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lunedì 26 gennaio 2015

La conoscenza gonfia, ma l'amore edifica

Quanto alle carni sacrificate agli idoli, sappiamo che tutti abbiamo conoscenza. La conoscenza gonfia, ma l'amore edifica. Se qualcuno pensa di conoscere qualcosa, non sa ancora come si deve conoscere; ma se qualcuno ama Dio, è conosciuto da lui. Quanto dunque al mangiare carni sacrificate agli idoli, sappiamo che l'idolo non è nulla nel mondo, e che non c'è che un Dio solo. Poiché, sebbene vi siano cosiddetti dèi, sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti dèi e signori, tuttavia per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo. Ma non in tutti è la conoscenza; anzi, alcuni, abituati finora all'idolo, mangiano di quella carne come se fosse una cosa sacrificata a un idolo; e la loro coscienza, essendo debole, ne è contaminata. Ora non è un cibo che ci farà graditi a Dio; se non mangiamo, non abbiamo nulla di meno; e se mangiamo non abbiamo nulla di più. Ma badate che questo vostro diritto non diventi un inciampo per i deboli. Perché se qualcuno vede te, che hai conoscenza, seduto a tavola in un tempio dedicato agli idoli, la sua coscienza, se egli è debole, non sarà tentata di mangiare carni sacrificate agli idoli? Così, per la tua conoscenza, è danneggiato il debole, il fratello per il quale Cristo è morto. Ora, peccando in tal modo contro i fratelli, ferendo la loro coscienza che è debole, voi peccate contro Cristo. Perciò, se un cibo scandalizza mio fratello, non mangerò mai più carne, per non scandalizzare mio fratello.
1Corinzi 8:1-13 

La prima lettera ai corinzi viene unanimemente attribuita all'apostolo Paolo, tanto dalla tradizione cristiana quanto dagli studiosi moderni. La lettera è scandita nei vari argomenti dall'espressione "quanto a...". Rispondendo alle esigenze della chiesa infatti, Paolo si esprime quanto alle cose di cui i corinzi gli hanno scritto prima (il matrimonio), quanto alle vergini, alle carni sacrificate agli idoli, ai doni spirituali ed alla colletta per i santi. In questo panorama, l'ottavo capitolo si concentra proprio sul problema della carne sacrificata agli idoli, un problema molto sentito per i credenti di questa grande città. A Corinto infatti la maggior parte della carne che si trovava al mercato derivava da una precedente dedicazione agli idoli da parte dei sacerdoti pagani, che tenevano come sacrificio solo una minima parte dell'animale in questione. La facilità con la quale ci si poteva imbattere in questo tipo di alimento era enorme, e la componente della chiesa di Corinto convertita da poco tempo poteva avere problemi di coscienza in relazione ad una pratica ora riconosciuta come sbagliata. D'altro canto, anche i cristiani di origine giudaica avevano una loro debolezza proprio nell'osservanza delle pratiche ebraiche anche dopo essersi convertiti a Cristo. Questo era sicuramente uno dei motivi di tensione all'interno della comunità. Ma la lettera 
offre anche numerosi indizi sulle cause delle divisioni che sicuramente erano presenti: la ricerca di una sapienza "per pochi", la tendenza al settarismo e al mettere gli apostoli in competizione, l'enfasi sui carismi spirituali a discapito dell'amore fraterno. Dopo circa sei anni dalla sua fondazione da parte dell'apostolo Paolo, questa comunità era caduta in una grave crisi sociale e spirituale, alla quale l'apostolo cerca di rimediare intervenendo punto per punto su tutte le criticità che erano emerse. Una chiesa sana si era trasformata in una chiesa con molte malattie, le cui cure sono tutte presenti proprio nelle due preziose lettere di Paolo a loro rivolte e incluse nel canone neotestamentario. Le indicazioni per il problema della carne sacrificata agli idoli, diventa però in questo contesto una possibilità per trattare del più ampio ed importante tema relativo alla libertà del cristiano. Il pastore protestante Martin Luther King scrisse: "la mia libertà finisce dove inizia la vostra"; e proprio questa frase secondo me potrebbe rappresentare al meglio l'argomento di questo intero capitolo della lettera. Il problema vero infatti non sono gli idoli in sé, né mangiare la carne ad essi sacrificata. L'idolo infatti è nulla nel mondo, in quanto esiste un solo ed unico vero Dio. I termini del problema perciò vengono traslati dall'oggettività di una pratica alla sua soggettività, ossia alla coscienza di coloro che la compiono. Nella lettera a Tito, leggiamo sempre in merito alle prescrizioni giudaiche che "tutto è puro per quelli che sono puri, ma nulla è puro per i contaminati e gli increduli": un'espressione differente che presenta la medesima realtà spirituale. Ci sono pratiche che per i giudei sono impure, ma che per i cristiani maturi sono in realtà neutre, infatti nulla è impuro in sé stesso alla luce del Vangelo di Cristo. In questo momento però arriva un "ma" che a mio avviso rappresenta il cuore dell'intero brano e dell'insegnamento tanto prezioso per i corinzi e per i cristiani di ogni tempo: "ma non in tutti è la conoscenza". Nella comunità ci sono infatti cristiani deboli. La loro osservanza a questa regola alimentare è un modo per onorare Dio, non sapendo che in realtà non avrebbero questo limite. Non è solo una questione di conoscenza o meno di una regola, ma di sensibilità della propria coscienza e misura della propria fede. La soluzione infatti non è semplicemente spiegare a questi fratelli che possono mangiarne senza aver per questo motivo trasgredito alcuna legge, ma piuttosto rispettare la loro coscienza ed evitare di mangiare queste carni per amore fraterno! 

