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sabato 11 gennaio 2014

Il Vangelo di Giovanni e i sette "IO SONO" di Gesù

"Io sono Colui che sono" - Esodo 3:14
Il Vangelo secondo Giovanni è uno dei quattro Vangeli canonici, ma presenta importanti differenze rispetto agli altri tre, chiamati "sinottici" proprio per le loro somiglianze e la possibilità di essere disposti su colonne parallele ed essere letti con uno sguardo d'insieme (sinossi). Essendo datato tra il 90 e il 110 d.C., il Vangelo di Giovanni è probabilmente l'ultimo ad essere stato redatto. Fin da una prima lettura appaiono evidenti le ragioni di distinzione rispetto ai sinottici, legate ad un differente quadro cronologico e geografico, ai miracoli (segni) e ai particolari insegnamenti di Gesù. Nei Vangeli sinottici troviamo quello che molti descrivono come il "segreto messianico", cioè la raccomandazione del Signore di non rivelare la sua vera identità messianica prima della passione (Mt 16,15-20; Mc 8,29-30; Lc 9,20-21; Mc 1,44; Mc 5,43; Mc 7,36; Mc 8,26; Mc 1,25; Mc 1,34; Mc 3,12). Sebbene inoltre ai discepoli venga rivelata questa sua identità (Mc 8:29), non troviamo vere e proprie conferme circa la divinità di Cristo. Il titolo di "Messia" infatti possedeva nella tradizione ebraica un significato diverso, essendo legato semplicemente ad un re o comunque una persona "unta da Dio". Giovanni invece apre il Vangelo con un'immediata proclamazione della divinità di Cristo:

Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. 
Giovanni 1:1 

Ricalcando le prime parole della Genesi, viene reinterpretata l'identità e la vita del Signore, portando chiarezza laddove poteva esserci confusione. 
Il Vangelo di Giovanni è contraddistinto anche dai segni, i miracoli che ne scandiscono la narrazione. Oltre a tutto questo però, presenta anche sette circostanze nelle quali il Signore si presenta in un modo particolare, richiamando la memoria del nome di Dio così come è stato rivelato nell'Antico Testamento. 

Mosè disse a Dio: «Ecco, quando sarò andato dai figli d'Israele e avrò detto loro: "Il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi", se essi dicono: "Qual è il suo nome?" che cosa risponderò loro?» Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono». Poi disse: «Dirai così ai figli d'Israele: "l'IO SONO mi ha mandato da voi"». 
Esodo 3:13,14 

L'IO SONO, YHWH, ha chiamato Mosè per liberare Israele dall'oppressione egiziana. Il Vangelo di Giovanni, dimostra a questo riguardo che lo stesso Dio si è incarnato nella persona del Figlio, per salvare questa volta l'intera umanità.

IO SONO IL PANE DELLA VITA

Essi dunque gli dissero: «Che dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora essi gli dissero: «Quale segno miracoloso fai, dunque, perché lo vediamo e ti crediamo? Che operi? I nostri padri mangiarono la manna nel deserto, come è scritto: "Egli diede loro da mangiare del pane venuto dal cielo"». Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico che non Mosè vi ha dato il pane che viene dal cielo, ma il Padre mio vi dà il vero pane che viene dal cielo. Poiché il pane di Dio è quello che scende dal cielo, e dà vita al mondo». Essi quindi gli dissero: «Signore, dacci sempre di questo pane». Gesù disse loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà mai più sete. 
Giovanni 6:28-35 

Dopo aver sfamato cinquemila persone, la folla inseguiva Gesù per farlo re, riconoscendo in lui "il profeta che doveva venire nel mondo". Ma in realtà non avevano riconosciuto la sua vera identità. Egli allora esorta le persone ad adoperarsi per il cibo che non perisce e che solo il Figlio può dare. L'unico cibo spirituale che i giudei conoscevano però era la manna data loro da Mosè. Il Signore chiarisce che era stato Dio stesso a dare la manna e che Lui in prima persona era il pane della vita. "Io sono il pane della vita", frase che riprende il nome con cui Dio si è presentato a Mosè nell'Antico Testamento e il vero pane della vita, di cui la manna era probabilmente soltanto un'ombra (Eb 8). Il pane di Dio, Cristo stesso, è sceso dal cielo e ha dato la vita al mondo. Ha dato l'esistenza, in quanto leggiamo che "in lui sono state create tutte le cose" (Col 1:16), ma ha dato anche una nuova vita, una vita eterna destinata a tutti i figli di Dio. Chi viene al Signore Gesù non avrà più fame o sete perché avrà trovato la fonte inesauribile della vita, non avrà bisogno di null'altro perché i suoi bisogno spirituali saranno appagati in eterno.
Penso però che ci sia un'ulteriore interessante chiave di lettura insita in questa dichiarazione di Cristo. L'elemento del pane infatti era molto importante nella ritualità ebraica perché legata alle solenni feste annuali:

