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lunedì 20 giugno 2016

L'ultimo viaggio a Gerusalemme

Badate a voi stessi! Vi consegneranno ai tribunali, sarete battuti nelle sinagoghe, sarete fatti comparire davanti a governatori e re, per causa mia, affinché ciò serva loro di testimonianza. E prima bisogna che il vangelo sia predicato fra tutte le genti.
Marco 13:9,10 

INTRODUZIONE

Il Vangelo secondo Luca e il libro degli Atti degli Apostoli sono considerati dalla maggior parte degli esegeti come opere che formano una vera e propria unità1. Entrambi i testi hanno un carattere narrativo, presentando l'azione di Gesù e di alcune comunità della prima generazione cristiana come capitoli di un'unica storia, per cui la seconda parte inizia col riassumere quanto detto nella prima come base per la continuazione del racconto2. ll Vangelo inizia a descrivere l'annuncio della nascita di Gesù in Galilea, continua nella sua narrazione in Giudea per arrivare al fulcro del racconto della passione di Cristo avvenuta a Gerusalemme. Il libro degli Atti prosegue invertendo la direzione: i discepoli si riuniscono per Pentecoste a Gerusalemme, iniziano qui la testimonianza ma presto raggiungono il resto della Giudea, i popoli limitrofi ed infine "l'estremità della terra", rappresentata da Roma. Il cuore di entrambi risiede nella morte e risurrezione di Gesù Cristo a Gerusalemme: tutto il Vangelo conduce a questo momento e l'intero libro degli Atti racconta gli avvenimenti che hanno avuto luogo grazie a questo evento

La struttura fondamentale degli Atti degli Apostoli è delineata in due blocchi principali: il primo costituito dai capp. 1-12, nei quali troviamo la formazione ed il consolidamento della chiesa di Gerusalemme sotto la guida di Pietro, Giovanni e Giacomo, ed il secondo blocco delimitato dai capitoli 13-28, dove viene raccontata l'attività di Paolo3. Questa seconda parte è, a sua volta, suddivisa a livello letterario in tre sezioni: 

- la prima con il primo viaggio missionario di Paolo e Barnaba (13:1-15:35),
- la seconda con la grande missione di Paolo in tutto l'Oriente, culminante ad Efeso (15:36-19:22),
- la terza (19:23-28:31) con Paolo incatenato prima "in Spirito" nel viaggio da Efeso fino a Gerusalemme, e poi materialmente nel viaggio verso Roma4.   

Il secondo ed il terzo viaggio missionario, quindi, sono descritti senza soluzione di continuità. All'inizio del secondo viaggio troviamo il desiderio di Paolo di andare ad Efeso, un desiderio impedito momentaneamente da parte dello Spirito Santo (16:6). Per questo motivo l'apostolo diresse altrove i suoi passi in ubbidienza a Dio, continuando a svolgere il suo ministero fondando le chiese di Filippi, Tessalonica e Corinto. Solo dopo questi successi egli potè raggiungere finalmente la capitale della provincia romana d'Asia, portando anche qui la testimonianza del Vangelo ed istruendo meglio i discepoli già presenti. Successivamente il testo esplicita il desiderio di Paolo di andare a Gerusalemme, passando per la Macedonia e per l'Acaia. «Dopo essere stato là», diceva, «bisogna che io veda anche Roma». Durante questo ultimo viaggio verso Gerusalemme, l'apostolo tornò a confortare i fratelli in Grecia e in Macedonia. Tuttavia, è proprio qui che possiamo intravedere i primi segni di preoccupazione, che da lì a poco sarebbero stati descritti come la consapevolezza che stavano per attenderlo catene e tribolazioni. Dalla Macedonia giunse in Grecia, e dalla Grecia giunse a Troas.

Il primo giorno della settimana, mentre eravamo riuniti per spezzare il pane, Paolo, dovendo partire il giorno seguente, parlava ai discepoli, e prolungò il discorso fino a mezzanotte. Nella sala di sopra, dov'eravamo riuniti, c'erano molte lampade; un giovane di nome Eutico, che stava seduto sul davanzale della finestra, fu colto da un sonno profondo, poiché Paolo tirava in lungo il suo dire; egli, sopraffatto dal sonno, precipitò giù dal terzo piano, e venne raccolto morto. Ma Paolo scese, si gettò su di lui e, abbracciatolo, disse: «Non vi turbate, perché la sua anima è in lui». Poi risalì, spezzò il pane e prese cibo; e dopo aver ragionato lungamente sino all'alba, partì. Il giovane fu ricondotto vivo, ed essi ne furono oltremodo consolati. 
Atti 20:7-12 

