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martedì 25 dicembre 2018

Gloria in altissimis Deo, et in terra pax in hominibus bonae voluntatis

Egli starà là e pascolerà il suo gregge con la forza del SIGNORE,
con la maestà del nome del SIGNORE, suo Dio.
E quelli abiteranno in pace,
perché allora egli sarà grande fino all'estremità della terra.
Michea 5:3

1. LA LETTURA
Mentre erano là, si compì per lei il tempo del parto; ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò, e lo coricò in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.

In quella stessa regione c'erano dei pastori che stavano nei campi e di notte facevano la guardia al loro gregge. E un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore risplendé intorno a loro, e furono presi da gran timore. L'angelo disse loro: «Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: "Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia"».
E a un tratto vi fu con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva:

«Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch'egli gradisce!»

Quando gli angeli se ne furono andati verso il cielo, i pastori dicevano tra di loro: «Andiamo fino a Betlemme e vediamo ciò che è avvenuto, e che il Signore ci ha fatto sapere». 
Vangelo secondo Luca 2:6-15
 2. INTRODUZIONE

Il Vangelo secondo Luca dipinge davanti ai nostri occhi l’immagine più accurata della nascita di Gesù tra i vangeli canonici. Tanti elementi entrati tradizionalmente nella nostra cultura (e nei nostri presepi) sono tratti infatti dal racconto in questione, il più completo. In questa occasione vorrei condividere alcune riflessioni basate proprio dall'eposodio della natività lucana, ma concernenti in modo più specifico il coro angelico riportato al v. 2:14 e sottolineato nell'estratto del testo che avete appena letto all'inizio di questo articolo. 

3. IL QUADRO NARRATIVO

La cornice narrativa la conosciamo tutti bene, sia che siamo familiari alla lettura del vangelo in questione o meno, tanto è famosa. Sappiamo che a causa di un decreto che ordinava un censimento, Giuseppe e Maria incinta sono stati obbligati a recarsi a Betlemme in quanto città originaria del re Davide, illustre avo di Giuseppe. Qui si compie il tempo del parto, la famiglia non trova alloggio in albergo ed ecco che Gesù nasce e viene coricato un una mangiatoia. La narrazione poi si sposta per includere in questa scena anche alcuni pastori. Con una sequenza parallela di promessa e adempimento, similmente a quanto avvenuto nell'annuncio della nascita di Gesù a Maria da parte dell'angelo Gabriele (Lc. 1:26-38)1, un angelo del Signore presenta loro la buona notizia di una grande gioia che il popolo avrà per la nascita di un Salvatore. Una concezione molto diffusa vede nella presenza stessa dei pastori l'indizio certo che non possiamo essere in un tempo invernale (come appunto il mese di Dicembre) ma in ultima analisi questo elemento non può essere conclusivo.2 In ogni caso, l'angelo porta la buona notizia ai pastori, corroborata da un segno di riconoscimento, e dopo queste parole in modo improvviso compare una moltitudine angelica che canta la sua lode a Dio. 

4. LA LODE ANGELICA
«Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch'egli gradisce!»
Possiamo rilevare come questa frase sia costituita da due momenti distinti seppur interconnessi. Da una parte abbiamo infatti la Gloria (doxa) a Dio, espressa con un termine greco il cui senso di "divino splendore di potenza, gloria divina" è esclusivo della letteratura biblica ed estraneo al greco extrabiblico.3 Una parola peculiare dunque che viene associata a Dio nell'hypsistos, ossia nel luogo geografico e qualitativo al tempo stesso che per sua stessa definizione è il più alto. E proprio grazie alla Gloria di Dio nei luoghi altissimi (a causa della nascita di Cristo) deriva, sempre in virtù di questo evento, la pace in terra agli uomini che egli gradisce. Nel greco originale questo secondo elemento riporta letteralmente:4
ἐπί / epi (sulla)

γῆ / gē (terra)

εἰρήνη / eirēnē (pace)

εὐδοκία / eudokia (buono, scelta, buona volontà, delizia, piacere, soddisfazione)

ἐν / en (verso)

ἄνθρωπος / anthrōpos (uomini)
Nel IV secolo d.C., Girolamo tradurrà questa frase in latino nel seguente modo: et in terra pax in hominibus bonae voluntatis, espressione entrata proprio grazie alla traduzione Vulgata nel senso comune e che ha promosso la diffusione in italiano della traduzione cattolica "agli uomini di buona volontà".5 La traduzione più attinente però è proprio quella usata da Giovanni Diodati ("benivoglienza inverso gli uomini") aggiornata linguisticamente nella versione Nuova Diodati: pace in terra agli uomini, su cui si posa il suo favore. La pace infatti oltre alla bontà, scelta, buona volontà, delizia, piacere e la soddisfazione sono quelle di Dio verso gli uomini, e non viceversa. Come ulteriore prova possiamo considerare l'unica altra ricorrenza nel Vangelo di Luca del termine eudokia6, che troviamo in 10:21:
In quella stessa ora, Gesù, mosso dallo Spirito Santo, esultò e disse: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre, perché così ti è piaciuto! 
È dunque ai piccoli che è piaciuto al Padre rivelare la caduta di Satana (Lc 10:17-20), ed è agli uomini che egli rivolge la sua piacevolezza e la sua pace sulla terra attraverso Cristo Gesù.
La nascita del Signore Gesù è quindi espressione della Gloria di Dio nei luoghi altissimi e della sua pace e della sua scelta e delizia verso gli uomini. Questa è la buona notizia (l'evangelo) che viene prima di tutto annunciata dagli angeli e che trova proprio nei pastori i primi testimoni. Uomini che vedono la gloria del Signore (2:9), che ricevono l'annuncio evangelico (2:10-12), che assistono alla liturgia celeste (2:14) e che con l'ubbidienza della fede decidono di andare a Betlemme per vedere con i propri occhi quello che l'avvertimento angelico aveva annunciato. 

 5. CONCLUSIONE

Senza farne mistero, l'autore di questo vangelo esplicita fin da subito di essersi accuratamente informato sin dall'origine di ogni fatto riguardante Gesù dai testimoni oculari e dai suoi primi testimoni (1:1-3). Descrive quindi con numerosi dettagli l'evento della nascita del Signore e di come questo evento sia di una epocale rilevanza teologica. 

Sebbene la nascita di Gesù avvenga in sordina infatti, ossia nel silenzio e nell'isolamento, un angelo annuncia l'importanza del fatto ad alcuni pastori e questo annuncio viene confermato dall'apparizione di una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio. La lode celeste di Dio viene dunque trasmessa sulla terra come innesco di una nuova epoca, che il contenuto di questa lode definisce nella pace e benevolenza rivolta agli uomini. Questo è il significato della Natività, questo è il senso del Natale. Un evento storico con significato teologico avvenuto più di duemila anni fa, ma che ha inondato il mondo della benedizione del Padre fino ai giorni nostri, attraverso il Signore Gesù Cristo. 



