù sul divorzio nel vangelo secondo Marco

INTRODUZIONE

Al centro di qualsiasi società umana, in qualsiasi cultura, ci sono sempre state delle tappe sociali universali: nascite, passaggi verso l'età adulta, matrimoni. Il contesto ebraico del I secolo non era senz'altro esente da questi appuntamenti che venivano vissuti secondo le prescrizioni della Torah e secondo le sue interpretazioni per i vari gruppi religiosi dell'epoca. 

In questo quadro complessivo le controversie che Gesù affronta con i farisei, così come raccontate nei Vangeli,  non sono da considerarsi come casuali ma rispecchiano in modo preciso le discussioni che questo gruppo giudaico promuoveva nel I secolo per interpretare e attualizzare al loro meglio il testo biblico. Le conversazioni tra i migliori maestri sarebbero in seguito confluite nei  nel Talmud. 

Tra le varie questioni prese in causa dai rabbini, e sottoposte a Gesù, troviamo anche quella del matrimonio e del divorzio. 

1. LA TORAH

Il punto di partenza del nostro percorso non può che essere il Pentateuco, ossia i primi cinque libri biblici normativi per ebrei e cristiani dove troviamo appunto le prescrizioni relative ad ogni aspetto della vita quotidiana secondo la volontà di Dio. 

Nel libro del Deuteronomio leggiamo che Mosè affronta il tema del matrimonio e del divorzio con le seguenti parole:

Quando un uomo sposa una donna che poi non vuole più, perché ha scoperto qualcosa di indecente a suo riguardo, le scriva un atto di ripudio, glielo metta in mano e la mandi via.

Deuteronomio 24:1 

Come possiamo notare a una semplice lettura, il divorzio viene previsto e consentito a condizione che il marito scopra qualcosa di indecente a riguardo della moglie. L'allusione a qualcosa di indecente, così come troviamo nella traduzione italiana, è probabile che guardi un'infedeltà, anche se in effetti non viene detto in modo esplicito. Esaminando il testo ebraico originale, troviamo che questo termine è reso con עֶרְוָה ʻervâh i cui significati letterari sono nudità, vergogna, indecenza. La stessa parola ricorre anche nel capitolo precedente, in relazione alla condizione della comunità:

Infatti il SIGNORE, il tuo Dio, cammina in mezzo al tuo accampamento per proteggerti e per sconfiggere i tuoi nemici davanti a te; perciò il tuo accampamento dovrà essere santo, affinché egli non veda in mezzo a te nulla d'indecente e non si ritiri da te.

Deuteronomio 23:14 

Appare chiaro dunque che questo concetto viene presentato nel libro biblico come opposto a quello di santo. Questo indizio può confermare la definizione delle condizioni nelle quali è legittimo divorziare, ossia a causa di infedeltà, condotta impura, anche se i contorni e il contesto appaiono ancora confusi e lasciati al giudizio dei singoli casi. 

A partire da questo versetto, dunque, verso quali direzione andavano le interpretazioni dei farisei del I secolo d.C?

2. IL TALMUD

Nella Mishnà Ghittin 9,10 - redatta alcuni secoli dopo mettendo per iscritto tradizioni orali dell'epoca che stiamo considerando - leggiamo che la scuola del maestro Shammai (50 a.C. - 30 d.C.) insegnava che "il marito non deve ripudiare la moglie fuorché nel caso in cui egli constati in lei un contegno immorale, conforme al testo che dice: “avendo egli trovato in lei qualche cosa di sconcio"

Questa esposizione appare rispettosa del testo biblico ma tra le scuole di pensiero teologico dell'epoca era addirittura la più morbida. 

La scuola di Hillel (60 a.C. - 7 d.C.) infatti, contraddistinta da un approccio più rigido, affermava: "[Egli può divorziare da lei] anche se essa ha recato offesa comunque (letteralmente: abbia rovinato una pietanza), come è scritto, “avendo egli trovato in lei qualche cosa di sconcio in qualsiasi cosa”.

Quest'ultima interpretazione ci appare più libera, prendendosi delle libertà che non sono strettamente legate al testo di partenza ma che erano comunque tenute in alta considerazione al tempo di Gesù e praticate dalle persone che ritenevano affidabile l'insegnamento del rabbi Hillel. Troviamo traccia di questa variante anche in Mt. 19:3.

Nella controversia già avviata, dunque, ad un certo punto del ministero pubblico di Gesù alcuni farisei chiesero il suo punto di vista sulla questione. 

