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domenica 29 giugno 2014

Gesù e Nicodemo

INTRODUZIONE

Il vangelo secondo Giovanni è l'ultimo dei quattro vangeli canonici ad essere stato redatto, risalendo ad un periodo che gli studiosi circoscrivono tra il 70 e il 100 d.C.


Mentre i vangeli secondo Matteo, Marco e Luca vengono chiamati sinottici, in quanto è possibile affiancarli su colonne ed osservare con un "colpo d'occhio" la narrazione che si svolge in parallelo, il vangelo secondo Giovanni si discosta tanto nello stile e linguaggio quanto nel contenuto e nella struttura. 
Il racconto infatti si dilata nell'arco di tre anni (tre ricorrenze della Pasqua) e non più uno solo, venendo costruito in modo inedito sopra le principali festività ebraiche, che rivestono un ruolo importante per capire al meglio i brani coinvolti. Lo schema che accomuna i vangeli sinottici viene quindi abbandonato per abbracciare uno stile simbolico e dall'alto contenuto teologico. Già nel II secolo infatti esso verrà descritto da Clemente Alessandrino come il "vangelo spirituale". I temi dell'incarnazione e della divinità di Cristo sono presenti in questo vangelo molto più che negli altri, tanto che un confronto con il vangelo di Tommaso (scoperto a Nag Hammadi nel XX secolo, ma risalente agli anni a cavallo tra il I e il II secolo) ha portato alcuni studiosi ad ipotizzare che il v. di Giovanni sia stato scritto proprio per confutare lo gnosticismo di quest'ultimo. Le espressioni "io sono" di Gesù  - che scandiscono il testo - sono un chiaro esempio di proclamazione della propria divinità, e i miracoli che vengono qui chiamati "segni" vengono presentati proprio per rivelare l'identità messianica di Gesù e lo scopo della Sua missione. 

Negli ultimi secoli, gli studiosi hanno messo in dubbio l'identità del redattore del vangelo di Giovanni, giungendo a conclusioni differenti. Resta in ogni caso rilevante la testimonianza di Ireneo di Lione, discepolo di Policarpo (a sua volta discepolo dell'Apostolo Giovanni), che nel suo scritto Adversus haereses scrisse: "Giovanni, il discepolo del Signore, quello che pure riposò sul suo petto, pubblicò il vangelo dimorando in Efeso". Già nel II secolo  dunque era chiaramente risaputa l'identità dell'autore di questo vangelo, che la tradizione cristiana ha costantemente associato a Giovanni, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo: il discepolo che Gesù amava.

DI NOTTE, DA GESU'

Il vangelo di Giovanni inizia con il famoso prologo del Logos, prosegue con la testimonianza del Battista, l'introduzione dei primi discepoli, il primo segno miracoloso in Cana di Galilea e la prima Pasqua a Gerusalemme, dove Gesù facendo una sferza di cordicelle scaccia i cambiavalute e i venditori del bestiame da sacrificare. Il secondo capitolo termina infine con le seguenti parole: 
Mentre egli era in Gerusalemme, alla festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome, vedendo i segni miracolosi che egli faceva. Ma Gesù non si fidava di loro, perché conosceva tutti e perché non aveva bisogno della testimonianza di nessuno sull'uomo, poiché egli stesso conosceva quello che era nell'uomo.
Giovanni 2:23-25

Tra le persone che credettero nel Signore vedendo i segni miracolosi compiuti a Gerusalemme, ve ne era una che compare solo in questo vangelo, dove però acquisisce immediatamente un ruolo di grande importanza. Questa persona si chiamava Nicodemo. 

C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Egli venne di notte da Gesù, e gli disse: 
«Rabbì, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio; perché nessuno può fare questi miracoli [segni] che tu fai, se Dio non è con lui». 

Gesù gli rispose: 
«In verità, in verità amēn amēn ] ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio». 

Nicodemo gli disse: «Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?» 

Gesù rispose: «In verità, in verità amēn amēn ]ti dico che se uno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: "Bisogna che nasciate di nuovo". Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito». 

Nicodemo replicò e gli disse: «Come possono avvenire queste cose?» 

Gesù gli rispose: «Tu sei maestro d'Israele e non sai queste cose? In verità, in verità amēn amēn ] ti dico che noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo di ciò che abbiamo visto; ma voi non ricevete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato delle cose terrene e non credete, come crederete se vi parlerò delle cose celesti? Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell'uomo. E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna. Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna. Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Perché chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, affinché le sue opere non siano scoperte; ma chi mette in pratica la verità viene alla luce, affinché le sue opere siano manifestate, perché sono fatte in Dio».
Giovanni 3:1-21 

Nicodemo raggiunse Gesù di notte, ed iniziò a parlargli dicendo: "Rabbì, noi sappiamo...". Nel testo originale troviamo il verbo oìdamen, che esprime una certezza assoluta. Nicodemo era probabilmente uno scriba farisaico del sinedrio, esponente di un gruppo di segreti simpatizzanti del Signore Gesù. Non parlava dunque solo per sé ma anche per il gruppo che rappresentava. Loro sapevano che Gesù era un dottore venuto da Dio, proprio a causa dei segni che avevano visto. Nel testo vediamo che Nicodemo prende l'iniziativa ed inizia il dialogo, lontano da occhi indiscreti. Leggendo il brano nella sua interezza possiamo riconoscere una prima parte con la presentazione iniziale di Nicodemo, una sezione successiva con il dialogo avuto con il Signore ed infine il monologo di Gesù. Potremmo paragonare questo svolgimento del testo alla scena di un film in cui il protagonista parla con un'altra persona, ma ad un certo punto le sue parole diventano così importanti che l'inquadratura si restringe soffermandosi solo sul suo volto. Il dialogo non ha una battuta finale e finisce bruscamente, per far successivamente riprendere la narrazione con l'espressione "dopo queste cose..". 

