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martedì 23 maggio 2017

Il trono di Dio: commento al quarto capitolo dell'Apocalisse di Giovanni

Il SIGNORE è nel suo tempio santo;
il SIGNORE ha il suo trono nei cieli;
i suoi occhi vedono,
le sue pupille scrutano i figli degli uomini.
Salmo 11:4 

INTRODUZIONE 

L'apostolo Giovanni a Patmos, litografia di G. Dorè
L'Apocalisse di Giovanni è senza dubbio il libro più criptico del Nuovo Testamento. Per sua stessa natura infatti, rispondendo al genere letterario apocalittico, esso cela il suo significato dietro a simboli, numeri e immagini comprensibili soltanto ai membri della propria comunità, ma impenetrabili alle spie ed ai censori dell'impero - in questo caso - romano.1 Per poter essere interpretata correttamente quindi, è importante collocarla nel suo contesto storico e letterario, ed ottenere da questa comprensione le "chiavi" necessarie ad accedere al suo messaggio originario.2 Sicuramente un ruolo di primo piano a questo riguardo è riservato all'Antico Testamento, le cui citazioni e allusioni (soprattutto riguardanti i libri dell'Esodo, di Ezechiele e Daniele) sono presenti in grande concentrazione. Sommariamente infatti, possiamo accomunare tanto questi libri veterotestamentari quanto l'Apocalisse di Giovanni con la descrizione (storica e profetica) di una liberazione del popolo di Dio operata dal suo diretto intervento. Che siano gli egiziani, i babilonesi, i seleucidi, i romani o un impero futuro, i dominatori di questo mondo devono comunque rispondere delle proprie azioni direttamente a Dio, e pagare il prezzo eterno della persecuzione operata contro Israele e/o contro la Chiesa. Negli ultimi anni ho avuto la possibilità di scrivere numerosi articoli su queste tematiche, ai quali rimando per una introduzione più esaustiva. Sulla successione dei grandi imperi mondiali dal punto di vista biblico, ho scritto "Il regime satanico". Sul commento dei primi tre capitoli dell'Apocalisse (1-3) ho scritto degli articoli dedicati alle "Sette lettere". Infine, come introduzione generale e come commento agli ultimi quattro capitoli (19-22), ho scritto "L'Apocalisse di Giovanni e il compimento del Regno di Dio". In ogni caso, questa introduzione sarà sufficiente per la lettura  e la comprensione del presente articolo, che si inserisce in questa costellazione di approfondimenti pur rimanendo leggibile ed usufruibile a sé, senza per forza obbligare il lettore ad impegnarsi in altre ricerche. L'argomento specifico che verrà qui affrontato infatti sarà quello del quarto capitolo dell'Apocalisse di Giovanni, ossia del rapimento in Spirito e della visione che consente all'autore di contemplare il trono celeste di Dio. Si tratta di soli undici versetti, ma senza dubbio densi di significati e insegnamenti, come abbiamo detto, di non immediata comprensione. Come al solito, il punto che scelgo come inizio di una nuova indagine è quello della struttura letteraria dell'opera, che offre la possibilità di ottenere un prezioso sguardo d'insieme sullo sviluppo dei discorsi, delle descrizioni e delle argomentazioni nell'opera. Così come si inizia a scalare una montagna partendo da valle (contemplandola nella sua totalità), così dovremmo avvicinarci ai vari libri biblici, con rispetto e devozione, guardandoli nella loro interezza: leggendoli integralmente e considerandoli nella loro globalità prima di approfondire determinate sezioni particolari. Nel nostro caso, in termini generali, lo schema generale dell'Apocalisse è costituito da un'introduzione e una conclusione, al cui centro stanno i seguenti cinque importanti settenari:
  1. Prologo e saluto epistolare (1:1-8)
  2. Primo settenario: le sette lettere (1:9-4:11)
  3. Secondo settenario: i sette sigilli (5:1-8:1)
  4. Terzo settenario: le sette trombe (8:2-14:5)
  5. Quarto settenario: le sette coppe (14:6-19:20)
  6. Quinto settenario: le sette visioni (19:2-22:5)
  7. Epilogo e saluto epistolare (22:6-21)
Dopo il prologo, come possiamo vedere, l'Apocalisse introduce sette lettere dettate dal Signore risorto e indirizzate a sette comunità cristiane dell'Asia minore: le chiese di Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatiri, Sardi, Filadelfia, Laodicea. Queste lettere costituiscono la parte più semplice del libro a livello letterario. Questa prima porzione di testo, viene conclusa da un'ulteriore esperienza, raccontata appunto nel quarto capitolo che sarà adesso trattato. Un'esperienza che accredita se possibile ancor di più le missive alle chiese, e che prepara agli imminenti successivi avvenimenti celesti: i sette sigilli. 