Il SIGNORE disse ancora a Mosè: «Parla ai figli d'Israele e di' loro: "Quando sarete entrati nel paese che io vi do e ne mieterete la raccolta, porterete al sacerdote un fascio di spighe, come primizia della vostra raccolta; il sacerdote agiterà il fascio di spighe davanti al SIGNORE, perché sia gradito per il vostro bene; l'agiterà il giorno dopo il sabato. 
Levitico 23:9-11 
[...]
15 «"Dall'indomani del sabato, dal giorno che avrete portato l'offerta agitata del fascio di spighe, conterete sette settimane intere.
[...]
17 Porterete dai luoghi dove abiterete due pani per un'offerta agitata, i quali saranno di due decimi di un efa di fior di farina e cotti con lievito; sono le primizie offerte al SIGNORE. 

Nel libro del Levitico, al ventitreesimo capitolo, leggiamo l'istituzione di queste feste, partendo con la Pasqua, continuando con la festa dei pani senza lievito, la festa delle primizie, la pentecoste e così via. Credo sia significativa la presenza massiccia in queste feste dello stesso elemento del pane. Abbiamo prima la Pasqua, che conosciamo bene, la festa dei pani senza lievito (che simboleggiano l'assenza di peccato in Cristo [Mt16:6]), la festa delle primizie in cui offrire un fascio di spighe e, dopo sette settimane, l'offerta di due pani. Le spighe, numerose e varie, vengono lavorate per ottenere la farina con cui cucinare il pane in pagnotte uniche ed uniformi. Questa immagine è alla base del memoriale della cena del Signore, mostrando come un grandissimo numero di credenti possano unirsi nel nome di Cristo e diventare "uno" nella Chiesa (Ef. 4:4) esattamente come Gesù è "uno" con il Padre (Lc 22:19, Gv 17:21), prendendo parte alla comunione con Cristo attraverso l'olio dello Spirito Santo. 

IO SONO LA LUCE DEL MONDO

Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Giovanni 8:12 

Dopo aver salvato la vita ad un'adultera presentando ai farisei la celebre frase "chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra", dando modo di osservare la misericordia di Dio che travalica il mero legalismo, il Signore prende nuovamente parola e proclama: "Io sono la luce del mondo". Il prologo del Vangelo di Giovanni presenta Cristo come "la vera luce che illumina ogni uomo" (Gv 1:9) e non manca di ribadire questo concetto con un'espressione di grande forza ed impatto. Egli non è solo il pane della vita ma è anche la luce del mondo. In un mondo coperto dalle tenebre del peccato, è impossibile giudicare con giusti giudizi, è impossibile avere discernimento e riconoscere ciò che veramente viene da Dio. Quando persino la sua legge viene pervertita dagli uomini per mercanteggiare o per governare sui deboli, non c'è alcuna possibilità di ammirare la luce del sole della giustizia. Per questo Cristo è venuto nel mondo: per portare la grazia e la verità (Gv 1:17) laddove mancavano completamente. Per illuminare ogni uomo e dare modo di riconoscere la salvezza di Dio nella forma più pura, incontaminata peccato degli esseri umani. Questo capitolo del Vangelo secondo Giovanni è denso di riferimenti al giudizio (8:5, 8:15, 8:26) e l'espressione in analisi acquista a questo riguardo un significato molto importante. Laddove il Signore è il pane della vita infatti, qui è la luce del mondo che permette di discernere ciò che viene da Dio da ciò che non viene da Dio. La Legge è da Dio, ma non il legalismo. Il giudizio è da Dio, ma nella forma più pura. Senza l'illuminazione della conoscenza di Cristo, è impossibile riconoscere queste realtà essendo immersi nelle tenebre più fitte. 

Perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce - poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità - esaminando che cosa sia gradito al Signore. 
Efesini 5:8-10 

IO SONO LA PORTA DELLE PECORE
 
In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei. Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono quali fossero le cose che diceva loro. Perciò Gesù di nuovo disse loro: In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.
Giovanni 10:1-7

Al capitolo nove del Vangelo di Giovanni leggiamo della guarigione miracolosa del cieco fin dalla nascita. Dopo l'interrogatorio da parte dei Giudei, l'uomo guarito viene scacciato e torna dal Signore, dove ha la possibilità di adorarlo. Ai presenti, Gesù dice di essere venuto in questo mondo affinché quelli che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi, riferendosi anche ai farisei che lo ascoltavano. In questo contesto inizia a parlare dell'ovile delle pecore e della porta che vi da accesso. Chi entra da un'altra parte infatti è un ladro o un brigante ma colui che entra dalla porta è il pastore, la cui voce è ben conosciuta dalle pecore che lo seguono. Questo discorso è un'introduzione al prossimo “Io sono”, in quanto Gesù inizia a presentare l'immagine dell'ovile, delle pecore e del pastore. Il cieco miracolato era appena stato scacciato in malo modo dai Giudei che avevano addirittura stabilito che chiunque avesse riconosciuto Gesù come Cristo sarebbe stato espulso dalla sinagoga (9:22). I leader religiosi avevano pubblicamente preso posizione rinnegando il Signore, e proprio in uno dei momenti di maggiore tensione, Gesù si paragona alla porta dell'ovile. Questo linguaggio non era completamente nuovo ai Giudei che ben conoscevano i passi dei profeti (Isaia 40, Geremia 31, Ezechiele 34) nei quali Dio si rivelava come pastore di Israele. Il pastore entra dunque dalla porta dell'ovile ma i ladri e i briganti vi entrano da un'altra parte. Le pecore riconoscono la voce del pastore, e seguono soltanto lui. Non cogliendo appieno il significato di queste parole però, Gesù esplicita ancora una volta la sua dichiarazione con il terzo “Io sono”. Egli è la porta delle pecore, l'accesso all'ovile e l'elemento che mantiene la protezione del gregge. Cristo è l'unico ingresso ufficiale e chiunque tenti di arrivare alle pecore per vie traverse non è altro che un ladro. Ancora una volta troviamo un giudizio all'aristocrazia religiosa che professava di essere il tramite per arrivare a Dio senza sapere di essere disapprovata da Lui stesso. Gli scribi e i farisei si vantavano di essere la frangia religiosa più rigorosa (e quindi maggiormente gradita a Dio), e con questa autorità si presentavano al popolo di Giuda. In questo contesto Gesù scardina completamente proprio questa loro presunta autorità rivelando di essere l'unica porta per l'ovile, l'unico accesso per il vero popolo di Dio, l'unica protezione per il gregge, l'unica autorità.

IO SONO IL BUON PASTORE
 
Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), perché è mercenario e non si cura delle pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. Ho anche altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. Giovanni 10:11-16

Dopo questa proclamazione però, il Signore continua ad parlare mostrandosi finalmente come buon pastore. Ricordiamoci l'immaginario profetico di Dio come pastore di Israele per arrivare direttamente alla grande rivelazione che questa affermazione comprendeva. Gesù torna a usare l'espressione “Io sono”, che già da sé richiamava il Nome di Dio, accostando ad essa la figura del pastore, che più volte nell'Antico Testamento troviamo essere stata affiancata a Dio stesso. Cristo dunque si presenta come Dio, pastore di Israele, che dà la vita per le sue pecore. Afferma inoltre di avere anche altre pecore che non sono di quell'ovile. Personalmente credo che queste parole si riferiscano a tutti i futuri credenti al di fuori del popolo di Israele. Il Nuovo Testamento parla di Giudei e stranieri accomunati dalla stessa salvezza in Cristo, e di una sola Nuova Gerusalemme in cui sarà presente il popolo di Dio come un solo gregge.

Ci sono persone che fanno i mercenari. Curano greggi che non sono di loro proprietà, solo per motivi economici. Nel momento del pericolo però non mettono a rischio la loro vita per qualcosa che per l'appunto non è loro. Israele invece è proprietà del Signore, il suo tesoro particolare (Deuteronomio 7:6), acquistato da Dio proprio come la Chiesa (1 Pietro 2:9). Il Signore come buon pastore, è arrivato a dare la sua stessa vita per la salvezza di tutto il gregge, cosa impossibile per chiunque altro. Poco più in là nel testo, troviamo infine una delle frasi più significative, una delle poche che hanno portato Gesù a rischiare di essere pubblicamente lapidato dai Giudei con l'accusa di bestemmia:

Giovanni 10:30 Io e il Padre siamo uno.