Come visto, l'iniziativa è di Nicodemo, ma la scelta dell'argomento e l'intera scena appartiene a Gesù. Per tre volte Egli ripete l'espressione amēn amēn (traducibile con: certamente, in verità, così sia), scandendo le battute in modo peculiare. Il suo primo intervento presenta una rivelazione enigmatica, legata alla parola anōthen che significa tanto "di nuovo" quanto "dall'alto". Nicodemo infatti fraintende, e pensando ad una rinascita materiale non capisce come essa sia possibile. Gesù interviene con il secondo amēn amēn, spiegando la differenza tra una nascita dalla carne e una nascita dallo spirito. In questa sua seconda battuta, Cristo utilizza un altro gioco di parole incentrato sul termine pneuma, che significa tanto vento quanto spirito. Forse era una serata di vento, e proprio da questo vento Gesù trae la possibilità di spiegare la nascita dall'alto. Così come il vento (pneuma) soffia dove vuole e non si sa né da dove viene, né dove va, allo stesso modo è dello Spirito (pneuma). Nicodemo rappresenta il giudaismo ufficiale, quello ortodosso, ma rappresenta anche l'uomo alla ricerca di Dio. Una ricerca tuttavia che finché è confinata nei propri paradigmi non approda a nulla. L'insegnamento di Cristo è volutamente ambiguo ed evidenzia la necessità di abbandonare il rigore religioso umano per rendersi disponibili ad essere "attraversati" da qualcosa di esterno, sconosciuto ed indipendente, qualcosa che anche se non appartiene all'uomo può riempirlo in ogni sua fibra (così come fa il vento) qualcosa, o meglio, qualcuno, che in greco ha lo stesso nome del vento: lo Spirito Santo.
L'ultima battuta di Nicodemo esplicita la sua perplessità per questo insegnamento e la sua difficoltà nel comprendere qualcosa che tutto sommato doveva già conoscere. Il libro del profeta Ezechiele infatti dice:

Vi aspergerò d'acqua pura e sarete puri; io vi purificherò di tutte le vostre impurità e di tutti i vostri idoli. Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne. Metterò dentro di voi il mio Spirito e farò in modo che camminerete secondo le mie leggi, e osserverete e metterete in pratica le mie prescrizioni.
Ezechiele 36:25-27 

Nicodemo però non comprende, almeno non in questo contesto, e la scena si discosta da lui, concentrandosi su Gesù. Come afferma il vangelo secondo Matteo, ogni scriba che diventa un discepolo del regno dei cieli è come un padrone di casa che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie. Le cose nuove però, sono le più difficili da accettare, comprendere e custodire come parte integrante del proprio tesoro, ossia il proprio bagaglio di fede. 

Ora quindi la scena si allontana da lui - non si sa cosa farà dopo questa frase - e si concentra su Gesù, e sul suo importante monologo finale iniziato con il terzo amēn amēn. Tanto la discesa dal cielo di Cristo (l'incarnazione), quanto l'innalzamento sulla croce e il passaggio per la morte, sono strumentali per la salvezza offerta all'uomo e motivata dal profondo amore di Dio. Troviamo anche in questo contesto la tensione tra la luce e le tenebre che caratterizza anche il famoso prologo del vangelo di Giovanni. La luce ora è venuta nel mondo, e gli uomini si trovano davanti alla decisione obbligata di accoglierla oppure rigettarla.

LA MATURAZIONE DELLA FEDE



Una parte dunque della gente, udite quelle parole, diceva: «Questi è davvero il profeta». Altri dicevano: «Questi è il Cristo». Altri, invece, dicevano: «Ma è forse dalla Galilea che viene il Cristo? La Scrittura non dice forse che il Cristo viene dalla discendenza di Davide e da Betlemme, il villaggio dove stava Davide?» Vi fu dunque dissenso, tra la gente, a causa sua; e alcuni di loro lo volevano arrestare, ma nessuno gli mise le mani addosso. Le guardie dunque tornarono dai capi dei sacerdoti e dai farisei, i quali dissero loro: «Perché non l'avete portato?» Le guardie risposero: «Nessuno parlò mai come quest'uomo!» Perciò i farisei replicarono loro: «Siete stati sedotti anche voi? Ha qualcuno dei capi o dei farisei creduto in lui? Ma questo popolino, che non conosce la legge, è maledetto!» Nicodemo (uno di loro, quello che prima era andato da lui) disse: «La nostra legge giudica forse un uomo prima che sia stato udito e che si sappia quello che ha fatto?» Essi gli risposero: «Sei anche tu di Galilea? Esamina, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta».

Giovanni 7:40-52 

I capi dei sacerdoti e dei farisei accusano il popolo di ignoranza, e in questo contesto ritroviamo per una seconda volta Nicodemo. Egli ha una sola battuta, nella quale fa intuire in modo velato la sua simpatia per il Signore, una frase saggia che viene però liquidata freddamente dagli altri farisei. Il profeta Michea infatti profetizzò la nascita del Messia a Betlemme ma tutti quanti ignoravano il fatto che Gesù fosse effettivamente nato lì, nonostante avesse sempre vissuto a Nazareth in Galilea.



A COSTO DELLA VITA

L'ultimo incontro con Nicodemo si realizza durante la terza Pasqua, all'ombra della croce: dopo la passione e la morte di Cristo. E' un incontro di profonda tristezza, nel quale accade qualcosa che nessun lettore del vangelo si sarebbe mai aspettato. 

Dopo queste cose, Giuseppe d'Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma in segreto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di poter prendere il corpo di Gesù, e Pilato glielo permise. Egli dunque venne e prese il corpo di Gesù. Nicodemo, che in precedenza era andato da Gesù di notte, venne anch'egli, portando una mistura di mirra e d'aloe di circa cento libbre. Essi dunque presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in fasce con gli aromi, secondo il modo di seppellire in uso presso i Giudei.
Giovanni 19:38-40 

Nel momento dell'arresto di Gesù, i dodici apostoli furono smarriti e Pietro rinnegò addirittura per tre volte di essere un suo discepolo. Gesù venne flagellato e infine crocifisso, trovando la morte. Nel momento più buio di tutto il vangelo, quando la "luce" è stata apparentemente soffocata con successo dagli uomini che preferivano le tenebre, si presentano solo due persone: Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo. Come ricorda l'autore, egli era andato in precedenza da Gesù di notte, ma ora va da lui in pieno giorno a prenderne il corpo, mettendo in diretto pericolo la sua stessa vita.