Dal testo capiamo che questa lunghezza di esposizione non era la normalità, e che l'apostolo si era prolungato più del solito. Interpretando questo dato alla luce del contesto precedente e successivo, non possiamo evitare di comprenderlo come un'urgente necessità di istruire questi discepoli nel modo più completo possibile, intuendo che probabilmente non avrebbe più avuto alcuna altra occasione per farlo. Persino la morte del giovane Eutico perde la sua drammaticità a causa della risurrezione avvenuta in modo miracoloso per mezzo di Paolo, in modo simile a quanto accaduto grazie al profeta Eliseo nell'Antico Testamento (2 Re 4:34). Dopo quest'opera potente, Paolo rimase con questi fratelli, ragionando lungamente sino all'alba. Non conosciamo l'argomento di questi ragionamenti, ma possiamo immaginarlo sulla base di un "ultimo discorso" che l'apostolo avrebbe fatto da lì a breve. All'alba, infatti, Paolo si diresse ad Asso, poi a Mitilene, a Samo e a Mileto. Per non perdere tempo ed arrivare in fretta a Gerusalemme, egli mandò a chiamare gli anziani della chiesa di Efeso (20:17), che arrivarono proprio a Mileto per ascoltare l'ultimo discorso dell'apostolo. Un discorso di congedo dai responsabili della chiesa di Efeso, che prende però il sapore di un congedo molto più generale, un ultimo discorso esteso a tutte le comunità che aveva portato alla luce in questi anni così intensi. 

L'ULTIMO DISCORSO


















Quando giunsero da lui, disse loro:
«Voi sapete in quale maniera, dal primo giorno che giunsi in Asia, mi sono sempre comportato con voi, servendo il Signore con ogni umiltà, e con lacrime, tra le prove venutemi dalle insidie dei Giudei; e come non vi ho nascosto nessuna delle cose che vi erano utili, e ve le ho annunciate e insegnate in pubblico e nelle vostre case, e ho avvertito solennemente Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo.

Ed ecco che ora, legato dallo Spirito, vado a Gerusalemme, senza sapere le cose che là mi accadranno. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Ma non faccio nessun conto della mia vita, come se mi fosse preziosa, pur di condurre a termine la mia corsa e il servizio affidatomi dal Signore Gesù, cioè di testimoniare del vangelo della grazia di Dio. E ora, ecco, io so che voi tutti fra i quali sono passato predicando il regno, non vedrete più la mia faccia. Perciò io dichiaro quest'oggi di essere puro del sangue di tutti; perché non mi sono tirato indietro dall'annunciarvi tutto il consiglio di Dio. Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue. Io so che dopo la mia partenza si introdurranno fra di voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge; e anche tra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli. Perciò vegliate, ricordandovi che per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime. E ora, vi affido a Dio e alla Parola della sua grazia, la quale può edificarvi e darvi l'eredità di tutti i santificati. Non ho desiderato né l'argento, né l'oro, né i vestiti di nessuno. Voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di coloro che erano con me. In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere"».
Atti 20:18-35