Quante volte abbiamo ascoltato la famosa frase: "la conoscenza gonfia ma l'amore edifica"? Quante volte l'abbiamo ascoltata in relazione alla pericolosità della teologia a favore di una semplicità di vita e di servizio amorevole al prossimo, oppure una concezione di fede più semplice "senza cavilli dottrinali"? Ebbene, in realtà non è questo l'argomento che l'apostolo Paolo sta trattando, non è questo che sta dicendo. Egli sta affermando che se qualcuno ha una misura di fede maggiore e una conoscenza maggiore, non deve assolutamente ostentarla di fronte a chi è più debole, perché il fratello più debole potrebbe scandalizzarsi. Se c'è qualcuno che reputa un giorno più importante di un altro per il Signore, io, sapendo che in realtà tutti i giorni sono uguali, non ho alcun mandato di convincere a forza il fratello che tutti i giorni in realtà sono uguali ma anzi, sono tenuto ad osservare la santità di quel giorno in presenza del fratello per non scandalizzarlo. Questo ovviamente non legittima il tradizionalismo o il legalismo in quanto è vincolato alla sincera devozione personale e spirituale per il Signore, e ad un percorso di crescita e santificazione. Il problema non è studiare le Scritture, ma piuttosto non rendersi conto delle diverse sensibilità dei propri fratelli e calpestarle con la propria conoscenza. 

Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui un'occasione di caduta. Io so e sono persuaso nel Signore Gesù che nulla è impuro in se stesso; però se uno pensa che una cosa è impura, per lui è impura. Ora, se a motivo di un cibo tuo fratello è turbato, tu non cammini più secondo amore. Non perdere, con il tuo cibo, colui per il quale Cristo è morto! Ciò che è bene per voi non sia dunque oggetto di biasimo; perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini. Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione. Non distruggere, per un cibo, l'opera di Dio. Certo, tutte le cose sono pure; ma è male quando uno mangia dando occasione di peccato. È bene non mangiare carne, né bere vino, né fare cosa alcuna che porti il tuo fratello a inciampare. Tu, la fede che hai, serbala per te stesso, davanti a Dio. Beato colui che non condanna se stesso in quello che approva. Ma chi ha dei dubbi riguardo a ciò che mangia è condannato, perché la sua condotta non è dettata dalla fede; e tutto quello che non viene da fede è peccato.
Romani 14:13-23