Nicodemo porta con sé l'equivalente di 30 kg di una mistura di mirra e aloe necessaria per il trattamento prima della sepoltura, una quantità usata di solito per i re. La mirra però oltre a questa applicazione ne aveva anche un'altra, molto importante:

Prenditi anche i migliori aromi: di mirra vergine, cinquecento sicli; di cinnamomo aromatico, la metà, cioè duecentocinquanta sicli; di canna aromatica, pure duecentocinquanta; di cassia, cinquecento, secondo il siclo del santuario, e un hin di olio d'oliva. Ne farai un olio per l'unzione sacra, un profumo composto secondo l'arte del profumiere; sarà l'olio per l'unzione sacra. Con esso ungerai la tenda di convegno, l'arca della testimonianza, la tavola e tutti i suoi utensili, il candelabro e i suoi utensili, l'altare dei profumi, l'altare degli olocausti e tutti i suoi utensili, la conca e la sua base. Consacrerai così queste cose, ed esse saranno santissime: tutto quello che le toccherà sarà santo. Ungerai Aaronne e i suoi figli, li consacrerai perché mi servano come sacerdoti.
Esodo 30:23-30

Alla nascita di Cristo, dei magi d'Oriente gli fecero dono della mirra, proprio per simboleggiare l'unzione sacra presente nel Signore. Al suo decesso invece, Nicodemo porta Mirra e Aloe, confermando l'unzione e simboleggiando l'espiazione dei peccati attraverso una morte che nessuno si poteva spiegare.
Il quarto canto del servo di YHWH del libro di Isaia descrive profeticamente questo aspetto nel seguente modo:

Dopo l'arresto e la condanna fu tolto di mezzo;
e tra quelli della sua generazione chi rifletté
che egli era strappato dalla terra dei viventi
e colpito a causa dei peccati del mio popolo?
Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi,
ma nella sua morte, egli è stato con il ricco,
perché non aveva commesso violenze
né c'era stato inganno nella sua bocca.
Isaia 53:8,9


CONSIDERAZIONI FINALI

Nicodemo appare come l'emblema dell'uomo alla ricerca di Dio. Cercare Gesù una notte è un'esperienza importante, ma non basta. Ecco quindi che bisogna declinare il sostantivo al plurale: sono necessarie più notti per trovare appieno Dio e in questo modo trovare anche sé stessi. La ricerca è un percorso che dura tempo e necessita metanoeō, il cambiamento di mente che viene comunemente tradotto con "ravvedimento". C'è un ravvedimento iniziale all'atto della conversione ma c'è anche un ravvedimento che deve essere rinnovato ogni giorno per continuare il viaggio alla ricerca del Signore. La vita spirituale non è una realtà che si può trovare e basta, ma al contrario è una realtà energetica, dinamica. Questo trova riscontro anche a livello testuale nello stesso vangelo di Giovanni: le due parole chiave infatti (amore e fede) sono entrambe presenti nel testo quasi unicamente sotto forma di verbi piuttosto che sostantivi. L'evangelista predilige il dinamismo dei verbi all'oggettività dei sostantivi.

Ecco quindi che in Nicodemo può immedesimarsi ogni credente, egli infatti rappresenta il percorso di fede comune. Un percorso che nasce dalla comprensione del vangelo ma con la necessità di vivere assieme allo Spirito Santo. Un percorso che porta inevitabilmente ad essere derisi nella società, tacciati di ignoranti e religiosi. Un percorso che porta fino alla croce, dove dare piena manifestazione della propria fede, senza più possibilità di ritorno. Ma proprio alla croce, dopo aver partecipato alla sofferenza di Cristo, si incontra la potenza della resurrezione, la manifestazione del regno di Dio, la gloria del Risorto. 

1 Corinzi 5:7 Purificatevi del vecchio lievito, per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata. 





























Bibliografia

- Bosetti Elena, Vangelo secondo Giovanni - i segni dell'Amore, Edizioni Messaggero Padova.
- Ravasi Gianfranco (commenti), La Bibbia di Gerusalemme vol. X, Edizioni Dehoniane Bologna.  

sabato 21 giugno 2014

L'inno cristocentrico



1. IL CONTESTO

Atti 19:1 Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, dopo aver attraversato le regioni superiori del paese, giunse a Efeso [...]

Durante il terzo viaggio missionario dell'apostolo Paolo, nella metà degli anni '50 del I secolo, egli arrivò nella città di Efeso, nell'Asia Minore, dove si trattenne a predicare per quasi tre anni. Laddove Apollo predicò e battezzò soltanto per il battesimo di Giovanni, Paolo battezzò nel nome del Signore Gesù con la potenza dello Spirito Santo, insegnando con franchezza nella sinagoga, e successivamente nella scuola di Tiranno. In questo periodo era presente un uomo di nome Epafra, originario di Colossi, che una volta tornato a casa riuscì a sua volta ad evangelizzare, e a fondare una nuova comunità a Colossi, anch'essa città dell'Asia Minore. 


Le due chiese crebbero e prosperarono, ma intorno al 62 d.C., durante la prigionia di Paolo a Roma (Atti 28:30), ricevettero entrambe una lettera dall'apostolo [1].

La chiesa di Efeso ricevette una lettera principalmente per scopi esortativi e parenetici, mentre per la chiesa di Colossi vi era uno scopo più profondo: le filosofie e gli insegnamenti pericolosi che vi serpeggiavano infatti stavano preoccupando il missionario Epafra. Quest'ultimo infatti decise di recarsi a Roma per trovare l'apostolo Paolo e chiedergli un supporto ed una direttiva apostolica necessaria a convincere i credenti di Colossi dell'urgente necessità di correggere questi pericolosi errori. 


Noi ringraziamo Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, pregando sempre per voi, perché abbiamo sentito parlare della vostra fede in Cristo Gesù e dell'amore che avete per tutti i santi, a causa della speranza che vi è riservata nei cieli, della quale avete già sentito parlare mediante la predicazione della verità del vangelo. Esso è in mezzo a voi, e nel mondo intero porta frutto e cresce, come avviene anche tra di voi dal giorno che ascoltaste e conosceste la grazia di Dio in verità, secondo quello che avete imparato da Epafra, il nostro caro compagno di servizio, che è fedele ministro di Cristo per voi.
Colossesi 1:3-7 
2. L'ERESIA DI COLOSSI

Nella lettera ai Colossesi, troviamo alcune espressioni che denotano una forte componente della chiesa di origini pagane, piuttosto che giudaiche. L'apostolo scrive: "un tempo eravate stranieri e nemici" (1:21); parla del "mistero in mezzo ai pagani, cioè Cristo in voi" (1:27), sottolineando anche quanto questi credenti in passato fossero immersi nel vizi (3:7), situazione difficilmente applicabile ai giudei per il loro impegno ad osservare la Torah.