Come abbiamo visto precedentemente, il desiderio dell'apostolo Paolo è stato sin dall'inizio della sua missione quello di arrivare in Asia. Dopo lunghi viaggi e qualche impedimento, egli ha potuto finalmente raggiungere questa regione, continuando il proprio ministero esattamente come aveva fatto negli altri luoghi raggiunti in precedenza. Paolo ha potuto servire il Signore in Asia con umiltà e con lacrime, in mezzo a problemi giunti tanto da parte dei Giudei quanto da parte dei Greci. Ma proprio in queste difficoltà, nel mezzo delle "spine", il seme della parola di Dio ha potuto crescere nel cuore di numerosi discepoli, arrivando a portare molto frutto (Mt. 13:23). Velocemente però, è sopraggiunto un tempo nuovo: il tempo di una nuova sfida. Egli sapeva di dover raggiungere Gerusalemme, e sapeva che il Signore lo voleva portare fino a Roma per rendere la sua testimonianza nel cuore dell'Impero romano, la città che poteva garantire il più forte eco del mondo intero. Per questo motivo quindi, nel mezzo di un veloce rientro verso il luogo da cui tutto era iniziato, egli ha dovuto salutare un ultima volta molte persone care al suo cuore. Molti discepoli di Gesù che aveva contribuito a evangelizzare, ad istruire, a curare teneramente e a sostenere in quello che era diventato il loro ministero. Questo discorso non è freddo e nozionistico: è un vero e proprio discorso pastorale. C'è un forte coinvolgimento emotivo, un forte sentimento di protezione, di amore paterno. Paolo aveva annunciato ed insegnato in pubblico e in privato, in tempo e fuori di tempo, probabilmente già con la consapevolezza che ogni giorno era prezioso in quanto presto sarebbe dovuto andare via. Ed il giorno dell'addio definitivo, era infine arrivato. Il fulcro di tutto il discorso, l'argomentazione che viene più volte ripetuta anche se con parole diverse, è proprio quella di aver istruito questi fratelli in modo completo. Paolo non si era risparmiato nel suo lavoro, e non aveva neanche tenuto per sé degli insegnamenti segreti, come sarebbe arrivato a dire il secolo successivo il maestro gnostico Valentino. No, Paolo sapeva che la responsabilità affidatagli da Dio era proprio quella di istruire in modo perfetto gli altri discepoli, in modo che potessero continuare a garantire che la chiesa rimanesse colonna e il sostegno della verità (1 Tim. 3:15). Tutta la concentrazione dell'apostolo era volta ad un unico scopo: condurre a termine la sua corsa e il servizio affidatogli dal Signore Gesù. E in questo servizio, reso con eccellenza, egli ha potuto ribadire il fatto di aver annunciato tutto il consiglio di Dio, non solo una parte, e di essere per questo motivo puro del sangue di tutti. Questo è un importante insegnamento per ogni cristiano, un'importante esortazione alla perseveranza nel proprio servizio senza risparmiarsi, ma al contrario donandosi completamente per il prossimo. Ci possono essere molti momenti difficili nei quali può serpenteggiare nelle nostre menti il pensiero di tirarci indietro. Ma lo Spirito di Dio in noi è uno Spirito di forza, amore e autocontrollo (2 Tim. 1:7), e viene in soccorso alla nostra debolezza rafforzando la nostra mano sull'aratro (Lc. 9:62). Paolo esorta gli anziani a badare a loro stessi. Questa infatti è la prima responsabilità di ogni cristiano. Prima di badare alla propria comunità, prima di badare alla propria famiglia, c'è la responsabilità di badare a sé stessi. Senza una disciplina nella propria vita di fede, nel proprio studio, nella propria devozione personale, sopraggiunge infatti una debolezza che non permette di essere d'aiuto per nessuno. No, il primo impegno, è senza dubbio quello di badare a noi stessi. Nessun uomo può essere più grande del tempo che spende in preghiera, né può avere più autorità di quella ricevuta nel tempo passato in comunione con il Signore. Solo quando la voce del Signore è chiara in noi, più forte della nostra stessa voce, possiamo infatti servire al meglio la nostra famiglia e la nostra chiesa. Dopo aver badato a sé stessi infatti, Paolo esorta questi anziani a badare al gregge che gli è stato affidato dallo Spirito Santo. Egli non afferma di averlo affidato loro in prima persona, ma che lo Spirito Santo lo aveva fatto. Nella chiesa ci deve essere un ordine costituito da Dio, ci sono persone alle quali viene affidata la conduzione di una comunità, ma più importante di ogni cerimonia, resta la volontà e la chiamata dello Spirito Santo. Forse se ci fosse più ascolto della voce del Signore si potrebbero risparmiare molte sofferenze alle chiese nel mondo. La responsabilità degli anziani è quella di pascere il gregge, ossia di prendersi cura dei credenti con la predicazione della parola di Dio, con la cura pastorale e il discepolato. Ma una delle loro responsabilità è anche quella di preservare i fratelli dalle false dottrine. Paolo sapeva che sarebbero arrivati falsi maestri che avrebbero fatto di tutto pur di prendere per sé dei discepoli nella chiesa. Ed è per questo che esorta ad una speciale vigilanza. Una vigilanza che tuttavia deve essere sempre garantita dai responsabili delle comunità, perchè purtroppo problemi di questo tipo non sono mai venuti a mancare dall'età apostolica in poi. Ogni ministro di Dio deve rendere conto di tutta la formazione che ha ricevuto per rendere onore al Signore con il proprio servizio. Per tre anni Paolo aveva ammonito gli efesini con lacrime, giorno e notte, ed è questo lavoro sofferente che gli anziani dovevano a questo punto onorare con una condotta irreprensibile. Alla fine del discorso, l'apostolo affida questi ministri alla grazia di Dio e alla sua Parola, sicuramente confidando nel fatto che colui che aveva iniziato un'opera buona in loro la avrebbe anche portata a compimento (Fil. 1:6). I sacrifici di Paolo, che non aveva neanche chiesto alcun sostegno economico per non essere di impedimento al Vangelo, da questo momento sarebbero stati rilasciati nelle vite di queste persone, moltiplicandosi attraverso i loro ministeri, secondo il proposito di Dio. Una nuova generazione di cristiani stava per iniziare a correre la propria corsa, combattere con impegno il proprio combattimento, con lo scopo di raggiungere alla fine il traguardo prefissato, conservando con gioia la propria fede.

