1Corinzi 8:1-13
La prima lettera ai corinzi viene unanimemente attribuita all'apostolo Paolo, tanto dalla tradizione cristiana quanto dagli studiosi moderni. La lettera è scandita nei vari argomenti dall'espressione "quanto a...". Rispondendo alle esigenze della chiesa infatti, Paolo si esprime quanto alle cose di cui i corinzi gli hanno scritto prima (il matrimonio), quanto alle vergini, alle carni sacrificate agli idoli, ai doni spirituali ed alla colletta per i santi. In questo panorama, l'ottavo capitolo si concentra proprio sul problema della carne sacrificata agli idoli, un problema molto sentito per i credenti di questa grande città. A Corinto infatti la maggior parte della carne che si trovava al mercato derivava da una precedente dedicazione agli idoli da parte dei sacerdoti pagani, che tenevano come sacrificio solo una minima parte dell'animale in questione. La facilità con la quale ci si poteva imbattere in questo tipo di alimento era enorme, e la componente della chiesa di Corinto convertita da poco tempo poteva avere problemi di coscienza in relazione ad una pratica ora riconosciuta come sbagliata. D'altro canto, anche i cristiani di origine giudaica avevano una loro debolezza proprio nell'osservanza delle pratiche ebraiche anche dopo essersi convertiti a Cristo. Questo era sicuramente uno dei motivi di tensione all'interno della comunità. Ma la lettera offre anche numerosi indizi sulle cause delle divisioni che sicuramente erano presenti: la ricerca di una sapienza "per pochi", la tendenza al settarismo e al mettere gli apostoli in competizione, l'enfasi sui carismi spirituali a discapito dell'amore fraterno. Dopo circa sei anni dalla sua fondazione da parte dell'apostolo Paolo, questa comunità era caduta in una grave crisi sociale e spirituale, alla quale l'apostolo cerca di rimediare intervenendo punto per punto su tutte le criticità che erano emerse. Una chiesa sana si era trasformata in una chiesa con molte malattie, le cui cure sono tutte presenti proprio nelle due preziose lettere di Paolo a loro rivolte e incluse nel canone neotestamentario. Le indicazioni per il problema della carne sacrificata agli idoli, diventa però in questo contesto una possibilità per trattare del più ampio ed importante tema relativo alla libertà del cristiano. Il pastore protestante Martin Luther King scrisse: "la mia libertà finisce dove inizia la vostra"; e proprio questa frase secondo me potrebbe rappresentare al meglio l'argomento di questo intero capitolo della lettera. Il problema vero infatti non sono gli idoli in sé, né mangiare la carne ad essi sacrificata. L'idolo infatti è nulla nel mondo, in quanto esiste un solo ed unico vero Dio. I termini del problema perciò vengono traslati dall'oggettività di una pratica alla sua soggettività, ossia alla coscienza di coloro che la compiono. Nella lettera a Tito, leggiamo sempre in merito alle prescrizioni giudaiche che "tutto è puro per quelli che sono puri, ma nulla è puro per i contaminati e gli increduli": un'espressione differente che presenta la medesima realtà spirituale. Ci sono pratiche che per i giudei sono impure, ma che per i cristiani maturi sono in realtà neutre, infatti nulla è impuro in sé stesso alla luce del Vangelo di Cristo. In questo momento però arriva un "ma" che a mio avviso rappresenta il cuore dell'intero brano e dell'insegnamento tanto prezioso per i corinzi e per i cristiani di ogni tempo: "ma non in tutti è la conoscenza". Nella comunità ci sono infatti cristiani deboli. La loro osservanza a questa regola alimentare è un modo per onorare Dio, non sapendo che in realtà non avrebbero questo limite. Non è solo una questione di conoscenza o meno di una regola, ma di sensibilità della propria coscienza e misura della propria fede. La soluzione infatti non è semplicemente spiegare a questi fratelli che possono mangiarne senza aver per questo motivo trasgredito alcuna legge, ma piuttosto rispettare la loro coscienza ed evitare di mangiare queste carni per amore fraterno!
