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venerdì 31 gennaio 2014

Il ristabilimento della casa di Dio

Poiché così parla il SIGNORE: "Quando settant'anni saranno compiuti per Babilonia, io vi visiterò e manderò a effetto per voi la mia buona parola facendovi tornare in questo luogo. 
Geremia 29:10

Nel Gennaio/Febbraio del 597 a.C., Nabucodonosor II re di Babilonia conquistò Gerusalemme, imponendo una prima deportazione al popolo ebraico nel mese seguente (cfr. Daniele 1). A causa di una successiva rivolta di Giuda, alleata con gli egiziani, Nabucodonosor II tornò a marciare verso Gerusalemme nel 587 a.C. per conquistarla una seconda volta e distruggerla definitivamente, devastando anche il tempio di Dio. In questa occasione ebbe luogo una seconda deportazione dei rimanenti cittadini di Giuda verso Babilonia.
Per parecchi decenni gli ebrei rimasero qui in esilio, fino a quando il "decreto di Ciro" permise loro il rientro in patria, evento che effettivamente avvenne tra il 520 e il 515 a.C. quando più di quarantamila ebrei stimati tornarono nel territorio di Giuda. In questo contesto possiamo leggere il seguente brano tratto dal libro biblico di Esdra.
Il secondo anno dopo il loro arrivo alla casa di Dio, a Gerusalemme, il secondo mese, Zorobabele, figlio di Sealtiel, Iesua, figlio di Iosadac, con gli altri loro fratelli, sacerdoti e Leviti, e tutti quelli che erano tornati dall'esilio a Gerusalemme, si misero all'opera; incaricarono i Leviti dai vent'anni in su di dirigere i lavori della casa del SIGNORE. Iesua, con i suoi figli e i suoi fratelli, Cadmiel con i suoi figli, figli di Giuda, si presentarono come un sol uomo per dirigere quelli che lavoravano alla casa di Dio; lo stesso fecero i figli di Chenadad con i loro figli e con i loro fratelli, i Leviti.
Quando i costruttori posero le fondamenta del tempio del SIGNORE, vi si fecero assistere i sacerdoti vestiti dei loro paramenti, con delle trombe, e i Leviti, figli di Asaf, con dei cembali, per lodare il SIGNORE, secondo le direttive date da Davide, re d'Israele. Essi cantavano rispondendosi a vicenda, celebrando e lodando il SIGNORE: «Perché egli è buono, perché la sua bontà verso Israele dura in eterno». E tutto il popolo, gridando di gioia, lodava il SIGNORE, perché si erano poste le fondamenta della casa del SIGNORE. Molti sacerdoti, Leviti e capi famiglia anziani, che avevano visto la prima casa, piangevano ad alta voce mentre si ponevano le fondamenta della nuova casa. Molti altri invece alzavano le loro voci, gridando per la gioia, al punto che non si poteva distinguere il rumore delle grida di gioia da quello del pianto del popolo; perché il popolo gridava forte, e il rumore si udiva da lontanoEsdra 3:8-13 
Quando i costruttori posero le fondamenta del tempio del Signore, i sacerdoti ed i Leviti fecero qualcosa di molto particolare: suonarono e lodarono il Signore secondo le direttive date da Davide (cfr. 1 Cronache 16), cantando rispondendosi a vicenda! Dopo settant'anni di esilio, alla vista delle nuove fondamenta del tempio, il popolo esplose in grida di gioia lodando il Signore a gran voce. Possiamo considerare questo evento come un vero e proprio risveglio religioso per i giudei. Il libro di Esdra racconta successivamente dell'interruzione dei lavori a causa dei nemici di Giuda e Beniamino che fecero promulgare dal re Artaserse l'ordine di sospendere ogni lavoro. Ma in questa difficoltà politica, il Signore intervenne ancora una volta per voce dei profeti:
"Chi c'è ancora tra di voi che abbia visto questa casa nel suo primo splendore? E come la vedete adesso? Così com'è non è forse come un nulla ai vostri occhi? Ma ora, sii forte, Zorobabele!", dice il SIGNORE, "sii forte, Giosuè, figlio di Iosadac, sommo sacerdote; sii forte, popolo tutto del paese!", dice il SIGNORE. "Mettetevi al lavoro! perché io sono con voi", dice il SIGNORE degli eserciti, "secondo il patto che feci con voi quando usciste dall'Egitto. Il mio Spirito è in mezzo a voi, non temete!" Aggeo 2:3-5
La gioia del primo momento aveva lasciato velocemente posto allo sconforto della lettera di Artaserse, ma il Signore comunicò al popolo che la ricostruzione del tempio era pienamente nella Sua volontà, e che Lui era con loro. Non solo nella decisione, ma anche nella presenza. Un popolo abituato all'esistenza del glorioso tempio di Salomone, e alla presenza di Dio nell'arca dell'alleanza, poteva iniziare a dubitare del fatto che il Signore sarebbe tornato a dimorare in mezzo al popolo come una volta. Egli però dissolve completamente questo dubbio rivelando che il proprio Spirito era in mezzo e loro! I giudei tornarono a lavorare e ottennero anche l'approvazione del re, al quale seguì il ritorno in patria di Esdra stesso. 


Il secondo tempio divenne una delle più importanti radici della fede del popolo, che vedeva in esso il naturale proseguimento della religione dei loro padri. Nel periodo passato a Babilonia, nacque la tradizione sacerdotale, orientamento teologico che secondo la moderna esegesi biblica ha portato alla redazione dei libri delle Cronache e del primo capitolo della Genesi. Lo scopo della tradizione sacerdotale era appunto quella di esaltare il tempio ed il culto a Gerusalemme. Potremmo interpretare l'edificazione del secondo tempio come il coronamento del desiderio delle persone che vivevano questa particolare visione teologica. Dopo questo periodo storico però, le difficoltà non sono mancate e la visione teologica ebraica ha continuato ad arricchirsi in nuove forme. Lentamente è scomparsa la letteratura profetica ed è comparsa la letteratura apocalittica. In nuovi momenti di profonda crisi, a causa di una sfiducia legata al fallimento di molte speranze, nacque una prospettiva che affondava le radici nella storia, ma alzava lo sguardo verso il futuro ultimo dell'umanità, verso gli "ultimi tempi". Nuove rivelazioni del Signore, che avrebbero guidato tanto gli ebrei quanto i cristiani verso una fede più salda nei Suoi propositi eterni. 