Nel secondo capitolo di questa lettera, nei vv. 4-23, troviamo un brano polemico in cui l'apostolo mira in modo molto diretto al centro del problema. Essendo un testo di correzione, non definisce in modo chiaro l'eresia dei Colossesi, ma delinea in ogni caso delle caratteristiche che possono essere viste come dei veri e propri indizi. Nel c. 2 infatti troviamo:



v.4 Dico questo affinché nessuno vi inganni con parole seducenti



v.8 Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi del mondo e non secondo Cristo

v.20 Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo [...]

Nella versione originale, in greco, l'espressione "elementi del mondo" è resa con "stoichèia tou kòsmou", che allude appunto ad una serie di componenti che sarebbero coinvolti nel sostentamento della realtà del cosmo secondo un meccanismo dinamico universale. 

Nel I secolo, le due grandi aree di influenza per il cristianesimo erano rappresentate dall'ellenismo e dal giudaismo. L'ellenismo, ossia il mondo greco, era composto da una serie di filosofie tra cui vi era lo stoicismo. Questa corrente filosofica presentava il mondo come il risultato di una serie di energie cosmiche che interagivano tra di loro. La necessità dunque sarebbe stata quella di orientarsi verso queste potenze per poter essere condotti nella storia in modo assolutamente fatalistico e panteistico. Il richiamo agli "elementi del mondo", sembra suggerire un'adesione a questo tipo di concezione, opportunamente adattata ad un contesto cristiano. Questa quindi sarebbe una grave contaminazione per la giovane comunità di Colossi, ma quasi sicuramente non è stata l'unica. Sempre nello stesso capitolo infatti, si evidenziano anche altri indizi che portano verso una nuova direzione:

v.10 e voi avete tutto pienamente in lui, che è il capo di ogni principato e di ogni potenza

v.18 Nessuno vi derubi a suo piacere del vostro premio, con un pretesto di umiltà e di culto degli angeli [...] 

Il termine tradotto con "culto" rende la parola greca thrēskeia che identifica letteralmente una religione, o un'adorazione. Il riferimento quindi è quello di una "religione degli angeli", ossia probabilmente la venerazione per le potenze angeliche sorta in Giudea intorno al II secolo a.C., e testimoniata - per esempio - dal libro apocrifo dei Maccabei, ma anche da quello di Enoch etiope. Una tradizione religiosa che i Colossesi avevano sicuramente avuto modo di conoscere grazie ai propri contatti con il mondo ebraico. 

La rivolta dei Maccabei


2 Maccabei 11:6 Quando gli uomini del Maccabeo vennero a sapere che quegli assediava le fortezze, tra gemiti e lacrime supplicarono con tutto il popolo il Signore che inviasse il suo angelo buono a salvare Israele.

2 Maccabei 15:23 Anche ora, sovrano del cielo, manda un angelo buono davanti a noi per incutere paura e tremore.

Gli uomini mi sollevarono di là e mi fecero salire al sesto cielo. Là vidi sette angeli radunati, brillanti e gloriosi molto e i loro visi risplendevano come un raggio di sole; non c'è differenza di viso o di dimensione o di variazione dei vestiti. Questi regolano, insegnano il buon ordine del mondo, il corso delle stelle, del sole e della luna agli angeli che li guidano e agli angeli dei cieli e mettono armonia in tutta la vita celeste. Regolano anche i comandamenti e le istruzioni e la dolce voce dei canti e ogni lode di gloria. (Ci sono) angeli che sono sopra le stagioni e gli anni, angeli che (sono) sui fiumi e sui mari, angeli che (sono) sui frutti e l'erba e tutto ciò che ferve (di vita) e angeli di tutti i popoli. Essi regolano tutta la vita e (la) scrivono davanti al volto del Signore. In mezzo a loro (ci sono) sette Fenici, sette Cherubini e sette (angeli) con sei ali che risuonano l'un l'altro con una sola voce e cantano l'un l'altro. Non é possibile raccontare il loro canto e il Signore gioisce di quelli che sono sotto i suoi piedi.
1 Enoch 19:1-6 

Queste forze angeliche rappresentano proprio la realtà che l'apostolo Paolo voleva affrontare con i credenti di Colossi, ridisegnando questa cosmologia secondo la prospettiva di Cristo. Come visto in precedenza, Paolo esplicita il fatto che il Signore Gesù sia il capo di ogni principato e di ogni potenza, ossia di ogni ordine angelico. I Colossesi avevano iniziato a vedere Cristo come il primo tra gli angeli ma in ogni caso un loro pari. Un mediatore tra Dio e gli uomini, affiancato da molti altri mediatori, in un mondo governato da energie segrete da ricercare e sfruttare nel proprio percorso di crescita spirituale. Abbiamo quindi un sincretismo che unisce due differenti concezioni, una greca ed una giudaica, per la formulazione di qualcosa di nuovo e differente che appare come una conoscenza segreta all'interno del cristianesimo, in una forma tutto sommato simile al fenomeno dello gnosticismo cristiano che esploderà in tutto il suo vigore da lì a qualche decennio.

Per finire, altre indicazioni mostrano anche una serie di codici comportamentali specifici che si aggiungono al quadro appena delineato.

v.16 Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a feste, a noviluni, a sabati

v.21 «Non toccare, non assaggiare, non maneggiare» 

Queste espressioni alludono ad un certo codice comportamentale tipico delle sette con i loro riti segreti e i loro codici, necessari appunto per crescere nel proprio percorso mistico. Appare ora evidente il fatto di trovarsi davanti ad una specie di culto angelico pre-gnostico, nel quale l'osservanza di certe regole assicurava l'entrare in contatto con le energie del cosmo per poter essere infine in comunione con un consiglio angelico guidato da Cristo stesso, secondo una concezione ben lontana dagli insegnamenti apostolici. 


3. LA PRIMA PARTE DELL'INNO CRISTOCENTRICO (1:15-17)

Avendo ora definito il "veleno" di Colossi, possiamo affacciarci al suo "antidoto" comprendendo al meglio un brano di grande importanza all'interno del primo capitolo della lettera ai Colossesi. L'antidoto di Paolo è un inno della Chiesa delle origini, un segno distintivo della sua predicazione in ogni luogo e in ogni città. Possiamo avvicinarci ad esso contrapponendo due versetti di questa lettera, per poi giungere infine all'inno vero e proprio. 

1:23 se appunto perseverate nella fede, fondati e saldi e senza lasciarvi smuovere dalla speranza del vangelo che avete ascoltato, il quale è stato predicato a ogni creatura sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono diventato servitore.