IO SONO LA RESURREZIONE E LA VITA

Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?» Ella gli disse: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che doveva venire nel mondo». Giovanni 11:25

Nel capitolo successivo troviamo l'intenso racconto della morte di Lazzaro, un racconto pieno di emozioni e di tensione. Gesù amava Lazzaro e le sue sorelle, e alla notizia della sua malattia decide di recarsi da loro con i discepoli. Quando arriva a Betania però, Lazzaro è già morto. Marta va incontro a Gesù e gli dice che se lui fosse stato con loro, non sarebbe morto. Gesù replica che sicuramente Lazzaro resusciterà. Marta intende la resurrezione dell'ultimo giorno ma il Signore chiarisce quello che le voleva dire con la quinta proclamazione degli “Io sono” del Vangelo di Giovanni: “Io sono la resurrezione e la vita”. Chi crede in Cristo, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in lui, non morirà mai. Questo momento di tensione culmina con la disperazione di Maria, davanti alla quale Gesù freme nello spirito, piange, e recandosi al luogo della sepoltura chiama Lazzaro alla vita. Questa dichiarazione, come le altre, va inserita nel suo giusto contesto. Un contesto di lutto, dolore, perdita, sofferenza, senso dell'ingiustizia. Di fronte a tutti questi sentimenti e a questo turbamento, le parole di Gesù sono come un faro nella tempesta, che traccia la giusta direzione verso il porto. Gesù è la resurrezione e la vita, egli è la vita per eccellenza e neanche la morte può contrastare questa verità. Gesù soffre, piange persino, ma sa di poterla affrontare, di poterla vincere con la sua vita. Poche parole fanno risorgere Lazzaro dai morti, e non “solo” nell'ultimo giorno della resurrezione ma proprio quel giorno. Gesù è la resurrezione e la vita. E' la vita abbondante che vince la morte.

Nel capitolo precedente troviamo un'anticipazione di questo tema, quando il Signore si identifica con il pastore che dà la vita per le sue pecore. Egli infatti continua dicendo:


Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio.
Giovanni 10:17,18

Egli parla di sé, preannunciando la sua passione, ma anticipa anche l'autorità che possiede proprio sulla morte. L'autorità di deporre la sua vita e di riprenderla. La vittoria completa però avverrà nell'ultimo giorno, secondo le parole dell'Apostolo Paolo:

Ecco, io vi dico un mistero: non tutti morremo, ma tutti saremo trasformati, in un momento, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba. Perché la tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo trasformati. Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità. Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta:
«La morte è stata sommersa nella vittoria».
«O morte, dov'è la tua vittoria?
O morte, dov'è il tuo dardo?»

1 Corinzi 15:51

IO SONO LA VIA, LA VERITA' E LA VITA

La narrazione del Vangelo continua con l'ultima cena e l'annuncio della morte di Cristo. I discepoli sono sgomenti e confusi e il Signore riprende a parlare con loro:

«Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi; e del luogo dove io vado, sapete anche la via». Tommaso gli disse: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo sapere la via?» Gesù gli disse: «Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se mi aveste conosciuto avreste conosciuto anche mio Padre; e fin da ora lo conoscete, e l'avete visto».
Giovanni 14:1-7

 
Gesù dice ai discepoli che essi in realtà conoscono la via del luogo dove sta per andare, ma Tommaso non aveva compreso ancora una volta le parole del Signore. Ecco quindi un nuovo chiarimento che dirada la nebbia per portare ad una meravigliosa certezza: Gesù Cristo è la via che conduce al Padre, è la verità che conduce a Lui e la sua stessa vita. I discepoli, conoscendo Cristo, hanno conosciuto anche il Padre ed allo stesso modo anche i credenti di oggi possono conoscerlo attraverso la comunione con Lui. Mille dubbi, incertezze e confusioni portano a complicare le idee che possiamo avere circa il Signore e la vita eterna ma la realtà è molto semplice. I discepoli stavano vivendo l'ora più buia e la prova più intensa del loro ministero dimenticando proprio questa verità. Gesù però viene loro incontro con questa affermazione: Egli è la via, la verità e la vita! Anche noi possiamo avere timore di “perdere” la nostra comunione con il Signore, di non essere più con Lui a causa del dolore e della paura che stiamo attraversando, ma la verità su cui possiamo appoggiarci è che niente e nessuno potrà mai separarci dall'amore di Dio.

Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Com'è scritto:
«Per amor di te siamo messi a morte tutto il giorno;
siamo stati considerati come pecore da macello».
Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

Romani 8:35-39
IO SONO LA VERA VITE

«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiuolo. Ogni tralcio che in me non dà frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che dà frutto, lo pota affinché ne dia di più. Voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunciata. Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dare frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli. 
Giovanni 15:1-8

Avvicinandoci alla passione, Gesù condivide con i discepoli gli insegnamenti più intimi e intensi. In una delle sue ultime immagini, si identifica con la vera vite, laddove il Padre è il vignaiuolo. Anche queste parole non devono essere state completamente inedite per i discepoli che sicuramente conoscevano le Scritture: il tema della vigna infatti è ben presente anche nell'Antico Testamento. Isaia al capitolo 5; Geremia al capitolo 2, 6 e 12; Osea al capitolo 10 presentano tutti in accordo la metafora della vigna che rappresenta Israele. Il Signore si prodiga a piantare e coltivare con cura questa vigna, ma invece di uva essa produce uva selvatica, inservibile, invece di essere una vigna prospera produce tralci degenerati. Questa è la condizione del popolo di Israele. Le parole profetiche si dirigeranno verso la distruzione di questa vigna e la punizione di Israele con parole dure e sofferte. Ma proprio nel mezzo di questa desolazione, il Signore Gesù afferma: “Io sono la vera vite”. Di fronte alla disubbidienza di Israele, di fronte all'incomprensione del Suo amore e delle numerose sue infedeltà, il Signore interviene con una punizione più pedagogica che giudiziale e decide di intervenire in prima Persona con l'incarnazione del Figlio. Ora, Egli è la vera vite. Una vite che non è costituita dagli uomini e dai loro errori ma piuttosto dalla natura perfetta di Dio che giustifica – ossia rende giusti – attraverso la fede in Cristo. Il problema è dunque tagliato alla radice, e sostituito con una nuova pianta (la vita di Dio) che provvede fresca linfa a tutti i tralci, affinché ora finalmente possano produrre buon frutto. Non si tratta più di perseguire le opere della legge infatti, ma piuttosto di mantenere la relazione di intimità con il Signore. “Colui che dimora in me e nel quale io dimoro” dice il Signore, “porta molto frutto”. Un frutto che è conseguenza del dimorare in Lui e non del proprio virtuosismo, della propria bravura. Questa dichiarazione di Gesù ribalta completamente l'ordine delle cose: agli uomini incapaci di mantenere il patto con Dio, viene incontro Dio stesso, per onorare lo stesso patto e salvare coloro che erano perduti.

CONCLUSIONE

Questo è l'ultimo dei sette “Io sono” che Gesù pronuncia per spiegare la sua identità utilizzando, come abbiamo visto, immagini e metafore tratte in gran parte dalle stesse Scritture dell'Antico Testamento. Ritengo importante però anche la presenza di un nuovo “Io sono” alla fine del Vangelo di Giovanni, differente da quelli visti finora per il suo contesto e significato:

Dette queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Chedron, dov'era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Giuda, che lo tradiva, conosceva anche egli quel luogo, perché Gesù si era spesso riunito là con i suoi discepoli. Giuda dunque, presa la coorte e le guardie mandate dai capi dei sacerdoti e dai farisei, andò là con lanterne, torce e armi. Ma Gesù, ben sapendo tutto quello che stava per accadergli, uscì e chiese loro: «Chi cercate?» Gli risposero: «Gesù il Nazareno!» Gesù disse loro: «Io sono». Giuda, che lo tradiva, era anch'egli là con loro. Appena Gesù ebbe detto loro: «Io sono», indietreggiarono e caddero in terra. Egli dunque domandò loro di nuovo: «Chi cercate?» Essi dissero: «Gesù il Nazareno». Gesù rispose: «Vi ho detto che sono io; se dunque cercate me, lasciate andare questi». E ciò affinché si adempisse la parola che egli aveva detta: «Di quelli che tu mi hai dati, non ne ho perduto nessuno».
Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la prese e colpì il servo del sommo sacerdote, recidendogli l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Ma Gesù disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero; non berrò forse il calice che il Padre mi ha dato?»

Giovanni 18:1-11

Contestualmente al tradimento di Giuda, il Signore risponde alle richieste delle guardie rispondendo con il suo vero nome privo di ogni altra definizione: “Io sono”. La potenza di questo nome fa cadere a terra le guardie, svuotate della loro forza. Gesù però – adempiendo alle parole che abbiamo letto poco fa – depone volontariamente la sua vita nelle loro mani, decidendo di bere questo calice per il bene del genere umano.

Possiamo riprendere adesso la frase che ha iniziato questo studio, riflettendo su queste affermazione con una maggiore consapevolezza:

"L'IO SONO, YHWH, ha chiamato Mosè per liberare Israele dall'oppressione egiziana. Il Vangelo di Giovanni, dimostra a questo riguardo che lo stesso Dio si è incarnato nella persona del Figlio, per salvare questa volta l'intera umanità."

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