«In quel giorno molte nazioni s'uniranno al SIGNORE e diventeranno mio popolo;io abiterò in mezzo a te e tu conoscerai che il SIGNORE degli eserciti mi ha mandato da te.Zaccaria 2:11 

domenica 26 gennaio 2014

Le primizie dello Spirito, il travaglio e le doglie di parto

L'Apostolo Paolo, scrivendo ai credenti di Roma, si addentra subito nel cuore del messaggio che vuole comunicare: la giustizia per la fede (1:17). Egli illustra la condizione di peccato dell'intero genere umano che ha una sola e comune possibilità di afferrare la salvezza, attraverso la giustizia di Dio ottenibile grazie alla fede in Cristo. L'Apostolo presenta il "binario" della legge di Dio, che pur essendo buona, porta al peccato a causa dell'impossibilità umana di adempierla. Dopo questa cattiva notizia però, egli indica anche un altro "binario" indipendente dal primo: il binario della giustizia di Dio mediante la fede. Attraverso la fede in Cristo infatti, Dio ha provveduto una possibilità infallibile per poter ottenere da Lui la giustificazione necessaria per la vita eterna. Da una parte l'impossibilità della giustificazione attraverso l'osservanza della legge di Mosè dunque, e dall'altra la certezza della giustificazione attraverso la fede in Cristo Gesù. Attraverso di Lui si è aperta una nuova porta, che permette di morire al peccato e diventare servi della giustizia. Liberi dal peccato quindi, la vita cristiana diviene una vita condotta direttamente dallo Spirito di Dio. 

Dopo aver condiviso questi importanti insegnamenti, l'Apostolo inizia a parlare proprio della libertà nello Spirito Santo.

Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev'essere manifestata a nostro riguardo. Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l'ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio. Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo. Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con pazienza. Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio. Romani 8:18-27 

A questo punto, Paolo scrive con una visione d'insieme incredibilmente ampia e nitida, una visione capace di abbracciare il passato e il presente con la consapevolezza di ciò che Dio farà in futuro. Potremmo dire che si espone ad un linguaggio profetico, utilizzando questo termine nel suo significato più stretto. Il cuore della profezia biblica infatti, è prima di tutto l'interpretazione del presente dal punto di vista di Dio, e solo grazie a questa consapevolezza, in alcuni casi vi è la possibilità di intravvedere eventi futuri. 


La tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità ed il pericolo dunque, non sono più elementi di inconsolabile sconforto. La condizione dei credenti, che ai pagani appare disperata e miserabile, nell'orizzonte cristiano assume i contorni di un'esperienza momentanea che non può essere neanche lontanamente paragonata alla gloria che sarà manifestata a loro riguardo. E non solo. L'intera creazione non è in uno stato di quiete, ma anzi vive in uno stato di perenne tensione aspettando in modo impaziente la manifestazione dei figli di Dio. Quello che agli occhi naturali può sembrare una deprecabile sofferenza, agli occhi spirituali appare chiaramente come una situazione simile alla fase del travaglio che precede il parto. La creazione geme, i credenti gemono e lo Spirito Santo stesso intercede con gemiti inesprimibili, tutti e tre in modo concorde, diretti verso il "parto" di qualcosa di nuovo

Cristo resuscitato è la primizia di quelli che sono morti (1 Co 15:20), il primo frutto della sua vittoria sulla morte. Ma il frutto vero, quello abbondante e duraturo deve ancora essere manifestato, nella resurrezione dei credenti (Romani 6:5). Tutti noi però viviamo nel momento di estrema agitazione che intercorre tra la primizia e la piena raccolta. Non solo noi credenti viviamo questa tensione, ma - come abbiamo visto - anche la creazione intera, e lo stesso Spirito Santo. I figli di Dio vivono nella libertà che Paolo descrive nella Lettera, ed è una realtà meravigliosa. Se contrapposta alla schiavitù del peccato, appare veramente in tutto il suo splendore: una nuova vita nella luce e nella gioia dello Spirito. Pur essendo in questa incredibile gioia però, in realtà è possibile vivere soltanto le primizie dello Spirito Santo. Noi cristiani stiamo vivendo solo "i primi fiori della stagione primaverile", uno stato di anticipazione come abbiamo detto prima. Il nostro gemito infatti riguarda la redenzione del nostro corpo, al quale siamo ancora sottomessi. La nostra fisicità, le malattie, la stanchezza, la fame, la debolezza, le tentazioni e la morte stessa sono tutti aspetti della limitazione del nostro corpo che ci ostacola anche nel servizio a Dio. Ma tutto questo accade secondo la Sua volontà, affinché sia chiaramente compresa da tutti la potenza di Dio, perfetta anche nelle limitazioni della nostra debolezza (2 Cor 12:9). La nostra salvezza infatti è secondo la speranza, e non è per l'appunto ancora visibile a tutti. In questo contesto interviene lo Spirito Santo, che arriva in aiuto alla nostra debolezza. Mentre non sappiamo neppure come pregare, come esprimere questo nostro disagio, questa nostra fame, questa nostra tensione e questo nostro dolore, Egli intercede in prima persona per noi, gemendo a sua volta. Quello che al v.25 la traduzione Nuova Riveduta rende con "sospiro" infatti, nell'originale è presente con il termine greco stenagmos che in senso stretto significa proprio gemito (essendo stato tradotto in questo modo anche in Atti 7:34). Lo Spirito Santo dunque geme di un gemito inesprimibile, intercedendo per i santi secondo il volere di Dio. Che meravigliosa armonia! La creazione, i figli di Dio e lo Spirito Santo uniti nella sofferente attesa della restaurazione di ogni cosa e nella piena manifestazione del Signore! 
Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni». E chi ode, dica: «Vieni». Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell'acqua della vita.Apocalisse 22:17 

Lo Spirito Santo e la Chiesa dicono: «Vieni», aspettando il ritorno di Cristo. E i cieli e la terra che odono (cfr. Is 1:2; Michea 1:2; 6:2; Ger 6:19) dicono anch'essi: «Vieni», chiamando lo Sposo, chiamando Gesù!
Colui che attesta queste cose, dice: «Sì, vengo presto!» Amen! Vieni, Signore Gesù! Apocalisse 22:20 