Quante volte abbiamo ascoltato la famosa frase: "la conoscenza gonfia ma l'amore edifica"? Quante volte l'abbiamo ascoltata in relazione alla pericolosità della teologia a favore di una semplicità di vita e di servizio amorevole al prossimo, oppure una concezione di fede più semplice "senza cavilli dottrinali"? Ebbene, in realtà non è questo l'argomento che l'apostolo Paolo sta trattando, non è questo che sta dicendo. Egli sta affermando che se qualcuno ha una misura di fede maggiore e una conoscenza maggiore, non deve assolutamente ostentarla di fronte a chi è più debole, perché il fratello più debole potrebbe scandalizzarsi. Se c'è qualcuno che reputa un giorno più importante di un altro per il Signore, io, sapendo che in realtà tutti i giorni sono uguali, non ho alcun mandato di convincere a forza il fratello che tutti i giorni in realtà sono uguali ma anzi, sono tenuto ad osservare la santità di quel giorno in presenza del fratello per non scandalizzarlo. Questo ovviamente non legittima il tradizionalismo o il legalismo in quanto è vincolato alla sincera devozione personale e spirituale per il Signore, e ad un percorso di crescita e santificazione. Il problema non è studiare le Scritture, ma piuttosto non rendersi conto delle diverse sensibilità dei propri fratelli e calpestarle con la propria conoscenza.
Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui un'occasione di caduta. Io so e sono persuaso nel Signore Gesù che nulla è impuro in se stesso; però se uno pensa che una cosa è impura, per lui è impura. Ora, se a motivo di un cibo tuo fratello è turbato, tu non cammini più secondo amore. Non perdere, con il tuo cibo, colui per il quale Cristo è morto! Ciò che è bene per voi non sia dunque oggetto di biasimo; perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini. Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione. Non distruggere, per un cibo, l'opera di Dio. Certo, tutte le cose sono pure; ma è male quando uno mangia dando occasione di peccato. È bene non mangiare carne, né bere vino, né fare cosa alcuna che porti il tuo fratello a inciampare. Tu, la fede che hai, serbala per te stesso, davanti a Dio. Beato colui che non condanna se stesso in quello che approva. Ma chi ha dei dubbi riguardo a ciò che mangia è condannato, perché la sua condotta non è dettata dalla fede; e tutto quello che non viene da fede è peccato.
La prima lettera ai corinzi viene unanimemente attribuita all'apostolo Paolo, tanto dalla tradizione cristiana quanto dagli studiosi moderni. La lettera è scandita nei vari argomenti dall'espressione "quanto a...". Rispondendo alle esigenze della chiesa infatti, Paolo si esprime quanto alle cose di cui i corinzi gli hanno scritto prima (il matrimonio), quanto alle vergini, alle carni sacrificate agli idoli, ai doni spirituali ed alla colletta per i santi. In questo panorama, l'ottavo capitolo si concentra proprio sul problema della carne sacrificata agli idoli, un problema molto sentito per i credenti di questa grande città. A Corinto infatti la maggior parte della carne che si trovava al mercato derivava da una precedente dedicazione agli idoli da parte dei sacerdoti pagani, che tenevano come sacrificio solo una minima parte dell'animale in questione. La facilità con la quale ci si poteva imbattere in questo tipo di alimento era enorme, e la componente della chiesa di Corinto convertita da poco tempo poteva avere problemi di coscienza in relazione ad una pratica ora riconosciuta come sbagliata. D'altro canto, anche i cristiani di origine giudaica avevano una loro debolezza proprio nell'osservanza delle pratiche ebraiche anche dopo essersi convertiti a Cristo. Questo era sicuramente uno dei motivi di tensione all'interno della comunità. Ma la lettera offre anche numerosi indizi sulle cause delle divisioni che sicuramente erano presenti: la ricerca