"Se perseverate nella fede, senza lasciarvi smuovere". L'eresia di Colossi rischia di concretizzare la grande tentazione dell'apostasia, il rinnegamento della fede per la ricerca di nuove dottrine e filosofie. E' un "se" carico di importanza, che mette di fronte ad un bivio, una scelta che comporta conseguenze eterne. Il testo cristiano noto come Didaché, redatto tra la fine del I secolo e l'inizio del II, delinea proprio questo tema iniziando con le seguenti parole:

Due sono le vie, una della vita e una della morte, e la differenza è grande fra queste due vie. 


Una sistematizzazione dell'insegnamento che possiamo trovare in tutte le Scritture, ed in modo particolare nel Salmo 1. 

A questo "se" però, l'apostolo Paolo contrappone il cuore del suo messaggio:

Desidero infatti che sappiate quale arduo combattimento sostengo per voi, per quelli di Laodicea e per tutti quelli che non mi hanno mai visto di persona, affinché siano consolati i loro cuori e, uniti mediante l'amore, siano dotati di tutta la ricchezza della piena intelligenza per conoscere a fondo il mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti.
Colossesi 2:1-3 



Non esiste infatti alcuna sapienza o conoscenza nascosta all'infuori di Cristo. Non esiste nessun nessun angelo, nessuna filosofia o dottrina utile alla propria salvezza o alla propria crescita che non sia già stata annunciata dagli apostoli per conto del Signore. Ecco quindi la necessità per Paolo di presentare la verità, la risposta ai problemi della comunità, che veicola questa volta sotto forma di un vero e proprio inno che gli studiosi hanno identificato come preesistente alla lettera stessa. Molto probabilmente come affermato dal professor Lohmeyer, l'inno che troviamo al primo capitolo - nei versetti dal 15 al 20 - è nato nell'ambiente giudaico per la festa del Kippur, dell'Espiazione (Levitico 16), per celebrare la riconciliazione tra Dio e l'uomo. Un canto che Paolo avrebbe preso e modificato alla luce di Cristo, aggiungendo alcune parole chiave che in effetti sono addirittura individuabili, in quanto fanno perdere il ritmo e la cadenza poetica. Questo testo apparteneva ad uno stile sapienziale che segue l'eredità dell'ottavo capitolo del libro biblico dei Proverbi, ma laddove la sapienza veniva impersonificata in modo generico, ora viene invece associata a Gesù Cristo. 
Ai Corinzi Paolo stesso dirà infatti:

1Corinzi 1:30 Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione [...]

La sapienza di Dio decantata nell'Antico Testamento, è dunque Cristo Gesù.

Vediamo ora finalmente la prima parte di questo meraviglioso inno:


Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. 

Gesù viene presentato da subito come l'immagine del Dio invisibile. 
Nella nostra cultura un'immagine si riferisce all'estetica di una persona, di un oggetto o di una situazione. Nel mondo semitico invece l'immagine conteneva anche la sostanza della realtà rappresentata. Cristo dunque è l'immagine visibile del Dio invisibile, Colui che ha fatto conoscere Dio (Giovanni 1:18) e lo ha mostrato al mondo.

L'inno continua dicendo letteralmente che Egli è il "primogenito di tutta la creazione", distanziandosi però dall'attribuirgli il ruolo di creatura, in quanto la generazione di cui si parla è al di fuori del tempo e prima di ogni altra creazione. La sua supremazia infatti è evidente anche sui troni, signorie, principati e potestà, su ogni gerarchia angelica e spirituale. Egli non è il primo tra tante creature angeliche ma è piuttosto il primo in assoluto, che ha reso possibile la loro stessa creazione. Prima che esistesse qualsiasi cosa, Cristo era lì, ed è stato protagonista attivo della creazione di ogni cosa.

Nei vv. 16-17 infine compaiono tre importanti preposizioni che approfondiscono la relazione esistente tra Cristo ed il creato: in Lui sono state create tutte le cose, esse sono state create per mezzo di lui, ed in vista di lui. Il primo elemento indica che tutta la realtà è fondata in Cristo: tanto le potenze angeliche quanto l'intera realtà invisibile e visibile. Nulla può esistere e sussistere fuori da Gesù Cristo. 

Il secondo elemento indica che tutta la creazione è passata per le sue mani: niente esiste senza essere stato creato attraverso di lui. 
Infine la terza preposizione indica Cristo come finalità: tutto l'universo per tornare a Dio dovrà passare nuovamente per le mani di Gesù Cristo, esattamente come è stato per la prima creazione. Tutto quindi è avvolto dalla presenza di Cristo, senza alcuna eccezione. 


4. LA SECONDA PARTE DELL'INNO (1:18-20)

Egli è il capo del corpo, cioè della chiesa; è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato. Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza  e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli.

La seconda parte dell'inno si focalizza sul rapporto tra Cristo e la Chiesa. Nella prima parte si è evidenziato il ruolo del Signore nell'atto creativo, nel sostentamento della creazione e nella ricapitolazione del cosmo stesso, mentre in questa parte troviamo il Suo ruolo specifico in relazione alla Chiesa. Egli infatti ne è il capo, e oltre ad essere il primogenito di ogni creatura è anche il primo-genito (ossia dà inizio alla vita) tra coloro che sono soggetti alla morte. Avendo per primo attraversato la morte fino alla resurrezione, ora Egli trascina tutti con sé verso una nuova vita di resurrezione, affinché "diventi lui colui che ha il primo posto in tutti". 
Dopo questi versi, troviamo il massimo compiacimento di Dio nel far accasare (katoikeō include il termine oikìa, ossia casa) in Cristo tutta la sua pienezza. Gesù è quindi come un tempio, come una casa ripiena della presenza di Dio. Questa pienezza non riguarda una pienezza quantitativa, come l'acqua che colma un'anfora, ma dinamica, energetica: in Cristo c'è tutta la divinità con la sua forza salvifica [2]. Questo è il motivo per cui l'inno termina guardando alla riappacificazione di ogni cosa - tornando in questo modo al tema della prima metà -, tanto delle cose che sono sulla terra quanto quelle che sono nei cieli, ossia tutto il cosmo e non soltanto la Chiesa. Il termine tradotto con "riconciliare" veniva usato per indicare il tentativo di riconciliazione degli sposi. Lo scopo di Cristo può essere visto in questo senso quello di riunire con il suo abbraccio il cielo e la terra, secondo l'iniziale proposito di Dio. 