Le Scritture però vanno oltre, e descrivono in modo ancora più preciso il momento che potrebbe essere associato a questo immaginario parto. Infatti, ne parla proprio Gesù, nei Vangeli sinottici. Uscendo dal tempio, il Signore profetizza la sua distruzione e alle domande dei discepoli circa "il segno del tempo in cui tali cose dovranno compiersi" risponde con quello che è comunemente conosciuto come "il sermone profetico":
Ora, quando udrete parlare di guerre e di rumori di guerre, non vi turbate; perché bisogna che queste cose avvengano; ma non sarà ancora la fine. Infatti si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in vari luoghi, carestie ed agitazioni. Queste cose non saranno altro che l'inizio delle doglie di parto.Marco 13:7-8 (Nuova Diodati) 
L'inizio delle doglie di parto - l'inizio della fine di questo mondo - sarà contrassegnato da guerre, terremoti, carestie ed agitazioni, sedizioni, difficoltà. Molti si presenteranno dicendo di essere il Cristo ma non saranno Lui, e sedurranno parecchie persone. I credenti saranno perseguitati e si moltiplicheranno i falsi profeti, capaci anche di fare segni e prodigi. Tutto questo non riguarderà la fine, ma l'inizio della fine. I gemiti della creazione, dei credenti e dello Spirito si trasformeranno in una vera e propria sofferenza avvicinandosi al parto attraverso una tribolazione mai vista prima:
«Ma in quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà il suo splendore; le stelle del cielo cadranno e le potenze che sono nei cieli saranno scrollate. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire nelle nuvole, con grande potenza e gloria. Egli allora manderà i suoi angeli e raccoglierà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. Marco 13:24-27 (Nuova Diodati) 
Alla fine della tribolazione, alla fine di questa indicibile sofferenza finale, il Figlio dell'uomo arriverà sulle nuvole con grande potenza e gloria per raccogliere i suoi eletti alla resurrezione. Questa sarà la parusia, la piena manifestazione, la nascita vera e propria di un nuovo ordine di Dio, pianificato fin da prima della creazione del mondo. 
Ecco, io vi dico un mistero: non tutti morremo, ma tutti saremo trasformati, in un momento, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Perché la tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo trasformati.1 Corinzi 15:51 (+ cfr. 1Tess5)
I credenti in vita saranno trasformati e i credenti che dormono risusciteranno, ma tutti insieme si manifesteranno finalmente con un corpo incorruttibile simile al corpo di Cristo risorto. Egli con il suo soffio della sua bocca distruggerà l'empio (2 Tess 2:8) e regnerà con i credenti per mille anni (Ap 20:4), terminati i quali Satana sarà gettato nello stagno di zolfo e fuoco (Ap 20:9). La tensione e il dolore della creazione, dei figli di Dio e dello Spirito Santo, saranno stemperati e si dissolveranno nella gioia della nuova creazione, un nuovo cielo e una nuova terra che avrà al centro la nuova Gerusalemme: il tabernacolo eterno di Dio con gli uomini. 

sabato 11 gennaio 2014

Il Vangelo di Giovanni e i sette "IO SONO" di Gesù

"Io sono Colui che sono" - Esodo 3:14
Il Vangelo secondo Giovanni è uno dei quattro Vangeli canonici, ma presenta importanti differenze rispetto agli altri tre, chiamati "sinottici" proprio per le loro somiglianze e la possibilità di essere disposti su colonne parallele ed essere letti con uno sguardo d'insieme (sinossi). Essendo datato tra il 90 e il 110 d.C., il Vangelo di Giovanni è probabilmente l'ultimo ad essere stato redatto. Fin da una prima lettura appaiono evidenti le ragioni di distinzione rispetto ai sinottici, legate ad un differente quadro cronologico e geografico, ai miracoli (segni) e ai particolari insegnamenti di Gesù. Nei Vangeli sinottici troviamo quello che molti descrivono come il "segreto messianico", cioè la raccomandazione del Signore di non rivelare la sua vera identità messianica prima della passione (Mt 16,15-20; Mc 8,29-30; Lc 9,20-21; Mc 1,44; Mc 5,43; Mc 7,36; Mc 8,26; Mc 1,25; Mc 1,34; Mc 3,12). Sebbene inoltre ai discepoli venga rivelata questa sua identità (Mc 8:29), non troviamo vere e proprie conferme circa la divinità di Cristo. Il titolo di "Messia" infatti possedeva nella tradizione ebraica un significato diverso, essendo legato semplicemente ad un re o comunque una persona "unta da Dio". Giovanni invece apre il Vangelo con un'immediata proclamazione della divinità di Cristo:

Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. 
Giovanni 1:1 

Ricalcando le prime parole della Genesi, viene reinterpretata l'identità e la vita del Signore, portando chiarezza laddove poteva esserci confusione. 
Il Vangelo di Giovanni è contraddistinto anche dai segni, i miracoli che ne scandiscono la narrazione. Oltre a tutto questo però, presenta anche sette circostanze nelle quali il Signore si presenta in un modo particolare, richiamando la memoria del nome di Dio così come è stato rivelato nell'Antico Testamento. 

Mosè disse a Dio: «Ecco, quando sarò andato dai figli d'Israele e avrò detto loro: "Il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi", se essi dicono: "Qual è il suo nome?" che cosa risponderò loro?» Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono». Poi disse: «Dirai così ai figli d'Israele: "l'IO SONO mi ha mandato da voi"». 
Esodo 3:13,14 

L'IO SONO, YHWH, ha chiamato Mosè per liberare Israele dall'oppressione egiziana. Il Vangelo di Giovanni, dimostra a questo riguardo che lo stesso Dio si è incarnato nella persona del Figlio, per salvare questa volta l'intera umanità.

IO SONO IL PANE DELLA VITA

Essi dunque gli dissero: «Che dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora essi gli dissero: «Quale segno miracoloso fai, dunque, perché lo vediamo e ti crediamo? Che operi? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto, come è scritto: "Egli diede loro da mangiare del pane venuto dal cielo"». Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico che non Mosè vi ha dato il pane che viene dal cielo, ma il Padre mio vi dà il vero pane che viene dal cielo. Poiché il pane di Dio è quello che scende dal cielo, e dà vita al mondo». Essi quindi gli dissero: «Signore, dacci sempre di questo pane». Gesù disse loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà mai più sete. 
Giovanni 6:28-35 