3. GESU'

Poi Gesù partì di là e se ne andò nei territori della Giudea e oltre il Giordano. Di nuovo si radunarono presso di lui delle folle; e di nuovo egli insegnava loro come era solito fare. 

Dei farisei si avvicinarono a lui per metterlo alla prova, dicendo: «È lecito a un marito mandare via la moglie?» 

Egli rispose loro: «Che cosa vi ha comandato Mosè?» Essi dissero: «Mosè permise di scrivere un atto di ripudio e di mandarla via». Gesù disse loro: «È per la durezza del vostro cuore che Mosè scrisse per voi quella norma; ma al principio della creazione Dio li creò maschio e femmina. Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne. Così non sono più due, ma una sola carne. L'uomo, dunque, non separi quel che Dio ha unito». In casa i discepoli lo interrogarono di nuovo sullo stesso argomento.  Egli disse loro: «Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei;  e se la moglie ripudia suo marito e ne sposa un altro, commette adulterio».
Marco 10:1-12 

La domanda riportata da Marco, con l'intento di mettere alla prova Gesù e confutare la sua implicita messianicità, viene riportata in questo modo: «È lecito a un marito mandare via la moglie?». Il resoconto di Matteo aggiunge «per un qualsiasi motivo», confermando i termini della diatriba che abbiamo già delineato. La liceità del divorzio in realtà non è messa in discussione, quanto piuttosto la sua condizione: per motivi di sconvenienza sessuale o anche di altro tipo?

Gesù sceglie di non rispondere aderendo a una delle due soluzioni e chiede ai suoi interlocutori cosa ha comandato Mosè, ricevendo la risposta che tutti già conoscevano. 

La sua controrisposta viene articolata in due momenti. Nel primo egli si rifà al motivo per cui Mosè ha dato queste istruzioni: per la durezza dei loro cuori. La parola greca utilizzata qui nel testo originale è sklērokardia, e indica l'atteggiamento di colui che, venendo meno alla fede in Dio, si oppone al compimento della sua volontà. La concessione del divorzio viene considerata, quindi, come una concessione che non apparteneva alla volontà originaria di Dio ma che è stata data come compromesso in un secondo momento visto che il popolo non era in grado di seguire il volere divino. Gesù si appella a un principio anteriore alla Legge, il principio della volontà originaria di Dio. Nel secondo momento troviamo invece la citazione dei due seguenti passi biblici: 

1) Dio li creò maschio e femmina (Gn. 1:27)

Dio creò l'uomo a suo immagine maschio e femmina. Con questa citazione Gesù fa rilevare come l'unione sponsale sia in maniera costitutiva inscritta nella struttura umana, perché è il ricongiungimento delle due persone, che formano l'unico Adamo. 

2) Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne.  (Gn. 2:24)

Con questa seconda citazione Gesù richiama il valore prioritario della relazione di coppia, fondata sull'avvenuta unità della carne, in confronto a tutti gli altri rapporti familiari. 

Dopo tutto questo arriva la vera risposta ai farisei: "L'uomo, dunque, non separi quel che Dio ha unito".

CONSIDERAZIONI FINALI

Da un punto di vista legale i farisei avevano ragione: «Mosè permise di scrivere un atto di ripudio e di mandarla [la moglie] via». La Torah permette il divorzio, anche nella possibilità più limitata dell'immoralità sessuale. 

Gesù tuttavia non si attiene alla prescrizione della Legge ma presenta il principio precedente della Creazione: l'uomo è stato creato come uomo e donna e questa è la sua realtà esistenziale, che non può cambiare. L'uomo e la donna diventano una sola carne in un'unione voluta da Dio che l'uomo è chiamato a non dividere. La possibilità del divorzio è stata data come concessione in un secondo momento, per venire incontro alla debolezza umana nel seguire la volontà di Dio. 

Questa stessa linea è stata mantenuta dall'apostolo Paolo, come leggiamo in 1 Corinzi 7, difendendo prima di tutto l'unità del matrimonio. Paolo tuttavia, consapevole dei problemi all'interno delle comunità cristiane, estenderà questa riflessione verso un'attenzione particolare alle coppie composte da credenti e non credenti, riammettendo la possibilità di separazione nel caso in cui il partner non credente desideri farlo. 

Il tema è senz'altro complesso e bisogna adottare buon senso e attenzione alla salute e alla dignità dei singoli, essendo consapevoli comunque della volontà originaria di Dio. 

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...