CONSIDERAZIONI FINALI

La notte seguente, il Signore si presentò a Paolo e gli disse: «Fatti coraggio; perché come hai reso testimonianza di me a Gerusalemme, così bisogna che tu la renda anche a Roma».
Atti 23:11 
Dopo questo discorso, Paolo arriverà a Gerusalemme. Sarà catturato nel Tempio, con l'accusa di avervi introdotto un Greco (Atti 21:28).  Appellandosi a Cesare egli sarà condotto in catene a Roma, dove continuerà a proclamare il regno di Dio e insegnare le cose relative al Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento, anche se agli arresti domiciliari. Il suo discorso agli anziani di Efeso però, raccolto dall'autore degli Atti, entrerà in questo libro biblico, raggiungendo in tal modo tutti i cristiani delle generazioni successive. L'ultimo viaggio a Gerusalemme è stato senza dubbio un viaggio sofferto per Paolo, accompagnato dalla consapevolezza di una prigionia imminente ma senza alcuna certezza precisa a riguardo. Questa situazione può essere comune anche a tanti di noi, in momenti della vita che sembrano prigionieri nell'occhio di un ciclone, alla vigilia di una imminente prova o difficoltà. La condotta di Paolo però rimane di incoraggiamento anche in questa situazione. La cosa più importante è servire il Signore al meglio della nostra possibilità, senza risparmiarci. Conservandoci "puri dal sangue di ogni persona" per aver esposto con amore e completezza tutto il consiglio di Dio. E la grazia del Signore non potrà fare altro che sopraggiungere per la gloria del Signore e la nostra crescita: per la continua edificazione della sua Chiesa.


Note:

[1] Carmona Antonio Rodriguez, Monasterio Rafael Aguirre, Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, Ed. Paideia, cit. p. 239.
[2] Id. Ibid. cit. p. 244. 
[3] Id. Ibid. cit. p. 254
[4] Id. Ibid. cit. p. 255 

venerdì 10 giugno 2016

Il frutto dell'apostolato (parte IV): destinati ad ottenere salvezza

Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno. 
Daniele 12:2-3

INTRODUZIONE

Questa serie di studi nominati con il titolo "il frutto dell'apostolato" sono dedicati all'esegesi della Prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi. Nel primo studio ho approfondito il contesto storico relativo alla fondazione di questa comunità da parte dell'apostolo Paolo - così come descritto nel libro degli Atti degli Apostoli - e analizzato la prima metà della sezione narrativa della lettera. Nel secondo studio, continuando l'analisi da dove si era interrotta, ho commentato anche la seconda parte della prima metà della missiva, raggiungendo la sua prima conclusione alla fine del terzo capitolo. Nel terzo studio mi sono addentrato nella seconda metà dell'opera, dedicata all'istruzione ed esortazione, concentrandomi sul quarto capitolo. Lo scopo di questo quarto ed ultimo studio, è invece quello di terminare l'analisi della lettera affrontando il brano rimanente, diviso a livello letterario nella terza istruzione (5:1-10), seconda esortazione (5:12-22) e seconda conclusione (5:23-28). Di seguito lo schema generale utilizzato1:

PRIMA PARTE - NARRATIVA
1) Indirizzo (1:1)
2) Primo esordio (1:2-10)
3) Prima narrazione (2:1-12)

4) Secondo esordio (2:13-16)
5) Seconda narrazione (2:17-3:10)
6) Prima conclusione della lettera (3:11-13)

SECONDA PARTE - ISTRUZIONE ED ESORTAZIONE 
7) Prima esortazione (4:1-8)
8) Prima istruzione (4:9-12)
9) Seconda istruzione (4:13-18)

10) Terza istruzione (5:1-10)
11) Seconda esortazione (5:12-22)
12) Seconda conclusione della lettera (5:23-28)


La lettera in sé ha un sentimento fortemente pastorale, essendo costituita per circa metà della sua lunghezza dal ricordo dei momenti in cui l'apostolo ha potuto curare questi credenti, come una nutrice che cura teneramente i suoi bambini, e dalla descrizione degli eventi che seguirono la sua partenza da Tessalonica. Nella seconda metà invece troviamo degli insegnamenti teologici e delle esortazioni che nascono però sempre da necessità molto pratiche e contingenti. Dopo l'istruzione ad essere di buona testimonianza, e quella relativa al tema della risurrezione, arriviamo dunque allo sviluppo di quest'ultimo argomento in quella che è stata identificata come la terza istruzione della lettera. 
 