VIDI UNA PORTA APERTA NEL CIELO 

Dopo queste cose vidi una porta aperta nel cielo, e la prima voce, che mi aveva già parlato come uno squillo di tromba, mi disse: «Sali quassù e ti mostrerò le cose che devono avvenire in seguito». Subito fui rapito dallo Spirito. Ed ecco, un trono era posto nel cielo e sul trono c'era uno seduto. Colui che stava seduto era simile nell'aspetto alla pietra di diaspro e di sardonico; e intorno al trono c'era un arcobaleno che, a vederlo, era simile allo smeraldo. Attorno al trono c'erano ventiquattro troni su cui stavano seduti ventiquattro anziani vestiti di vesti bianche e con corone d'oro sul capo. Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni. Davanti al trono c'erano sette lampade accese, che sono i sette spiriti di Dio. Davanti al trono inoltre c'era come un mare di vetro, simile al cristallo; in mezzo al trono e intorno al trono, quattro creature viventi, piene di occhi davanti e di dietro. La prima creatura vivente era simile a un leone, la seconda simile a un vitello, la terza aveva la faccia come d'un uomo e la quarta era simile a un'aquila mentre vola. E le quattro creature viventi avevano ognuna sei ali, ed erano coperte di occhi tutt'intorno e di dentro, e non cessavano mai di ripetere giorno e notte: «Santo, santo, santo è il Signore, il Dio onnipotente, che era, che è, e che viene». Ogni volta che queste creature viventi rendono gloria, onore e grazie a colui che siede sul trono, e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro anziani si prostrano davanti a colui che siede sul trono e adorano colui che vive nei secoli dei secoli e gettano le loro corone davanti al trono, dicendo: «Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l'onore e la potenza: perché tu hai creato tutte le cose, e per tua volontà furono create ed esistono».
Apocalisse 4:1-11  

Come apprendiamo leggendo i capitoli precedenti, Giovanni era nell'isola di Patmos a motivo della parola di Dio e della testimonianza di Gesù (1:9). Qui, nel giorno del Signore viene preso in spirito (1:10), esperienza che lo porta ad avere una visione di Gesù risorto e glorificato3 che gli detta le sette missive iniziali. Conclusa questa attività, Giovanni vede una porta nel cielo, sente una voce che lo invita ad entrare e, ancora una volta, viene ad essere letteralmente in spirito. La nostra prima riflessione si sofferma proprio su tale espressione, che può essere tradotta ed intesa in modi diversi. Per l'assenza di articolo nel testo originale infatti, è improbabile che la formula sia da intendere letteralmente con "nello Spirito Santo", come comunemente affermato.4 Di conseguenza si aprono diverse possibilità, ma una soluzione che tenga conto tanto del testo grammaticale quanto del contesto teologico può identificare il suo significato con lo "spirito profetico", quello che in 19:10 è chiamato "spirito della profezia" e in 22:6, al plurale, "spirito dei profeti".5 È grazie allo Spirito dei profeti (lo Spirito di Dio, dato ai profeti) che Giovanni può osservare ciò che è oltre la porta celeste, e tentare di descrivere quello che per sua stessa natura è ineffabile (cfr. 2 Cor. 12:4). La ripetizione in 1:10 e 4:2 può indicare diverse profondità dell'essere nello spirito profetico, due momenti successivi e progressivi della stessa esperienza spirituale.6 La porta è da immaginare grandiosa, monumentale, perché è la porta del mondo divino; e il suo essere aperta è al tempo stesso invito ad entrare (subito dopo confermato dalla voce) e promessa.7 La voce infine, è senza dubbio la stessa del primo capitolo, quella che introdusse Giovanni alla visione del Figlio dell'uomo in mezzo ai sette candelabri. In questo quadro generale, si entra ora nel vivo dell'esperienza celeste. 