Note:

[1] A.A.V.V., Grande commentario biblico Queriniana, Ed. Queriniana, Brescia, 1974, cit. p. 982.
[2] vedi: https://ilcristianoinformato.altervista.org/le-pecore-allaperto-a-betlemme-il-mese-di-dicembre-hendriksen-dice-perche-no/?fbclid=IwAR0U2Ewkz02kDETSZZVkyHlzhXWtnB9QO5mO6Yi6JLyJv36gCXhWEBcMJcI&doing_wp_cron=1545556454.8211090564727783203125
[3] Horst Balz, Gerhard Schneider, Dizionario Esegetico Del Nuovo Testamento, Ed. Paideia, Brescia, 2004 (ed. in unico volume) cit. I 915.  
[4] Cfr. https://www.blueletterbible.org/kjv/luk/2/14/p0/t_conc_975014 
[5] Cfr. https://www.culturacattolica.it/attualit%C3%A0/in-rilievo/ultime-news/2013/12/22/gloria-a-dio-negli-altissimi
[6] https://www.blueletterbible.org/lang/lexicon/lexicon.cfm?Strongs=G2107&t=KJV&bn=42#lexResults

domenica 25 novembre 2018

La sottomissione del cristiano


Nota: questi sono gli appunti del sermone che ho predicato nei Centri Rehoboth di Rivera (CH) e Saronno (VA) il 25/11/2018.

   INTRODUZIONE

Domenica scorsa abbiamo visto l'importanza dell'ubbidienza per vivere al meglio la benedizione che Dio ha per noi. Abbiamo considerato sulla base del Primo libro di Samuele come il Signore preferisca l'ubbidienza al sacrificio rituale, e questa preferenza è davvero di grande importanza! In realtà in tutta la Bibbia Dio parla al suo popolo (celebre è il c. 1 di Isaia) – spesso cristallizzato in un mero formalismo – indicando a volte anche con parole dure come lui non desideri formalismo o religiosità ma per l'appunto ubbidienza e giustizia.  Ubbidienza a Dio significa appropriarci della nostra vera identità in Cristo portando sulla terra la stessa volontà di Dio che è fatta nei cieli.

Oggi pomeriggio però possiamo fare un passo indietro e valutare da cosa scaturisce questa ubbidienza: dal principio spirituale della sottomissione. Tutta la nostra vita di fede infatti nasce dal preciso momento in cui abbiamo riconosciuto in Gesù un'autorità giusta da seguire e ogni nostro progresso spirituale non può che essere passato da nuove occasioni in cui poter riconfermare questa nostra scelta. Pensiamo agli apostoli nei Vangeli: Gesù si reca al loro posto di lavoro, li comanda di seguirlo e loro, lasciando ogni cosa, ubbidiscono. Vedete come è tutto collegato? Dal riconoscimento della sua autorità scaturisce la nostra adesione alla sua volontà e quindi la nostra libera e gioiosa ubbidienza. 

Nel c. 13 della Lettera ai Romani vediamo che il tema della sottomissione ha per noi credenti tre diverse macro-coordinate: la sottomissione a Dio e alle autorità statali (vv. 1-7) e alle autorità ecclesiastiche oltre che a ogni fratello e sorella nella fede (8-10). Possiamo seguire quindi questa traccia per comprendere meglio il consiglio di Dio a riguardo.
   

1. LA SOTTOMISSIONE A DIO

L'inizio delle nostre considerazioni sulla sottomissione a Dio purtroppo passa attraverso un dramma: la ribellione di Adamo ed Eva. Sappiamo bene la storia di Genesi: essi vivevano nel giardino posto in Eden in una condizione meravigliosa, ma hanno scelto di disubbidire all'unica (!) regola che Dio aveva posto per la loro integrità e incolumità. La conseguenza è stata una frattura nel rapporto con Dio e l'allontanamento da Eden oltre alla loro morte spirituale. Dobbiamo comprendere che questo tragico inizio è purtroppo scritto nel nostro DNA spirituale. Ogni uomo e donna che nasce infatti porta con sé quella natura di peccato e quel senso di abbandono...quella frattura che porta automaticamente all'egoismo e alla sfiducia nei confronti delle autorità. Ma non è Dio ad aver sbagliato, è l'uomo. Nonostante questo, il primo, secondo, terzo e quarto passo per ristabilire la relazione e la dignità umana è stato preso proprio dal Padre attraverso la morte vicaria di Cristo. E' a questo punto che noi possiamo essere ristabiliti, ma dobbiamo rispondere alla chiamata di Gesù: “Sì, lo voglio!”. Dobbiamo riconoscere l'autorità di Gesù e solo a questo punto potremo essere guariti e ripristinati. Certo, possiamo avere il miraggio che senza sottomissione noi possiamo essere gli unici padroni della nostra vita, ma....pensiamoci per qualche secondo in più: lo possiamo davvero essere? Quante volte abbiamo fatto “di testa nostra” e – raggiungendo i nostri obiettivi – abbiamo ferito chi ci stava vicino, rimanendo soli o quasi? Quante volte la nostra illusione di controllo si è frantumata di fronte a un imprevisto della vita o ai nostri stessi limiti? La verità è che non possiamo essere veramente liberi in noi e se non siamo sottomessi a Dio siamo schiavi del nostro “io” che ci acceca privandoci della capacità di vedere cosa realmente sta succedendo attorno a noi.

Vi faccio un esempio: i dodici passi degli alcolisti anonimi. Moltissimi alcolisti (persone schiave del vizio autodistruttivo dell'abuso di alcool) seguendo questi dodici passi sono arrivati a una liberazione da questa forma di auto-distruzione. Ebbene, da dove sono passati? Da questi primi tre punti:

1) Abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte all’alcol e che le nostre vite erano divenute incontrollabili.
2) Siamo giunti a credere che un Potere più grande di noi potrebbe ricondurci alla ragione.
3) Abbiamo preso la decisione di affidare le nostre volontà e le nostre vite alla cura di Dio, come noi potemmo concepirLo.

Con le opportune differenze, anche noi abbiamo fatto o dobbiamo fare questo percorso, pur senza essere alcolisti. Il nostro vizio infatti può non essere l'alcool ma sicuramente è il peccato, per nostra stessa natura. Dobbiamo quindi renderci conto di questo (1), riconoscere il potere e l'autorità dell'amore del Dio della Bibbia per noi (2) e sottometterci a lui ubbidendo alla sua Parola (3).