1. SOBRI E SVEGLI

Quanto poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte. Quando diranno: «Pace e sicurezza», allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno abbia a sorprendervi come un ladro; perché voi tutti siete figli di luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri; poiché quelli che dormono, dormono di notte, e quelli che si ubriacano, lo fanno di notte. Ma noi, che siamo del giorno, siamo sobri, avendo rivestito la corazza della fede e dell'amore e preso per elmo la speranza della salvezza. Dio infatti non ci ha destinati a ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, il quale è morto per noi affinché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui.
1Tessalonicesi 5:1-10

Paolo continua il suo discorso sul giorno del Signore per scrupolo personale, esplicitando che non ce ne sarebbe neanche il bisogno. Probabilmente questi credenti erano già al corrente delle parole di Cristo tramandate dagli apostoli: le stesse parole che sarebbero state successivamente inserite nel Vangelo secondo Marco (13:32) e secondo Matteo (24:32)2. Ma per rinforzare la consolazione che sarebbe derivata dalla precedente istruzione, egli continua a parlare di questo argomento, riprendendo queste indicazioni così importanti per la fede di ogni credente. Il giorno del Signore, è un giorno conosciuto solo dal Padre. Rappresenta il giorno nel quale, improvvisamente, il Figlio tornerà nella gloria per mettere fine all'età presente. Tutto avverrà in modo improvviso, repentino, come l'arrivo furtivo di un ladro nella notte, o come l'arrivo del diluvio ai tempi di Noè.  A quel tempo gli uomini vivevano tranquillamente come al solito: mangiavano, bevevano, si sposavano e si divertivano. E, d'un tratto, inaspettatamente è arrivato il diluvio. Inaspettatamente per tutti, ma non per N, che ubbidendo alla voce di Dio nel frattempo aveva costruito l'arca per mettersi al riparo assieme alla sua famiglia, e alle coppie animali. Ecco, proprio come Noè, anche i tessalonicesi, e più in generale i credenti di ogni tempo e luogo, non vivono in tenebre tali da ignorare quello che sta succedendo. Essi non possono e non devono dormire, ma devono restare sobri e svegli secondo la libertà e la vita ricevuta da Cristo Gesù. Sebbene infatti il giorno e l'ora siano sconosciuti, coloro che sono figli di Dio sanno che questi sono gli ultimi tempi, e che il giorno del Signore non è in ritardo: egli infatti semplicemente sta attendendo che tutti gli eletti arrivino al ravvedimento e alla salvezza (2 Pt. 3:9). Il compito dei cristiani dunque, consapevoli di quanto sia avanzata la notte e di quanto sia vicino il giorno, è quello di vegliare, gettare via le opere delle tenebre e indossare le armi della luce (Rom. 13:12). Ciò che Paolo chiama armi della luce nella Lettera ai Romani e armatura di Dio nella Lettera agli Efesini, rappresenta un'insieme di realtà spirituali proprie del Signore che il credente deve vivere per poter essere saldo contro le insidie del diavolo, resistere nel giorno malvagio e riuscire a restare in piedi dopo aver compiuto tutto il proprio dovere (Ef. 6:11,13). Verità, giustizia, zelo, fede, salvezza e Spirito Santo sono infatti aspetti spirituali che i cristiani conoscono in seguito alla loro nuova nascita (Gv. 3:3). Almeno due di questi però sono associati all'immagine di una armatura già nel Libro del profeta Isaia, nell'Antico Testamento:    

Il SIGNORE ha visto, e gli è dispiaciuto
che non vi sia più rettitudine;
ha visto che non c'era più un uomo
e si è stupito che nessuno intervenisse;
allora il suo braccio gli è venuto in aiuto,
la sua giustizia lo ha sorretto;
egli si è rivestito di giustizia come di una corazza,
si è messo in capo l'elmo della salvezza
,
ha indossato gli abiti della vendetta,
si è avvolto di gelosia come in un mantello.
Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere;
il furore ai suoi avversari,
il contraccambio ai suoi nemici;
alle isole darà la loro retribuzione.
Isaia 59:15b-18

