Il significato etimologico della parola
“teodicea” deriva dai lemmi greci théos (Dio) e da dìke
(giustizia), ovvero la “dottrina della giustizia di Dio”.
Agostino d'Ippona, intorno al 400 d.C.
scrive nel suo trattato “Confessioni” una frase che potremmo
prendere come sintesi del problema della Teodicea: “Si Deus est
unde malum? - Se Dio esiste [da dove] viene il male?”
La Bibbia presenta un Dio di amore e
bontà, che di conseguenza non può essere la sorgente del male. Ma
di fatto, Dio è l'unico Creatore, la sorgente di ogni cosa. Come
spiegare questo dilemma?
A cavallo tra il 400 e il 500 d.C., il
filosofo romano Severino Boezio ha ribaltato il problema ponendosi il
quesito: “Si Deus non est unde bonum? - Se Dio non esiste da dove
viene il bene?”
Visti i termini del problema, diventa
opportuno fare una prima distinzione tra la teodicea in senso
stretto, il cui compito è quello di rispondere alla domanda del
perchè Dio permette il male, e la difesa il cui compito è
quello di evidenziare l'assenza di contraddizioni tra le affermazioni
di Dio e l'assenza del male (1).
La teodicea
nell'antichità
Questa problematica in realtà precede il cristianesimo, trovando come primo vero esponente il filosofo greco Epicuro che intorno al 400 a.C. analizza il ragionamento in questi termini:
Questa problematica in realtà precede il cristianesimo, trovando come primo vero esponente il filosofo greco Epicuro che intorno al 400 a.C. analizza il ragionamento in questi termini:
- Gli dèi non vogliono il male ma non possono evitarlo (sarebbero buoni ma impotenti)
- Gli dèi possono evitare il male ma non vogliono (sarebbero cattivi)
- Gli dèi non possono e non vogliono evitare il male (sarebbero cattivi e impotenti)
- Gli dèi possono e vogliono ma non si interessano all'uomo.
Quest'ultima affermazione era
considerata dal filosofo come veritiera, era giunto quindi alla
conclusione che gli dèi sono indifferenti alle vicende umane e si
chiudono nella loro perfezione (2).
La teodicea nella
Bibbia
Arrivando ai libri biblici, nel Salmo
73 iniziamo a trovare un tema analogo: la prosperità degli empi e la
distretta dei giusti. Un apparente paradosso che trova però
soluzione nel considerare la perdizione a cui gli empi sono destinati
dalla volontà di Dio.
Il libro biblico che tratta questo
argomento con eccellenza però, resta quello di Giobbe. Di fronte a
tutto il male provato, egli inizia ad accusare Dio finché questi non
si rivela a lui personalmente come il Creatore di ogni cosa. Ecco
quindi che di fronte alla infinita saggezza e sapienza mostrata nella
creazione della natura e al sostentamento di ogni essere vivente, non
si può far altro che mostrare timore di Dio e fede in ciò che sta
facendo anche se al momento non abbiamo comprensione.
Nei Vangeli, in diversi passi (Lc
13:1-5; Gv 9:3) Gesù ridimensiona il principio teologico ebraico
della giustizia retributiva, secondo cui la sofferenza è la
punizione che Dio infligge agli ingiusti, così come la prosperità
sono un premio di Dio ai meritevoli. Emerge quindi un piano di Dio
superiore a queste dinamiche, un disegno quasi completamente
sconosciuto.
La teodicea in epoca
moderna
In epoca moderna il problema è stato
ripreso ed affrontato innumerevoli altre volte.
Dostoevskij nel suo ultimo romanzo “I
fratelli Karamazov” iniziato a pubblicare nel 1879, si sofferma
sulla sofferenza dei bambini, mostrando attraverso le parole di un
suo personaggio il rifiuto di credere che un giorno vittime e
carnefici potranno stare assieme come il leone con l'agnello (Is
65:25).
Di primaria importanza a questo
riguardo troviamo le parole del premio nobel Elie Wiesel, che in un
campo di concentramento nazista guardando un bambino agonizzante che
stava morendo sulla forca rispose a chi gli domandava dov'era Dio:
“Eccolo, è lì, appeso a quella forca”.
Sempre nella Seconda Guerra Mondiale
troviamo numerose testimonianze simili, e un sentimento comune di
rifiuto.
Il filosofo scozzese David Hume fu tra
i primi a riprendere in mano il problema partendo proprio dalle
riflessioni di Epicuro. Scrisse infatti: “La vecchia questione di
Epicuro è ancora senza risposta: Egli vuole eliminare il male ma non
può farlo? Allora è impotente. Può farlo ma non vuole? Allora è
malvagio. Vuole e può farlo? Perché il male esiste ancora?”(3)
Possiamo schematizzare i termini del
problema in questo modo:
- Dio è buono
- Dio è onnipotente
- Il male esiste
Un essere onnipotente e moralmente
perfetto cercherebbe di impedire ogni male. Il male però esiste ed è
ben visibile. La conseguenza è che Dio non esiste, oppure bisogna
ricalibrare tutto il ragionamento logico.