   2. LA SOTTOMISSIONE ALLE AUTORITA' ESTERNE ALLA CHIESA
 
La Scrittura dice però che dobbiamo essere anche sottomessi alle autorità statali. Gesù ha detto di dare a Cesare quel che è di Cesare, e quindi versare regolarmente le imposte. Paolo in Romani dice che “non vi è autorità se non da Dio”, proprio perché Dio governa ogni cosa. Come figli di Dio, il nostro comportamento deve ricalcare le orme del Figlio di Dio: senza alcuna ribellione ma con l'ubbidienza che passa anche per la sofferenza. In 1 Pietro leggiamo:

1 Pietro 2:11 Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dalle carnali concupiscenze che danno l'assalto contro l'anima, 12 avendo una buona condotta fra i pagani, affinché laddove sparlano di voi, chiamandovi malfattori, osservino le vostre opere buone e diano gloria a Dio nel giorno in cui li visiterà.
13 Siate sottomessi, per amor del Signore, a ogni umana istituzione: al re, come al sovrano; 14 ai governatori, come mandati da lui per punire i malfattori e per dare lode a quelli che fanno il bene. 15 Perché questa è la volontà di Dio: che, facendo il bene, turiate la bocca all'ignoranza degli uomini stolti. 16 Fate questo come uomini liberi, che non si servono della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio. 17 Onorate tutti. Amate i fratelli. Temete Dio. Onorate il re.


Essendo sottomessi al Signore, ci fidiamo di Lui, e ci fidiamo del fatto che il meglio per noi è essere sottomessi anche a ogni umana istituzione facendo il bene. Naturalmente non dobbiamo essere sottomessi a umane istituzioni facendo il male!

Il principio spirituale è ben stato descritto da Martin Lutero quando ha detto:
“Il fatto che egli non dica: << ogni uomo >>, ma << ogni anima >>, nasconde forse un mistero? Forse si esprime così a motivo della sottomissione sincera che deve essere praticata col cuore. In secondo luogo dice così perchè l'anima è il termine medio tra il corpo e lo spirito. Egli vuole dunque mostrare che il fedele, al tempo stesso ed una volta per sempre, è elevato al di sopra di tutto ed è tuttavia sottomesso a tutto; così, avendo in sé due forme, è << geminato >>[Gemellus, insomma è un essere duplice], com'è anche Cristo. Infatti, secondo lo spirito, egli è al di sopra di tutto, poiché tutto << concorre al bene dei santi >>. E in I Corinzi, al capitolo 3, si dice: << Tutto è vostro, sia il mondo, sia la vita, sia la morte >>. Infatti, mediante la fede, il credente assoggetta a sé tutte queste cose, senza subirne l'influsso e senza confidare in esse; al contrario, egli le costringe a servire a se stesso, alla sua gloria ed alla sua salvezza. Questo appunto significa servire Dio e pertanto regnare. Questo è il regno spirituale di cui si parla nell'Apocalisse, al capitolo 5: << Hai fatto di noi un regno per il nostro Dio e regneremo sulla terra >>. Infatti il mondo non può essere vinto e sottomesso in modo migliore che col disprezzo...
M. Lutero commento alla Lettera ai Romani c. XIII
3. LA SOTTOMISSIONE NELLA CHIESA

Sempre Paolo a riguardo della sottomissione nella Chiesa, dice invece:

Rom. 13:8 Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. 9 Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso». 10 L'amore non fa nessun male al prossimo; l'amore quindi è l'adempimento della legge.

Tra di noi dunque non deve regnare una legge di accusa ma deve regnare l'amore reciproco. Questa è la misura della maturità cristiana. La ricerca del bene comune sopra quello del nostro corrisponde alla strada che tutti noi stiamo percorrendo. Altrimenti non saremmo qui. In questa misura noi dobbiamo essere sottomessi gli uni agli altri: 

Ef. 5:18 Non ubriacatevi! Il vino porta alla dissolutezza. Ma siate ricolmi di Spirito, 19 parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore; 20 ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo; 21 sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo.

Dal nostro cuore ricolmo di Spirito Santo nascono in noi salmi, inni e cantici spirituali. Dal nostro cuore ricolmo di Spirito Santo nasce il nostro culto comunitario! Dal nostro cuore ricolmo di Spirito Santo nasce la possibilità di superare il nostro orgoglio e per amore sottometterci gli uni agli altri nel timore di Cristo. Sottometterci a vicenda è l'opposto di ergerci sopra gli altri. Significa riconoscere le chiamate specifiche dei fratelli e sorelle, incoraggiarli nel loro cammino, non essere invidiosi né maldicenti ma considerare chi ci sta a destra e sinistra figli preziosi di Dio così come lo siamo noi. Certo, per vivere in questa dimensione serve essere ricolmi di Spirito, non di vino. Ma anche se non lo siamo, c'è una bella notizia: possiamo accostarci con libertà al trono di Dio in qualsiasi momento per ricevere grazia al momento opportuno (Eb. 4:16) e la sua presenza mediante il suo Spirito.

E che dire della sottomissione alle autorità stabilite nella Chiesa? Se siamo chiamati a sottometterci a Dio, alle autorità statali e a chiunque nella chiesa, naturalmente a maggior ragione dobbiamo essere sottomessi a chi Dio ha preposto per la nostra crescita spirituale. Ma anche questo non è un obbligo forzato: è la conseguenza dello Spirito di Dio in  noi e l'immagine del carattere di Cristo che non può che specchiarsi sempre di più nel nostro.

Eb 13:17 Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro, perché essi vegliano per le vostre anime come chi deve renderne conto, affinché facciano questo con gioia e non sospirando; perché ciò non vi sarebbe di alcuna utilità.

Abbiamo tutti pari dignità, ma sappiamo di avere doni diversi nel corpo di Cristo. Doni che siamo chiamati a mettere a disposizione degli altri per il bene comune. Doni e ministeri che siamo chiamati a riconoscere nelle persone che hanno un incarico specifico nella Chiesa. Questo infatti è quello che Dio ha previsto per la crescita senza limiti della Chiesa: un ordine che, rispecchiando l'ordine fisiologico del nostro corpo, è in sé meraviglioso. Una meraviglia che rispecchia la gloria di Dio.   

   CONCLUSIONE

In questo breve escursus abbiamo visto qual è il consiglio di Dio per il nostro bene: la via della sottomissione. Di per sé questa parola ci è antipatica perché presuppone la negazione della nostra volontà favorendo quella di qualcun altro, ma è solo in questo modo che possiamo veramente essere liberi del nostro accecante e auto-distruggente egoismo. La nostra piena esistenza passa infatti dall'etimologia di questo termine, passa da ex (fuori da..) e sìstere (stare). Abraamo è stato chiamato fuori dal suo parentado e noi siamo chiamati fuori da noi stessi per abbracciare Cristo riconoscendo la sua autorità e sottomettendoci a lui. Solo così “esistiamo” nel senso più pieno ed eterno di questo termine.

La conseguenza a questo passo è quella di sottometterci anche alle autorità statali. La mansuetudine infatti è una importante caratteristica del carattere di Cristo che si deve formare in noi. Questa sottomissione deve comunque essere per fare il bene e se c'è una evidente contrapposizione tra la volontà di Dio e quella delle autorità noi siamo chiamati da coscienza a ubbidire prima di tutto a Dio e a quello che egli rivela nella sua parola.