Il Signore viene qui descritto come un condottiero stufo della più completa mancanza di giustizia nell'umanità. La corazza della giustizia e l'elmo della salvezza sono suoi indumenti, scelti accuratamente per essere indossati nel giorno del giudizio. Ma questa non è l'unica sua scelta. L'intero Nuovo Testamento infatti testimonia dell'ulteriore scelta di offrire un'eterna salvezza prima del giudizio, e questo attraverso il sacrificio sostitutivo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. E tutti coloro che hanno accolto il Signore con questo dono, hanno di conseguenza ricevuto anche il diritto di diventare loro stessi figli di Dio (Gv. 1:12). E insieme al diritto di diventare  figli, hanno ricevuto il diritto di indossare la corazza della giustizia e l'elmo della salvezza. O, come presentato in questa lettera, la corazza della fede e dell'amore e l'elmo della speranza della salvezza. Dio infatti ha destinato ogni sincero credente ad ottenere salvezza per mezzo del Signore Gesù Cristo, affinché sia nella morte che nella vita possano vivere insieme a lui.

Nessuno di noi infatti vive per se stesso, e nessuno muore per se stesso; perché, se viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore.
Romani 14:7-8
2. CERCANDO IL BENE RECIPROCO

Fratelli, vi preghiamo di aver riguardo per coloro che faticano in mezzo a voi, che vi sono preposti nel Signore e vi istruiscono, e di tenerli in grande stima e di amarli a motivo della loro opera. Vivete in pace tra di voi. Vi esortiamo, fratelli, ad ammonire i disordinati, a confortare gli scoraggiati, a sostenere i deboli, a essere pazienti con tutti. Guardate che nessuno renda ad alcuno male per male; anzi cercate sempre il bene gli uni degli altri e quello di tutti. Siate sempre gioiosi; non cessate mai di pregare; in ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito. Non disprezzate le profezie; ma esaminate ogni cosa e ritenete il bene; astenetevi da ogni specie di male.
1Tessalonicesi 5:12-22

Con questo testo, raggiungiamo l'ultima esortazione della lettera. Conclusa l'istruzione sul giorno del Signore, ora Paolo affronta con uno sguardo d'insieme le varie situazioni della chiesa. Per prima cosa chiede alla comunità di avere riguardo e stima per coloro sono incaricati di badare alla loro salute spirituale. Pur avendo dovuto lasciare in fretta Tessalonica, Paolo aveva dunque già designato le persone adatte a svolgere questo ministero. Il verbo  italiano "faticare" traduce l'originale greco kopiaō, usato da Paolo molto frequentemente per descrivere il lavoro nel ministero cristiano. Troviamo di seguito alcune ricorrenze di esempio:

Romani 16:6 Salutate Maria, che si è molto affaticata per voi.
 
Ora, fratelli, voi conoscete la famiglia di Stefana, sapete che è la primizia dell'Acaia, e che si è dedicata al servizio dei fratelli; vi esorto a sottomettervi anche voi a tali persone, e a chiunque lavora e fatica nell'opera comune.
1Corinzi 16:15-16 
 
Galati 4:11 Io temo di essermi affaticato invano per voi.

Il servizio per i fratelli, inteso come ministero cristiano svolto nelle comunità, sia nell'apostolato che nell'anzianato e nel diaconato, è un servizio di grande fatica, e tutti coloro che ne hanno preso parte sanno per esperienza quanto possa essere effettivamente così. C'è fatica nell'istruire, nel consolare, nell'edificare, nell'incoraggiare con costanza, nel riprendere, nell'organizzare e coordinare, nel sopportare. C'è una grande fatica nello svolgimento di tutte queste attività, proprie di chi è stato incaricato di curare una comunità e dei suoi collaboratori. E' una fatica che a volte, come è successo a Paolo con i credenti della Galazia, può sembrare vana, e che richiede una grande fede, pazienza e comunione con lo Spirito Santo per poter superare tutte le crisi con il miglior beneficio per la chiesa. Per questo motivo l'apostolo esorta i credenti ad avere un riguardo e una stima particolare nei confronti dei ministri di Dio. E' buona cosa infatti davanti al Signore che questa fatica venga compresa e alleviata dagli altri credenti, poiché insieme l'assemblea è il corpo di Cristo, collegato in ogni sua parte e non slegato gli uni dagli altri. Anche per questo motivo, Paolo esorta tutti a questo punto a vivere in pace, ad ammonire i disordinati, a confortare gli scoraggiati, a sostenere i deboli, a essere pazienti con tutti. Ad una veloce considerazione sembrerebbe che queste attenzioni siano proprie solo di un ministero pastorale, ma vengono invece richieste a tutti per un motivo specifico: l'unità della chiesa. Nonostante vi fossero fin da subito delle persone con responsabilità pastorali nelle comunità, infatti, le chiese del periodo apostolico non erano passive nella loro fede. Tutti i credenti erano consapevoli del proprio ruolo sacerdotale in questo Nuovo Patto e della propria responsabilità di vivere conformemente al Vangelo, amando il Signore ed il proprio prossimo.  Nella misura in cui ogni singolo membro contribuisce pienamente con tutto il proprio vigore, il corpo viene edificato nell'amore con successo ed in modo sano (Ef. 4:16). Edificare la chiesa infatti non può essere il lavoro di singoli ministri, ma della chiesa stessa nella sua interezza. 