5. CONSIDERAZIONI FINALI


All'eresia di Colossi, l'apostolo Paolo risponde presentando la figura di Gesù Cristo come l'inizio, la fine e il tutto che vi è in mezzo. Egli infatti non è soltanto "l'alfa e l'omega" (Ap 22:13), ma anche tutte le altre lettere che vi si trovano tra le due. E tutto questo, per uno scopo ben preciso che possiamo trovare al secondo capitolo:

Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati; egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l'ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce; ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce.

Colossesi 2:13-15 

La vittoria di Cristo sulla morte, la riappacificazione di tutto il cosmo, non sono eventi lontani da noi, portano infatti con sé delle conseguenze che ci coinvolgono: il perdono dei peccati, il dono della vita eterna. L'enorme pergamena con tutti i nostri peccati è stata inchiodata sulla croce, annullandone il potere. Questa è l'origine del trionfo di Gesù Cristo, un termine (thriambeuō) che coinvolge tanto l'esercito del male, vinto e trascinato in cattività, quanto l'esercito di Cristo: l'unione degli angeli e dei redenti che glorificano insieme - e per l'eternità - il RE DEI RE E SIGNORE DEI SIGNORI. 

NOTE:

[1] La paternità della lettera ai Colossesi per la moderna critica biblica rimane un problema aperto. Gli studiosi infatti sono divisi tra coloro che la considerano una lettera pseudoepigrafa, composta da un diverso autore, e coloro invece che sostengono la piena autenticità della tradizionale attribuzione paolina. Il presente studio si allinea con questi ultimi studiosi, partendo quindi dal presupposto che Paolo di Tarso ne sia l'effettivo autore, così come affermato dalla lettera stessa.
[2] Cit. "La Bibbia di Gerusalemme con commenti di Gianfranco Ravasi", vol. XII, Edizioni Dehoniane Bologna, p.514.

BIBLIOGRAFIA:


La Bibbia di Gerusalemme con commenti di Gianfranco Ravasi, prima edizione 2006, vol. XII, Edizioni Dehoniane Bologna.

La Bibbia con note e commenti di John MacArthur, prima edizione 2007, Società biblica di Ginevra. 

mercoledì 11 giugno 2014

Le sette lettere dell'Apocalisse (parte IV): la chiesa di Tiatiri


«All'angelo della chiesa di Tiatiri scrivi:
Queste cose dice il Figlio di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco, e i piedi simili a bronzo incandescente: "Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio, la tua costanza; so che le tue ultime opere sono più numerose delle prime. Ma ho questo contro di te: che tu tolleri Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli. Le ho dato tempo perché si ravvedesse, ma lei non vuol ravvedersi della sua fornicazione. Ecco, io la getto sopra un letto di dolore, e metto in una grande tribolazione coloro che commettono adulterio con lei, se non si ravvedono delle opere che ella compie. Metterò anche a morte i suoi figli; e tutte le chiese conosceranno che io sono colui che scruta le reni e i cuori, e darò a ciascuno di voi secondo le sue opere. Ma agli altri di voi, in Tiatiri, che non professate tale dottrina e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiamano loro), io dico: Non vi impongo altro peso. Soltanto, quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga. A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni, ed egli le reggerà con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d'argilla, come anch'io ho ricevuto potere dal Padre mio; e gli darò la stella del mattino. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese".
Apocalisse 2:18-29 


Dopo aver dettato la lettera alla chiesa di Pergamo, il Signore Gesù si rivolge ora alla chiesa di Tiatiri. Questa città era situata a 30 km da Pergamo e poco meno da Sardi, trovandosi proprio lungo la strada che collegava queste due città. Era una realtà molto piccola, tanto che per molto tempo è stata considerata poco più di un semplice avamposto militare in difesa della città di Pergamo. L'unico elemento di notorietà di Tiatiri era legato al fruttifero commercio della tinta color porpora, che i tintori del posto riuscivano a produrre con grande qualità. Abbiamo a questo riguardo un aneddoto legato alla fondazione della chiesa di Filippi, durante il secondo viaggio missionario dell'apostolo Paolo così come ci viene raccontato nel libro degli Atti: 

Perciò, salpando da Troas, puntammo diritto su Samotracia, e il giorno seguente su Neapolis; di là ci recammo a Filippi, che è colonia romana e la città più importante di quella regione della Macedonia; e restammo in quella città alcuni giorni. Il sabato andammo fuori dalla porta, lungo il fiume, dove pensavamo vi fosse un luogo di preghiera; e sedutici parlavamo alle donne là riunite. Una donna della città di Tiatiri, commerciante di porpora, di nome Lidia, che temeva Dio, ci stava ad ascoltare. Il Signore le aprì il cuore, per renderla attenta alle cose dette da Paolo. 
Atti 16:11-14 

Paolo solitamente iniziava ad evangelizzare nella sinagoga del posto, ma a Filippi non vi era alcuna sinagoga, in quanto evidentemente la comunità ebraica non contava neanche dodici capifamiglia ebrei. Quindi la squadra apostolica cercò nelle vicinanze un "luogo di preghiera" iniziando proprio in quel posto, "lungo il fiume",  la propria attività ministeriale. Lidia era sicuramente una persona religiosa e il Signore le aprì il cuore dandole il privilegio di essere la prima persona convertita in quella città. Era originaria proprio di Tiatiri ed era una commerciante di porpora. Questi avvenimenti sono accaduti intorno al 50 d.C., circa quarant'anni prima della redazione dell'Apocalisse.

La lettera a Tiatiri presenta lo stesso schema delle altre sei lettere, ma la presentazione iniziale del Signore è per la prima volta quella di Figlio di Dio. Questo attributo è particolarmente immediato nel comunicare la divinità di Cristo; sorprendentemente nei vangeli esso viene pronunciato per la maggior parte delle volte dal diavolo e dai demòni, preoccupati del fatto che fosse già arrivato il tempo della manifestazione del Signore (Mt 4:3, 4:6, 8:29; Mc 3:11, 5:7; Lc 4:3, 4:9 etc.). Sicuramente però, anche molti altri personaggi usano questo stesso appellativo per riconoscere l'identità di Gesù. Parlando alla chiesa di Tiatiri, il Signore si espone immediatamente in tutta la Sua gloria ed autorità affermandole subito per poi riprendere inoltre la descrizione del corpo glorificato con cui si era appena presentato a Giovanni, descrizione peraltro uguale alla manifestazione di Dio a cui ebbe modo di assistere il profeta Daniele nel V secolo a.C:

Apocalisse 1:15 i suoi piedi erano simili a bronzo incandescente, arroventato in una fornace, e la sua voce era come il fragore di grandi acque.