Dopo aver sfamato cinquemila persone, la folla inseguiva Gesù per farlo re, riconoscendo in lui "il profeta che doveva venire nel mondo". Ma in realtà non avevano riconosciuto la sua vera identità. Egli allora esorta le persone ad adoperarsi per il cibo che non perisce e che solo il Figlio può dare. L'unico cibo spirituale che i giudei conoscevano però era la manna data loro da Mosè. Il Signore chiarisce che era stato Dio stesso a dare la manna e che Lui in prima persona era il pane della vita. "Io sono il pane della vita", frase che riprende il nome con cui Dio si è presentato a Mosè nell'Antico Testamento e il vero pane della vita, di cui la manna era probabilmente soltanto un'ombra (Eb 8). Il pane di Dio, Cristo stesso, è sceso dal cielo e ha dato la vita al mondo. Ha dato l'esistenza, in quanto leggiamo che "in lui sono state create tutte le cose" (Col 1:16), ma ha dato anche una nuova vita, una vita eterna destinata a tutti i figli di Dio. Chi viene al Signore Gesù non avrà più fame o sete perché avrà trovato la fonte inesauribile della vita, non avrà bisogno di null'altro perché i suoi bisogno spirituali saranno appagati in eterno.
Penso però che ci sia un'ulteriore interessante chiave di lettura insita in questa dichiarazione di Cristo. L'elemento del pane infatti era molto importante nella ritualità ebraica perché legata alle solenni feste annuali:

Il SIGNORE disse ancora a Mosè: «Parla ai figli d'Israele e di' loro: "Quando sarete entrati nel paese che io vi do e ne mieterete la raccolta, porterete al sacerdote un fascio di spighe, come primizia della vostra raccolta; il sacerdote agiterà il fascio di spighe davanti al SIGNORE, perché sia gradito per il vostro bene; l'agiterà il giorno dopo il sabato. 
Levitico 23:9-11 
[...]
15 «"Dall'indomani del sabato, dal giorno che avrete portato l'offerta agitata del fascio di spighe, conterete sette settimane intere.
[...]
17 Porterete dai luoghi dove abiterete due pani per un'offerta agitata, i quali saranno di due decimi di un efa di fior di farina e cotti con lievito; sono le primizie offerte al SIGNORE. 

Nel libro del Levitico, al ventitreesimo capitolo, leggiamo l'istituzione di queste feste, partendo con la Pasqua, continuando con la festa dei pani senza lievito, la festa delle primizie, la pentecoste e così via. Credo sia significativa la presenza massiccia in queste feste dello stesso elemento del pane. Abbiamo prima la Pasqua, che conosciamo bene, la festa dei pani senza lievito (che simboleggiano l'assenza di peccato in Cristo [Mt16:6]), la festa delle primizie in cui offrire un fascio di spighe e, dopo sette settimane, l'offerta di due pani. Le spighe, numerose e varie, vengono lavorate per ottenere la farina con cui cucinare il pane in pagnotte uniche ed uniformi. Questa immagine è alla base del memoriale della cena del Signore, mostrando come un grandissimo numero di credenti possano unirsi nel nome di Cristo e diventare "uno" nella Chiesa (Ef. 4:4) esattamente come Gesù è "uno" con il Padre (Lc 22:19, Gv 17:21), prendendo parte alla comunione con Cristo attraverso l'olio dello Spirito Santo. 

IO SONO LA LUCE DEL MONDO

Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Giovanni 8:12 

Dopo aver salvato la vita ad un'adultera presentando ai farisei la celebre frase "chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra", dando modo di osservare la misericordia di Dio che travalica il mero legalismo, il Signore prende nuovamente parola e proclama: "Io sono la luce del mondo". Il prologo del Vangelo di Giovanni presenta Cristo come "la vera luce che illumina ogni uomo" (Gv 1:9) e non manca di ribadire questo concetto con un'espressione di grande forza ed impatto. Egli non è solo il pane della vita ma è anche la luce del mondo. In un mondo coperto dalle tenebre del peccato, è impossibile giudicare con giusti giudizi, è impossibile avere discernimento e riconoscere ciò che veramente viene da Dio. Quando persino la sua legge viene pervertita dagli uomini per mercanteggiare o per governare sui deboli, non c'è alcuna possibilità di ammirare la luce del sole della giustizia. Per questo Cristo è venuto nel mondo: per portare la grazia e la verità (Gv 1:17) laddove mancavano completamente. Per illuminare ogni uomo e dare modo di riconoscere la salvezza di Dio nella forma più pura, incontaminata peccato degli esseri umani. Questo capitolo del Vangelo secondo Giovanni è denso di riferimenti al giudizio (8:5, 8:15, 8:26) e l'espressione in analisi acquista a questo riguardo un significato molto importante. Laddove il Signore è il pane della vita infatti, qui è la luce del mondo che permette di discernere ciò che viene da Dio da ciò che non viene da Dio. La Legge è da Dio, ma non il legalismo. Il giudizio è da Dio, ma nella forma più pura. Senza l'illuminazione della conoscenza di Cristo, è impossibile riconoscere queste realtà essendo immersi nelle tenebre più fitte. 

Perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce - poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità - esaminando che cosa sia gradito al Signore. 
Efesini 5:8-10 

IO SONO LA PORTA DELLE PECORE
 
In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei. Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono quali fossero le cose che diceva loro. Perciò Gesù di nuovo disse loro: In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.
Giovanni 10:1-7

Al capitolo nove del Vangelo di Giovanni leggiamo della guarigione miracolosa del cieco fin dalla nascita. Dopo l'interrogatorio da parte dei Giudei, l'uomo guarito viene scacciato e torna dal Signore, dove ha la possibilità di adorarlo. Ai presenti, Gesù dice di essere venuto in questo mondo affinché quelli che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi, riferendosi anche ai farisei che lo ascoltavano. In questo contesto inizia a parlare dell'ovile delle pecore e della porta che vi da accesso. Chi entra da un'altra parte infatti è un ladro o un brigante ma colui che entra dalla porta è il pastore, la cui voce è ben conosciuta dalle pecore che lo seguono. Questo discorso è un'introduzione al prossimo “Io sono”, in quanto Gesù inizia a presentare l'immagine dell'ovile, delle pecore e del pastore. Il cieco miracolato era appena stato scacciato in malo modo dai Giudei che avevano addirittura stabilito che chiunque avesse riconosciuto Gesù come Cristo sarebbe stato espulso dalla sinagoga (9:22). I leader religiosi avevano pubblicamente preso posizione rinnegando il Signore, e proprio in uno dei momenti di maggiore tensione, Gesù si paragona alla porta dell'ovile. Questo linguaggio non era completamente nuovo ai Giudei che ben conoscevano i passi dei profeti (Isaia 40, Geremia 31, Ezechiele 34) nei quali Dio si rivelava come pastore di Israele. Il pastore entra dunque dalla porta dell'ovile ma i ladri e i briganti vi entrano da un'altra parte. Le pecore riconoscono la voce del pastore, e seguono soltanto lui. Non cogliendo appieno il significato di queste parole però, Gesù esplicita ancora una volta la sua dichiarazione con il terzo “Io sono”. Egli è la porta delle pecore, l'accesso all'ovile e l'elemento che mantiene la protezione del gregge. Cristo è l'unico ingresso ufficiale e chiunque tenti di arrivare alle pecore per vie traverse non è altro che un ladro. Ancora una volta troviamo un giudizio all'aristocrazia religiosa che professava di essere il tramite per arrivare a Dio senza sapere di essere disapprovata da Lui stesso. Gli scribi e i farisei si vantavano di essere la frangia religiosa più rigorosa (e quindi maggiormente gradita a Dio), e con questa autorità si presentavano al popolo di Giuda. In questo contesto Gesù scardina completamente proprio questa loro presunta autorità rivelando di essere l'unica porta per l'ovile, l'unico accesso per il vero popolo di Dio, l'unica protezione per il gregge, l'unica autorità.

