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domenica 30 settembre 2018

La parabola del fattore infedele (ma astuto)

Le ricchezze non servono a nulla nel giorno dell'ira,
ma la giustizia salva dalla morte.

 Proverbi 11:4 

Nel sedicesimo capitolo del Vangelo secondo Luca troviamo due importanti e ampie parabole che hanno come tema le ricchezze. Come considerazione di carattere generale, Leland Ryken osserva che:
"La parabola è un racconto breve e semplice, solitamente allegorico, che serve principalmente a insegnare e in seconda istanza a intrattenere."1
Questo era uno dei principali metodi di Gesù di insegnare, e spesso il significato e l'insegnamento delle parabole lo troviamo esplicitato in un secondo momento dai vangeli affinché il significato potesse essere compreso dai lettori nel modo migliore. 

In questo contesto vorrei condividere alcune riflessioni sulla prima parabola di questo capitolo. Ben lontano da una esaustiva esegesi critica, il mio desiderio è qui quello di poter definire almeno il senso principale della parabola in esame e le sue conseguenze nella vita quotidiana di ogni cristiano. 

Veniamo dunque ora alla lettura del testo:
Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un fattore, il quale fu accusato davanti a lui di sperperare i suoi beni. Egli lo chiamò e gli disse: "Che cos'è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio fattore". Il fattore disse fra sé: "Che farò, ora che il padrone mi toglie l'amministrazione? Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno. So quello che farò, perché qualcuno mi riceva in casa sua quando dovrò lasciare l'amministrazione". Fece venire uno per uno i debitori del suo padrone, e disse al primo: "Quanto devi al mio padrone?" Quello rispose: "Cento bati d'olio". Egli disse: "Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: cinquanta". Poi disse a un altro: "E tu, quanto devi?" Quello rispose: "Cento cori di grano". Egli disse: "Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta". E il padrone lodò il fattore disonesto perché aveva agito con avvedutezza; poiché i figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce. 

E io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne. 

Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi. Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere? E, se non siete stati fedeli nei beni altrui, chi vi darà i vostri? 

Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona».
Luca 16:1-13.
Come possiamo notare dalla lettura del brano, quest'ultimo si divide in due parti: la prima è composta dalla parabola in sé e la seconda da tre diversi detti di Gesù riguardanti proprio il tema delle ricchezze. 

Partendo dalla parabola possiamo rilevare già da una veloce lettura preliminare come ci siano due particolari eventi di specifico rilievo nel suo racconto: il primo è iniziale e riguarda l'infedeltà nella gestione amministrativa del fattore, mentre il secondo - e questo è il vero e proprio punto di svolta - riguarda la sua astuzia per evitare il peggio in seguito a un suo probabile licenziamento. Al termine della storia questo fattore viene lodato dal padrone non certo per la sua infedeltà ma piuttosto per la sua avvedutezza. È quest'ultima dunque il perno attorno al quale ruota tutta la storia e la chiave attraverso la quale poterne comprendere il senso. Il termine tradotto in questo modo è reso nell'originale greco con l'avverbio phronimōs, il cui significato è appunto: prudentemente, con saggezza.2 I discepoli di Gesù sono esortati quindi ad essere scaltri e agili nel volgere l'attuale situazione a proprio vantaggio proprio come questo fattore e, come chiarisce il primo detto successivo alla parabola, a farsi degli amici con le ricchezze ingiuste. A questo riguardo un primo significato può essere quello di investire dei soldi in modo saggio facendo delle elemosine a favore di coloro che, essendo nella distretta, sono amici di Dio; in modo che quando arriverà il Regno essi possano dare accoglienza nelle tende (come riporta l'originale termine skēnē) eterne. 

La parola skēnē evoca gli avvenimenti dell'esodo e del tabernacolo di Mosè, la cui associazione testuale del resto è evidente proprio nel secondo libro di Luca, nel contesto del discorso di Stefano. Leggiamo infatti:
I nostri padri avevano nel deserto la tenda della testimonianza, come aveva ordinato colui che aveva detto a Mosè di farla secondo il modello da lui veduto.
Atti 7:44
Ecco perciò che queste tende eterne della parabola possono essere comprese come il luogo della presenza di Dio, al pari del tabernacolo di Mosè. È da questo luogo che gli amici possono accogliere coloro che ascoltano Gesù e ubbidiscono a questo suo insegnamento. È in questo luogo che i poveri (in spirito) e i mansueti hanno la loro ricompensa (cfr. Mt. 5).

Il secondo detto di Gesù invece riprende il tema della fedeltà, e mette in guardia - al contrario - dal praticare una amministrazione infedele anche se in piccole cose. Una applicazione concreta poteva essere al tempo di Luca relativa ai credenti che nelle comunità avevano lo scopo di amministrarne i beni economici. Vediamo che l'assistenza alle vedove e ai bisognosi è un tema molto caro agli scritti lucani (cfr. Lc. 20:47, Atti 6:1) come al Nuovo Testamento nel suo insieme e non è inverosimile ipotizzare un accento particolare 1) sul dovere delle chiese di venire incontro bisogni degli indigenti e 2) al fatto che i soldi accumulati non venissero sperperati in opere inutili o fossero appropriati in modo indebito ma appunto utilizzati per questo scopo.

L'ultimo detto, infine, riguarda il fatto che così come non si possono avere due padroni, allo stesso modo non si può amare il denaro e servire Dio perché sono due realtà inconciliabili. L'amore per il denaro porta all'egoismo, all'ingiustizia sociale, alla perdita di qualsiasi scrupolo pur di accumulare nuovi patrimoni. Dio invece conduce alla considerazione dei bisogni del prossimo, alla giustizia e alla privazione di qualche bene personale pur di aiutare chi è in maggior difficoltà. Va da sé che questi due tipi di attitudini e comportamenti sono contrari l'uno all'altra e non possono in nessun modo coesistere. A noi dunque la scelta.

CONSIDERAZIONI FINALI

La parabola del fattore infedele o come sarebbe più opportuno chiamarla, del fattore astuto, ha come tema principale la gestione delle ricchezze.

Con questa parabola Gesù ci esorta principalmente a:


1) Essere saggi nell'amministrazione economica personale e, quando è il caso, in quella della comunità senza approfittarsi di nessuno per il proprio tornaconto ma al contrario aiutando economicamente coloro che sono in difficoltà. Questo comportamente viene lodato dal padrone della parabola anche se motivato da intenti egoistici. Questa è una "astuzia" positiva perché risulta un investimento in quello che nel Regno di Dio ha una durata eterna.

2) Evitare di amministrare le proprie risorse in modo infedele. Infatti la ricchezza di quaggiù è ben poca cosa rispetto a quella "vera" ossia a quella spirituale, che viene e verrà affidata da Dio solo a coloro che si dimostrano fedeli nelle piccole cose. 

3) Nella teoria così come nella pratica è impossibile essere affettivamente e avidamente coinvolti nella propria ricchezza e al contempo essere servi di Dio perché si può essere sottomessi solo all'uno o all'altro, in modo esclusivo.


Note:

[1] Leland Ryken, Le forme letterarie nella Bibbia, Edizioni GBU, Chieti, 2004, cit. p. 111.
[2] https://www.blueletterbible.org/lang/lexicon/lexicon.cfm?Strongs=G5430&t=KJV

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