Daniele 10:5,6 alzai gli occhi, guardai, ed ecco un uomo, vestito di lino, che aveva ai fianchi una cintura d'oro di Ufaz. Il suo corpo era come crisolito, la sua faccia splendeva come la folgore, i suoi occhi erano come fuoco fiammeggiante, le sue braccia e i suoi piedi erano come il bronzo splendente e il suono della sua voce era come il rumore d'una moltitudine.


Tanto Daniele quanto Giovanni, a questa vista così tremenda caddero a terra quasi morti. Ebbene il Signore si presenta alla chiesa di Tiatiri con questa stessa gloria, mostrando immediatamente tutta la Sua tremenda autorità, valida tanto sui credenti quanto sugli angeli e sui demòni. 

Continuando con lo schema iniziato con le precedenti tre lettere, dopo la presentazione troviamo degli elogi, che questa volta riguardano:

- le opere
- l'amore
- la fede
- il servizio
- la costanza
- il maggior impegno rispetto al passato

L'insieme di questi elementi sembrerebbe raffigurare una chiesa perfetta, una chiesa zelante, costante nel fare il bene e permeata dall'amore cristiano agapē, un amore disinteressato e altruista. Al versetto 20 del secondo capitolo tuttavia, arriviamo alla successiva parte della lettera, introdotta con un "ma":

Ma ho questo contro di te: che tu tolleri Iezabel, quella [gunē = donna/moglie] che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli. 

Il nome di questo personaggio deriva dalla vicenda raccontata nei libri dei Re, dove troviamo la malvagità della regina fenicia Izebel, moglie di Acab re di Israele. 


1 Re 21:25 In verità non c'è mai stato nessuno che, come Acab, si sia venduto a fare ciò che è male agli occhi del SIGNORE, perché era istigato da sua moglie Izebel.


Morte di Izebel - 2 Re 9
L'arte di manipolazione e seduzione di Izebel aveva raggiunto livelli satanici, la sua influenza sul marito le dava la possibilità di fare tutto ciò che le piaceva, governando di fatto dietro le quinte. Ella portò Israele a peccare di idolatria con gli idoli di Baal e Astarte, procedendo ad uccidere tutti coloro che si opponevano ai suoi piani. La dea Astarte rappresentava la grande madre fenicia, ed il suo culto era legato alla fertilità ed alla guerra, tanto che la mitologia ebraica successiva la associa ad un demone femminile della lussuria (questo infatti sembra essere il significato della forma plurale ʻAštārōṯ). Izebel insegnò al marito e a tutto il popolo di Israele come peccare di idolatria e fornicazione, esattamente come a metà degli anni 90 del I secolo stava facendo una donna della chiesa di Tiatiri nei confronti di questa comunità cristiana. Il termine che usa Giovanni per definirla può significare tanto donna, quanto moglie, e la presenza in alcuni manoscritti della parola "sou", ossia tua, porterebbe alla traduzione "che tu tolleri Iezabel, tua moglie". Poiché la lettera è indirizzata all'angelo della chiesa di Tiatiri (Ap 2:18), ossia al vescovo di quella comunità, una solida possibilità interpretativa porterebbe ad identificare questa Iezabel nella moglie del responsabile della chiesa di Tiatiri, colpevole di indurre i credenti a fornicare e a commettere idolatria. 
In tutto questo, la colpa più grave della chiesa era quella di tollerarla

Molti credenti sono convinti che l'etica cristiana si possa ricondurre soltanto a fare del bene, evitare di fare del male, cercare la pace con tutti ed evitare ogni conflitto. Sebbene siano di per sé tutte cose positive, se vissute con passivismo lasciano spazio ad altre persone di intervenire nella chiesa con influenze negative. Nuove dottrine e vecchie debolezze degli uomini stanno diffondendo anche al giorno d'oggi l'idea ammantata di santità che i cristiani non debbano giudicare in nessun caso, e che l'autorità dei pastori sia praticamente assoluta. Ebbene, non è questo l'insegnamento di Cristo e delle Scritture. Amare infatti può significare anche giudicare con discernimento, ed intervenire anche con risolutezza. Alla chiesa di Corinto, qualche decennio prima, l'apostolo Paolo scrisse:

Poiché, devo forse giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi stessiQuando qualcuno di voi ha una lite con un altro, ha il coraggio di chiamarlo in giudizio davanti agli ingiusti anziché davanti ai santi? Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? Se dunque il mondo è giudicato da voi, siete voi indegni di giudicare delle cose minime? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più possiamo giudicare le cose di questa vita! 
1 Corinzi 5:12, 6:1-3 

La chiesa può e deve giudicare sé stessa, la chiesa può e deve togliere il malvagio da sé stessa. Altrimenti è soggetta ad un severo giudizio di Dio, mostrato nei versetti successivi:

Ecco, io la getto sopra un letto di dolore, e metto in una grande tribolazione coloro che commettono adulterio con lei, se non si ravvedono delle opere che ella compie. Metterò anche a morte i suoi figli; e tutte le chiese conosceranno che io sono colui che scruta le reni e i cuori, e darò a ciascuno di voi secondo le sue opere.

Il Signore ha dato a questa donna del tempo per ravvedersi, ma non volendo ravvedersi dalla propria fornicazione e idolatria essa è caduta nel giudizio di Dio. Tutte le chiese devono conoscere che il Signore è Colui che scruta le reni e i cuori, e che darà a ciascuno secondo le proprie opere. La colpa e l'ipocrisia portano al rigetto e ribellarsi al governo del Signore, ma ogni vero credente dovrebbe vivere questa realtà al contrario, ricercando i giudizi di Dio per rendersi conto di quello che è necessario cambiare nella propria vita. 

Salmo 119:75 Io so, SIGNORE, che i tuoi giudizi sono giusti,
e che mi hai afflitto nella tua fedeltà.

Salmo 119:102 Non mi sono allontanato dai tuoi giudizi,
perché tu mi hai istruito.

Il giudizio di Dio, se trova ravvedimento è per l'istruzione. Al contrario, - e solo in questo caso -  se incontra ribellione è per la distruzione.  