La vita spirituale non consiste in vivanda, né in bevanda. Non consiste in carne o pesce, acqua o vino; sabato o domenica. La vita spirituale consiste in pace e gioia nello Spirito Santo. Quando la nostra consapevolezza spirituale porta turbamento nell'assemblea, minando alla pace e alla gioia nello Spirito Santo, è necessario fermarsi e cambiare attitudine per venire incontro ai nostri fratelli e alle nostre sorelle. Quello che è più importante infatti non è avere ragione, ma edificare. Trasmettere fede e non dare, invece, occasione di peccato. Nel cristianesimo del primo secolo, questo problema si è sviluppato inizialmente nelle occasioni di pasto comunitario, ma il principio spirituale della libertà nell'amore è valido per ogni altro argomento. Il grosso problema successivo sarebbe stato quello della circoncisione dei credenti non ebrei, e sebbene Paolo si sia giustamente battuto con fervore per non tradire la completezza e l'integrità del Vangelo nella Chiesa, farà in ogni caso circoncidere il suo collaboratore Timoteo (Atti 16:3) per poter continuare ad evangelizzare senza impedimento i giudei non ancora convertiti. Così come Cristo spogliò sé stesso per raggiungere gli uomini, allo stesso modo ogni cristiano è chiamato a lasciare i propri diritti per raggiungere coloro che non conoscono il Signore o che sono ancora deboli nella fede. Tutto questo però senza svilire o annacquare la pienezza del Vangelo; ma al contrario per l'edificazione della Chiesa, alla gloria di Dio. 

martedì 6 gennaio 2015

Il bacio di Giuda



1.L'ARRESTO DI GESU'

In quell'istante, mentre Gesù parlava ancora, arrivò Giuda, uno dei dodici, e 
insieme a lui una folla con spade e bastoni, inviata da parte dei capi dei sacerdoti, degli scribi e degli anziani. Colui che lo tradiva aveva dato loro un segnale, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; pigliatelo e portatelo via sicuramente». Appena giunse, subito si accostò a lui e disse: «Rabbì!» e lo baciò. Allora quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Ma uno di quelli che erano lì presenti, tratta la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli recise l'orecchio. Gesù, rivolto a loro, disse: «Siete usciti con spade e bastoni come per prendere un brigante. Ogni giorno ero in mezzo a voi insegnando nel tempio e voi non mi avete preso; ma questo è avvenuto affinché le Scritture fossero adempiute». Allora tutti, lasciatolo, se ne fuggirono. Un giovane lo seguiva, coperto soltanto con un lenzuolo; e lo afferrarono; ma egli, lasciando andare il lenzuolo, se ne fuggì nudo.
Marco 14:43-52 

La maggior parte degli studiosi e dei teologi (tra cui Joachim Jeremias), riconosce in questo brano l'inizio di un testo preesistente al vangelo di Marco, un racconto breve particolarmente antico. La pericope della passione di Gesù rappresenta infatti la porzione più arcaica dei vangeli, l'elemento attraverso il quale comprendere gli stessi insegnamenti e le stesse parole del Signore, tramandate grazie ai suoi discepoli. Il brano inizia descrivendo Giuda come "uno dei dodici", specificando un dato che per ogni lettore del vangelo così come lo conosciamo è assodato fin dall'inizio. Già nel secondo capitolo infatti - che come abbiamo visto è di probabile composizione successiva - leggiamo l'elenco dei dodici apostoli con alcune specifiche particolari:

Costituì dunque i dodici, cioè: Simone, al quale mise nome Pietro; Giacomo, figlio di Zebedeo e Giovanni, fratello di Giacomo, ai quali pose nome Boanerges, che vuol dire figli del tuono; Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, figlio di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariot, quello che poi lo tradì.
Marco 3:16-19 

Giuda Iscariota viene presentato per ultimo, specificando immediatamente che proprio lui sarà il traditore del Signore. Gli altri vangeli aggiungono informazioni sul suo tradimento, riportando che Satana entrò in lui (Lc 22:3; Gv 13:27) prima della Pasqua. Tornando al brano iniziale, possiamo leggere la corretta chiave di interpretazione di questo avvenimento per bocca di Gesù: tutto questo è avvenuto affinché le Scritture fossero adempiute. L'indicazione qui è abbastanza vaga, ma nella seconda metà del presente studio si approfondiranno proprio le profezie bibliche che la Scrittura stessa identifica altrove come correlate al tradimento e all'arresto del Signore. 