Dopo la raccomandazione a stimare gli anziani e a curarsi vicendevolmente, Paolo continua ad esortare i credenti. Esorta a cercare il bene comune, ad essere gioiosi, a pregare continuamente, a ringraziare il Signore, a mantenere acceso lo Spirito, a non disprezzare la profezie e ad astenersi da ogni tipo di male. Queste indicazioni sono preziosissime per ogni cristiano, in quanto rappresentano dei chiari segnali indicanti i pericoli che insidiano la salute spirituale dei credenti di ogni tempo.  La natura carnale degli uomini tende in continuazione a rispondere alle proprie esigenze, ma l'uomo interiore deve fortificarsi camminando secondo lo Spirito Santo, in comunione con il Signore. Per questo motivo è necessaria una fervente vita di preghiera. Per questo motivo è di fondamentale importanza mantenere "acceso" lo Spirito in noi, e non disprezzare alcuna profezia. La pigrizia, la paura del mondo spirituale, l'abitudine può portare il credente a sedersi sulla sua religiosità conformando a poche regole la propria devozione personale. Ma non deve essere così. La vita spirituale è per sua definizione vitale, esuberante, in costante crescita, espressa con una pluralità di modi e forme. Ogni cosa è da esaminare, ma nessuna profezia è da disprezzare a priori. Esaminando ogni cosa, ci sarà sicuramente qualcosa da scartare e qualcosa da ritenere, ma la benedizione derivante da ciò che si può ritenere sarà sempre un motivo sufficiente per lo sforzo applicato nell'uscire dai propri schemi mentali mettendosi in discussione. 

Isaia 55:9 Come i cieli sono alti al di sopra della terra,
così sono le mie vie più alte delle vostre vie,
e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri.

3. CONSERVANDOSI IRREPRENSIBILI


Or il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l'intero essere vostro, lo spirito, l'anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Fedele è colui che vi chiama, ed egli farà anche questo. Fratelli, pregate per noi. Salutate tutti i fratelli con un santo bacio. Io vi scongiuro per il Signore che si legga questa lettera a tutti i fratelli. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi.
1Tessalonicesi 5:23-28

Infine, troviamo la definitiva conclusione della lettera. Dopo aver ricordato il periodo passato insieme, dopo aver gioito della fede dei tessalonicesi riportata da Timoteo, dopo aver istruito ed esortato questi credenti, Paolo ora può concludere la sua lettera. Ma la sua conclusione prosegue con i sentimenti e lo stile manifestati fino ad ora: fuori dalla formalità infatti egli scrive una preghiera, una promessa divina e tre richieste personali. L'apostolo prega il Dio della pace che santifichi completamente questi fratelli nella fede, e che l'intero essere loro, lo spirito l'anima e il corpo, possa essere conservato irreprensibile per il ritorno del Signore. L'accento di questa preghiera così particolare è sulla salute dei credenti nella loro totalità. Ogni essere umano è composto da uno spirito, un'anima e un corpo, fusi in modo inscindibile, ed ognuno di questi componenti deve essere conservato irreprensibile al pari degli altri. Lo spirito umano deve dimorare permanentemente nello Spirito Santo, fortificandosi in modo da poter guidare l'anima e  il corpo ad ubbidire alla voce dello Spirito del Signore (Atti 20:22). L'anima, intesa come sede dell'intelletto, delle emozioni e della volontà, deve essere rinnovata attraverso la preghiera, la meditazione e la lettura della Parola di Dio e di tutte le cose onorevoli (Fili. 4:8, Rom. 12:2), ed il corpo deve essere sottomesso, in modo che le sue priorità non portino a disonorare Dio (1 Cor. 9:27, Rom. 8:13). La preghiera è che il Dio della pace, intesa in modo ebraico come completezza, santifichi in prima persona i credenti. D'altra parte però, essi sono chiamati ad operarsi attivamente affinché l'intero il loro intero essere sia conservato irreprensibile. Questa attività è di per sé impossibile, sovrannaturale, ma la grazia di Dio la rende possibile attraverso l'opera dello Spirito Santo.  Il motivo di questa crescita nella completezza, nella completa maturità, sta nell'attesa del ritorno di Cristo, affinché, quand'egli apparirà, possiamo aver fiducia e alla sua venuta non siamo costretti a ritirarci da lui, coperti di vergogna (1 Gv. 2:28). Il Signore tuttavia è fedele. E tanto quanto è stato fedele nella sua chiamata dei tessalonicesi, e di ogni credente, lo sarà altrettanto nella santificazione promossa direttamente da lui, affinché sia completato il processo di salvezza nella vita dei suoi figli (Rom. 8:30). 