di una sapienza "per pochi", la tendenza al settarismo e al mettere gli apostoli in competizione, l'enfasi sui carismi spirituali a discapito dell'amore fraterno. Dopo circa sei anni dalla sua fondazione da parte dell'apostolo Paolo, questa comunità era caduta in una grave crisi sociale e spirituale, alla quale l'apostolo cerca di rimediare intervenendo punto per punto su tutte le criticità che erano emerse. Una chiesa sana si era trasformata in una chiesa con molte malattie, le cui cure sono tutte presenti proprio nelle due preziose lettere di Paolo a loro rivolte e incluse nel canone neotestamentario. Le indicazioni per il problema della carne sacrificata agli idoli, diventa però in questo contesto una possibilità per trattare del più ampio ed importante tema relativo alla libertà del cristiano. Il pastore protestante Martin Luther King scrisse: "la mia libertà finisce dove inizia la vostra"; e proprio questa frase secondo me potrebbe rappresentare al meglio l'argomento di questo intero capitolo della lettera. Il problema vero infatti non sono gli idoli in sé, né mangiare la carne ad essi sacrificata. L'idolo infatti è nulla nel mondo, in quanto esiste un solo ed unico vero Dio. I termini del problema perciò vengono traslati dall'oggettività di una pratica alla sua soggettività, ossia alla coscienza di coloro che la compiono. Nella lettera a Tito, leggiamo sempre in merito alle prescrizioni giudaiche che "tutto è puro per quelli che sono puri, ma nulla è puro per i contaminati e gli increduli": un'espressione differente che presenta la medesima realtà spirituale. Ci sono pratiche che per i giudei sono impure, ma che per i cristiani maturi sono in realtà neutre, infatti nulla è impuro in sé stesso alla luce del Vangelo di Cristo. In questo momento però arriva un "ma" che a mio avviso rappresenta il cuore dell'intero brano e dell'insegnamento tanto prezioso per i corinzi e per i cristiani di ogni tempo: "ma non in tutti è la conoscenza". Nella comunità ci sono infatti cristiani deboli. La loro osservanza a questa regola alimentare è un modo per onorare Dio, non sapendo che in realtà non avrebbero questo limite. Non è solo una questione di conoscenza o meno di una regola, ma di sensibilità della propria coscienza e misura della propria fede. La soluzione infatti non è semplicemente spiegare a questi fratelli che possono mangiarne senza aver per questo motivo trasgredito alcuna legge, ma piuttosto rispettare la loro coscienza ed evitare di mangiare queste carni per amore fraterno!
Quante volte abbiamo ascoltato la famosa frase: "la conoscenza gonfia ma l'amore edifica"? Quante volte l'abbiamo ascoltata in relazione alla pericolosità della teologia a favore di una semplicità di vita e di servizio amorevole al prossimo, oppure una concezione di fede più semplice "senza cavilli dottrinali"? Ebbene, in realtà non è questo l'argomento che l'apostolo Paolo sta trattando, non è questo che sta dicendo. Egli sta affermando che se qualcuno ha una misura di fede maggiore e una conoscenza maggiore, non deve assolutamente ostentarla di fronte a chi è più debole, perché il fratello più debole potrebbe scandalizzarsi. Se c'è qualcuno che reputa un giorno più importante di un altro per il Signore, io, sapendo che in realtà tutti i giorni sono uguali, non ho alcun mandato di convincere a forza il fratello che tutti i giorni in realtà sono uguali ma anzi, sono tenuto ad osservare la santità di quel giorno in presenza del fratello per non scandalizzarlo. Questo ovviamente non legittima il tradizionalismo o il legalismo in quanto è vincolato alla sincera devozione personale e spirituale per il Signore, e ad un percorso di crescita e santificazione. Il problema non è studiare le Scritture, ma piuttosto non rendersi conto delle diverse sensibilità dei propri fratelli e calpestarle con la propria conoscenza.
Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui un'occasione di caduta. Io so e sono persuaso nel Signore Gesù che nulla è impuro in se stesso; però se uno pensa che una cosa è impura, per lui è impura. Ora, se a motivo di un cibo tuo fratello è turbato, tu non cammini più secondo amore. Non perdere, con il tuo cibo, colui per il quale Cristo è morto! Ciò che è bene per voi non sia dunque oggetto di biasimo; perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo. Poiché chi serve Cristo in questo, è gradito a Dio e approvato dagli uomini. Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione. Non distruggere, per un cibo, l'opera di Dio. Certo, tutte le cose sono pure; ma è male quando uno mangia dando occasione di peccato. È bene non mangiare carne, né bere vino, né fare cosa alcuna che porti il tuo fratello a inciampare. Tu, la fede che hai, serbala per te stesso, davanti a Dio. Beato colui che non condanna se stesso in quello che approva. Ma chi ha dei dubbi riguardo a ciò che mangia è condannato, perché la sua condotta non è dettata dalla fede; e tutto quello che non viene da fede è peccato.
Romani 14:13-23
La vita spirituale non consiste in vivanda, né in bevanda. Non consiste in carne o pesce, acqua o vino; sabato o domenica. La vita spirituale consiste in pace e gioia nello Spirito Santo. Quando la nostra consapevolezza spirituale porta turbamento nell'assemblea, minando alla pace e alla gioia nello Spirito Santo, è necessario fermarsi e cambiare attitudine per venire incontro ai nostri fratelli e alle nostre sorelle. Quello che è più importante infatti non è avere ragione, ma edificare. Trasmettere fede e non dare, invece, occasione di peccato. Nel cristianesimo del primo secolo, questo problema si è sviluppato inizialmente nelle occasioni di pasto comunitario, ma il principio spirituale della libertà nell'amore è valido per ogni altro argomento. Il grosso problema successivo sarebbe stato quello della circoncisione dei credenti non ebrei, e sebbene Paolo si sia giustamente battuto con fervore per non tradire la completezza e l'integrità del Vangelo nella Chiesa, farà in ogni caso circoncidere il suo collaboratore Timoteo (Atti 16:3) per poter continuare ad evangelizzare senza impedimento i giudei non ancora convertiti. Così come Cristo spogliò sé stesso per raggiungere gli uomini, allo stesso modo ogni cristiano è chiamato a lasciare i propri diritti per raggiungere coloro che non conoscono il Signore o che sono ancora deboli nella fede. Tutto questo però senza svilire o annacquare la pienezza del Vangelo; ma al contrario per l'edificazione della Chiesa, alla gloria di Dio.
La vita spirituale non consiste in vivanda, né in bevanda. Non consiste in carne o pesce, acqua o vino; sabato o domenica. La vita spirituale consiste in pace e gioia nello Spirito Santo. Quando la nostra consapevolezza spirituale porta turbamento nell'assemblea, minando alla pace e alla gioia nello Spirito Santo, è necessario fermarsi e cambiare attitudine per venire incontro ai nostri fratelli e alle nostre sorelle. Quello che è più importante infatti non è avere ragione, ma edificare. Trasmettere fede e non dare, invece, occasione di peccato. Nel cristianesimo del primo secolo, questo problema si è sviluppato inizialmente nelle occasioni di pasto comunitario, ma il principio spirituale della libertà nell'amore è valido per ogni altro argomento. Il grosso problema successivo sarebbe stato quello della circoncisione dei credenti non ebrei, e sebbene Paolo si sia giustamente battuto con fervore per non tradire la completezza e l'integrità del Vangelo nella Chiesa, farà in ogni caso circoncidere il suo collaboratore Timoteo (Atti 16:3) per poter continuare ad evangelizzare senza impedimento i giudei non ancora convertiti. Così come Cristo spogliò sé stesso per raggiungere gli uomini, allo stesso modo ogni cristiano è chiamato a lasciare i propri diritti per raggiungere coloro che non conoscono il Signore o che sono ancora deboli nella fede. Tutto questo però senza svilire o annacquare la pienezza del Vangelo; ma al contrario per l'edificazione della Chiesa, alla gloria di Dio.
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