Infine, seguendo la legge dell'amore, abbiamo la possibilità di vivere nella benedizione dell'amore reciproco nelle nostre comunità. Riconoscendo le autorità spirituali costituite per il nostro ammaestramento e per la nostra crescita. In modo che tutta la chiesa possa edificarsi secondo il proposito glorioso di Dio. 

domenica 30 settembre 2018

La parabola del fattore infedele (ma astuto)

Le ricchezze non servono a nulla nel giorno dell'ira,
ma la giustizia salva dalla morte.

 Proverbi 11:4 

Nel sedicesimo capitolo del Vangelo secondo Luca troviamo due importanti e ampie parabole che hanno come tema le ricchezze. Come considerazione di carattere generale, Leland Ryken osserva che:
"La parabola è un racconto breve e semplice, solitamente allegorico, che serve principalmente a insegnare e in seconda istanza a intrattenere."1
Questo era uno dei principali metodi di Gesù di insegnare, e spesso il significato e l'insegnamento delle parabole lo troviamo esplicitato in un secondo momento dai vangeli affinché il significato potesse essere compreso dai lettori nel modo migliore. 

In questo contesto vorrei condividere alcune riflessioni sulla prima parabola di questo capitolo. Ben lontano da una esaustiva esegesi critica, il mio desiderio è qui quello di poter definire almeno il senso principale della parabola in esame e le sue conseguenze nella vita quotidiana di ogni cristiano. 

Veniamo dunque ora alla lettura del testo:
Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un fattore, il quale fu accusato davanti a lui di sperperare i suoi beni. Egli lo chiamò e gli disse: "Che cos'è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio fattore". Il fattore disse fra sé: "Che farò, ora che il padrone mi toglie l'amministrazione? Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno. So quello che farò, perché qualcuno mi riceva in casa sua quando dovrò lasciare l'amministrazione". Fece venire uno per uno i debitori del suo padrone, e disse al primo: "Quanto devi al mio padrone?" Quello rispose: "Cento bati d'olio". Egli disse: "Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: cinquanta". Poi disse a un altro: "E tu, quanto devi?" Quello rispose: "Cento cori di grano". Egli disse: "Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta". E il padrone lodò il fattore disonesto perché aveva agito con avvedutezza; poiché i figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce. 

E io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne. 

Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi. Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere? E, se non siete stati fedeli nei beni altrui, chi vi darà i vostri? 

Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona».
Luca 16:1-13.
Come possiamo notare dalla lettura del brano, quest'ultimo si divide in due parti: la prima è composta dalla parabola in sé e la seconda da tre diversi detti di Gesù riguardanti proprio il tema delle ricchezze. 

Partendo dalla parabola possiamo rilevare già da una veloce lettura preliminare come ci siano due particolari eventi di specifico rilievo nel suo racconto: il primo è iniziale e riguarda l'infedeltà nella gestione amministrativa del fattore, mentre il secondo - e questo è il vero e proprio punto di svolta - riguarda la sua astuzia per evitare il peggio in seguito a un suo probabile licenziamento. Al termine della storia questo fattore viene lodato dal padrone non certo per la sua infedeltà ma piuttosto per la sua avvedutezza. È quest'ultima dunque il perno attorno al quale ruota tutta la storia e la chiave attraverso la quale poterne comprendere il senso. Il termine tradotto in questo modo è reso nell'originale greco con l'avverbio phronimōs, il cui significato è appunto: prudentemente, con saggezza.2 I discepoli di Gesù sono esortati quindi ad essere scaltri e agili nel volgere l'attuale situazione a proprio vantaggio proprio come questo fattore e, come chiarisce il primo detto successivo alla parabola, a farsi degli amici con le ricchezze ingiuste. A questo riguardo un primo significato può essere quello di investire dei soldi in modo saggio facendo delle elemosine a favore di coloro che, essendo nella distretta, sono amici di Dio; in modo che quando arriverà il Regno essi possano dare accoglienza nelle tende (come riporta l'originale termine skēnē) eterne. 

La parola skēnē evoca gli avvenimenti dell'esodo e del tabernacolo di Mosè, la cui associazione testuale del resto è evidente proprio nel secondo libro di Luca, nel contesto del discorso di Stefano. Leggiamo infatti:
I nostri padri avevano nel deserto la tenda della testimonianza, come aveva ordinato colui che aveva detto a Mosè di farla secondo il modello da lui veduto.
Atti 7:44
Ecco perciò che queste tende eterne della parabola possono essere comprese come il luogo della presenza di Dio, al pari del tabernacolo di Mosè. È da questo luogo che gli amici possono accogliere coloro che ascoltano Gesù e ubbidiscono a questo suo insegnamento. È in questo luogo che i poveri (in spirito) e i mansueti hanno la loro ricompensa (cfr. Mt. 5).

Il secondo detto di Gesù invece riprende il tema della fedeltà, e mette in guardia - al contrario - dal praticare una amministrazione infedele anche se in piccole cose. Una applicazione concreta poteva essere al tempo di Luca relativa ai credenti che nelle comunità avevano lo scopo di amministrarne i beni economici. Vediamo che l'assistenza alle vedove e ai bisognosi è un tema molto caro agli scritti lucani (cfr. Lc. 20:47, Atti 6:1) come al Nuovo Testamento nel suo insieme e non è inverosimile ipotizzare un accento particolare 1) sul dovere delle chiese di venire incontro bisogni degli indigenti e 2) al fatto che i soldi accumulati non venissero sperperati in opere inutili o fossero appropriati in modo indebito ma appunto utilizzati per questo scopo.

L'ultimo detto, infine, riguarda il fatto che così come non si possono avere due padroni, allo stesso modo non si può amare il denaro e servire Dio perché sono due realtà inconciliabili. L'amore per il denaro porta all'egoismo, all'ingiustizia sociale, alla perdita di qualsiasi scrupolo pur di accumulare nuovi patrimoni. Dio invece conduce alla considerazione dei bisogni del prossimo, alla giustizia e alla privazione di qualche bene personale pur di aiutare chi è in maggior difficoltà. Va da sé che questi due tipi di attitudini e comportamenti sono contrari l'uno all'altra e non possono in nessun modo coesistere. A noi dunque la scelta.

CONSIDERAZIONI FINALI

La parabola del fattore infedele o come sarebbe più opportuno chiamarla, del fattore astuto, ha come tema principale la gestione delle ricchezze.

Con questa parabola Gesù ci esorta principalmente a:


1) Essere saggi nell'amministrazione economica personale e, quando è il caso, in quella della comunità senza approfittarsi di nessuno per il proprio tornaconto ma al contrario aiutando economicamente coloro che sono in difficoltà. Questo comportamente viene lodato dal padrone della parabola anche se motivato da intenti egoistici. Questa è una "astuzia" positiva perché risulta un investimento in quello che nel Regno di Dio ha una durata eterna.