Sardonico
Diaspro rosso
La descrizione dell'indescrivibile si sofferma prima di tutto su un trono nel cielo, e sul suo occupante. Non viene rivelato da subito il suo nome, ma viene assomigliato alla pietra di diaspro e sardonico. Intorno al trono invece, Giovanni vede un arcobaleno simile allo smeraldo. Come il trono è simbolo di dominio sulla storia umana, così la somiglianza con le pietre preziose rimanda alla muta e misteriosa bellezza della natura.8 Nel mondo antico il cosmo superiore era spesso rappresentato con pietre preziose9: nel dialogo platonico del Fedone (IV sec. a.C.) troviamo infatti - per esempio - un confronto tra le parti superiori del cosmo con quelle inferiori, e l'affermazione che in quelle superiori si trovano allo stato puro proprio il diaspro, il sardio e lo smeraldo.10 Nell'Antico Testamento, se da un lato si polemizza contro il culto delle stele di pietra, dall'altro si esige che l'altare venga eretto con pietre non squadrate da mano umana, e che si innalzino pietre dove Dio si è manifestato.11 Le pietre quindi - specialmente quelle preziose - sono di conseguenza per Giovanni la scelta più naturale per alludere all'aspetto di Dio. Attorno al trono, vengono ora presentati altri ventiquattro troni su cui stavano seduti ventiquattro anziani vestiti di vesti bianche e con corone d'oro sul capo. Per cercare di comprendere meglio questa corte divina abbiamo i seguenti indizi: il numero ventiquattro, il termine "presbyteros", e l'atto di stare assisi su un trono vestiti di vesti bianche e indossando delle corone d'oro. Prima di tutto, il numero ventiquattro si presta a diversi significati: le ventiquattro classi sacerdotali dei cantori del Tempio (1 Cr. 24:4-19), il numero dei profeti di Israele (cfr. il libro apocrifo dell'Apocalisse di Esdra) ma, soprattutto, i dodici patriarchi dell'Antico Testamento sommati ai dodici apostoli di Gesù. Rilevando il successivo utilizzo di patriarchi e apostoli in 21:12-14 infatti, la soluzione più verosimile sembra proprio quest'ultima, simboleggiante in tal modo la storia intera intorno al trono di Dio, Signore della storia.12 Il termine anziani, di conseguenza riguardarderebbe questi due importantissimi gruppi di uomini di Dio, che qui svolgono il ruolo di dignitari che fanno da decoro a un sovrano, presenziando e prendendo parte agli encomi cantati e alle prostrazioni del rutuale di corte.13 Anche se una traduzione corretta potrebbe essere anziani/presbiteri, il significato è comunque diverso dal titolo dei responsabili delle comunità cristiane che troviamo altrove nel Nuovo Testamento.14 Come stiamo per vedere, le loro azioni sono anzitutto liturgiche: si prostrano davanti al sovrano che siede sul trono, gettano le loro corone ai suoi piedi per omaggiarlo, e nel capitolo seguente suonano l'arpa e offrono profumi intonando cantici. Oltre a questo però, alcuni di loro svolgono anche l'incarico di interpretare gli eventi rivelandone il significato, come in 5:5 e in 7:13-17. Infine, l'essere assisi su un trono nonostante si trovino in presenza di Dio e le corone che portano in capo non possono che mostrare la loro piena partecipazione al regno di Dio, di cui parlerà la pagina finale del libro (22:5, regneranno nei secoli dei secoli). 

Successivamente, la descrizione torna al trono di Dio, dal quale escono lampi, voci e tuoni. Essi compaiono anche in 8:5 (con l'aggiunta di un terremoto), in 11:19 e in 16:18-21 (con terremoto e grandine). Essendo messi in relazione con il trono divino, questi sono elementi associati alla manifestazione di Dio, sono il segno della presenza e della parola di Dio.15 Possiamo vedere a titolo di esempio altre ricorrenze veterotestamentarie legate alla teofania:

Esodo 19:16 Il terzo giorno, come fu mattino, ci furono tuoni, lampi, una fitta nuvola sul monte e si udì un fortissimo suono di tromba. Tutto il popolo che era nell'accampamento tremò.

Esodo 20:18 Or tutto il popolo udiva i tuoni, il suono della tromba e vedeva i lampi e il monte fumante. A tal vista, tremava e stava lontano.


O SIGNORE, quando uscisti dal Seir,
quando venisti dai campi di Edom,
la terra tremò, e anche i cieli si sciolsero,
anche le nubi si sciolsero in acqua.
I monti furono scossi per la presenza del SIGNORE,
anche il Sinai, là, fu scosso davanti al SIGNORE, al Dio d'Israele!
 

