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sabato 19 marzo 2016

L'Apocalisse di Giovanni e il compimento del Regno di Dio

Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma, quand'è cresciuto, è maggiore degli ortaggi e diventa un albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami».
Matteo 13:32  

INTRODUZIONE ALL'APOCALISSE DI GIOVANNI

L'epoca apostolica ha determinato probabilmente il più grande cambiamento mai avvenuto nella storia di una religione. La millenaria tradizione ebraica, infatti, è stata rapidamente e completamente reinterpretata sulla base di una nuova chiave interpretativa: la persona di Gesù, il Figlio del Dio vivente. Lo sviluppo di questa nuova teologia ha portato il cristianesimo ad un rapido distanziamento dallo stato di setta dell'ebraismo, fino al consolidare la sua posizione di nuova religione di portata sempre maggiore. Ad oggi, dopo due millenni di vita, il cristianesimo è la religione più diffusa al mondo con circa due miliardi di persone che confessano di essere cristiane1. Il tipo di relazione con la propria religione madre è stata una questione aperta per almeno un secolo, ma fin dall'inizio gli apostoli cristiani si sono dimostrati certi di una cosa, ossia che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture (1 Cor. 15:3). Le Scritture ebraiche quindi, per i testimoni oculari e i primi discepoli di Gesù, hanno trovato il loro adempimento nella vita, morte ed infine nella risurrezione di Cristo, il Signore. Ben presto si scrissero vari testi per dimostrare questo collegamento, lettere e opere che sono state riconosciute come ispirate e raccolte in quello che conosciamo come  Nuovo Testamento. I testi più antichi sono costituiti dalle lettere che l'apostolo Paolo ha inviato a varie comunità da lui fondate, successivamente sono stati redatti i Vangeli sinottici, altre lettere, il Vangelo secondo Giovanni, l'Apocalisse di Giovanni ed infine le ultime tra le lettere cattoliche. Questo Nuovo Testamento testimonia della Nuova Alleanza che il sacrificio di Cristo ha stabilito, un Nuovo Patto tra Dio Padre e gli uomini, ratificato con il sangue stesso di Gesù il Cristo. Tale cambiamento di Patto ha avvicinato il Regno di Dio, e portato una misteriosa condizione di anticipazione della condizione escatologica futura, nella quale era già previsto che YHWH dovesse regnare e governare in eterno assieme a tutti i credenti, ora però non più solo ebrei ma anche gentili. La fede in Cristo quindi è cresciuta nella storia immersa nella particolarissima tensione di una salvezza già avvenuta ma non ancora pienamente manifestata. I credenti sanno di avere le primizie dello Spirito Santo, ma contemporaneamente gemono aspettando la redenzione del loro corpo (Rom. 8:23); essi sono salvati, sì, ma in speranza, aspettando con pazienza che questa salvezza diventi pienamente manifesta e visibile (Rom. 8:24). Questa infatti è la descrizione della fede: la dimostrazione di realtà che non si vedono (Ebr. 11:1). A livello letterario, i primi cristiani si sono dimostrati molto abili nell'utilizzare diversi generi, stili e figure retoriche per veicolare i propri insegnamenti nel modo migliore e più immediato. Sono state utilizzate lettere, è stato creato un nuovo genere letterario, il vangelo, e per ultimo è stato assimilato un altro genere letterario nato nel giudaismo post-esilico, circa due secoli prima: il genere letterario apocalittico. Sembrerebbe che la migliore apocalisse cristiana (l'Ap. di Giovanni) e le due migliori apocalissi ebraiche (l'Ap. siriaca di Baruc e l'Ap. di Esdra) videro la luce nel periodo tra la prima e la terza Guerra giudaica, ossia tra il 66 ed il 135 d.C.2 La distruzione di Gerusalemme e del tempio nel 70 d.C. suscitò nel giudaismo profondi interrogativi religiosi sull'origine di questi mali, sulle promesse divine e sul futuro del popolo eletto3. Interrogativi che in modo analogo sorsero anche nei cristiani, traumatizzati dalla persecuzione di Nerone e dall'ostilità di un Impero romano che inizialmente era sembrato accondiscendente alla diffusione di questo nuovo credo. Queste apocalissi furono redatte proprio per riflettere su questa sofferenza e trovare una risposta divina da condividere con il suo intero popolo. 

Il genere letterario apocalittico, come qualsiasi altro genere letterario ha delle caratteristiche proprie ben definite. La letteratura profetica era destinata ai diretti ascoltatori/lettori, e commentava perlopiù eventi di attualità caricandoli di un significato divino, prevedendo eventualmente una similitudine di questi ultimi con altri eventi sull'orizzonte escatologico. La letteratura apocalittica invece si distanzia da questo schema, costituendone uno sviluppo storico e religioso. Tale genere infatti per sua natura nasconde il proprio messaggio nel mistero. Generalmente il testo viene presentato come scritto da un famoso personaggio del passato, descrivendo come futuri eventi in realtà già passati, prevedendoli minuziosamente ed interpretandoli dal punto di vista divino, per poi dedicarsi alla fine ad una più generica delineazione di eventi realmente futuri ed all'avvento di una nuova creazione. Possiamo riassumere i tratti maggiormente distintivi degli apocalittici nel seguente elenco:
  • Una scarsa precisione per il tempo dichiarato come presente, ed una maggiore precisione per i tempi dichiarati come futuri. L'autore non vive al tempo dichiarato dal testo ma nel periodo del suo annuncio profetico.
  • Una descrizione di eventi già avvenuti espressi in forma di profezia.
  • La scelta di un illustre personaggio del passato da presentare come autore.
  • La descrizione di immagini e simboli enigmatici che vengono interpretati da un angelo o un altro tutore4.  
L'Apocalisse di Giovanni si auto-inserisce in questo filone letterario, descrivendosi immediatamente come "rivelazione di Gesù Cristo", ossia "Apokalypsis Iēsou Christou", ma sviluppandosi contemporaneamente in un modo così peculiare da distanziarsi per tanti piccoli dettagli dalle generali caratteristiche apocalittiche. Infatti l'autore considera il suo lavoro "profezia" (1:3) e si identifica con Giovanni piuttosto che usare il nome di altri uomini del lontano passato; al contrario della letteratura apocalittica inoltre egli non scrive in modo radicalmente pessimista ma crea un delicato equilibrio tra tribolazione e vittoria sul mondo, omette qualsiasi tutore celeste che spieghi le visioni, ed infine - solo comunque a titolo di esempio - piuttosto che trasmettere una conoscenza esoterica preservata sin dall'antichità, egli afferma esplicitamente di offrire una verità escatologica5. In aggiunta, una differenza di più ampio respiro resta quella della particolare concezione dell'origine della sofferenza: nell'Apocalisse di Giovanni  viene attribuita a Dio come nell'Antico Testamento piuttosto che alle forze in opposizione a Dio come in tutta la restante letteratura apocalittica6. Queste poche considerazioni non vogliono tentare di annullare l'identità apocalittica dello scritto, ma consentire invece di avvicinarsi alle originarie intenzioni del suo autore che ha voluto attingere a piene mani al genere apocalittico pur considerando sé stesso come un testimone di Gesù (1:9), e concependo il contenuto del libro esplicitamente come profezia (22:19). La conclusione del decano anglicano di Chester Stephen Stewart Smalley è che il libro dell'Apocalisse di Giovanni si può considerare come apocalittica compenetrata di una profonda intuizione profetica, ma anche come profezia arricchita da una forte visione apocalittica7.