2) Evitare di amministrare le proprie risorse in modo infedele. Infatti la ricchezza di quaggiù è ben poca cosa rispetto a quella "vera" ossia a quella spirituale, che viene e verrà affidata da Dio solo a coloro che si dimostrano fedeli nelle piccole cose. 

3) Nella teoria così come nella pratica è impossibile essere affettivamente e avidamente coinvolti nella propria ricchezza e al contempo essere servi di Dio perché si può essere sottomessi solo all'uno o all'altro, in modo esclusivo.


Note:

[1] Leland Ryken, Le forme letterarie nella Bibbia, Edizioni GBU, Chieti, 2004, cit. p. 111.
[2] https://www.blueletterbible.org/lang/lexicon/lexicon.cfm?Strongs=G5430&t=KJV

domenica 2 settembre 2018

Consci del momento cruciale

"L'anima mia anela al Signore
più che le guardie non anelino al mattino,
più che le guardie al mattino."

Salmo 130:6

Nota: ho predicato questo sermone nella Chiesa Evangelica Battista di Rapallo il 2/9/2018.

SALMO LITURGICO

Lettura nel culto del Salmo 130. 

O SIGNORE, io grido a te da luoghi profondi!
Signore, ascolta il mio grido;
siano le tue orecchie attente al mio grido d'aiuto!
Se tieni conto delle colpe, Signore,
chi potrà resistere?
Ma presso di te è il perdono,
perché tu sia temuto.
Io aspetto il SIGNORE, l'anima mia lo aspetta;
io spero nella sua parola.
L'anima mia anela al Signore
più che le guardie non anelino al mattino,
più che le guardie al mattino.
O Israele, spera nel SIGNORE,
poiché presso il SIGNORE è la misericordia
e la redenzione abbonda presso di lui.
Egli redimerà Israele
da tutte le sue colpe.
Salmo 130 Canto dei pellegrinaggi. 

INTRODUZIONE

Nel decennio tra il 47 e il 57 d.C., l'apostolo Paolo ha evangelizzato con grande impegno le terre bagnate dal Mar Egeo. La Macedonia, l'Acaia, la Galazia e l'Asia sono state raggiunte dal Vangelo vedendo la formazione di numerose comunità cristiane delle quali abbiamo notizie proprio nel Nuovo Testamento. Alla fine di questo periodo Paolo sapeva di aver concluso la propria missione in queste regioni e, avendo l'ambizione di predicare il vangelo là dove non era ancora stato predicato il nome di Cristo (Rm. 15:20), inizia a guardare alla più antica provincia romana in Occidente: la Spagna (Rm. 15:28). Prima di raggiungere questa terra, però, restava l'incombenza di portare a Gerusalemme la colletta raccolta nelle chiese da lui fondate e il desiderio di raggiungere Roma e visitare questa comunità cristiana che ancora non aveva avuto la possibilità di conoscere interamente. Nell'inverno tra il 56 e il 57 d.C., quindi, da Corinto egli scrive la Lettera ai Romani con l'intento di presentare la completezza della tradizione e delle rivelazioni ricevute, prima di raggiungere personalmente questa importante città.

I temi trattati nella Lettera ai Romani sono davvero tanti e importanti. Egli parla infatti del peccato e della retribuzione, della via della giustizia e della via della santità, dell'incredulità umana e della grazia divina. Ma dopo tutti questi argomenti egli presenta con poche parole il senso della vita cristiana in tempi critici come quelli attuali. Ed è proprio questo il brano che desidero considerare assieme a voi questa sera. 
 
LA VITA CRISTIANA NEL MOMENTO CRUCIALE

E questo dobbiamo fare, consci del momento cruciale: è ora ormai che vi svegliate dal sonno; perché adesso la salvezza ci è più vicina di quando credemmo. La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno, senza gozzoviglie e ubriachezze; senza immoralità e dissolutezza; senza contese e gelosie; ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non abbiate cura della carne per soddisfarne i desideri.
Lettera ai Romani 13:11-14

Paolo era consapevole di vivere in un momento cruciale del tempo. La sua importanza era data dal Signore Gesù: la cui vita, morte e risurrezione ha scandito l'ultimo rintocco nell'orologio di Dio. La sua risurrezione infatti ha dato inizio a una fase che il Nuovo Testamento chiama quattro volte con “ultimi tempi” e cinque volte con l'espressione “ultimi giorni” nella quale possiamo vivere un'anticipazione di quello che sta per arrivare in modo definitivo, di quello che è prossimo ma non ancora raggiunto. In forma di anticipazione, infatti, noi viviamo le “primizie” dello Spirito (8:23). Viviamo nella speranza della salvezza (8:24), sapendo che la sua manifestazione visibile è riservata per un tempo futuro ma vicino. Viviamo nell'attesa che anche il cosmo sia restaurato in Cristo, e che il velo di vanità a cui è stato sottoposto nella storia venga infine tolto. La pienezza della presenza di Dio, il compimento della nostra salvezza, la restaurazione del creato stanno arrivando. Ma, prima che arrivino, il Signore continua a chiedere a tutti coloro che chiama – ossia a ciascuno di noi – di seguire i suoi passi, osservare i suoi comandamenti e condividere il Vangelo di Dio. Da tutto questo arriva l'esortazione che ci rivolge l'apostolo Paolo. La vita cristiana è una vita che aderisce all'appello di Cristo ma non lo fa in un tempo qualsiasi ma in un tempo cruciale. Siamo al crocevia delle epoche, ed è in questo tempo che è richiesto il nostro servizio. Riconoscendo l'importanza di questo, la nostra prospettiva si allarga e molti altri aspetti futili cadono in secondo piano.

E' questo, infatti, il motivo per cui dobbiamo svegliarci dal sonno: perché la salvezza ci è più vicina di quando credemmo. In quanto credenti, la notte non ci appartiene: l'incoscienza, gli eccessi, l'ubriachezza non riguardano la vita dei cristiani ed è per questo che essi devono gettare via le opere delle tenebre. Vista dall'altro lato, le tenebre stanno comunque per scomparire con l'arrivo del giorno: presto non sarà più tempo per loro e per le loro opere! Anche per questo devono essere abbandonate ora, prima dell'apparizione del Signore. Ci viene richiesto inoltre di essere svegli e non addormentati, ossia di essere consapevoli di quello che avviene attorno a noi e di intervenire consapevolmente per fare la nostra parte piuttosto che subire ogni cosa passivamente. La passività appartiene a chi non conosce quello che sta avvenendo e il Signore che sta governando, ma noi conosciamo entrambi questi aspetti ed è per questo che possiamo indossare le armi della luce.

