Traduttore


mercoledì 10 maggio 2017

Aspettando il ritorno del Signore (parte IV): mangiare il proprio pane lavorando tranquillamente

Chi lavora la sua terra avrà pane in abbondanza;
ma chi va dietro ai fannulloni avrà abbondanza di miseria.
Proverbi 28:19  

Come abbiamo visto negli studi precedenti, la Seconda Lettera di Paolo ai Tessalonicesi si colloca molto probabilmente nei primi anni 50, durante la stessa permanenza dell'apostolo a Corinto che fornì l'occasione di scrittura della Prima Lettera ai Tessalonicesi.1 La storia della fondazione di questa antica comunità cristiana viene descritta dagli Atti degli Apostoli al capitolo 17, versetti dall'1 al 9. A livello letterario, questa epistola è strutturata secondo il seguente schema:2
  1. Indirizzo (1:1-2)
  2. Primo esordio (1:3-12)
  3. Prima esortazione (2:1-12)
  4. Secondo esordio (2:13-15)
  5. Prima conclusione (2:16-3:5)
  6. Seconda esortazione (3:6-15)
  7. Seconda conclusione (3:16-18)
Dopo aver dedicato il primo studio al commento dell'indirizzo e del primo esordio, il secondo studio al commento della prima esortazione e del secondo esordio, e il terzo studio alla comprensione della prima conclusione della lettera, questo quarto ed ultimo studio si concentrerà sui versetti finali della lettera che costituiscono la seconda esortazione e la seconda conclusione. Nel testo precedente, Paolo ha incoraggiato i credenti di Tessalonica a resistere alle difficoltà, rassicurandoli del vicino giudizio di Dio; chiarendo però che il giorno del Signore non era ancora arrivato, come invece alcuni affermavano. Successivamente egli ha descritto gli eventi che dovranno avvenire prima del ritorno del Signore, ringraziando Dio per la loro evidente elezione e per la loro fedeltà. Dopo tutto questo, troviamo il brano al centro del nostro attuale interesse:

Fratelli, vi ordiniamo nel nome del nostro Signore Gesù Cristo che vi ritiriate da ogni fratello che si comporta disordinatamente e non secondo l'insegnamento che avete ricevuto da noi. Infatti voi stessi sapete come ci dovete imitare: perché non ci siamo comportati disordinatamente tra di voi; né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di nessuno, ma con fatica e con pena abbiamo lavorato notte e giorno per non essere di peso a nessuno di voi. Non che non ne avessimo il diritto, ma abbiamo voluto darvi noi stessi come esempio, perché ci imitaste. Infatti, quando eravamo con voi, vi comandavamo questo: che se qualcuno non vuole lavorare, neppure deve mangiare. Difatti sentiamo che alcuni tra di voi si comportano disordinatamente, non lavorando affatto, ma affaccendandosi in cose futili. Ordiniamo a quei tali e li esortiamo, nel Signore Gesù Cristo, a mangiare il proprio pane, lavorando tranquillamente. Quanto a voi, fratelli, non vi stancate di fare il bene. E se qualcuno non ubbidisce a ciò che diciamo in questa lettera, notatelo, e non abbiate relazione con lui, affinché si vergogni. Però non consideratelo un nemico, ma ammonitelo come un fratello. 
2Tessalonicesi 3:6-15 

Se la prima esortazione epistolare riguardava il fatto che "il giorno del Signore non è già presente", e che devono avvenire determinati eventi prima che esso possa arrivare, questa seconda esortazione risulta invece più semplice e concentrata su un unico tema: ognuno deve lavorare per le proprie necessità e non deve essere di peso agli altri fratelli. Di fatto questa indicazione era presente anche nella precedente lettera (1 Ts. 4:11), ma viene ora ripresa con maggiore risolutezza, addirittura con un ordine. Evidentemente alcuni credenti erano di peso alla chiesa, avevano smesso di lavorare e iniziato a mangiare gratuitamente nei pasti comunitari o a casa di altri membri di chiesa. I possibili motivi sono svariati: la convinzione dell'imminente ritorno del Signore, il disprezzo del lavoro manuale secondo la cultura greca, o la priorità data a generiche "cose futili".3 Per rinforzare l'esortazione a mangiare il proprio pane, lavorando tranquillamente, l'apostolo Paolo ricorda l'esempio dato quando era con loro: durante il soggiorno a Tessalonica infatti Paolo e i suoi collaboratori non hanno usufruito del loro diritto di essere sostenuti dai fratelli per non essere di peso e per dare l'esempio all'intera comunità appena formata. Questo suo comportamento era solito nelle situazioni delicate, in quanto non voleva che l'esercizio di un proprio diritto (comunque esistente) potesse portare disordini, malumori o altre difficoltà nell'opera del Signore. Lo stesso tema sarà ripreso in modo più esteso nella successiva Prima Lettera ai Corinzi, dove possiamo leggere:

Chi mai fa il soldato a proprie spese? Chi pianta una vigna e non ne mangia il frutto? O chi pascola un gregge e non si ciba del latte del gregge? Dico forse queste cose da un punto di vista umano? Non le dice anche la legge? Difatti, nella legge di Mosè è scritto: «Non mettere la museruola al bue che trebbia il grano». Forse che Dio si dà pensiero dei buoi? O non dice così proprio per noi? Certo, per noi fu scritto così; perché chi ara deve arare con speranza e chi trebbia il grano deve trebbiarlo con la speranza di averne la sua parte. Se abbiamo seminato per voi i beni spirituali, è forse gran cosa se mietiamo i vostri beni materiali? Se altri hanno questo diritto su di voi, non lo abbiamo noi molto di più? Ma non abbiamo fatto uso di questo diritto; anzi sopportiamo ogni cosa, per non creare alcun ostacolo al vangelo di Cristo. 
1Corinzi 9:7-12

In questo testo, tre esempi vengono accomunati da un unico principio: tanto il soldato quanto il contadino (cfr. Dt. 25:6) e il pastore hanno diritto di vivere del loro rispettivo lavoro. Questo diritto naturale però trova conferma anche nella legge di Dio, in quanto l'indicazione di Deuteronomio 25:4 viene interpretata da Paolo secondo il modello dell'esegesi rabbinica4, e applicata anch'essa al caso del lavoro missionario. Oltre a questa argomentazione però, ne viene sviluppata anche una seconda, evidenziando la sproporzione che esiste fra le due qualità di beni definiti rispettivamente pneumatika e sarkika, ossia spirituale e carnale/materiale.5 Infatti, avendo Paolo ben svolto un lavoro spirituale, di estremo valore, può a buon titolo chiedere un sostegno materiale, di valore inferiore. Infine, egli riconosce che anche altri credenti avevano questo diritto sulla comunità di Corinto (probabilmente gli anziani, o altri missionari) e che a maggior ragione lui e i suoi collaboratori, in quanto fondatori della comunità, potevano goderne. Il diritto quindi viene rafforzato in modo triplice, e proprio a causa di questo rafforzamento suona eclatante la rinuncia che l'apostolo ha fatto anche nei confronti della chiesa di Corinto: non abbiamo fatto uso di questo diritto; anzi sopportiamo ogni cosa, per non creare alcun ostacolo al vangelo di Cristo. Questa decisione e questo esempio realizzato tanto con i tessalonicesi quanto con i corinzi non annulla il diritto di coloro che svolgono con fatica un lavoro spirituale. In altre lettere infatti leggiamo

Chi viene istruito nella parola faccia parte di tutti i suoi beni a chi lo istruisce.

Galati 6:6

Gli anziani che tengono bene la presidenza siano reputati degni di doppio onore, specialmente quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento; infatti la Scrittura dice: «Non mettere la museruola al bue che trebbia»; e: «L'operaio è degno del suo salario».