Giudici 5:4-5 

Salmo 77:18 Il fragore dei tuoni era nel turbine;
i lampi illuminarono il mondo;
la terra fu scossa e tremò. 
 
 
 

 
Si ha quindi certamente a che fare con la manifestazione della presenza di Dio, che nel nostro caso presenta davanti a sé sette lampade accese, che il testo interpreta subito dopo come i sette spiriti di Dio. Essi venivano descritti già in 1:4 e verrà svelato in 5:6 che sono anche i sette occhi dell'Agnello. Il fuoco delle fiaccole parla dell'azione divina, gli occhi parlano dell'onniscienza, entrambi legati al numero sette, il numero biblico per eccellenza perfetto, completo e definitivo.16 A questo riguardo, un precedente biblico possiamo trovarlo nel libro del profeta Isaia a riguardo del messia di Dio:

Lo Spirito del SIGNORE riposerà su di lui:
Spirito di saggezza e d'intelligenza,
Spirito di consiglio e di forza,
Spirito di conoscenza e di timore del SIGNORE.

Isaia 11:2


Davanti al trono poi, c'è anche un mare, di vetro simile al cristallo perché purificato dalla vicinanza del trono di Dio. In genere esso rappresenta la moltitudine dei popoli (cfr. 13:1), ma la sua vetrificazione simboleggia appunto la vittoria di Dio sulla ribellione e sulla forza del male (cfr. 15:2). Alla fine del libro, con la nuova creazione viene tuttavia detto esplicitamente che il mare non ci sarà più (cfr. 21:1b). In questo contesto non può che mostrare il dominio di Dio non solo sulla storia della salvezza, ma anche sulla storia dei popoli e dei ribelli. In mezzo e intorno al trono, quindi più vicini ad esso degli anziani precedentemente descritti, Giovanni vede invece quattro Viventi, pieni di occhi davanti e dietro. Queste creature sono simili a un leone, un vitello, un uomo e un'aquila, ciascuno con sei ali e pieni di occhi. Su questo tema, ci sono due brani dell'Antico Testamento molto importanti che dobbiamo considerare, ossia quelli delle vocazioni dei profeti Isaia ed Ezechiele:

Io guardai, ed ecco venire dal settentrione un vento tempestoso, una grossa nuvola con un fuoco folgorante e uno splendore intorno a essa; nel centro vi era come un bagliore di metallo in mezzo al fuoco. Nel centro appariva la forma di quattro esseri viventi; e questo era l'aspetto loro: avevano aspetto umano. Ognuno di essi aveva quattro facce e quattro ali. I loro piedi erano diritti, e la pianta dei loro piedi era come la pianta del piede di un vitello; e brillavano come il bagliore del bronzo lucente. Avevano mani d'uomo sotto le ali, ai loro quattro lati; tutti e quattro avevano le loro facce e le loro ali. Le loro ali si univano l'una all'altra; camminando, non si voltavano; ognuno camminava diritto davanti a sé. Quanto all'aspetto delle loro facce, essi avevano tutti una faccia d'uomo, tutti e quattro una faccia di leone a destra, tutti e quattro una faccia di bue a sinistra, e tutti e quattro una faccia d'aquila. Le loro facce e le loro ali erano separate nella parte superiore; ognuno aveva due ali che s'univano a quelle dell'altro, e due che coprivano loro il corpo.  
Ezechiele 1:4-11

In questo primo capitolo, il profeta Ezechiele descrive le circostanze della sua chiamata al ministero profetico. Egli era in esilio presso il fiume Chebar, e ad un certo punto inizia ad avere una visione divina. La prima cosa che vede è proprio una nuvola con un fuoco folgorante al cui centro vi è la forma di quattro esseri viventi successivamente descritti, e che in un secondo momento il profeta identificherà come cherubini (cfr. c.10). Come possiamo vedere, ci sono numerose somiglianze con il testo dell'Apocalisse, ma anche alcune differenze. In modo simile, essi sono chiamati Viventi, sono in numero di quattro, sono pieni di occhi (cfr. Ez. 1:18), hanno le stesse fattezze (uomo, leone, bue/vitello, aquila) e hanno delle ali. Differentemente però varia il numero di ali e la collocazione degli occhi, le quattro fattezze non sono contemporaneamente in ciascuno dei quattro Viventi ma ognuno ne ha una sola, ed infine in Ap. essi non hanno il compito di muovere i carro divino (come in Ez.) ma quello di essere assistenti al trono di Dio e di cantare a lui incessantemente. Esaminiamo ora invece alcuni versetti relativi alla chiamata profetica di Isaia:

Nell'anno della morte del re Uzzia, vidi il Signore seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini, ognuno dei quali aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi, e con due volava. L'uno gridava all'altro e diceva: «Santo, santo, santo è il SIGNORE degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria!» Le porte furono scosse fin dalle loro fondamenta dalla voce di loro che gridavano, e la casa fu piena di fumo.
Isaia 6:1-4

Anche in questo caso troviamo importanti punti di contatto e qualche divergenza. Da un lato, infatti, gli esseri angelici sono ugualmente collegati con il trono di Dio, hanno lo stesso numero di ali di quelli visti da Giovanni (sei), e cantano tre volte la sua santità in sua presenza. Dall'altra però in Ap. non si parla di serafini ma di "esseri viventi", non si descrive la funzione delle ali e il loro canto non si completa con la proclamazione della gloria universale di Dio. Rielaborando queste caratteristiche, possiamo adesso tentare di dare loro un significato più chiaro. Gli occhi dei viventi servono probabilmente per conoscere in ogni direzione e le ali per essere agili nei movimenti. Il leone è universalmente ritenuto il più forte degli animali, e quindi rappresenta la forza nel mondo della natura. Il vitello/bue invece è il più forte tra gli animali domestici, con lui è la forza per il lavoro. L'uomo è l'essere più nobile e intelligente, come apprendiamo sin dalla Genesi ed è immagine di queste caratteristiche. Infine l'aquila è l'uccello più veloce e forte, e dalla vista più acuta. Insieme, le fattezze di questi viventi rivelano la loro supremazia in ogni sfera naturale: dalla foresta selvatica (leone), all'ambiente domestico (vitello, uomo) al cielo (aquila).17 L'essere umano non è al vertice ma al centro, perché al vertice ci sia il cielo, l'abitazione di Dio.18 Senza azzardare la definizione di una categoria angelica quindi (il testo la omette), possiamo comprendere che questi esseri viventi possiedono la più grande comprensione, forza, e velocità nel regno celeste e possono così rappresentare l'intero cosmo. Davanti al trono di Dio perciò, tanto l'intera storia del suo popolo (Israele e la Chiesa) quanto l'intero creato (dalla foresta al cielo), nelle persone rispettivamente dei ventiquattro anziani e dei quattro esseri viventi, rendono omaggio alla sua sovranità in eterno. In questa liturgia celeste, i viventi continuano a ripetere, giorno e notte: «Santo, santo, santo è il Signore, il Dio onnipotente, che era, che è, e che viene». La triplice proclamazione della santità di Dio è espressione del mistero divino, la sintesi ineffabile di integrità, perfezione, splendore, incorruttibilità e potenza.19 Come abbiamo visto, ha un parallelo proprio con le parole dei serafini, che Isaia vede in modo simile sopra il trono di Dio. All'estremità opposta, c'è la dichiarazione della presenza e dell'azione di Dio al passato, presente e futuro. Al centro invece, tra la proclamazione della santità e quella della presenza efficace ed eterna, è detto chi sia il santo e potente: è detto con tre titoli (il Signore, Iddio, il Pantokrator) o, più probabilmente con due titoli (il Signore Iddio, il Pantokrator).20 Dio è tre volte santo, è kyrios universale, è colui che tutto detiene e tutto può (pantokrator) ed è infine colui che tutto è e tutto opera, in ogni coordinata del tempo e nell'eternità.21 Nel Nuovo Testamento, il termine pantokrator (onnipotente) è utilizzato quasi esclusivamente nell'Apocalisse di Giovanni (9 volte), con l'unica eccezione di una ricorrenza nella Seconda Lettera ai Corinzi:

E che armonia c'è fra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come disse Dio:
«Abiterò e camminerò in mezzo a loro, sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.
Perciò, uscite di mezzo a loro
e separatevene, dice il Signore,
e non toccate nulla d'impuro;
e io vi accoglierò.
E sarò per voi come un padre
e voi sarete come figli e figlie»,
dice il Signore onnipotente