Cosa sono queste armi della luce? Ai giorni nostri questa espressione sembra quasi uscita da un libro New Age, naturalmente invece non vi ha nulla a che fare. Per capire il significato di queste parole dobbiamo allargare la nostra indagine ad altre lettere paoline. Sei o sette anni prima infatti l'apostolo aveva scritto la sua prima lettera alla comunità appena fondata a Tessalonica una esortazione molto simile a questa, parlando della corazza della fede e dell'amore e dell'elmo della speranza della salvezza (1 Tess. 5:8). Questo concetto sarà poi espresso in modo ancor più approfondito nel famoso brano relativo alla completa armatura di Dio della Lettera agli Efesini (6:11 e ss.). Ecco quindi quali sono le nostre armi della luce! L'esortazione è quella di comportarsi onestamente, senza gozzoviglie e ubriachezza o immoralità e gelosia, indossando la fede e l'amore assieme alla speranza della salvezza. L'apostolo però va oltre e arriva a dire: “rivestitevi del Signore Gesù Cristo”! Nell'opera “Antichità romane” pubblicata nell'8 a.C. - quindi una sessantina di anni prima della nostra lettera – l'autore usa una espressione vicina quando scrive “rivestirsi di Tarquinio” indicando in questo modo l'atto di recitare facendo la parte di tale Tarquinio. L'indicazione apostolica che stiamo valutando però ha un retroterra teologico diverso. L'insegnamento pratico dato ai convertiti nel Nuovo Testamento era infatti frequentemente quello di “rivestirsi” delle virtù cristiane come se fossero abiti (cfr. Col. 3:12), e poiché questi aspetti riguardano la loro e la nostra nuova natura in Cristo, con una semplice transizione è possibile dire:

Infatti voi tutti che siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.
Galati 3:27

L'agire cristiano dunque non riguarda una recita, ma una identificazione. Battezzati in Cristo abbiamo ricevuto una nuova identità e ora la personalità di Cristo è riprodotta nel suo popolo, è riprodotta in noi. Per questo dobbiamo essere consapevoli (ossia porre la nostra attenzione a questa verità spirituale) di tale aspetto e vivere conformemente a questa nostra condizione. Non avendo cura della carne per soddisfarne i desideri, la nostra condizione spirituale in Cristo troverà spazio per manifestarsi ed esprimere il carattere stesso del Signore. E tutto questo, in un tempo così cruciale. Un tempo che aspetta il nostro passo di ubbidienza al Signore, prima del suo ritorno.

CONCLUSIONE

Nell'importantissima Lettera di Paolo ai Romani abbiamo considerato un breve estratto che riguarda una esortazione per la vita cristiana in tempi cruciali, e tali sono anche e proprio i nostri tempi. L'immagine presentata è quella di una notte avanzata che sta per raggiungere i primi bagliori dell'alba e rappresenta il periodo che stiamo vivendo in attesa della “lucente stella del mattino”, ossia in attesa del ritorno del Signore. In questo tempo di particolare attesa e tensione siamo chiamati ad abbandonare le opere delle tenebre, ossia a non curarci della nostra carne e dei suoi desideri, e a indossare le armi della luce rivestendoci del Signore Gesù Cristo. Avendo aderito all'appello del Vangelo di Dio, infatti, ed essendoci battezzati in lui ora ci siamo anche rivestiti di lui: ossia abbiamo ricevuto la sua giustizia e la possibilità di manifestare gli aspetti del suo carattere. Questo deve essere il modo che caratterizza la nostra vita, nell'attesa della beata speranza della sua apparizione (cfr. Tito 2:11-14).

lunedì 23 luglio 2018

La cristologia di Adamo

 
 Così anche sta scritto: «Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente»; l'ultimo Adamo è spirito vivificante.
1 Corinzi 5:45

 
In questo importantissimo capitolo della prima lettera ai corinzi, l'apostolo Paolo suggella un paragone tra il primo Adamo e quello che lui chiama l'ultimo Adamo, ossia Gesù. Egli, dice lui, è spirito vivificante. Cosa significa questa cosa? Per comprenderlo dobbiamo capire il procedimento di ragionamento usato da Paolo. Quella che lui evidenzia infatti non è un paragone generico ma è un procedimento chiamato tipologia. Cos'è la tipologia? E' l'accostamento di una persona o situazione dell'Antico Testamento con un'altra del Nuovo Testamento. Noi sappiamo che:

La legge, infatti, possiede solo un'ombra dei beni futuri, non la realtà stessa delle cose.
Ebrei 10:1

Pertanto la tipologia guarda ai "tipi", che possono essere considerati le ombre che sono nell'Antico Testamento per poi fare una correlazione con il relativo "antitipo" nel Nuovo Testamento, ossia le realtà ultime e definitive. Nel versetto che abbiamo visto, Paolo fa una citazione tratta da Genesi:

Dio il SIGNORE formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente.
Genesi 2:7

Tra il Dio lontanissimo e la polvere della terra, tra questa enorme distanza, scorre il respiro di Dio che toccando la polvere della terra la anima e le dà vita: nasce così Adamo, il primo essere umano. Egli è un'anima vivente e gli viene dato l'incarico di custodire e lavorare il giardino. 

In origine vi era:
- il giardino
- Eden
- il resto della terra. 

Questa struttura è la stessa della tenda di convegno e del successivo tempio: luogo santissimo, luogo santo e cortile. Adamo aveva l'incarico di custodire il giardino e porre il dominio sul resto della terra (animali). Adamo doveva eseguire la volontà di Dio sulla terra così come gli angeli la eseguivano nel cielo. Ma Adamo fallisce. Per questo motivo, la stessa sfida si ripropone a Noè, con un nuovo patto, poi Abramo, poi Mosè, ripresentando il medesimo modello. Nessuno però riesce pienamente nel proposito di Dio, così come lo possiamo rilevare nel Salmo 8:

Quand'io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai disposte,
che cos'è l'uomo perché tu lo ricordi?
Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura?
Eppure tu l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio,
e l'hai coronato di gloria e d'onore.
Tu lo hai fatto dominare sulle opere delle tue mani,
hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi:
pecore e buoi tutti quanti
e anche le bestie selvatiche della campagna;
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
tutto quel che percorre i sentieri dei mari.
Salmo 8:3-8

Questa è forse la descrizione dello stato attuale dell'uomo? Ricordandoci di Romani c. 3 possiamo dire senza ombra di dubbio: no! Dio ha coronato l'uomo di onore e di gloria, ma egli purtroppo l'ha ceduta. Adamo ha fallito. E noi tutti, in quanto esseri umani, abbiamo fallito in lui e con lui. Siamo figli di Adamo, tutti noi, e in noi stessi non abbiamo la possibilità di agire diversamente da lui. Questa spirale quindi sembrava infinita e dall'interno nessun uomo di Dio ha saputo e potuto romperla. E' servito per questo motivo un intervento che fosse sia interno che esterno. Qualcuno che fosse l'Uomo di Dio che Dio aveva desiderato fin da subito, qualcuno che riprendesse l'eredità di Adamo e la portasse a pieno compimento. Qualcuno che fosse figlio dell'uomo, ma che fosse anche Figlio di Dio. E noi sappiamo che questo qualcuno è Gesù.