Già nei vangeli comunque troviamo molti avvisi sulla morte e la risurrezione di Cristo tramite le sue stesse parole, in più di un'occasione. Le narrazioni infatti, dopo la prima metà è come se fossero scandite da questi avvisi del Signore che si avvicinano man mano all'inevitabile epilogo. La tradizione di Giovanni forse è quella che elabora maggiormente l'avviso della passione, presentando nel quarto "io sono" un avvertimento ben sistematizzato, dal valore quasi catechetico:

Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio».
Giovanni 10:14-18

Il sacrificio di Cristo assume in questo vangelo un valore di protezione e salvezza "pastorale" già da prima del suo racconto, specificando la natura volontaria del sacrificio. Non solo Gesù conosceva fin dall'inizio la necessità di un traditore, ma ha anche fatto in modo che esso compisse presto questa sua opera, arrivando addirittura a dirgli esplicitamente - dopo che Satana entrò in Giuda - "quel che fai, fallo presto" (Gv 13:27). La conoscenza del tradimento, non ha di certo attutito la sofferenza emotiva di Gesù, che mostra qui di desiderare che tutto il dolore potesse passare il più velocemente possibile. La volontà di Dio per Gesù, per Satana e per Giuda si sono incrociate proprio in questo momento di grande tensione e di grande importanza per il destino dell'umanità. Come abbiamo letto in Marco, tutto questo è avvenuto affinché le Scritture fossero adempiute; e, come leggiamo in questo contesto, per ordine di Dio Padre. Queste due espressioni in realtà coincidono, in quanto le profezie dell'Antico Testamento possono essere considerate proprio come espressione diretta della volontà di Dio. Tanto i canti del servo del Signore in Isaia, quanto i Salmi messianici, descrivono nell'ottica cristiana l'incarnazione, la sofferenza, la morte e la resurrezione di Cristo; proprio come volontà specifica di YHWH. Il Figlio di Dio si è incarnato con una missione, ricevuta dal Padre. A questa missione è stato ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce, ricevendo successivamente un sovrano innalzamento e un nome al di sopra di ogni altro nome (Fil 2:8,9). In questa missione ed in questa ubbidienza è l'amore del Padre. Niente è a caso, in quanto il SIGNORE ha fatto ogni cosa per uno scopo; anche l'empio, per il giorno della sventura (Prov. 16:4), e lo scopo di Giuda era esattamente quello che è andato a raggiungere.

2.IL DISCORSO DI PIETRO


La tradizione di Luca ha il vantaggio di continuare a raccontare gli eventi accaduti dopo la resurrezione del Signore, e lo fa nel suo secondo libro, che tutti noi conosciamo con il nome di Atti degli Apostoli. Subito dopo l'ascensione di Gesù al cielo, i dodici dovettero affrontare la questione del vuoto lasciato da Giuda a causa del suo tradimento e della sua morte. 

In quei giorni, Pietro, alzatosi in mezzo ai fratelli (il numero delle persone riunite era di circa centoventi), disse: «Fratelli, era necessario che si adempisse la profezia della Scrittura pronunciata dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, che fece da guida a quelli che arrestarono Gesù. Perché egli era uno di noi e aveva ricevuto la sua parte di questo ministero. Egli dunque acquistò un campo con il salario della sua iniquità; poi, essendosi precipitato, gli si squarciò il ventre, e tutte le sue interiora si sparsero. Questo è divenuto così noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme, che quel campo è stato chiamato nella loro lingua "Acheldama", cioè "campo di sangue". Infatti sta scritto nel libro dei Salmi:
"La sua dimora diventi deserta
e più nessuno abiti in essa"; e:
"Il suo incarico lo prenda un altro".
Atti 1:15-20

Laddove nei vangeli era riportato un adempimento generico delle Scritture, qui si specificano almeno due profezie veterotestamentarie, individuate nel libro dei Salmi, in particolare nel Salmo 69 e nel Salmo 109. Questa è la prima citazione:

Riversa su di loro il tuo furore,
li raggiunga l'ardore della tua ira.
Sia desolata la loro dimora, nessuno abiti le loro tende,
poiché perseguitano colui che hai percosso,
e godono a raccontarsi i dolori di chi hai ferito.
Salmo 69:24-26