1Timoteo 5:17,18


L'operaio è degno del suo salario, e l'anziano o il missionario/apostolo è degno di uno stipendio ministeriale. Ma l'eccellenza dell'esempio di Paolo sta proprio nella rinuncia di questo diritto nelle situazioni in cui - come abbiamo già detto - esso avrebbe portato in qualche modo un ostacolo al vangelo di Cristo. Servire il Signore infatti è un'attività che risponde ad una chiamata spirituale, non ad un desiderio professionale. Lo scopo è quello del perfezionamento dei santi e dell'edificazione del Corpo di Cristo (Ef. 4:12), uno scopo eterno. Il sostentamento materiale perciò deve essere utilizzato quando questo non arreca danno alla chiesa perché altrimenti sarebbe controproducente per il medesimo obiettivo finale. Inoltre ogni ministro cristiano deve essere attento a non avere amore per il denaro (cfr. 1 Tim. 6:10, Ebrei 13:5), ma al contrario ad affidarsi fiduciosamente alla provvidenza di Dio. Queste indicazioni bibliche sono molto preziose ed importanti anche per i nostri giorni, garantendo il giusto equilibrio necessario per l'espansione del Regno di Dio e la crescita delle chiese. I  ministri cristiani possono seguire lo stesso esempio dell'apostolo Paolo, istruendo a loro volta le proprie comunità così come egli ha fatto in questa lettera con la chiesa di Tessalonica. La pigrizia e l'indolenza sono deleterie e inconciliabili con la vita cristiana, che per sua natura è una vita spesa attivamente al servizio di Dio e del prossimo. Ogni credente dunque è chiamato a lavorare tranquillamente, per poter mangiare il proprio pane e contribuire economicamente ai reali bisogni della comunità.

A questo punto, possiamo tornare al nostro brano. Dopo la seconda esortazione che abbiamo potuto leggere e  commentare, l'epistola trova adesso il suo termine con una seconda e definitiva conclusione:

Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace sempre e in ogni maniera. Il Signore sia con tutti voi. Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo; questo serve di segno in ogni mia lettera; è così che scrivo. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi.
2Tessalonicesi 3:16


Nella forma abituale, troviamo due importanti benedizioni/intercessioni: "il Signore vi dia la pace", e "La grazia del Signore sia con voi". Al centro invece, un saluto manoscritto per autenticare l'originalità della lettera, il cui corpo doveva essere stato dettato invece ad un segretario.6 Con queste ultime parole si conclude la Seconda Lettera di Paolo ai Tessalonicesi, il secondo scritto più antico di tutto il Nuovo Testamento. 

CONCLUSIONE










Come abbiamo potuto evidenziare, la Seconda Lettera ai Tessalonicesi è estremamente importante per una corretta comprensione di svariati aspetti della vita cristiana. È fondamentale per comprendere i sentimenti e il servizio dell'apostolo Paolo riguardo la fondazione di questa comunità, e di conseguenza per allinearsi ad essi anche ai giorni nostri nella pratica della vita missionaria. È importante per riconoscere le forme di preghiera proprie in questa Scrittura, e di conseguenza per applicarle nella nostra vita per una sana ed equilibrata devozione personale e comunitaria. È essenziale per riconoscere che il giorno del Signore non è già presente e che, per quanto il nostro sguardo e il nostro spirito sia sempre rivolto verso il momento del suo ritorno (maràn tha!), dobbiamo vivere ancora in questa società per qualche tempo, e dobbiamo farlo nel modo più opportuno. È vitale per capire che ogni discepolo del Signore Gesù deve provvedere alle sue necessità, mangiare il proprio pane lavorando tranquillamente per evitare di essere di peso agli altri fratelli. La chiesa deve aiutare tutti coloro che sono nel bisogno, ma nessuno se ne deve approfittare per evitare di togliere l'aiuto disponibile a chi è nella reale indigenza (Gc. 1:27). In particolare, la Scrittura afferma che i ministri cristiani sono degni di una retribuzione, ma insegna anche che la priorità è sempre quella dell'edificazione dei credenti e che quando questo salario crea problemi sarebbe meglio farne a meno e riuscire a mantenersi con altri lavori secolari, proprio come faceva l'apostolo Paolo.

Di fronte a tanta ricchezza spirituale, non si può quindi far altro che ringraziare il Signore per questa Scrittura da lui ispirata, e per il suo continuo sostegno nella vita della Chiesa nel complesso e di ogni singolo credente a livello personale e quotidiano. La Chiesa fondata sulla signoria di Cristo, infatti, non può essere vinta neanche dalla morte (Mt. 16:18), e non può fare altro che portare a Dio ogni onore e gloria.   



Note:

[1] Cfr. Jordi Sànchez Bosh, Scritti Paolini (2001), Paideia, p. 146.
[2] Id. Ibid. p. 148. 
[3] Francesco Mosetto, Lettere ai Tessalonicesi (2007), Edizioni Messaggero Padova, p. 94.
[4] Rinaldo Fabris, Prima lettera ai Corinzi (1999), Paoline, p. 125.
[5] Id. Ibid.  
[6] F. Mosetto, Lettere ai Tessalonicesi (2007), Edizioni Messaggero Padova, p. 96. 

Nessun commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...