IO SONO IL BUON PASTORE
 
Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), perché è mercenario e non si cura delle pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. Giovanni 10:11-16

Dopo questa proclamazione però, il Signore continua ad parlare mostrandosi finalmente come buon pastore. Ricordiamoci l'immaginario profetico di Dio come pastore di Israele per arrivare direttamente alla grande rivelazione che questa affermazione comprendeva. Gesù torna a usare l'espressione “Io sono”, che già da sé richiamava il Nome di Dio, accostando ad essa la figura del pastore, che più volte nell'Antico Testamento troviamo essere stata affiancata a Dio stesso. Cristo dunque si presenta come Dio, pastore di Israele, che dà la vita per le sue pecore. Afferma inoltre di avere anche altre pecore che non sono di quell'ovile. Personalmente credo che queste parole si riferiscano a tutti i futuri credenti al di fuori del popolo di Israele. Il Nuovo Testamento parla di Giudei e stranieri accomunati dalla stessa salvezza in Cristo, e di una sola Nuova Gerusalemme in cui sarà presente il popolo di Dio come un solo gregge.

Ci sono persone che fanno i mercenari. Curano greggi che non sono di loro proprietà, solo per motivi economici. Nel momento del pericolo però non mettono a rischio la loro vita per qualcosa che per l'appunto non è loro. Israele invece è proprietà del Signore, il suo tesoro particolare (Deuteronomio 7:6), acquistato da Dio proprio come la Chiesa (1 Pietro 2:9). Il Signore come buon pastore, è arrivato a dare la sua stessa vita per la salvezza di tutto il gregge, cosa impossibile per chiunque altro. Poco più in là nel testo, troviamo infine una delle frasi più significative, una delle poche che hanno portato Gesù a rischiare di essere pubblicamente lapidato dai Giudei con l'accusa di bestemmia:

Giovanni 10:30 Io e il Padre siamo uno.

IO SONO LA RESURREZIONE E LA VITA

Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?» Ella gli disse: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che doveva venire nel mondo». Giovanni 11:25

Nel capitolo successivo troviamo l'intenso racconto della morte di Lazzaro, un racconto pieno di emozioni e di tensione. Gesù amava Lazzaro e le sue sorelle, e alla notizia della sua malattia decide di recarsi da loro con i discepoli. Quando arriva a Betania però, Lazzaro è già morto. Marta va incontro a Gesù e gli dice che se lui fosse stato con loro, non sarebbe morto. Gesù replica che sicuramente Lazzaro resusciterà. Marta intende la resurrezione dell'ultimo giorno ma il Signore chiarisce quello che le voleva dire con la quinta proclamazione degli “Io sono” del Vangelo di Giovanni: “Io sono la resurrezione e la vita”. Chi crede in Cristo, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in lui, non morirà mai. Questo momento di tensione culmina con la disperazione di Maria, davanti alla quale Gesù freme nello spirito, piange, e recandosi al luogo della sepoltura chiama Lazzaro alla vita. Questa dichiarazione, come le altre, va inserita nel suo giusto contesto. Un contesto di lutto, dolore, perdita, sofferenza, senso dell'ingiustizia. Di fronte a tutti questi sentimenti e a questo turbamento, le parole di Gesù sono come un faro nella tempesta, che traccia la giusta direzione verso il porto. Gesù è la resurrezione e la vita, egli è la vita per eccellenza e neanche la morte può contrastare questa verità. Gesù soffre, piange persino, ma sa di poterla affrontare, di poterla vincere con la sua vita. Poche parole fanno risorgere Lazzaro dai morti, e non “solo” nell'ultimo giorno della resurrezione ma proprio quel giorno. Gesù è la resurrezione e la vita. E' la vita abbondante che vince la morte.

Nel capitolo precedente troviamo un'anticipazione di questo tema, quando il Signore si identifica con il pastore che dà la vita per le sue pecore. Egli infatti continua dicendo:


Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio.
Giovanni 10:17,18

Egli parla di sé, preannunciando la sua passione, ma anticipa anche l'autorità che possiede proprio sulla morte. L'autorità di deporre la sua vita e di riprenderla. La vittoria completa però avverrà nell'ultimo giorno, secondo le parole dell'Apostolo Paolo:

Ecco, io vi dico un mistero: non tutti morremo, ma tutti saremo trasformati, in un momento, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Perché la tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo trasformati. Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta:
«La morte è stata sommersa nella vittoria».
«O morte, dov'è la tua vittoria?
O morte, dov'è il tuo dardo?»

1 Corinzi 15:51

IO SONO LA VIA, LA VERITA' E LA VITA

La narrazione del Vangelo continua con l'ultima cena e l'annuncio della morte di Cristo. I discepoli sono sgomenti e confusi e il Signore riprende a parlare con loro:

«Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi; e del luogo dove io vado, sapete anche la via». Tommaso gli disse: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo sapere la via?» Gesù gli disse: «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se mi aveste conosciuto avreste conosciuto anche mio Padre; e fin da ora lo conoscete, e l'avete visto».
Giovanni 14:1-7

 
Gesù dice ai discepoli che essi in realtà conoscono la via del luogo dove sta per andare, ma Tommaso non aveva compreso ancora una volta le parole del Signore. Ecco quindi un nuovo chiarimento che dirada la nebbia per portare ad una meravigliosa certezza: Gesù Cristo è la via che conduce al Padre, è la verità che conduce a Lui e la sua stessa vita. I discepoli, conoscendo Cristo, hanno conosciuto anche il Padre ed allo stesso modo anche i credenti di oggi possono conoscerlo attraverso la comunione con Lui. Mille dubbi, incertezze e confusioni portano a complicare le idee che possiamo avere circa il Signore e la vita eterna ma la realtà è molto semplice. I discepoli stavano vivendo l'ora più buia e la prova più intensa del loro ministero dimenticando proprio questa verità. Gesù però viene loro incontro con questa affermazione: Egli è la via, la verità e la vita! Anche noi possiamo avere timore di “perdere” la nostra comunione con il Signore, di non essere più con Lui a causa del dolore e della paura che stiamo attraversando, ma la verità su cui possiamo appoggiarci è che niente e nessuno potrà mai separarci dall'amore di Dio.

Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Com'è scritto:
«Per amor di te siamo messi a morte tutto il giorno;
siamo stati considerati come pecore da macello».
Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

Romani 8:35-39
IO SONO LA VERA VITE

«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più. Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciata. Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dare frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli. 
Giovanni 15:1-8

Avvicinandoci alla passione, Gesù condivide con i discepoli gli insegnamenti più intimi e intensi. In una delle sue ultime immagini, si identifica con la vera vite, laddove il Padre è il vignaiuolo. Anche queste parole non devono essere state completamente inedite per i discepoli che sicuramente conoscevano le Scritture: il tema della vigna infatti è ben presente anche nell'Antico Testamento. Isaia al capitolo 5; Geremia al capitolo 2, 6 e 12; Osea al capitolo 10 presentano tutti in accordo la metafora della vigna che rappresenta Israele. Il Signore si prodiga a piantare e coltivare con cura questa vigna, ma invece di uva essa produce uva selvatica, inservibile, invece di essere una vigna prospera produce tralci degenerati. Questa è la condizione del popolo di Israele. Le parole profetiche si dirigeranno verso la distruzione di questa vigna e la punizione di Israele con parole dure e sofferte. Ma proprio nel mezzo di questa desolazione, il Signore Gesù afferma: “Io sono la vera vite”. Di fronte alla disubbidienza di Israele, di fronte all'incomprensione del Suo amore e delle numerose sue infedeltà, il Signore interviene con una punizione più pedagogica che giudiziale e decide di intervenire in prima Persona con l'incarnazione del Figlio. Ora, Egli è la vera vite. Una vite che non è costituita dagli uomini e dai loro errori ma piuttosto dalla natura perfetta di Dio che giustifica – ossia rende giusti – attraverso la fede in Cristo. Il problema è dunque tagliato alla radice, e sostituito con una nuova pianta (la vita di Dio) che provvede fresca linfa a tutti i tralci, affinché ora finalmente possano produrre buon frutto. Non si tratta più di perseguire le opere della legge infatti, ma piuttosto di mantenere la relazione di intimità con il Signore. “Colui che dimora in me e nel quale io dimoro” dice il Signore, “porta molto frutto”. Un frutto che è conseguenza del dimorare in Lui e non del proprio virtuosismo, della propria bravura. Questa dichiarazione di Gesù ribalta completamente l'ordine delle cose: agli uomini incapaci di mantenere il patto con Dio, viene incontro Dio stesso, per onorare lo stesso patto e salvare coloro che erano perduti.

CONCLUSIONE

Questo è l'ultimo dei sette “Io sono” che Gesù pronuncia per spiegare la sua identità utilizzando, come abbiamo visto, immagini e metafore tratte in gran parte dalle stesse Scritture dell'Antico Testamento. Ritengo importante però anche la presenza di un nuovo “Io sono” alla fine del Vangelo di Giovanni, differente da quelli visti finora per il suo contesto e significato:

Dette queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Chedron, dov'era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Giuda, che lo tradiva, conosceva anche egli quel luogo, perché Gesù si era spesso riunito là con i suoi discepoli. Giuda dunque, presa la coorte e le guardie mandate dai capi dei sacerdoti e dai farisei, andò là con lanterne, torce e armi. Ma Gesù, ben sapendo tutto quello che stava per accadergli, uscì e chiese loro: «Chi cercate?» Gli risposero: «Gesù il Nazareno!» Gesù disse loro: «Io sono». Giuda, che lo tradiva, era anch'egli là con loro. Appena Gesù ebbe detto loro: «Io sono», indietreggiarono e caddero in terra. Egli dunque domandò loro di nuovo: «Chi cercate?» Essi dissero: «Gesù il Nazareno». Gesù rispose: «Vi ho detto che sono io; se dunque cercate me, lasciate andare questi». E ciò affinché si adempisse la parola che egli aveva detta: «Di quelli che tu mi hai dati, non ne ho perduto nessuno».
Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la prese e colpì il servo del sommo sacerdote, recidendogli l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Ma Gesù disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero; non berrò forse il calice che il Padre mi ha dato?»

Giovanni 18:1-11

Contestualmente al tradimento di Giuda, il Signore risponde alle richieste delle guardie rispondendo con il suo vero nome privo di ogni altra definizione: “Io sono”. La potenza di questo nome fa cadere a terra le guardie, svuotate della loro forza. Gesù però – adempiendo alle parole che abbiamo letto poco fa – depone volontariamente la sua vita nelle loro mani, decidendo di bere questo calice per il bene del genere umano.

Possiamo riprendere adesso la frase che ha iniziato questo studio, riflettendo su queste affermazione con una maggiore consapevolezza:

"L'IO SONO, YHWH, ha chiamato Mosè per liberare Israele dall'oppressione egiziana. Il Vangelo di Giovanni, dimostra a questo riguardo che lo stesso Dio si è incarnato nella persona del Figlio, per salvare questa volta l'intera umanità."

Le radici della fede cristiana


Il termine "dottrina" deriva dalla parola latina docere, che significa "insegnare". Nell'ambito cristiano identifica quindi l'intero insegnamento del cristianesimo, oppure l'insegnamento che riguarda uno o più argomenti in particolare. Il libro degli Atti degli Apostoli testimonia che la Chiesa fin dalla sua nascita osservava per l'appunto proprio "l'insegnamento degli apostoli" (At 2:42), così come era stato trasmesso direttamente da Cristo. Anche in epoca patristica, il centro del cristianesimo verteva ancora una volta su questo stesso insegnamento, cristallizzato nel Nuovo Testamento e riflettuto dai primi teologi che, a partire da Ireneo di Lione, provvidero a segnare la linea che avrebbe diviso l'ortodossia dall'eterodossia, l'insegnamento corretto da quello eretico. 