Il Salmo 69 viene attribuito al re Davide, e oltre a questi versetti, presenta altri punti di contatto con il tradimento e la sofferenza di Cristo. Leggiamo infatti al v.6 la supplica: "Non siano confusi, per causa mia, quelli che sperano in te, o Dio, SIGNORE degli eserciti!". Una richiesta e un sentimento che si inserisce proprio nel momento dell'arresto di Gesù. Un momento che i vangeli preannunciano, prevedendo che le pecore del gregge saranno disperse (Mt 26:31). Come abbiamo letto nel brano iniziale di questo studio, tutti i discepoli se ne fuggirono; le pecore si sono tutte disperse, ma la preghiera di Gesù deve essere stata proprio quella di preservarle, chiedendo al Padre di accorciare e limitare questa confusione e di togliere la vergogna di tutti coloro che Lo stavano cercando sinceramente. Il Salmo continua con sentimenti ben precisi e sovrapponibili a questa situazione, descrivendo la forza necessaria per sopportare gli insulti per l'amore di Dio, insulti ricevuti proprio a causa dello zelo per la casa di YHWH (Sal 69:9) in un versetto già identificato dal vangelo di Giovanni in 2:17. La profezia più specifica del Salmo però, è sicuramente quella del v.21 relativa al fiele e all'aceto, adempiuta sulla croce da Gesù nei racconti di Mt 27:48, Mc 15:36, Lc 23:36 e Gv 19:29. La citazione precisa del v.25 riportato negli Atti tuttavia riguarda proprio il tradimento di Giuda e la maledizione della sua casa. Sempre su quest'ultimo argomento è anche il secondo riferimento utilizzato, presente nel Salmo 109:
In cambio della mia amicizia,
mi accusano,
e io non faccio che pregare.
Essi mi hanno reso male per bene,
e odio in cambio di amore.
Suscita un empio contro di lui,
e un accusatore stia alla sua destra.
Quando sarà giudicato, esca condannato,
e la sua preghiera gli sia imputata come peccato.
Siano pochi i suoi giorni:
un altro prenda il suo posto.
Salmo 109:4-8


Il Salmo procede successivamente con la descrizione della maledizione di questo nemico, e della sua famiglia: una discendenza distrutta, che nella seconda generazione vede svanire il proprio nome. Per questo empio - Giuda Iscariota - viene invocato un accusatore alla sua destra; che nella versione originale ebraica è riportato come il śâṭân. Nel prologo del libro di Giobbe, il Satana (l'accusatore) chiede udienza a Dio suggerendo di mettere alla prova il giusto Giobbe; in questo Salmo invece accade il contrario: è l'uomo giusto che chiede a Dio di suscitare il Satana contro il suo oppositore. Addirittura la stessa preghiera di questo avversario gli deve essere imputata non come virtù ma come peccato, escludendo ogni possibilità di ravvedimento. E questo è esattamente quello che è accaduto a Giuda Iscariota. Un altro doveva prendere il suo posto, e proprio questo oracolo è stato riconosciuto da Pietro negli Atti per promuovere la scelta di un altro discepolo da accogliere come dodicesimo apostolo in sua sostituzione. Due brevi frasi sono state citate da Pietro, ma i relativi Salmi nella loro interezza mostrano con ancor maggior completezza i sentimenti, le preghiere, e il contesto che secoli dopo andrà a delinearsi in questa travagliata pagina della vita terrena del nostro Signore.