Gesù è stato tentato da satana, e ha superato la tentazione.
E' riuscito a fare la volontà di Dio sulla terra esattamente come era fatta anche nel cielo e ha insegnato a pregare in questo stesso modo! E' morto al posto nostro, e questo lo sappiamo, ma lo ha potuto fare proprio perché prima è vissuto al posto nostro. La sua vita è stata rappresentativa dell'umanità e per questo motivo anche la sua morte è potuto esserlo. E come sappiamo non è solo morto al posto nostro ma ha anche permesso in una sorta di scambio sacrificale che lo Spirito di adozione venisse a noi e che la maledizione del rigetto andasse su di lui sulla croce. Gesù ha riconquistato quello che era perduto: ha riconquistato con la sua vita e con la sua morte la gloria e l'onore che sarebbero spettati ad Adamo se non fosse caduto. E riconquistando questa gloria e questo onore di conseguenza ha conquistato anche una signoria, vedendo sottomesse a sé ogni cosa. Per questo motivo l'apostolo Paolo cita ripetutamente il Salmo 8 in relazione allo stato esaltato di Gesù:

Difatti, Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi; ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa, ne è eccettuato.
1 Corinzi 15:27

Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, mediante il potere che egli ha di sottomettere a sé ogni cosa.
Filippesi 3:20, 21

Ogni cosa egli ha posta sotto i suoi piedi e lo ha dato per capo supremo alla chiesa, che è il corpo di lui, il compimento di colui che porta a compimento ogni cosa in tutti.
Efesini 1:22,23

E poi ancora, e in modo esplicito, leggiamo nella Lettera agli Ebrei:

Difatti, non è ad angeli che Dio ha sottoposto il mondo futuro del quale parliamo; anzi, qualcuno in un passo della Scrittura ha reso questa testimonianza:
«Che cos'è l'uomo perché tu ti ricordi di lui
o il figlio dell'uomo perché tu ti curi di lui?
Tu lo hai fatto di poco inferiore agli angeli;
lo hai coronato di gloria e d'onore;
tu hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi».
Avendogli sottoposto tutte le cose, Dio non ha lasciato nulla che non gli sia soggetto. Al presente però non vediamo ancora che tutte le cose gli siano sottoposte; però vediamo colui che è stato fatto di poco inferiore agli angeli, cioè Gesù, coronato di gloria e di onore a motivo della morte che ha sofferto, affinché, per la grazia di Dio, gustasse la morte per tutti.
Ebrei 2:5-9

Gesù ha vissuto come completo e perfetto Uomo di Dio. Come l'Adamo definitivo. Ha riconquistato lo status che avevamo perduto annullando il corpo del peccato ed è morto al posto nostro, risorgendo per vedere tutte le cose sottomesse al proprio dominio. Egli quindi, di conseguenza, è spirito vivificante.

Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta.
1 Corinzi 15:22, 23

Tutti noi nasciamo in Adamo, viviamo in Adamo e moriamo in Adamo.
Chi incontra Cristo però, nasce anche dall'alto, vive contemporaneamente in Adamo e in Cristo, finché muore per poi risorgere con un corpo glorificato a suo tempo, così come anche Cristo è risorto. Al suo ritorno infatti noi credenti saremo vivificati, saremo per sempre assieme a lui, che è l'ultimo e definitivo Adamo e che ha fatto di ciascuno di noi dei figli e delle figlie di Dio.

domenica 13 maggio 2018

Da schiavo a fratello

Paolo, prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timoteo, al caro Filemone, nostro collaboratore.
Filemone 1 



















INTRODUZIONE

La lettera a Filemone è la più breve lettera scritta dall'apostolo Paolo e la terza più breve di tutto il Nuovo Testamento in quanto composta da soli venticinque versetti. Paolo scrive a Filemone che considera "suo collaboratore" (v. 1), come dimostra il fatto che una chiesa si riunisce a casa sua (v. 2). Egli viene definito inoltre suo debitore (v. 19) indicando in questo modo con ogni probabilità che l'apostolo dei gentili lo aveva convertito personalmente.1 Di Filemone apprendiamo che possedeva uno schiavo di nome Onesimo (v. 10), il quale in passato si era rivelato inutile (v. 11), gli doveva del denaro e gli aveva recato qualche danno (v. 18). Dai saluti finali della Lettera ai Colossesi apprendiamo poi che Filemone e Onesimo erano di Colossi e che quest'ultimo deve essere tornato a casa dopo la redazione di entrambe queste lettere:

Tutto ciò che mi riguarda ve lo farà sapere Tichico, il caro fratello e fedele servitore, mio compagno di servizio nel Signore. Ve l'ho mandato appunto perché conosciate la nostra situazione ed egli consoli i vostri cuori; e con lui ho mandato il fedele e caro fratello Onesimo, che è dei vostri. Essi vi faranno sapere tutto ciò che accade qui.
Colossesi 4:7-9

Scrivendo questa missiva privata destinata a Filemone, Paolo afferma più volte di essere prigioniero. Si tratta di una prigionia sperimentata in condizioni che rendevano possibile leggere e scrivere, quindi con uno stato di semilibertà che l'apostolo aveva sperimentato a Cesarea (Atti 24:23) e a Roma (Atti 28:30). La tradizione cristiana ha collocato la redazione di questa lettera assieme alle altre della prigionia (Filippesi, Efesini, Colossesi e 2 Timoteo) nel contesto della prigionia romana, intorno al 62 d.C.2 Quanto all'occasione di scrittura della lettera, lasciamo che sia essa stessa a parlarne.   


NON PIù COME SCHIAVO MA COME UN FRATELLO CARO

Da un punto di vista letterario il corpo della lettera si sviluppa nei versetti 8-20 ed è costituito da due parti: la prima relativa a una esposizione dei fatti e la seconda relativa alla loro soluzione.3

ESPOSIZIONE
Perciò, pur avendo molta libertà in Cristo di comandarti quello che conviene fare, preferisco fare appello al tuo amore, semplicemente come Paolo, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù; ti prego per mio figlio che ho generato mentre ero in catene, per Onesimo, un tempo inutile a te, ma che ora è utile a te e a me. Te lo rimando, lui, che amo come il mio cuore. Avrei voluto tenerlo con me, perché in vece tua mi servisse nelle catene che porto a motivo del vangelo; ma non ho voluto fare nulla senza il tuo consenso, perché la tua buona azione non fosse forzata, ma volontaria.