I cinque punti dello schema nella lettera alla chiesa di Tiatiri

Dopo la presentazione di Gesù, l'elogio alla chiesa e la condanna alla tolleranza di Iezabel, troviamo ora l'esortazione a restare fedeli rivolta a coloro che in Tiatiri erano rimasti integri:

Ma agli altri di voi, in Tiatiri, che non professate tale dottrina e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiamano loro), io dico: Non vi impongo altro peso. Soltanto, quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga. 

L'espressione "profondità di Satana" probabilmente alludeva al fenomeno dello gnosticismo cristiano e alla filosofia che vedeva associare alle realtà spirituali unicamente lo spirito dell'uomo, lasciando così al corpo la possibilità di fare quel che più desiderava. A causa di questa concezione filosofica molti cristiani si allontanavano dalla sobrietà di vita insegnata da Cristo. A coloro che non professavano tale dottrina, il Signore esorta unicamente a tenere fermamente la loro posizione, fino al Suo ritorno. 

A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni, ed egli le reggerà con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d'argilla, come anch'io ho ricevuto potere dal Padre mio; e gli darò la stella del mattino. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese".

L'ultima parte della lettera promette a coloro che perseverano fino alla fine, potere sulle nazioni e la stella stessa del mattino in dono. Questi versetti citano il Salmo 2, contribuendo però a portare un valore aggiunto completamente inedito.

Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni
e in possesso le estremità della terra.
Tu le spezzerai con una verga di ferro;
tu le frantumerai come un vaso d'argilla.
Salmo 2:8,9 

Mentre in questo salmo messianico infatti leggiamo un decreto di Dio Padre in relazione al Figlio, al Suo possesso delle nazioni e al governo messianico, nel segmento conclusivo della lettera alla chiesa di Tiatiri troviamo che questo stesso potere di governo sulle nazioni verrà condiviso da Cristo con "chi persevera nelle Sue opere". Questa promessa è a dir poco eccezionale e segue lo stesso schema mostrato nelle lettere precedenti: ogni chiesa delle sette stava attraversando una prova in particolare e ogni chiesa ha potuto ricevere in caso di fedeltà una promessa che riguardava la vittoria proprio su quel tipo di prova. Ai credenti di Smirne che stavano subendo la persecuzione e il martirio, il Signore promette la corona della vita. Ai credenti di Tiatiri (rimasti fedeli) invece, che stavano subendo una terribile crisi nel governo interno di chiesa, il Signore promette potere di governo sulle intere nazioni nel regno messianico. La debolezza deve essere affrontata, superata e trasformata per la gloria di Dio. Il tutto è suggellato dalla comune frase conclusiva "Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese". Se nei vangeli più volte Cristo terminava i Suoi insegnamenti e le Sue parabole con l'esortazione «Chi ha orecchi per udire oda» (Mt 11:5, 13:9, 13:43; Mc 4:9, 4:23, 7:16, Lc 8:8, 14:35), qui invece esorta all'ascolto di ciò che dice lo Spirito, palesando un nuovo tempo spirituale nel quale è Dio Spirito Santo a parlare alle chiese. E' evidente l'importanza di cogliere questa esortazione e rispondere di conseguenza per qualsiasi chiesa locale di ogni epoca. Chi ignora i messaggi di Dio, come abbiamo visto, è destinato ad essere corretto, subendone infine il Suo giudizio. 


CONSIDERAZIONI FINALI


Come visto nelle precedenti lettere dell'Apocalisse (I), (II) e (III), i padri della Riforma Protestante interpretarono queste lettere come dei messaggi del Signore alla Chiesa universale delle varie epoche. La chiesa locale di Efeso quindi rappresenterebbe l'intera Chiesa del periodo apostolico (33 - 100 d.C.), quella di Smirne rappresenterebbe la Chiesa nel periodo della persecuzione (100 - 313 d.C.), la comunità di Pergamo identificherebbe la Chiesa compromessa (313 - 538 d.C.), mentre la chiesa di Tiatiri si riferirebbe alla Chiesa nel massimo della sua corruzione, all'incirca durante il medioevo, fino alla Riforma (538 - 1517 d.C.). Sicuramente la Chiesa cattolica romana ha potuto offrire il peggio di sé proprio nel periodo medioevale, a causa della corruzione, simonia, delle inquisizioni e delle crociate. L'istituzionalizzazione iniziata con l'Imperatore Costantino ha consentito ad una realtà che doveva essere spirituale e sociale di diventare invece la più rilevante potenza secolare del mondo, tanto per quanto riguarda le ricchezze vere e proprie quanto per il grado di l'influenza sui governi. La somiglianza tra la chiesa di Tiatiri e la Chiesa di questo periodo storico risulta quindi in effetti molto forte. 

In ogni caso, rimane fondamentale una prima interpretazione letterale, relativa al contesto del I secolo della piccola comunità locale di Tiatiri. Ogni epistola del Nuovo Testamento risulta essere diretta in primo luogo ad una comunità in particolare oppure alle chiese di una determinata regione, e - in quanto inserite nel canone biblico - in secondo luogo anche alla Chiesa nella sua totalità, per qualsiasi epoca. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, pertanto ogni scrittura deve essere letta, meditata studiata e diventare infine anche oggetto delle proprie preghiere al Signore. Questo caso non ne è certamente un'eccezione, ma al contrario un'importante conferma, essendo diretta esplicitamente ad una chiesa con dei problemi che si sono sicuramente ripresentati purtroppo in molte altre realtà. Così come ogni singolo credente si deve specchiare nella Bibbia per esaminare sé stesso, è fondamentale per ogni comunità farsi delle domande per vedere se si ravvisano dei problemi comuni con le chiese presentate nel Nuovo Testamento, cercando nelle epistole stesse le soluzioni a questi problemi.

Desidero a questo punto concludere questo approfondimento biblico con gli ultimi quattro versetti del salmo 95, che reputo adeguato in special modo alla situazione della chiesa destinataria di tale lettera, e a tutte le chiese che si trovano in questa stessa situazione.


Oggi, se udite la sua voce,
non indurite il vostro cuore come a Meriba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
quando i vostri padri mi tentarono,
mi misero alla prova sebbene avessero visto le mie opere. Quarant'anni ebbi in disgusto quella generazione, e dissi: «È un popolo dal cuore traviato; essi non conoscono le mie vie».
Perciò giurai nella mia ira:
«Non entreranno nel mio riposo!»
Salmo 95:8-11
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