Un'argomentazione deduttiva
concluderebbe nel fatto che tale realtà è una confutazione alla
stessa fede. Un'argomentazione induttiva renderebbe improbabile
l'esistenza di Dio allontanandosi però dal pensiero di una
confutazione definitiva. Vi sarebbe infatti in questo caso la
possibilità di conciliare in qualche modo l'esistenza di Dio con il
male modificando o integrando una o più delle tre premesse iniziali:
a. Dio è un essere moralmente perfetto
b. Un essere onnipotente impedirebbe il
male se solo lo volesse
c. Un essere moralmente perfetto
cercherebbe di impedire ogni male.
Tale argomentazione però non è
riuscita ad andare più avanti, fermandosi all'improbabilità
dell'esistenza di Dio.
Anche lo scrittore cristiano C.S.Lewis
trattò l'argomento nel suo libro “Il problema della sofferenza”,
dove possiamo leggere:
“Se Dio fosse buono, desidererebbe
rendere le Sue creature perfettamente felici, e se Dio fosse
onnipotente sarebbe in grado di fare ciò che desidera.
Ma le creature non sono felici. Perciò
a Dio manca o la bontà, o l’onnipotenza, o tutte e due.
Questo è il problema della sofferenza
nella sua formulazione più semplice.”
La teodicea nelle altre
religioni
Al di fuori del cristianesimo, il
problema della teodicea non si pone nelle religioni basate sul
dualismo. Il male è prodotto dalle divinità negative che si
oppongono a quelle positive della divinità maggiore. Altre religioni
contemplano invece la reincarnazione, vedendo nelle sofferenze
presenti l'espiazione del male provocato nella vita precedente, e
viceversa interpretando la prosperità presente come un premio per
l'altruismo delle scorse vite.
Definizione del termine
“male”
A questo punto però, è utile tornare
al nostro protagonista iniziale, Agostino d'Ippona, che aveva
riflettuto sul termine stesso di “male”, effettuando delle
distinzioni molto calzanti:
→ Male morale – è il peccato, la
trasgressione della legge di Dio
→ Male fisico – il dolore, il male
come conseguenza di fenomeni naturali
→ Male ontologico/metafisico –
derivato dalla nostra creaturalità
Il vocabolario ebraico dell'Antico
Testamento non possedeva una parola specifica per indicare la "sofferenza", perciò viene definito come "male";
anche tutto ciò che è nel concetto di "sofferenza".
Solo nella lingua greca, e quindi nel Nuovo Testamento, abbiamo una
distinzione tra la sofferenza ed il male. In effetti i due concetti
sono distinti: una catastrofe naturale è male solo perchè arreca
sofferenza. L'esplosione della stella di un sistema solare invece non
può essere considerato male, poiché dove non c'è vita non c'è la
percezione della sofferenza.
Definizione del termine
“onnipotente”
Avendo approfondito il concetto di
male, arriviamo però ad una domanda successiva: “Cosa vuol dire
che Dio è onnipotente?”
Il Catechismo di Heidelberg,
risponde così:
“D. 26 Cosa credi quando dici: Io
credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra?
R. Che l'eterno Padre del nostro
Signore Gesù Cristo, che dal nulla ha creato cielo e terra con tutto
ciò che è in essi, ed anche li sostiene e li governa con il Suo
eterno consiglio e provvidenza, è, a motivo di Cristo Suo Figlio,
mio Dio e mio Padre, nel quale io anche confido, così che non dubito
che Egli mi provvederà tutto il necessario per il corpo e per
l'anima e che ogni male, che mi manda in questa valle di lacrime, lo
volgerà al mio bene poiché Egli può farlo, in quanto è un Dio
onnipotente, e vuol farlo, in quanto è un Padre fedele.
D. 27 Che cosa intendi per
provvidenza di Dio?
R. L'onnipotente e onnipresente
potenza di Dio, per la quale Egli sostiene, come se fosse con la Sua
mano, cielo e terra, con tutte le creature, e li governa in modo che
fronde ed erba, pioggia e siccità, annate fruttuose ed infruttuose,
mangiare e bere, salute ed infermità, ricchezza e povertà, ed ogni
cosa, non ci avvengono per caso, ma ci provengono dalla Sua mano
paterna.”