Come già accennato precedentemente, il libro stesso dell'Apocalisse si presenta scritto da Giovanni, pur senza dare alcun'altra informazione sul suo conto. Lo studioso Charles esclude categoricamente la possibilità di pseudonimia, argomentando che con l'avvento del cristianesimo non erano più valide le motivazioni che avevano spinto gli apocalittici giudaici a ricorrere all'espediente di utilizzare il nome di un'illustre personalità del passato, considerando inoltre l'assenza di qualsiasi prova interna a sostegno di questa possibilità8. Dunque è molto probabile che l'autore sia stato realmente un uomo di nome Giovanni, ma quale Giovanni? La tradizione antica è pressoché unanime nell'identificare l'autore in Giovanni figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo, apostolo di Gesù. Giustino Martire, Ireneo da Lione, Clemente di Alessandria, Tertulliano e persino il testo gnostico Apocrifo di Giovanni sono concordi con questa attribuzione9. Il primo a contestare questa paternità è stato l'eretico Marcione, e successivamente tutto il movimento anti-Montanista che ha guardato il libro con sospetto in quanto largamente usato da Montano e dal suo movimento profetico10. Intorno alla metà del terzo secolo, Dionigi vescovo di Alessandria infastidito dagli estremismi chialistici della sua diocesi confrontò accuratamente il Vangelo e le Lettere di Giovanni con l'Apocalisse, giungendo alla conclusione che se i primi "sono di un'eleganza retorica straordinaria", l'ultima "include barbarismi e, in qualche caso dei veri e propri errori grammaticali", ipotizzando di conseguenza l'esistenza di differenti autori11. Questa analisi letteraria attualmente ha varcato il confine delle mere ipotesi e si è imposta attraverso la moderna critica biblica come una conclusione sicura12. L'esistenza di una scuola teologica fondata dall'apostolo Giovanni ad Efeso, e il coinvolgimento di questa corrente teologica nella redazione delle opere giovannee risulta essere ad oggi probabilmente l'unica possibilità che riesca ad avvicinare le numerose prove esterne a favore dell'autorità apostolica e le numerose prove interne al testo che evidenziano invece grandi differenze linguistiche. 

Per quanto riguarda la datazione dell'Apocalisse di Giovanni, la maggior parte degli studiosi moderni è concorde nell'identificarla entro il regno dell'imperatore Domiziano (81-96 d.C.)13. Il noto studioso Giancarlo Rinaldi affronta la questione nel seguente modo: 
Giovanni, seguendo la regola della retrodatazione, che è propria del genere letterario dell'apocalittica, pone la sua visione in un momento tragicamente epocale della storia giudaico cristiana: il principato di Vespasiano che segna l'inizio della grande catastrofe di Gerusalemme. Per tentare una datazione più adeguata dell'opera bisogna, inoltre, utilizzare quanto leggiamo al capitolo 17. Qui è descritta la visione della grande meretrice che "siede su molte acque e con la quale hanno fornicato tutti i re della terra", e della bestia su cui questa è seduta, la quale è "piena di nomi di bestemmia". E' facile identificare nella prima figura un'immagine dell'impero di Roma che signoreggia su popoli e re; quanto alla bestia, essa personifica la pretesa dell'imperatore di ricevere il culto riservato a Dio: i "nomi di bestemmia" sono, infatti, da intendersi alla luce della titolatura imperiale diffusa in età domizianea che, come s'è visto, esaltava il princeps in quanto Dominus ac Deus. Ma v'è di più: questa bestia ha sette teste "che sono sette monti sui quali la donna siede, e sono anche sette re". Qui il veggente ci fornisce una preziosa indicazione cronologica; parlando infatti dei re (= imperatori) egli dice: "cinque sono caduti, uno è, l'altro non è ancora venuto; e quando sarà venuto, dovrà durar poco. E la bestia che era, e non è, è anch'essa un ottavo re, viene dai sette". Pertanto, i cinque imperatori "caduti" sono Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone; l'imperatore "che è", cioè alla cui epoca si vuole ambientare la visione, è Vespasiano; l'altro, il cui regno "dovrà durar poco" è Tito, che infatti governa solo dal 79 all'81. Quanto all'ottavo re è facile ravvisarvi il successore: Domiziano14
Domiziano dunque sarebbe l'imperatore sotto il cui regno è stato scritto il libro, ma la sua retrodatazione gli permette di presentarsi come scritto nella tribolata epoca di Vespasiano, ossia circa un ventennio prima.