La teologia sistematica (detta anche dogmatica) si occupa a
questo riguardo di organizzare in modo ordinato l'insegnamento delle Sacre Scritture, in modo da presentare ed interpretare tutti i brani biblici che parlano di un determinato argomento per giungere ad una conclusione che faccia luce su una determinata posizione, chiarendo degli aspetti che altrimenti resterebbero oscuri. Troviamo quindi la dottrina su Dio, su Gesù Cristo, sullo Spirito Santo e la Trinità, sulla Chiesa, su Israele, sulla salvezza, sulla fine del mondo e molti altri argomenti che possano ordinare i concetti e gli insegnamenti dei testi biblici. Alcune di queste dottrine possono essere considerate fondamentali, in quanto condivise da tutte le denominazioni cristiane, mentre altre presentano differenze più o meno marcate a seconda della tradizione interpretativa della rispettiva denominazione. Ogni dottrina però affonda le proprie radici proprio dalle Scritture nella sua interezza, andando ad interrogare l'intero escursus biblico. Esistono certi brani però, che presentano in poche righe dei cenni a tutti gli aspetti dottrinali di fondamento, volendo trasmettere in breve i concetti principali della fede cristiana. Uno di questi brani, a mio avviso è quello di apertura alla Lettera dell'Apostolo Paolo ai Romani.

Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio, che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale abbiamo ricevuto grazia e apostolato perché si ottenga l'ubbidienza della fede fra tutti gli stranieri, per il suo nome - fra i quali siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo - a quanti sono in Roma, amati da Dio, chiamati santi, grazia a voi e pace da Dio nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo.Romani 1:1-7 

Paolo, presentandosi come mittente della lettera, usa subito un termine scandaloso: doulosparola greca che identifica gli schiavi dell'Impero romano, privi di ogni diritto e considerati quasi come animali. Paolo però usa questo termine dandogli un significato differente, un significato ebraico.

Ma se lo schiavo fa questa dichiarazione: "Io amo il mio padrone, mia moglie e i miei figli; io non voglio andarmene libero"; allora il suo padrone lo farà comparire davanti a Dio, lo farà accostare alla porta o allo stipite; poi il suo padrone gli forerà l'orecchio con una lesina ed egli lo servirà per sempre.
Esodo 21:5,6 

Ecco quindi che l'Apostolo si presenta sì come uno schiavo, ma come uno schiavo che volontariamente si sottomette al suo padrone. L'esperienza dell'incontro con Cristo (Atti 9), aveva palesato davanti ai suoi occhi il fatto di aver vissuto tutta la vita come un servo di Satana e la sua conversione aveva un significato bene chiaro per lui: essere stato liberato dal regno delle tenebre e trasportato nel regno del Figlio (Col 1:13). Ora era diventato un servo di Cristo Gesù. La parola doulos infatti sembra quasi avere lo scopo di introdurre il vero centro della vita, della teologia e del ministero di Paolo: la persona di Iēsous, il Christos. Rapportato a Lui, Paolo è uno schiavo, il cui unico scopo è proprio quello di indicare il Signore a tutte le genti. Lo stile di scrittura dell'Apostolo è spesso poco lineare proprio per questa tensione presente in lui, e sempre diretta verso il nome di Gesù Cristo. Ogni suo ragionamento, ogni sua tesi, ogni sua lezione o riprensione viene più volte inframezzata dal nome di Cristo, centro di tutta l'esistenza e dello scopo della sua vita. Seguendo la Lettera ai Romani, arriviamo quindi in questo modo immediatamente all'interno del cuore della teologia cristiana e della sua dottrina. 



La vita, l'identità e il ministero di Gesù di Nazareth (la sua incarnazione, morte e resurrezione) sono profetizzati nell'Antico Testamento, raccontati dai Vangeli e interpretati dal resto del Nuovo Testamento. La testimonianza della sua esistenza è confermata anche da fonti extra bibliche e le conseguenze della sua morte e resurrezione sono ben visibili ed evidenti anche oggi. La Chiesa cristiana, con tutte le sue denominazioni, è la prova più evidente della Sua esistenza. I riti e sacramenti cristiani sono basati sui suoi insegnamenti e sulla missione che ha affidato ai discepoli. Fin dal primo secolo, l'interpretazione della sua identità e divinità è stata oggetto di confusione, riflessione e confronto all'interno della cristianità. Da subito sono sorte comunità giudeo cristiane che negavano la sua divinità in accordo con il rigido monoteismo giudaico, altre che vedevano in lui un eone secondo una concezione gnostica, ed altri ancora che pensavano fosse una divinità inferiore rispetto al Dio dell'Antico Testamento. Nel 325 d.C. tuttavia, il Concilio di Nicea prese una posizione definitiva confermando l'insegnamento biblico della piena divinità di Cristo in accordo con le scritture:

Perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità 
Colossesi 2:9 

Da allora l'ortodossia cristiana vede in Cristo l'unico e vero Dio, nella persona del Figlio. 

Continuando la lettura dell'Epistola ai Romani, incontriamo ora il termine "apostolo", che designa in modo preciso l'incarico di missionario che Paolo ricopriva. Letteralmente questo termine significa "inviato", richiamando ancora una volta il pensiero a Colui che lo aveva mandato. Successivamente troviamo il motivo per cui Paolo era stato messo da parte: a causa cioè del Vangelo di Dio. La parola "vangelo" significa "buona notizia" e designa la notizia che gli emissari dei regni dell'epoca portavano nella capitale per informare della vittoria del sovrano in una determinata battaglia o guerra. Con la resurrezione di Cristo tutto si è compiuto (Gv 19:30), il Signore ha trionfato portando la salvezza non solo ai Giudei ma anche a tutte le famiglie della terra (Galati 3:8). Poco più in là nello stesso capito potremo leggere:

Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza (= dunamis) di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco; poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com'è scritto: «Il giusto per fede vivrà». 
Romani 1:16-17 

Il Vangelo è la 
dunamis di Dio, per la salvezza di chiunque crede. Questa parola designa una forza, una potenza miracolosa. Essa è la radice etimologica che ha portato alla formazione nella lingua italiana del termine "dinamite". Il vangelo è potenza di Dio, una potenza incontenibile e smisurata, che si manifesta pienamente nella salvezza di chiunque crede. L'esperienza che dà accesso a questa salvezza, è chiamata dall'Apostolo Giovanni "nuova nascita", un evento che accomuna tutti i figli di Dio. 