2Corinzi 6:16-18

Anche qui, l'onnipotenza di Dio è strettamente legata al titolo di Signore e alla sua santità (non toccate nulla d'impuro, e io vi accoglierò): tre aspetti fortemente connessi tra di loro. Dio è Signore, è Onnipotente, ed è Santo, tre attributi inscindibili che mostrano degli aspetti della natura stessa di Dio. Torniamo però ora al nostro testo, per considerare le sue battute finali. Ogni volta che i viventi compiono la loro proclamazione, i ventiquattro anziani si prostrano in adorazione, gettano le loro corone davanti al trono e si uniscono nella lode con un'altra esclamazione: «Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l'onore e la potenza: perché tu hai creato tutte le cose, e per tua volontà furono create ed esistono». Lo studioso Biguzzi nota le difficoltà testuali di questa frase, e motiva la possibilità di intenderla come affermazione dell'esistenza dall'eternità delle creature già nella volontà divina, esistenza che precede l'atto stesso della creazione.22 La volontà di Dio di esprimersi nella creazione, e successivamente la sua azione nel portarla all'esistenza, è quindi pieno motivo di gloria, onore e potenza, e non può di certo essere diversamente da così.  

CONCLUSIONE 

Il quarto capitolo dell'Apocalisse termina interrompendo apparentemente una liturgia che in realtà continuerà in chiave cristologica in 5:8, per poi spegnersi in 5:13-14, in cui Dio e l'Agnello ricevono congiuntamente l'omaggio e la lode di tutte le creature.23 Grazie a questo capitolo, possiamo crescere nella comprensione non solo delle indicazioni del Signore (presenti nei capitoli precedenti), ma anche nei suoi attributi, in alcuni aspetti della sua natura e nella sua sovranità sulla creazione e sull'umanità. Da questo punto in poi inizia la descrizione di quello che deve avvenire in seguito, un inestimabile incoraggiamento per la Chiesa, che alimenta la fede dei credenti come solo la Parola di Dio può fare. Questo testo inoltre testimonia incontrovertibilmente dell'unità dell'Antico Testamento con il Nuovo e di come i vari libri biblici descrivono diverse tappe per la salvezza dell'uomo predisposte e promosse dallo stesso eterno Dio - come si vedrà nel quinto capitolo - e dall'Agnello che siede sul trono. Nel corso della storia del cristianesimo, l'Apocalisse ha incontrato numerose difficoltà di comprensione, ma lo sforzo del credente deve essere quello di impegnarsi per poter ricevere l'intero consiglio di Dio e non solo una parte determinata dai propri libri biblici preferiti. Se l'indicazione del libro di Daniele è di sigillare il libro (Dn. 12:4), quella dell'Apocalisse di Giovanni è diametralmente opposta:

Poi mi disse: «Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino. Chi è ingiusto continui a praticare l'ingiustizia; chi è impuro continui a essere impuro; e chi è giusto continui a praticare la giustizia, e chi è santo si santifichi ancora».
Apocalisse 22:10-11

Il tempo è vicino, il Signore della storia sta per tornare: chi è giusto deve continuare a praticare la giustizia e chi è santo deve santificarsi ancora, per la sola gloria di Dio.



Note:

[1] Cfr. Josep-Oriol Tunì, Xavier Alegre, Scritti giovannei e lettere cattoliche (1997), Paideia, p. 178.
[2] Id. Ibid. p. 179.
[3] Cfr. Giancarlo Biguzzi, Apocalisse (2005), Paoline, p. 84. 
[4] Id. Ibid. p. 81.
[5] Id. Ibid.  
[6] Cfr. Daniele Tripaldi, Apocalisse di Giovanni (2012), Carocci editore, p. 133.
[7] Cfr. G. Biguzzi, Apocalisse (2005), Paoline, p. 138.
[8] Id. Ibid.
[9] Cfr. Daniele Tripaldi, Apocalisse di Giovanni (2012), Carocci editore, p. 133.
[10] Cfr. G. Biguzzi, Apocalisse (2005), Paoline, p. 139.
[11] Id. Ibid. 
[12] Id. Ibid. p. 141.
[13] Id. Ibid. p. 140.
[14] Id. Ibid. 
[15] Id. Ibid. p. 142.
[16] Id. Ibid.
[17] Id. Ibid. p. 144.
[18] Id. Ibid.
[19] Id. Ibid.
[20] Id. Ibid. p. 145. 
[21] Id. Ibid
[22] Id. Ibid.
[23] Id. Ibid. p. 146.  

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