Le
soluzioni proposte nel corso della storia
Nel corso della storia sono state proposte principalmente le seguenti
soluzioni:
→ Dio
non è onnipotente (Whitehead, Moltmann e Jonas)
→ Dio
non è buono (Blumenthal)
→ Il
male non esiste (Agostino, Calvino e Barth)
1a. Dualismo.
La confessione di fede monoteistica in un Dio creatore lasciava un
certo margine alla credenza in forze ed energie malvagie, non però
alla fede nell'esistenza di un essere trascendente, dalla stessa
origine e potenza dell'unico Dio. Questo approccio infatti è sempre
stato considerato eretico.
1b. Il dualismo radicale.
Espresso nel manicheismo, nel zoroastrismo e, con dei limiti, da
Marcione.
E' contrario al messaggio biblico e mette in discussione
l'onnipotenza di Dio. Infatti se il bene e il male sono sullo stesso
piano, non possono essere considerati onnipotenti.
1c. Il dualismo moderato.
Presuppone un unico individuo superiore da cui deriva un principio
secondario (satana) a cui si assegna un ruolo importante
nell'interferenza con il mondo. Questo ragionamento non ha
biblicamente molto senso. Essendo Dio onnipotente, perchè non
impedisce a satana di operare il male e causare tante sofferenze?
1d. La teologia del processo.
Whitehead parte da un dualismo ontologico tra Dio e il mondo.
Dio non avrebbe creato il mondo ma lo avrebbe semplicemente ordinato
ed interverrebbe nella creazione non in modo diretto ma soltanto
persuadendo.
1e. Dio non è onnipotente.
Il
teologo Moltmann si è fatto promotore di una dottrina vicina a
quella appena descritta, in cui Dio avrebbe sofferto sulla croce,
mentre la teologia ufficiale aveva limitato questa esperienza alla
natura umana di Cristo. Secondo Moltmann anche il Padre soffrirebbe
nella passione del Figlio. Egli presenta quindi un Dio che soffre, un
Dio debole.
2a.
Dio non è buono: Egli è buono in senso relativo ma non assoluto.
Di fronte alla sofferenza nel mondo, i fedeli devono chiedere conto a
Dio e dare loro stessi il perdono. E' un punto di vista
inconciliabile con quello biblico.
3a.
Il male non è reale.
La realtà è buona
Il male è negazione del bene
Il male è negazione della realtà
Pertanto il male non è reale [Plotino – 204, 270 d.C.]
3b.
Il male come privazione del bene.
Agostino
d'Ippona percorre questo stesso sentiero descrivendo il male come la
mancanza, l'assenza del bene. In questo senso quindi il male non
avrebbe una sua natura, una sua consistenza ma sarebbe sempre in
relazione del bene, senza il quale non esisterebbe.
4a.
Sofferenza come pena per il peccato.
E' la spiegazione che danno gli amici al giusto Giobbe.
4b.
La sofferenza come strumento per educare e mettere alla prova.
Figlio mio, non
disprezzare la correzione del SIGNORE,
non ti ripugni la
sua riprensione;
perché il SIGNORE
riprende colui che egli ama,
come un padre il
figlio che gradisce. [Proverbi 3:11-12]
4c.
La sofferenza è un mistero.
Dio ha rivelato
all'uomo solo quello che concerne la sua salvezza, quindi la
sofferenza è un mistero che sarà svelato soltanto alla fine dei
tempi.
1)
Dio è onnipotente e governa l'universo.
Di
conseguenza vuole, non permette soltanto, l'esistenza del male.
2)
Il male non ha una sua ipostasi.
3)
L'esperienza della sofferenza è reale.
4) Dio è buono.
Calvino interpretò la distinzione tra
“potenza assoluta” e “potenza ordinata” come una distinzione
tra un potere senza alcuna regola e un potere che manifesti la
giustizia di Dio.
L'onnipotenza di Dio è quindi infinita
ma non assoluta, in quanto inscindibile dalla Sua giustizia, sapienza
e bontà.
“Il potere di Dio, non deve essere
considerato senza legge, tirannico o disordinato, eccessivo, senza
nessuna regola né misura o separato dalla Sua giustizia.
Se Dio non fosse giusto, Egli non
sarebbe più Dio, poiché la Sua gloria e la Sua divinità e il Suo
essere sarebbero del tutto aboliti.” [G. Calvino]
Per Calvino era
impensabile affermare che Dio può fare tutto quello che è possibile
in quanto la Sua onnipotenza e volontà sono legate l'una all'altra.
Alla domanda di
Platone: “il bene è tale perchè voluto da Dio, o se è voluto da
Dio perchè è bene?”, Calvino rispose senza esitazione. Il bene
quindi è la volontà stessa di Dio. Il bene è tale perchè voluto
da Dio.
Dall'onnipotenza
alla provvidenza
- Il caso quindi non esiste ma ogni
avvenimento è diretto da Dio.