Gesù gli rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio». Nicodemo gli disse: «Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?» Gesù rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito. 
Giovanni 3:3-6  

Lo Spirito Santo, Dio stesso, provvede a convincere di peccato (Gv 16:8) il cuore delle persone portando alla luce un'esperienza completamente sovrannaturale: una nuova nascita spirituale. Così come ogni essere umano nasce grazie alla propria madre, allo stesso modo i figli di Dio nascono da Lui in un determinato momento della loro vita, ricevendo in quello stesso istante il sigillo dello Spirito Santo (Ef. 1:13). Un sigillo ufficiale, che lega i cristiani direttamente a Dio attraverso un fidanzamento (2 Cor 11:2) che sarà portato a compimento in un tempo escatologico, quando la Chiesa universale sarà presentata a Cristo come moglie (Ap 21:9) santa ed irreprensibile (Ef. 5:27). 

Paolo presenta il Vangelo, potenza di Dio manifesta nella nuova nascita, come promesso nel passato attraverso i profeti nelle sante Scritture, ponendo in questo modo un'altra pietra di fondamento, un'altra possente radice, nell'insegnamento cristiano. In età apostolica, il termine "Scritture" identificava quello che conosciamo come Antico Testamento, che veniva largamente utilizzato proprio per spiegare ed interpretare i fatti della morte e resurrezione di Cristo ad ebrei e gentili contemporanei. Ricordiamo il sermone di Pietro a Pentecoste, composto per più di metà da citazioni veterotestamentarie, ma anche la stessa Lettera ai Romani, la Lettera agli Ebrei solo per fare alcuni esempi. Nel corso del I secolo queste interpretazioni apostoliche sono state consolidate nel Nuovo Testamento che vie via veniva riconosciuto di pari autorità dell'Antico. La prima testimonianza scritta che abbiamo a questo riguardo coinvolge il canone muratoriano, probabilmente la lista più antica di libri neotestamentari, il cui documento originale è datato al 170 d.C. Già dal II secolo dunque le Sacre Scritture cristiane sono aumentate, andando ad includere appunto il Nuovo Testamento. Il concetto di fondo per la formazione del canone biblico non era tanto la scelta dei libri secondo la volontà dei padri della Chiesa, ma piuttosto il riconoscimento dell'autorità intrinseca che i libri avevano in sé. Ogni cristiano nato di nuovo quindi può riconoscere la differenza tra l'autorità spirituale di un libro biblico e quella minore (o assente) di un libro apocrifo, tanto oggi quanto nel II secolo. Ritengo che a questo riguardo siano molto importanti in particolare due versetti, che testimoniano direttamente dell'infallibilità delle Scritture:


Sappiate prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura proviene da un'interpretazione personale; infatti nessuna profezia venne mai dalla volontà dell'uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo.
2 Pietro 1:20, 21 

Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.
2 Timoteo 3:16,17 

Ogni Scrittura dunque è ispirata da Dio, scritta da uomini che sono stati sospinti dallo Spirito Santo. Per questo motivo viene ritenuta direttamente come Parola di Dio. La Bibbia tuttavia anche se contiene delle rivelazioni non è un libro rivelato (nel senso di dettato da Dio) ma piuttosto un libro ispirato da Dio. Questa significativa differenza consente al testo sacro di abbracciare le emozioni, i sentimenti, i ricordi, le capacità linguistiche, la cultura e le idee dei rispettivi autori umani, preservati da ogni errore direttamente dallo Spirito Santo. Lo Spirito Santo, come terza Persona della Trinità, ha portato al concepimento e all'incarnazione di Cristo, alla sua resurrezione, alla formazione della Chiesa e a quella delle Scritture, permette la nuova nascita e il cammino cristiano. Provvede doni spirituali e battezza nella potenza di Dio. Lo Spirito Santo è la Persona di Dio che è attualmente presente nel mondo, essendo Cristo alla destra nel Padre nei luoghi celesti. 

Tornando al brano di apertura della Lettera ai Romani, leggiamo ancora una volta le parole dell'Apostolo Paolo che diceva di aver ottenuto grazia ed apostolato mediante Cristo, per ottenere l'ubbidienza della fede fra gli stranieri. La grazia di Dio è all'origine del piano di salvezza dell'uomo, salvezza che travalica i confini etnici ebraici per abbracciare veramente individui di ogni "popolo, tribù e nazione" (Ap 5:9). Questa può sembrare un'ovvietà per i credenti del XXI secolo, ma in epoca apostolica era invece una scandalosa novità. Basta leggere gli Atti degli Apostoli per capire la grande tensione che hanno avuto gli Apostoli per riconoscere che questa salvezza avrebbe abbracciato tutti i popoli. Leggiamo lo scetticismo di coloro che ascoltarono il racconto di Pietro sulla conversione di Cornelio, ma anche le problematiche del Concilio di Gerusalemme e le stesse parole di Paolo nelle sue Lettere. 

Per questo motivo io, Paolo, il prigioniero di Cristo Gesù per voi stranieri...Senza dubbio avete udito parlare della dispensazione della grazia di Dio affidatami per voi; come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero, di cui più sopra vi ho scritto in poche parole; leggendole, potrete capire la conoscenza che io ho del mistero di Cristo. Nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere questo mistero, così come ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di lui; vale a dire che gli stranieri sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante il vangelo.
Efesini 3:1-6 

Il fatto che i gentili fossero partecipi della salvezza di Dio era nell'antichità un mistero accennato in modo criptico dai profeti veterotestamentari. Nessuno poteva non solo saperlo ma neanche immaginarlo! Pensiamo quindi allo scandalo che questa novità portò all'interno della Chiesa di Gerusalemme. Paolo tuttavia, testimonia di aver ricevuto grazia ed apostolato proprio per questa missione, che ha portato il Vangelo fino all'estremità della terra.

La stessa introduzione della Lettera ai Romani accenna a molto di più, coinvolgendo la dottrina dell'incarnazione di Cristo, della dinastia davidica, della resurrezione e dell'amore di Dio; mostrando in poche parole la ricchezza e la sovrabbondanza dell'insegnamento cristiano. Ritengo tuttavia che le riflessioni viste assieme possano riassumere le radici fondamentali della fede cristiana importanti tanto per chi si è appena avvicinato alla fede quanto per chi sta percorrendo questo percorso da diverso tempo. L'unico modo per progredire nella maturità cristiana infatti è quello consigliato dall'Apostolo Pietro. Leggiamo insieme queste parole e facciamole nostre. Solo così avanzeremo veramente nel nostro cammino, avvicinandoci al creatore e compitore della nostra comune fede:

Voi dunque, carissimi, sapendo già queste cose, state in guardia per non essere trascinati dall'errore degli scellerati e scadere così dalla vostra fermezza; ma crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. A lui sia la gloria, ora e in eterno. Amen.

2 Pietro 3:17,18 
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