3.CONCLUSIONE

Il tradimento di Giuda è diventato così famoso da essere ormai un'espressione iconica anche al di fuori dai contesti cristiani. Il suo bacio in particolare, usato per identificare Gesù nel buio, ha rappresentato da sempre l'elemento più tragico, la manifestazione più eclatante della viltà del dodicesimo apostolo. E' impossibile per chiunque legga anche solo per la prima volta uno dei vangeli, evitare di chiedersi come Gesù lo abbia potuto includere tra i suoi discepoli più intimi sapendo quello che avrebbe fatto, sempre che davvero lo avesse saputo. Ebbene, tutti gli elementi sono concordi nel mostrare non solo la consapevolezza di Gesù, ma anche la sua sottomissione ed ubbidienza al disegno del Padre, il cui piano concepito da tempo è sempre stato fedele e stabile fino alla realizzazione di ogni sua minima parte. I Salmi 69 e 109 mostrano l'angoscia e il dolore emotivo e fisico che deve aver provato Gesù come uomo subendo questo tradimento, ma la grandezza di Dio sta nell'aver trasformato tutto questo in un peso eterno di gloria tanto per il Padre, quanto per il Figlio e per lo Spirito Santo. La fede di ogni cristiano non può che identificarsi nella fede che Gesù Cristo ha avuto nei momento più difficili della sua vita terrena, nei momenti in cui ha dovuto imparare l'ubbidienza dalla sofferenza peggiore che può esistere: il tradimento a morte da parte di un proprio caro amico. Tanto Satana quanto Giuda sono stati strumenti di Dio nella realizzazione del piano di salvezza per l'umanità, esattamente come il faraone lo è stato per la salvezza di Israele e la sua costituzione come nazione. Certo, riflettere sulla sovranità di Dio può suscitare parecchi interrogativi e perplessità: se Giuda è stato destinato al tradimento e alla morte, in che misura ha potuto godere del libero arbitrio? In che misura le sue azioni possono essere imputate a lui? Sono domande difficili, che ogni persona deve affrontare per poter crescere nella fede in modo saldo e non in modo superficiale. Le risposte della Scrittura in questo caso possono non piacere, ma restano comunque le parole più autorevoli che potremo mai leggere e ascoltare su questo tema:

Che c'è da contestare se Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza dei vasi d'ira preparati per la perdizione, e ciò per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso dei vasi di misericordia che aveva già prima preparati per la gloria, cioè verso di noi, che egli ha chiamato non soltanto fra i Giudei ma anche fra gli stranieri?
Romani 9:22-24

Questa domanda retorica dell'apostolo Paolo può avere solo una risposta: niente. Non c'è niente da contestare nell'operato di Dio, anche quando non lo comprendiamo. La certezza su cui possiamo riposare però, è che tutte le cose cooperano al bene di coloro che amano Dio e che sono chiamati secondo il suo disegno (Ro 8:28). Tanto le gioie e i successi, quanto i dolori e le sconfitte cooperano al bene dei credenti, in un modo a noi sconosciuto ma altrettanto sicuro quanto sono stabili le fondamenta della terra.  

Bibliografia:

Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Grande commentario biblico, ed. Queriniana. 
- Monasterio Rafael Aguirre, Carmona Antonio Rodriguez, Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, ed. Paideia. 

giovedì 1 gennaio 2015

La casa della saggezza e la casa della follia


LA CASA DELLA SAGGEZZA



 La saggezza ha fabbricato la sua casa,
ha lavorato le sue colonne, in numero di sette;

ha ammazzato i suoi animali,
ha preparato il suo vino,
e ha anche apparecchiato la sua mensa.
Ha mandato fuori le sue ancelle;
dall'alto dei luoghi elevati della città essa chiama:
«Chi è sciocco venga qua!»
A quelli che sono privi di senno dice:
«Venite, mangiate il mio pane
e bevete il vino che ho preparato!»
 
Proverbi 9:1-5

I primi nove capitoli del libro biblico di Proverbi sono il prologo dell'intera opera, il grande atrio di ingresso della casa della saggezza, costituita dall'opera letteraria nel suo insieme. Questa casa ha sette colonne, numero indicante la perfezione, e ospita al suo interno un imponente banchetto. L'immagine descritta nei versetti che abbiamo appena letto, richiama alla mente il celebre oracolo profetico di Isaia:

Il SIGNORE degli eserciti preparerà per tutti i popoli su questo monte
un convito di cibi succulenti,
un convito di vini vecchi,
di cibi pieni di midollo,
di vini vecchi raffinati.