Arrivando ora allo schema dell'Apocalisse, esso risulta facilmente ravvisabile nella sua prima metà, ma un po' più difficile da definire nella seconda metà dell'opera. Sono stati proposti numerosi criteri e possibilità, ma restando in termini generali si può comunque identificare nel testo un'introduzione ed una conclusione, che fanno da cornice ai cinque settenari centrali costituenti il corpo dell'opera. Abbiamo quindi: 
  1. Prologo e saluto epistolare (1:1-8)
  2. Primo settenario: le sette lettere (1:9-4:11)
  3. Secondo settenario: i sette sigilli (5:1-8:1)
  4. Terzo settenario: le sette trombe (8:2-14:5)
  5. Quarto settenario: le sette coppe (14:6-19:20)
  6. Quinto settenario: le sette visioni (19:2-22:5)
  7. Epilogo e saluto epistolare (22:6-21)
Pensando all'interpretazione delle immagini, simboli ed enigmi di cui è composta l'Apocalisse, nella storia della Chiesa cristiana si sono sviluppate quattro principali prospettive, ciascuna con le proprie interpretazioni particolari dei vari brani. Abbiamo quindi la visione preterista, che ritiene tutte le predizioni già adempiute nei primi secoli, la visione storicista che vede negli eventi del libro una progressione di predizioni che coprono il periodo tra la risurrezione di Cristo e il suo ritorno; la visione futurista che considera tutte le descrizioni apocalittiche/profetiche come indicazioni future, ed infine la concezione idealista che svincola il testo da qualsiasi contesto storico-letterario considerando il suo messaggio come generico ed universale15
Nel presente approfondimento si terrà in considerazione la differenza di queste diverse concezioni segnalando per ogni commento le relative divergenze di significato e di conseguenze. L'attenzione principale tuttavia sarà dedicata al tema centrale del compimento definitivo del regno di Dio, entro i dettagli dell'utimo settenario dell'Apocalisse di Giovanni, ossia limitando le analisi al settenario delle visioni finali. 

1. E VIDI: IL CIELO APERTO E UN CAVALLO BIANCO

Poi vidi il cielo aperto, ed ecco apparire un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava si chiama Fedele e Veritiero; perché giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi erano una fiamma di fuoco, sul suo capo vi erano molti diademi e portava scritto un nome che nessuno conosce fuorché lui. Era vestito di una veste tinta di sangue e il suo nome è la Parola di Dio. Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano sopra cavalli bianchi, ed erano vestiti di lino fino bianco e puro. Dalla bocca gli usciva una spada affilata per colpire le nazioni; ed egli le governerà con una verga di ferro, e pigerà il tino del vino dell'ira ardente del Dio onnipotente. E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: RE DEI RE E SIGNORE DEI SIGNORI.
Apocalisse 19:11-16

Dopo lettere, sigilli, trombe e coppe, arriviamo con questo brano alla prima visione finale di Giovanni. A questo punto dell'Apocalisse si sono già verificate tutte le calamità naturali e spirituali inviate da Dio all'umanità, calamità che assomigliano alle dieci piaghe d'Egitto nell'Esodo e che hanno il loro stesso scopo di convincimento di peccato per gli uomini ribelli, e indicazione ad uscire dalla schiavitù per il popolo di Dio. Babilonia la grande, simbolo di Roma e di tutte le città uniformate dal suo dominio16, è già caduta, causando gioia e trionfo nei cieli e lode a Dio per l'esecuzione dei suoi giusti giudizi. In seguito a tutti questi avvenimenti, Giovanni vede quindi il cielo aperto e l'apparizione di un cavallo bianco cavalcato da un uomo chiamato Fedele e Veritiero, accompagnato da una moltitudine di eserciti celesti.

Se la visione del primo settenario (delle lettere) presentava un Cristo trionfante che reggeva nella destra le chiese, sottoposte a una persecuzione sanguinosa ed esposte al rischio di diventare tiepide o disperate, ora, nella prima visione finale, compare la chiesa trionfante che ha raggiunto la propria pienezza dopo la definitiva sconfitta delle forze del male17; e con essa Gesù Cristo stesso, come Parola di Dio, RE DEI RE E SIGNORE DEI SIGNORI. Il presente usato per i verbi krinō18 e polemeō19, ossia "giudica" e "combatte", viene particolarmente sottolineato dagli esponenti preteristi, che vedono in questa coniugazione un'espressione del modo tipicamente giovannea di indicare che l'attività di Cristo è già in via di realizzazione20. Del resto, tanto la visione storicista appoggiata dal protestantesimo storico21, quanto quella futurista appoggiata dal mondo evangelicale22 sono d'accordo nel ritenere questo brano una descrizione della visione relativa al futuro ritorno del Signore. 

Cristo appare dunque mentre cavalca un cavallo bianco, portando sul suo capo molti diademi, in contrasto con i diademi del dragone (12:3) e con quelli della bestia (13:1). Gli occhi fiammeggianti sono simbolo della sua perfetta conoscenza in quanto giudice23, mentre il nome segreto è segno della propria massima autorità. La veste, per alcuni commentatori è tinta del sangue degli avversari, in quanto la visione concerne un intervento di giudizio e non di espiazione24; lo studioso Daniele Tripaldi invece propone che il sangue sia quello di Cristo stesso, secondo le concezioni pre-paoline (cfr. Fili 2:8-11) che vedono nella sua morte il preludio al conferimento di un nome superiore ad ogni altro25. Questa immagine, in ogni caso, risente pesantemente del seguente oracolo del profeta Isaia:

Chi è costui che giunge da Edom,
da Bosra, vestito splendidamente?
Costui, magnificamente ammantato,
che cammina fiero della grandezza della sua forza?
«Sono io, che parlo con giustizia,
che sono potente a salvare».

Perché questo rosso sul tuo mantello
e perché le tue vesti sono come quelle di chi calca l'uva nel tino?

«Io sono stato solo a calcare l'uva nel tino,
e nessun uomo di fra i popoli è stato con me;
io li ho calcati nella mia ira,
li ho calpestati nel mio furore;
il loro sangue è spruzzato sulle mie vesti,
ho macchiato tutti i miei abiti.

Poiché il giorno della vendetta, che era nel mio cuore,
e il mio anno di redenzione sono giunti.
Io guardai, ma non c'era chi mi aiutasse;
fui stupito che nessuno mi sostenesse;
allora il mio braccio mi ha salvato,
e il mio furore mi ha sostenuto.

Ho calpestato popoli nella mia ira,
li ho ubriacati nel mio furore,

ho fatto scorrere il loro sangue sulla terra».
Isaia 63:1-6

Il cavaliere Fedele e Veritiero del nostro brano però non è solo, ma accompagnato dagli "eserciti che sono nel cielo". Una lettura superficiale interpreterebbe questi eserciti come eserciti angelici, ma la considerazione del v. 17:14 porta a considerarli invece formati dagli "eletti e dai fedeli", ossia dai credenti fedeli al Signore fino alla morte. La battaglia in ogni caso è sostenuta solo da Cristo, attraverso la spada affilata della sua bocca (la sua sentenza di giudizio), la verga di ferro e l'ira di Dio onnipotente. Il governo tramite una verga di ferro ricorre  nel Salmo 2:9 e in Isaia 11:4, ma nella stessa Apocalisse troviamo queste espressioni anche nel primo settenario delle lettere, in 2:16 e 2:27. Il nome scritto sulla coscia, infine, potrebbe rimandare ad una antica concezione che vede proprio in questa parte del corpo uno dei luoghi deputati al disvelamento della vera identità degli esseri sovrannaturali26.