- Dio è la causa e l'origine di ogni
movimento e controlla l'universo e la storia in modo permanente.
Con il primo principio Calvino mise in
discussione la dottrina epicurea che affermava che tutto avviene per
caso.
Con il secondo, si distanziò dagli
stoici che identificavano Dio dai processi naturali.
Per Calvino infatti Dio regge
l'universo ma non si identifica con esso.
A questo punto però se Dio è
onnipotente e governa ogni cosa, controlla anche il male?
In effetti, per Calvino è esattamente
così.
Il diavolo è tenuto al guinzaglio e
non può fare nulla senza ottenere prima il permesso da Dio,
esattamente come viene esplicitato nel libro di Giobbe.
Se satana e suoi non fossero tenuti al
guinzaglio infatti, tutto precipiterebbe nel disordine più totale.
“In quale condizione saremmo se
Satana fosse libero di agire contro di noi?
Se Dio non mantenesse sempre il
controllo e desse le briglie a Satana, tutto crollerebbe in totale
confusione e noi dovremmo sopportare molto di più di quanto Giobbe
ha dovuto sopportare.” [G. Calvino]
In quest'ottica
quindi crolla la debole posizione di chi argomenta che il male venga
“permesso” da Dio. Il male è uno strumento usato da Dio per
portare al bene, così come accadde al patriarca Giuseppe.
Agostino
e Calvino
Calvino cito’ nelle sue opere oltre 4.119 volte Agostino: 1175
nelle Istituzioni, 2214 in altri trattati di teologia, 504 nei
commentari, 47 nelle lettere, 33 nei sermoni, e 146 in altre opere.
L’intento
teologico occupa più della metà dei riferimenti ad Agostino: 59%.
Lo storico il 17%;
il polemico il 10%; l’esegetico l’, 8%; il retorico il 3%; il
filosofico l’, 1% e il resto il 2%.
Il
male non ha ipostasi ontologica
Per quanto riguarda il male e il
peccato , essi non affermano soltanto che si tratta di una privazione
di bene, ma è una qualcosa che non esiste. Essi ne parlano nella
stessa maniera in cui Paolo parla degli idoli, quando scrisse che
“un idolo è nulla" (I Cor. 8,4). [G.Calvino]
1) Il male non ha
una ipostasi ontologica e, di conseguenza ogni soluzione dualistica
del problema della teodicea è fermamente escluso. Solo Dio è
responsabile di qualunque cosa accade nell'universo e nella storia.
2) Il male e il
peccato sono sinonimi, nel senso che il male non è altro che un
atto.
3) Un atto è di
per sé né buono o cattivo.
4) Il solo criterio
per distinguere se un atto è bene o male è legato alla persona che
lo compie: qualsiasi Dio faccia è giusto di per se , mentre tutto
quello che l’uomo fa è peccato e quindi male.
Calvino però non
assume più la triplice classificazione di Agostino tra male morale,
fisico e metafisico. Promuove invece una distinzione tra causa remota
e causa prossima per dimostrare che Dio non è l'autore diretto del
male.
La volontà di Dio fu "la
causa remota" dell’ indurimento del Faraone, ma la volontà di
quest’ultimo che indurì il suo cuore, ne fu la causa prossima.
La causa prossima della riprovazione
di Israele, fu il loro non aver creduto al Vangelo, mentre il
proposito di Dio ne costituisce la causa remota.
Lo stesso accadde con Giobbe, il
quale riconoscendo che "il Signore ha dato, il Signore ha
tolto", ammise i ladri come la causa prossima e la volontà di
Dio come causa remota della sua sofferenza e mai si sognò di
accusare " Dio di peccato." [G.Calvino]
Egli affermò
inoltre che quello che Dio compie è sempre giusto, perché le Sue
intenzioni sono pure e sante, mentre quello che gli uomini compiono è
sempre ingiusto, perché le loro intenzioni sono comunque malvagie.
In altre parole, un
atto non ha alcuna qualità morale in sé, ma la sua legalità è in
funzione delle intenzioni, che in Dio sono sempre giuste e nell’uomo
sempre malvagie.
In altre parole, lo
stesso atto può essere giusto o sbagliato a seconda della persona
che lo compie.

Tutto verte sul
fatto però, che Dio convertirà tutto il male in bene, la realtà
del male è quindi provvisoria: ha carattere strumentale e non
definitivo!
Il Dio di ogni bontà non
sopporterebbe che il male venga compiuto a meno che esso non provochi
il bene. [G. Calvino]
Fonti:
(1) God, Freedom and Evil – Alvin
Plantinga
(2)
Manuale di filosofia. Dalle origini a oggi, ed. Lulu.com p.60
(3)
Dialogues
Concerning Natural Religion, David Hume.