Isaia 25:6 

Così come gli anziani di Israele mangiarono e bevvero sul monte Sinai infatti (Es. 24:9-11), allo stesso modo tutti i popoli potranno mangiare e bere sul monte Sion. In entrambi i casi, anzi in tutti e tre i casi, il padrone di casa è il Signore stesso. Infatti il principio della scienza è il timore del Signore (Pr. 1:7), e solo da questo punto è possibile continuare il proprio percorso di crescita spirituale e sapienziale. Nel Nuovo Testamento abbiamo una ripresa di questa simbologia nella parabola del gran convito, ma anche nell'ultima cena (Lc. 22:19,20) e nell'escatologica cena delle nozze dell'Agnello (Ap. 19:9). Il pasto è sempre stato un'immagine di intimità, alleanza e comunione e l'intera Scrittura testimonia la volontà del Signore di avere l'uomo come proprio commensale, a casa sua. Il celebre c. 8 di Proverbi descrive la saggezza come stabilità fin dall'eternità, assieme al Signore al principio dei suoi atti; secondo una prospettiva che presto ha identificato in essa un'emanazione di Dio, che nell'ottica cristiana è stata individuata in Gesù Cristo (Gv 1; 1 Cor. 1:24). Cristo è la sapienza di Dio, contrapposta alla sapienza di questo mondo, per la quale il Signore stesso giura di intervenire con lo scopo di svergognarla ed annientarla (1 Cor. 1:19). Le ancelle della saggezza gridano dai luoghi più elevati della città, invitando gli sciocchi e tutti coloro che sono privi di senno ad accostarsi alla tavola per mangiare il cibo e bere il vino che è stato preparato, nutrendosi gratuitamente nella sua casa. Il DeuteroIsaia, nel capitolo 55 riproporrà il banchetto del capitolo 25, specificando proprio la natura gratuita del pasto succulento. Così come l'aver mangiato il frutto della conoscenza del bene e del male ha interdetto l'umanità dalla presenza di Dio, accettare il suo invito e mangiare alla sua tavola significa tornare a Lui, accettando il sacrificio di Cristo e dimorando nelle sue parole. Il pasto nella casa della saggezza è composto dalla carne della dottrina e dal vino della sapienza di Dio, gli unici elementi che sono costituiti dalla Parola del Creatore; in altri termini, esso consiste nel libro stesso dei Proverbi e in senso lato nell'intera Bibbia. Ognuno di noi, proprio come Giosuè, è chiamato dal Signore a meditare la sua parola giorno e notte, avendo cura di mettere in pratica tutto ciò che vi è scritto. Questo non per una legge magica, ma per un'ubbidienza viscerale causata dall'amore per il nostro Signore. Leggere, meditare, dimorare nella Parola di Dio porta a vivere nel modo più corretto tanto i successi quanto le difficoltà, maturando l'abitudine di trovare la nostra gioia, la nostra speranza ed il nostro futuro non in noi stessi ma nella casa eterna della Parola di Dio. La fonte della vita e l'inizio dell'eternità.

Salmo 27:4 Una cosa ho chiesto al SIGNORE,
e quella ricerco:
abitare nella casa del SIGNORE tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del SIGNORE,
e meditare nel suo tempio. 

La casa della saggezza però non è l'unica casa che possiamo trovare. Esiste infatti un'altra casa, una dimora particolarmente pericolosa, che non manca di provocare con il suo fascino nella speranza di sedurre più persone possibili. 

LA CASA DELLA FOLLIA



La follia è una donna turbolenta,
sciocca, che non sa nulla.
Siede alla porta di casa,
sopra una sedia, nei luoghi elevati della città,
per chiamare quelli che passano per la via,
che vanno diritti per la loro strada, dicendo:
«Chi è sciocco venga qua!»
E a chi è privo di senno dice:
«Le acque rubate sono dolci,
il pane mangiato di nascosto è delizioso».
Ma egli non sa che là sono i defunti,
che i suoi convitati giacciono in fondo al soggiorno dei morti.