2. E VIDI: UN ANGELO IN PIEDI NEL SOLE

Poi vidi un angelo che stava in piedi nel sole. Egli gridò a gran voce a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo: «Venite! Radunatevi per il gran banchetto di Dio; per mangiare carne di re, di capitani, di prodi, di cavalli e di cavalieri, di uomini d'ogni sorta, liberi e schiavi, piccoli e grandi». 
Apocalisse 19:17,18

Alla prima visione dell'intervento diretto di Cristo con i suoi eserciti, segue questa seconda visione di un angelo che chiama gli uccelli del cielo per banchettare con i cadaveri dei nemici di Dio. Questa immagine si contrappone al banchetto nuziale dell'Agnello, rielaborando l'oracolo del profeta Ezechiele contro Gog:

Tu, figlio d'uomo, così parla il Signore, DIO:
"Di' agli uccelli d'ogni specie
e a tutte le bestie dei campi:
'Riunitevi, venite! Raccoglietevi da tutte le parti
attorno al banchetto del sacrificio che sto per immolare per voi,
del gran sacrificio sui monti d'Israele!
Voi mangerete carne e berrete sangue.
Mangerete carne di prodi
e berrete sangue di prìncipi della terra:
montoni, agnelli, capri,
tori, tutti quanti ingrassati in Basan.
Mangerete grasso a sazietà,
berrete sangue fino a inebriarvi,
al banchetto del sacrificio che io immolerò per voi;
alla mia mensa sarete saziati di carne di cavalli e di bestie da tiro,
di prodi e di guerrieri d'ogni razza'",
dice il Signore, DIO.

Ezechiele 39:17-20

Non vengono fatte distinzioni tra uomini grandi o piccoli, schiavi o liberi, ma tutti coloro che si sono alleati con la bestia vengono destinati ad essere colpiti da Cristo. 

3. E VIDI: LA BESTIA E I RE DELLA TERRA




E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per far guerra a colui che era sul cavallo e al suo esercito. Ma la bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta che aveva fatto prodigi davanti a lei, con i quali aveva sedotto quelli che avevano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine. Tutti e due furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo. Il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di colui che era sul cavallo, e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni.
Apocalisse 19:17-21

La bestia, ossia il potere secolare in opposizione alla Chiesa, ed il falso profeta, ossia gli esponenti della falsa religione incaricata di portare gli uomini ad una adorazione anticristiana, vengono semplicemente "presi" e gettati nel lago ardente di zolfo e fuoco27. Ancora una volta troviamo un allusione ad un oracolo di Ezechiele:

In quel giorno, nel giorno che Gog verrà contro la terra d'Israele",
dice il Signore, DIO,
"il mio furore mi monterà nelle narici;
nella mia gelosia, nel fuoco della mia ira, io lo dico, certo,
in quel giorno, vi sarà un grande sconvolgimento
nel paese d'Israele:
i pesci del mare, gli uccelli del cielo,
le bestie dei campi, tutti i rettili che strisciano sul suolo
e tutti gli uomini che sono sulla faccia della terra,
tremeranno alla mia presenza;
i monti saranno rovesciati,
le balze crolleranno,
e tutte le mura cadranno al suolo.
Io chiamerò contro di lui la spada su tutti i miei monti",
dice il Signore, DIO;
"la spada d'ognuno si volgerà contro il proprio fratello.
Verrò in giudizio contro di lui, con la peste e con il sangue;
farò piovere torrenti di pioggia e grandine,
fuoco e zolfo, su di lui, sulle sue schiere
e sui popoli numerosi che saranno con lui.
Così mostrerò la mia potenza e mi santificherò;
mi farò conoscere agli occhi di molte nazioni,
ed esse sapranno che io sono il SIGNORE".
 
Ezechiele 38:18-23 

Successivamente, dopo aver gettato la bestia e il falso profeta nel lago ardente di zolfo e fuoco, il rimanente dell'esercito nemico viene ucciso con la spada della bocca di Cristo, e tutti gli uccelli arrivano per saziarsi della loro carne. Considerando i versi profetici di Ezechiele che abbiamo appena letto, sicuramente in questo drammatico momento possiamo comprendere come tutte le nazioni potranno arrivare a conoscere chi è il Signore nel peggiore dei modi, a causa della loro irriducibile empietà.

4. E VIDI: UN ANGELO CON LA CHIAVE DELL'ABISSO E UNA GRANDE CATENA











Poi vidi scendere dal cielo un angelo con la chiave dell'abisso e una grande catena in mano. Egli afferrò il dragone, il serpente antico, cioè il diavolo, Satana, lo legò per mille anni, e lo gettò nell'abisso che chiuse e sigillò sopra di lui perché non seducesse più le nazioni finché fossero compiuti i mille anni; dopo i quali dovrà essere sciolto per un po' di tempo.
Apocalisse 20:1-3

Questa quarta visione è strettamente collegata alla prossima, e introduce un periodo di tempo definito di mille anni nel quale Satana risulta essere legato e rinchiuso nell'abisso, impossibilitato a sedurre le nazioni. Tra la battaglia della precedente visione e la discesa della Gerusalemme celeste, Giovanni inserisce quindi questo ultimo intermezzo, a sua volta diviso tra la presente scena (l'incatenamento temporaneo di Satana), e la prossima (la prima resurrezione e l'instaurazione del regno messianico)28Legature e detenzioni transitorie del capo degli angeli ribelli o dei demoni impuri trovano riscontro tanto nel Libro di Enoch (etiope) quanto nel Libro dei Giubilei, e addirittura in alcuni documenti qumranici (cfr. IIQ13 II,23-25 con III,6-7), attestando quanto Giovanni condividesse attese e concezioni che circolavano diffusamente negli ambienti ebraici di quel tempo29. L'angelo di questa visione sembrerebbe essere presumibilmente quello del nono capitolo, in possesso della chiave dell'abisso30:

 
Poi il quinto angelo sonò la tromba e io vidi un astro che era caduto dal cielo sulla terra; e a lui fu data la chiave del pozzo dell'abisso. Egli aprì il pozzo dell'abisso e ne salì un fumo, come quello di una grande fornace; il sole e l'aria furono oscurati dal fumo del pozzo.