Successivamente, Paolo richiede preghiera, in modo implicito per poter continuare il suo ministero apostolico senza impedimento. Chiede di salutare tutti i fratelli con un santo bacio e scongiura che la lettera sia letta a tutti i fratelli. Come durante la sua prima visita l'apostolo ha esortato, confortato e scongiurato ciascuno di loro in modo personale a comportarsi in modo degno di Dio (2:12), allo stesso modo ora egli insiste che queste sue istruzioni ed esortazioni raggiungano tutti i credenti, e non solo alcuni. Il saluto finale, proprio di Paolo, costituisce una variante del saluto ebraico comprendente la pace. Egli infatti in questa sua prima lettera saluta definitivamente questi suoi figli spirituali con la grazia del Signore Gesù Cristo.  La stessa grazia che ha operato efficacemente in loro, salvandoli da questo mondo di tenebre. La stessa grazia che  ha preservato la loro fede attraverso la persecuzione (Atti 17:6). La grazia che avrebbe permesso la loro piena santificazione e la loro glorificazione nel mondo a venire.

 CONCLUSIONE






















La Prima lettera ai Tessalonicesi riveste un'importanza speciale nel canone neotestamentario per più di un motivo. In primo luogo, è probabilmente il più antico testo cristiano pervenutoci3, e in quanto tale è anche il più antico testimone della teologia e dell'insegnamento cristiano del periodo apostolico, sicuramente per quanto riguarda il ministero dell'apostolo Paolo. Nel suo contenuto, la lettera riepiloga molti avvenimenti legati alla fondazione della chiesa e al rapporto esistente tra Paolo e questi credenti mostrando con chiarezza le modalità di operato dell'apostolo, il tipo di risposta ottenuto dai tessalonicesi, le criticità nella loro vita di fede e il modo in cui le hanno superate. Tutte informazioni "di prima mano" che definiscono senza intermediari questa antichissima opera missionaria. Oltre a questo, troviamo anche il più antico insegnamento sulla dottrina del ritorno del Signore, con la più antica citazione di un detto di Gesù (4:15 e ss.). In secondo luogo, ogni credente leggendo questa lettera può crescere non solo grazie agli insegnamenti presenti ma anche attraverso i sentimenti che traspaiono tra le sue righe. L'ecclesiologia per esempio, prima di essere un'insieme di nozioni neotestamentarie riguardanti la Chiesa e il suo governo, dovrebbe essere un'attività di paziente ascolto dei testi biblici per cogliere non solo la struttura ma anche e soprattutto le sfumature, le motivazioni, le modalità in cui vivere l'essere comunità. L'amore deve essere il collante di ogni aspetto della vita cristiana (1 Cor. 13), ma deve coinvolgere non soltanto una comprensione intellettuale quanto piuttosto anche l'urgenza e il desiderio avvertiti dallo Spirito Santo, l'emozione che possiamo provare nel vedere la sofferenza e il bisogno del nostro prossimo ed infine l'azione che possiamo promuovere attraverso il nostro corpo. Tutto il nostro essere deve essere conservato irreprensibile. Tutto il nostro essere deve essere unito nella pace di Dio. Solo in questo modo c'è una reale crescita, senza compromessi, e una reale comprensione della grazia di Dio per noi.


Note:

[1] Bosh Jordi Sanchez, Scritti paolini, Ed Paideia, cit. p. 100.
[2] Id. Ibid. cit. p. 103 
[3] Rinaldi Giancarlo, Cristianesimi nell'antichità, Ed. GBU, cit. p. 255.
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