Proverbi 9:13-18

Uscendo dalla casa della saggezza, all'altro capo della via troviamo un'altra casa, abitata questa volta dalla follia. Essa viene descritta come una donna sempre inquieta e in tumulto (hâmâh), stupida (pethayûth), che conosce (yâda‛) nulla (bal). Di per sé non è sicuramente affascinante, ma sedendosi alla porta di casa sua, cerca di sedurre i passanti con la proposta di azioni illecite ma gratificanti. Perché affaticarsi nell'andare al pozzo per prendere l'acqua, quando ci si può dissetare immediatamente rubandola? Perché dedicarsi a lavorare il grano quando si può rubare del pane caldo appena sfornato? E' evidente che questi comportamenti in sé sono stupidi: danneggiano la stessa collettività che potrebbe spontaneamente aiutarci nel momento della vera difficoltà. Compromette la nostra posizione sociale oltre che la nostra coscienza e la nostra moralità. Sul momento però, sono soluzioni facili, sono soluzioni "dolci". Questo è lo stile di vita della propria soddisfazione "qui e ora", senza alcun pensiero al nostro futuro e al futuro della nostra famiglia. Per tale motivo, per quanto le persone sedotte non se ne accorgano al momento, la casa della follia è abitata soltanto da morti. Tutti coloro che entrano sono destinati alla morte, se non scappano in tempo. Questi versetti presentano solo alcuni esempi delle seduzioni della follia, ma di sicuro esse non si limitano soltanto al rubare. Il sesso extraconiugale, l'amore per il denaro, la ricerca di soluzioni nella magia e nell'occulto, la manipolazione psicologica, scappare da tutte le persone che non sono d'accordo con noi trovandoci alla fine da soli....Queste e molte altre sono le seduzioni che giorno e notte vengono gridate nelle piazze e nelle vie dalla follia. Inviti a risolvere ogni problema in modo facile ed immediato, scappando dalle proprie responsabilità e da ciò che ci rende uomini e donne adulti, per diventare dei grotteschi bambini perversi. Una forma raffinata di autodistruzione, ben confezionata e alla portata di tutti. Una gustosa caramella mortale. 

CONCLUSIONI




"Il timore del SIGNORE è il principio della scienza;
gli stolti disprezzano la saggezza e l'istruzione."
(Salomone)

Ogni persona, camminando quotidianamente per le vie della sua vita, è costantemente richiamata da queste due voci: la voce della saggezza di Dio e la voce della follia. L'esortazione al ravvedimento e alla partecipazione al banchetto della Parola del Signore da una parte, e dall'altra la soluzione immediata dei propri problemi in modo facile e illecito. Fin dall'alba dei tempi, queste due case presiedono i due incroci più importanti della storia, svolgendo il compito che è stato loro assegnato. Il compito di condurre alla saggezza, e il compito di condurre alla follia; il compito di condurre alla vita, e il compito di condurre alla morte. Molti sono entrati nella prima casa, e moltissimi nella seconda. Alcuni sono riusciti a scappare dalla casa della follia, ma un gran numero di persone è morta al suo interno. Queste immagini possono sembrare astratte, ma implicano due stili di vita concretamente molto differenti: diversi nelle piccole scelte quotidiane di tutti i giorni, diversi nei caratteri che scegliamo di avere. In ogni caso e in ogni momento, comunque, la porta di casa della saggezza rimane sempre aperta grazie al grande dono del pentimento e del ravvedimento. L'ultima seduzione della follia, nel momento in cui le sue vittime si rendono conto di quello che hanno fatto, è quella del volontario suicidio sociale, intellettuale, e persino fisico. Questo è l'ultimo passo della via che porta alla distruzione, un passo ammantato di (falsa) giustizia per il sentimento che può sorgere di risarcire i torti commessi con la propria morte. Ma la propria morte non potrà mai ripagare gli sbagli commessi. Essi possono essere riscattati soltanto con la vita: una vita da questo momento in poi consacrata alla saggezza di Dio, una vita da vivere nella fede del Figlio di Dio che ci ha amato e ha dato sé stesso per noi (Gal 2:20). Giuda dopo aver tradito Gesù, è scivolato ancora più in profondità nella casa della follia, fino al punto di impiccarsi. Pietro invece, dopo aver rinnegato per tre volte Gesù, si è ravveduto ed è potuto diventare una delle colonne della Chiesa. La porta di casa della saggezza è sempre aperta, e le sue ancelle stanno invitando le persone anche in questo momento. Non ci resta che ascoltare questo benedetto invito, ed entrare nella casa della vita. 
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