Apocalisse 9:1-2

L'abisso veniva concepito come una vasta caverna sotterranea che fungeva da luogo di prigionia per gli spiriti ribelli in attesa di giudizio31, e in effetti ne troviamo traccia anche in altri libri biblici, per esempio nel Vangelo secondo Luca:


Gesù gli domandò: «Qual è il tuo nome?» Ed egli rispose: «Legione»; perché molti demòni erano entrati in lui. Ed essi lo pregavano che non comandasse loro di andare nell'abisso. 
Luca 8:30,31
 
L'angelo di questa scena dunque afferra Satana, lo lega e lo rinchiude nell'abisso per mille anni affinché per questo tempo egli non possa sedurre le nazioni. All'inizio di questa quarta visione non viene data alcuna specifica indicazione relativa al momento in cui questo evento si verifica. Proprio questa incognita costituisce il primo enorme elemento di divisione per i commentatori di ogni epoca, separati sul significato e sul quadro temporale di questo brano specifico. Da una parte infatti, la frequente ripetizione dell'espressione "e vidi" che scandisce le sette visioni depone fortemente in favore di una sequenza che si sviluppa senza soluzione di continuità fino al ventunesimo capitolo32. D'altra parte, però, questo indizio non si può considerare conclusivo, in quanto linguisticamente tale espressione potrebbe non implicare una sequenza cronologica, ma semplicemente una congiunzione di collegamento tra più visioni osservate in una successione da non considerare consequenziale33. In corrispondenza di questo bivio si dividono quindi le strade degli studiosi preteristi e storicisti, che considerano la quarta e la quinta visione (20:1-10) come un riepilogo degli eventi descritti in precedenza (per i primi un riepilogo del diciannovesimo capitolo in particolare)34, e degli studiosi futuristi, che invece considerano il brano come inserito in un'unica descrizione progressiva di eventi completamente futuri. In effetti può anche esistere una concezione futurista che veda nelle descrizioni delle visioni dell'Apocalisse una predizione di eventi futuri, ma che consideri questo brano specifico e quello successivo (Ap. 20:1-10) una rielaborazione di quanto già descritto al capitolo diciannove, secondo una schema a spirale. Cercando di essere più dettagliati, possiamo quindi fare le seguenti distinzioni interpretative: futurista pre-millenarista (secondo la quale il ritorno di Cristo precederebbe il millennio, inteso come regno futuro), futurista post-millenarista (
secondo la quale il ritorno di Cristo seguirebbe il millennio, inteso come regno futuro. Il cap. 19 quindi non descriverebbe il ritorno del Signore, ma la sua conquista delle nazioni con la spada della parola, ossia con la predicazione del vangelo), storicista a-millenarista (secondo la quale il ritorno di Cristo avverrebbe alla fine del millennio, inteso come regno spirituale attuale), e preterista a-millenarista (secondo la quale gli eventi del c.19 coincidono con il suo regno spirituale attuale, ossia il millennio). La possibilità accennata prima rientrerebbe in una quinta prospettiva che sarebbe storicista/futurista a-millenarista, che veda sostanzialmente gli eventi dell'Apocalisse come futuri ma consideri il brano specifico del millennio come coincidente con l'attuale condizione di escatologia anticipata (iniziata con la risurrezione di Cristo), un tempo di regno spirituale che si concluderà con il ritorno del Signore e con l'ultima battaglia che riepilogherebbe velocemente la visione del ritorno del Signore e della battaglia di Harmaghedon descritti nel capitolo precedente, ritenendo comunque questi ultimi eventi come futuri. 

Con una prima considerazione storica-teologica, possiamo evidenziare il fatto che nei primi secoli del cristianesimo la quasi totalità degli scrittori cristiani (Papia, Giustino, Ireneo, Tertulliano) ha interpretato Ap. 20:1-6 come un'affermazione della futura costituzione di un regno millenario di Cristo con i suoi martiri sulla terra, preliminare alla fondazione del nuovo mondo; e soltanto con Origene, e maggiormente con Agostino (De Civ. Dei 20.7-8) questa interpretazione venne depennata a favore del pensiero di un regno spirituale e presente35. In seguito, quest'ultima concezione fu mantenuta anche dai Riformatori del XVI secolo, ma riservo l'analisi dettagliata di queste posizioni per il prossimo capitolo dedicato alla quinta visione (c. 20 vv. 4-10), ossia al regno di Cristo con i martiri durante questo tempo specifico. Tornando ora a questi tre versetti iniziali del ventesimo capitolo dell'Apocalisse, le conseguenze delle diverse interpretazioni riguardano un'eventuale limitazione attuale dell'attività satanica (ossia l'impossibilità specifica di sedurre le nazioni), oppure una limitazione futura relegata ad un regno messianico ancora da instaurare. Attenendoci strettamente al nostro testo, possiamo notare comunque il fatto che l'abisso, dopo aver accolto Satana, viene chiuso e sigillato. Satana viene imprigionato non per una punizione ma con lo scopo di evitare la seduzione delle nazioni, tuttavia egli viene esplicitamente rinchiuso nell'abisso che a sua volta viene sigillato. Il brano non descrive una semplice legatura, ma una vera e propria incarcerazione, con una chiusura dell'abisso descritta in modo tale da implicare in effetti una totale assenza di attività esterna36 (cfr. Dan. 6:17). 

Come ultima osservazione, possiamo considerare il fatto che Giovanni non specifichi quali nazioni stia osservando in questa visione. Nel caso in cui si volesse ritenerla come legata cronologicamente alle precedenti, si dovrebbe quindi riconoscere l'esistenza di alcuni individui sopravvissuti alla battaglia di Harmagedon, oppure, come ritiene J.Moffatt, si potrebbe riconoscere in esse le nazioni periferiche, poste ai margini dell'Impero, che non avevano partecipato alla campagna militare dell'Anticristo37. Queste ipotesi in ogni caso non rispondono pienamente al problema in sé, in quanto appare improbabile che nel giorno del compimento dell'ira di Dio possa sopravvivere qualcuno che non rientri nei suoi eletti, qualcuno che possa essere ancora successivamente sedotto da Satana.