SOLUZIONE Forse proprio per questo egli è stato lontano da te per un po' di tempo, perché tu lo riavessi per sempre; non più come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello caro specialmente a me, ma ora molto più a te, sia sul piano umano sia nel Signore! Se dunque tu mi consideri in comunione con te, accoglilo come me stesso. Se ti ha fatto qualche torto o ti deve qualcosa, addebitalo a me. Io, Paolo, lo scrivo di mia propria mano: pagherò io; per non dirti che tu mi sei debitore perfino di te stesso. Sì, fratello, io vorrei che tu mi fossi utile nel Signore; rasserena il mio cuore in Cristo. Ti scrivo fiducioso nella tua ubbidienza, sapendo che farai anche più di quel che ti chiedo.
Filemone 8-20

Onesimo era scappato dal suo padrone e in circostanze sconosciute era arrivato a incontrare Paolo, nel frattempo agli "arresti domiciliari". Da questo incontro è nato qualcosa di inaspettato: Onesimo si è convertito a Cristo. Passando del tempo insieme in seguito a questo evento, egli è diventato grandemente amato da Paolo, e di sicuro l'affetto veniva ricambiato visto che Onesimo nel frattempo era diventato molto utile all'apostolo, limitato dalla sua prigionia. In questa situazione però, sebbene Paolo avesse una autorità spirituale sopra Filemone egli non volle usufruirne, decidendo di rimandare Onesimo da Filemone raccomandandosi con quest'ultimo di accoglierlo come sé stesso, addebitandogli ogni danno economico che poteva aver ricevuto.

Nelle sue lettere, Paolo non rivoluziona mai l'istituzione sociale della schiavitù perché era ben consapevole che il vero cambiamento poteva avvenire solo dall'interno: solo dal cuore di ogni singolo padrone e di ogni singolo schiavo credente. Alla chiesa di Colossi dirà:


Servi, ubbidite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne; non servendoli soltanto quando vi vedono, come per piacere agli uomini, ma con semplicità di cuore, temendo il Signore.

Padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone nel cielo.
Colossesi 3:22 e 4:1

E in modo simile troviamo nella Lettera agli Efesini: 

Servi, ubbidite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo. Fate la volontà di Dio di buon animo, servendo con benevolenza, come se serviste il Signore e non gli uomini; sapendo che ognuno, quando abbia fatto qualche bene, ne riceverà la ricompensa dal Signore, servo o libero che sia. Voi, padroni, agite allo stesso modo verso di loro astenendovi dalle minacce, sapendo che il Signore vostro e loro è nel cielo e che presso di lui non c'è favoritismo.
Efesini 6:5-9

 
Di fronte al Signore non vi sono favoritismi, ma c'è invece la libertà per tutti di servirlo. Non nella ribellione, ma nell'amore per Dio e per il prossimo. L'amore supera ogni distinzione sociale senza annullarla nella relativa istituzione ma trasformandola nella sostanza. Questa è la trasformazione che viene esemplificata, evidenziata e testimoniata proprio dalla vicenda di Onesimo.
 
NON PIù SCHIAVO DEL PECCATO MA SERVO DELLA GIUSTIZIA

Alzando lo sguardo da questa situazione specifica per guardare il cuore del messaggio dell'apostolo Paolo nelle sue lettere, non può passare inosservato il fatto che egli in molti brani egli utilizzi proprio la situazione di schiavitù (ben radicata nella società dei suoi lettori immediati) come esempio per descrivere una realtà spirituale ancora più ampia. La schiavitù e la liberazione da quest'ultima diviene infatti occasione per parlare del significato della grazia e di cosa significhi vivere in essa.

Che faremo dunque? Peccheremo forse perché non siamo sotto la legge ma sotto la grazia? No di certo! Non sapete voi che se vi offrite a qualcuno come schiavi per ubbidirgli, siete schiavi di colui a cui ubbidite: o del peccato che conduce alla morte o dell'ubbidienza che conduce alla giustizia? Ma sia ringraziato Dio perché eravate schiavi del peccato ma avete ubbidito di cuore a quella forma d'insegnamento che vi è stata trasmessa; e, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. Parlo alla maniera degli uomini, a causa della debolezza della vostra carne; poiché, come già prestaste le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità per commettere l'iniquità, così prestate ora le vostre membra a servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate schiavi del peccato, eravate liberi riguardo alla giustizia. Quale frutto dunque avevate allora? Di queste cose ora vi vergognate, poiché la loro fine è la morte. Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna; perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.
Romani 6:15-23

Prima di conoscere Cristo, ogni persona era schiava del peccato. Ma dopo questo incontro è avvenuta una liberazione da questo vincolo (resa possibile dalla morte sostitutiva del Signore) con lo scopo di creare un nuovo vincolo non più con il peccato ma questa volta con l'ubbidienza (a Dio) che porta alla giustizia. Anche volendo, prima non vi era alcuna possibilità legale per poter scegliere un altro padrone: il legame con il peccato era sancito e inviolabile. La grandezza dell'opera di Cristo sta quindi proprio in questo: nell'aver distrutto questo legame e ripristinato una nuova libertà che ha per frutto la santificazione e per fine la vita eterna. 

Ecco quindi che come uno schiavo cristiano aveva la possibilità di servire il proprio padrone e la famiglia che serviva con fedeltà proprio in quanto servo di Cristo, in modo simile ogni credente socialmente libero ha la stessa libertà di non peccare ma ubbidire al Signore in ogni cosa, perseguendo la giustizia in sottomissione alle autorità stabilite da Dio. Il tratto comune è proprio la libertà di ubbidire a servizio della giustizia. Questo è ciò che caratterizza ogni credente, il modo in cui può fare la differenza nel mondo. 

CONCLUSIONE

L'apostolo Paolo proprio mentre era nello stato di maggiore necessità e indigenza ha incontrato uno schiavo ribelle e, predicando il Vangelo, ha reso possibile la sua conversione stringendo un forte legame di amicizia reso possibile dalla nuova condizione di fratellanza nel Signore. Per essere un esempio fino all'ultimo, nonostante la sua autorità apostolica, ha scelto di far tornare Onesimo dal suo padrone accompagnato da alcune lettere, nonostante ne avesse un gran bisogno.

Questa vicenda testimoniata dalla Lettera a Filemone è inserita nella cornice della schiavitù nell'antichità e di come questa poteva essere tollerata all'interno delle comunità cristiane del I secolo. 


Ma a sua volta anche questa cornice è usata altrove proprio dall'apostolo Paolo per descrivere lo stato di libertà del cristiano di fronte al peccato e alla morte: liberato del peccato il credente rigenerato dallo Spirito Santo infatti ha la libertà di vivere perseguendo la santificazione per servire non più il peccato ma ora la giustizia. Schiavi e liberi, genitori e figli, uomini e donne, tutti coloro che abbracciano Cristo diventano in lui fratelli e sorelle; sono accomunati da una stessa condizione per un medesimo fine: la vita eterna.

 

Note:

[1] Jordi Sanchez Bosh, Scritti Paolini, Paideia editrice, Brescia, 2001, p. 303.
[2] Su questo tema tuttavia è ancora in corso un dibattito, essendoci anche altre possibilità ugualmente se non maggiormente probabili. Per approfondire il tema consiglio di consultare: J. S. Bosh, Scritti Paolini, Paideia editrice, Brescia, 2001, pp. 314-317. 
[3] Id. Ibid. p. 309.
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