5. E VIDI: DEI TRONI





Poi vidi dei troni. A quelli che vi si misero seduti fu dato di giudicare. E vidi le anime di quelli che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e di quelli che non avevano adorato la bestia né la sua immagine e non avevano ricevuto il suo marchio sulla loro fronte e sulla loro mano. Essi tornarono in vita e regnarono con Cristo per mille anni. Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morte seconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui quei mille anni. Quando i mille anni saranno trascorsi, Satana sarà sciolto dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, per radunarle alla battaglia: il loro numero è come la sabbia del mare. E salirono sulla superficie della terra e assediarono il campo dei santi e la città diletta; ma un fuoco dal cielo discese e le divorò. E il diavolo che le aveva sedotte fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta; e saranno tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli.
Apocalisse 20:4-10


Come abbiamo appena visto, c'è una grande differenza nelle due principali concezioni interpretative di questo brano, originate dalla diversità del contesto temporale nel quale lo si vuole inserire. Da una parte infatti abbiamo il riconoscimento del tempo presente, e dall'altra il riconoscimento di un tempo futuro. Questo problema si può e deve affrontare sulla base di molteplici piani, analizzando tutti i vari possibili indizi per ricercare una comprensione il più possibile completa, considerando in ogni caso che per gli studiosi moderni il problema risulta ancora oggi aperto a causa del mancato raggiungimento di un consenso definitivo38.

Il primo piano da tenere in considerazione è quello del contesto letterario biblico. A favore della visione futurista pre-millenarista possiamo riflettere su alcuni brani biblici. L'apostolo Paolo scrivendo ai corinzi evidenzia una particolare sequenza, che potremmo considerare anche come una successione di regni39:

Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; poi verrà la fine, quando consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza. Poiché bisogna ch'egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. Difatti, Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi; ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa, ne è eccettuato. Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti.  
1Corinzi 15:22-28

Cristo è stato risuscitato da Dio come primizia della risurrezione, in seguito alla sua morte per i nostri peccati. A causa della sua ubbidienza fino alla morte di croce, egli è stato sovranamente innalzato dal Padre e ha ricevuto il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre (Fili. 2:9-11). Possiamo considerare questa situazione come il regno spirituale di Cristo, seguente alla sua risurrezione e affermato al tempo presente, un regno di grande espansione attraverso l'attività missionaria ed evangelistica della Chiesa. A questo segue la risurrezione di tutti coloro che sono di Cristo. Tale vivificazione potrebbe alludere ad un altro regno specifico governato da questa categoria di persone, nel suo significato più stretto. Nel secondo capitolo dell'Apocalisse infatti leggiamo:

Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita.
Apocalisse 2:10


Ai credenti di Smirne fedeli fino alla morte, Cristo promette la corona della vita. La corona della vita potrebbe essere un semplice simbolo della risurrezione, valido per tutti i credenti, oppure potrebbe riguardare - con una concordanza interna al libro - uno specifico governo (corona) riservato ai martiri (fedeli fino alla morte) in un tempo successivo alla loro risurrezione (questa è la prima risurrezione). In ogni caso, nella sequenza affermata dall'apostolo, dopo questo secondo passaggio tutti i nemici di Cristo saranno messi sotto i suoi piedi (Ap. 20:9-10) la morte in quanto ultimo nemico sarà definitivamente distrutta (in accordo con Ap. 20:14) e tutto il regno sarà consegnato nelle mani di Dio Padre e sottomesso al suo giudizio (Ap. 20:11). 

Restando entro questa visione interpretativa, possiamo fare anche qualche altra considerazione biblica.

Perché mille anni sono ai tuoi occhi
come il giorno di ieri ch'è passato
,
come un turno di guardia di notte.
 
Salmo 90:4

Ma costoro dimenticano volontariamente che nel passato, per effetto della parola di Dio, esistettero dei cieli e una terra tratta dall'acqua e sussistente in mezzo all'acqua; e che, per queste stesse cause, il mondo di allora, sommerso dall'acqua, perì; mentre i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della perdizione degli empi. Ma voi, carissimi, non dimenticate quest'unica cosa: per il Signore un giorno è come mille anni, e mille anni sono come un giorno. Il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento.
2Pietro 3:5-9


Il Salmo 90, e in particolare il suo quarto versetto, è stato fonte di un determinato pensiero teologico ebraico che si è poi consolidato nel Talmud grazie al trattato di Avodah Zarah (cfr. p. 9A con Tanh7b e Midr. Sal 90 § 17 [197a]), una riflessione che guarda alla storia dell'umanità dal suo inizio alla sua fine come il dipanarsi di una settimana millenaria; poiché per il Signore un giorno è come mille anni, e poiché i giorni della creazione sono sei, seguiti dal sabato di contemplazione e riposo, questo schema si ripeterebbe anche in seguito, portando il mondo così come lo conosciamo ad una durata di seimila anni, ai quali seguirebbe il riposo sabatico del millenario regno messianico40. A sostegno di questo pensiero, in Gen. 2:17 Dio dice ad Adamo che nel giorno in cui avesse mangiato del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male egli sarebbe morto. Sempre nell'ottica del fatto per per il Signore mille anni sono come un giorno, è stato presto osservato che il tempo in cui Adamo è vissuto, come affermato in Gen. 5,5,  è stato di novecentotrenta anni, ossia un tempo estremamente vicino al "giorno divino"41. A sua volta l'affermazione della seconda lettera di Pietro ha avuto influenza anche nel cristianesimo dei primi secoli. Di fatto, tanto i testi giudaici quanto quelli protocristiani concernenti il regno messianico, presentano la descrizione di questo regno in termini intermedi, anche se di durata differente42. D'altra parte, i tanti teologi a-millenaristi evidenziano a ragione che in nessun altro testo biblico si afferma esplicitamente l'esistenza di un regno intermedio di Cristo, un regno messianico precedente alla Gerusalemme celeste. Inoltre sottolineano in particolare il significato del seguente passo:

Badate di non rifiutarvi d'ascoltare colui che parla; perché se non scamparono quelli, quando rifiutarono d'ascoltare colui che promulgava oracoli sulla terra, molto meno scamperemo noi, se voltiamo le spalle a colui che parla dal cielo; la cui voce scosse allora la terra e che adesso ha fatto questa promessa: «Ancora una volta farò tremare non solo la terra, ma anche il cielo». Or questo «ancora una volta» sta a indicare la rimozione delle cose scosse come di cose fatte perché sussistano quelle che non sono scosse. Perciò, ricevendo un regno che non può essere scosso, siamo riconoscenti, e offriamo a Dio un culto gradito, con riverenza e timore! Perché il nostro Dio è anche un fuoco consumante. 
Ebrei 12:25-29

L'espressione "ancora una volta" presupporrebbe infatti un'unica ultima rimozione della terra e del cielo, riportata poi nel diciannovesimo capitolo dell'Apocalisse, ma se cielo e terra vengono scosse un'unica ultima volta, nel periodo successivo non rimarrebbe né la vecchia terra né il vecchio cielo dove poter vivere durante l'eventuale millennio: sarebbe necessaria una inverosimile nuova creazione intermedia, in attesa dei nuovi cieli e della nuova terra descritti al ventunesimo capitolo.

Il successivo piano di analisi, è quello del contesto letterario extra biblico. In questa sede può essere molto utile confrontare i testi che non sono entrati a far parte del canone biblico, ma che per vicinanza storica e religiosa presentano concezioni molto simili all'Apocalisse di Giovanni. Come è stato appena accennato, i testi apocalittici giudaici e cristiani scritti tra il I e II presentano numerose e forti somiglianze che è giusto considerare. Di seguito i brani più strettamente interessati:

Ecco infatti che arriverà il tempo, e sarà quando verranno i segni che ti ho detto prima, la città ora nascosta apparirà, si mostrerà la terra che ora rimane celata, e tutti quelli che siano stati liberati dai mali che ti ho detto prima vedranno i miei prodigi. Infatti si rivelerà il mio servo il Messia assieme a coloro che sono con lui, e farà gioire per quattrocento anni coloro che saranno rimasti43.
Apocalisse di Esdra 7:26-28


E rispose e mi disse: "Tutta la terra (proverà) quel che succederà allora. Per questo tutti i viventi (lo) sentiranno. In quel tempo proteggerò solo chi in quei giorni sarà trovato in questa terra. E accadrà: dopo che si sarà compiuto quel che accadrà in quelle parti, allora inizierà ad essere rivelato l'Unto, e Behemot si rivelerà dal suo luogo e Leviatan salirà dal mare, entrambi i grandi draghi che ho creato il quinto giorno della creazione e ho custodito fino a quel tempo, e allora diverranno cibo per tutti coloro che saranno rimasti. Anche la terra darà i suoi frutti, diecimila volte tanto, e in una vite saranno mille tralci e un tralcio farà mille grappoli e un grappolo farà mille acini e un acino farà un kor di vino. E coloro che avevano avuto fame saranno deliziati e, ancora, vedranno meraviglie ogni giorno. Venti infatti usciranno da davanti a me per portare ogni mattina odore di frutti profumati e, al compimento del giorno, nubi stillanti rugiada di guarigione. E accadrà in quel tempo: scenderà nuovamente dall'alto il deposito della manna e in quegli anni ne mangeranno, perché loro sono quelli che sono giunti al compimento del tempo44. 
Apocalisse siriaca di Baruch c. 29

[Il Messia alla fine del sesto millennio]
E durante il suo completamento Egli distruggerà con il fuoco la casa del dominio, e tutta la razza dalle radici elette sarà dispersa. In seguito, nella settima settimana, una generazione perversa sorgerà; le sue azioni malvagie saranno abbondanti, così come i suoi atti perversi. Durante il suo completamento, i giusti verranno scelti dalla pianta perenne della giustizia; e ad essi verrà data la settenaria dottrina di tutta la sua creazione. In seguito ci sarà un'altra settimana, l'ottava della giustizia, alla quale sarà data una spada per il giudizio e la giustizia su tutti gli oppressori. I peccatori dovranno essere consegnati nelle mani dei giusti, che durante questo tempo acquisiranno abitazioni per la loro giustizia; e la casa del grande Re sarà stabilita per le celebrazioni in eterno. Dopo di ciò, nella nona settimana, il giudizio della giustizia sarà rivelata al mondo intero. Ogni lavoro degli empi dovrà sparire dalla terra intera; il mondo sarà marcato per la distruzione; e tutti gli uomini saranno in guardia per la propria incolumità. E dopo questo, il settimo giorno della decima settimana, ci sarà un giudizio eterno, che deve essere eseguito sugli osservatori; e un ampio cielo eterno germoglierà nel mezzo degli angeli. Il cielo precedente si dipartirà e passerà; un nuovo cielo apparirà; e tutte le potenze celesti dovranno brillare di uno spendore sette volte superiore al passato, per sempre. In seguito allo stesso modo vi saranno molte settimane, che devono esistere eternamente in bontà e nella giustizia45.
1 Enoch 92:11-17

Ecco che un re sorgerà dal paese di Magog alla fine dei giorni. Egli raccoglierà re cinti di corone e governatori che indossano l'armatura, e tutti i popolo gli obbediranno. Essi ingaggeranno la battaglia nel paese d'Israele contro i figli dell'esilio; ma il Signore, che resta accanto a loro nelle ore dell'afflizione, li farà morire tutti con un soffio fiammeggiante e con un fuoco ardente da sotto al trono della gloria. I loro cadaveri cadono sulle montagne della terra d'Israele, e tutte le bestie selvagge e gli uccelli del cielo verranno per mangiare le loro spoglie. Dopo questo, tutti i morti d'Israele rivivranno e godranno della felicità che è stata riservata per essi fin dall'origine dei tempi, e riceveranno ricompensa per le loro opere46.
Profezia di Eldad e Modad


Possiamo notare come l'Apocalisse di Esdra presenti esplicitamente un regno messianico di quattrocento anni, contro i mille descritti da Giovanni, condividendo questa stessa concezione teologica. L'Apocalisse di Baruch invece si sofferma sulla prosperità di questo regno senza delimitarlo temporalmente, ma descrive anche la precedente battaglia finale tra Behemot, Leviatan e l'Unto, una battaglia incredibilmente simile a quella tra Gesù Cristo, la bestia e il dragone descritta proprio al diciannovesimo capitolo dell'Apocalisse giovannea; presentando inoltre anche un simile banchetto di vittoria. Il Primo libro di Enoch elenca poi una serie di settimane cosmiche, una settima settimana nella quale coesisteranno ancora empi e giusti (che riceveranno però la dottrina più pura) e un'ottava settimana della giustizia, nella quale i giusti abiteranno in pace per questo millennio, prima del gran giorno del giudizio riservato alla nona e decima settimana. Infine, la profezia di Eldad e Modad sembra riepilogare l'intera escatologia biblica: l'ultimo impero satanico che si muove per fare guerra ad Israele, l'intervento diretto del Signore che distruggerà i nemici con il suo soffio fiammeggiante (Cfr. 2 Tess. 2:8),  il banchetto degli uccelli del cielo con i cadaveri degli sconfitti e la risurrezione finale con felicità e ricompense eterne. In questo caso non è previsto un periodo intermedio, ma tutti gli elementi combaciano con le altre descrizioni bibliche. La considerazione di questi specifici testi apocalittici giudaici, definisce in modo particolarmente nitido le concezioni teologiche e le aspettative spirituali comuni nel contesto religioso ebraico-cristiano a cavallo tra il I e II secolo d.C., mostrando però altresì la speciale identità e unicità dell'Apocalisse di Giovanni che si manifesta non solo a riguardo del genere letterario utilizzato, ma anche in molti dettagli inediti e assolutamente peculiari.

Dopo aver valutato alcuni aspetti del piano relativo ai contesti letterari biblici ed extrabiblici, possiamo avvicinarci finalmente al dettaglio del testo in questione, limitato ai versetti dal 4 al 10 del ventesimo capitolo dell'Apocalisse di Giovanni. Come abbiamo letto, questo brano descrive dei troni celesti, e l'autorità di giudizio a coloro che vi sono seduti. Successivamente presenta una prima risurrezione che riguarda due categorie di persone: coloro erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù, e quelli che non avevano adorato la bestia né la sua immagine. I martiri cristiani di ogni tempo dunque tornano in vita e regnano con Cristo per mille anni, come sacerdoti di Dio Padre e di Cristo, mentre Satana è legato e sigillato nell'abisso. In queste frasi non troviamo il dettaglio di dove si posizioni questo regno (oltre al quando, già considerato), se in terra o in cielo, contribuendo ad alimentare con questa ulteriore incognita le differenze interpretative a riguardo. Alla fine dei mille anni, Satana viene liberato e riesce a sedurre le nazioni che sono ai quattro angoli della terra (Gog e Magog, simbolo di tutte le nazioni ostili ad Israele) muovendo guerra contro Gerusalemme, ma un fuoco dal cielo interviene per divorare tutte le nazioni. Alla fine, il diavolo viene preso e  gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta. 

L'origine dell'idea di questo periodo di tempo, sembra derivare proprio dalle attese escatologiche del tardo giudaismo apocalittico. I primi testi escatologici giudaici descrivano in effetti un regno messianico che sarebbe durato per sempre su questa terra (Is. 11:10-16, 65:20-25, Dn. 7:14, 27), ma sotto l'influsso del dualismo, a partire dal 100 a.C. in poi, prese a svilupparsi un pessimismo sempre maggiore sulla possibilità di considerare questo mondo adatto per un tempo così glorioso47. Sarebbe dunque proprio nello sforzo di mediare tra l'originaria speranza escatologica di un regno terreno e la concezione più tarda di un regno trascendente in un nuovo cielo e una nuova terra per i santi risuscitati, che nacque l'idea di un Regno di Dio che, prima di poter essere pienamente stabilito, dovesse conoscere una realizzazione parziale e temporanea48

Un punto cruciale sul problema interpretativo di questo testo - oltre a quello della cronologia - si può identificare nell'espressione "tornarono in vita", identificata come una risurrezione spirituale ad una nuova vita in Cristo dai commentatori a-millenaristi, e come una vera e propria risurrezione fisica dai commentatori pre-millenaristi49. Il verbo utilizzato, in ogni caso, ricorre anche in testi come Matteo 9:18, dove il capo della sinagoga dice a Gesù che sua figlia è appena morta ma che se egli stenderà le sue mani su di lei "vivrà di nuovo", e in Romani 14:9 a proposito della risurrezione corporale di Cristo (poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita)50. Nel caso a-millenarista della risurrezione spirituale, il millennio rappresenterebbe un regno spirituale celeste, ossia la presente età della Chiesa nella quale il diavolo è impossibilitato a sedurre le nazioni, l'attuale età destinata a terminare con il ritorno del Signore e la battaglia di Harmaghedon. Il testo dunque allargherebbe la visuale mostrando il tempo intercorrente tra la prima e seconda venuta di Cristo rielaborando in ultimo gli eventi finali già descritti al capitolo diciannove. Negli altri casi, come già notato, la risurrezione sarebbe fisica, ed il regno futuro, valutando l'ordine delle visioni come cronologico. Le principali argomentazioni a-millenariste coinvolgono oltre alla non  consequenzialità delle espressioni "e vidi", e al significato non letterale dell'espressione "tornarono in vita", anche l'importanza dello schema riepilogativo all'interno dell'intera Apocalisse. La battaglia di Harmaghedon verrebbe quindi descritta tre volte da prospettive differenti: in 16:12-21 evidenziando l'insieme completo dei nemici dell'Agnello, in  19:11-21 presentando solo la bestia e il falso profeta, e in 20:7-10 soltanto il dragone. Il primo versetto del quindicesimo capitolo inoltre suggerirebbe il termine ultimo per la manifestazione dell'ira di Dio (sette angeli che recavano sette flagelli, gli ultimi, perché con essi si compie l'ira di Dio), e compiendosi l'ira di Dio con l'ultimo flagello ed il ritorno del Signore descritto al c.19, essa non potrebbe riproporsi una seconda volta nel capitolo successivo come affermerebbe invece la concezione pre-millenarista. Sul piano testuale dunque il problema cronologico e spaziale resta aperto, offrendo indizi e problemi differenti che vengono raccolti dalle due principali correnti interpretative, che non sono comunque state in grado dare argomenti conclusivi su questo dibattito ancora in corso.

Sul piano storico/teologico, questi versetti sono stati inizialmente intesi nella prospettiva futurista pre-millenarista, ossia riconoscendo nell'ordine del libro una sequenza cronologica e considerando il ritorno di Cristo profetizzato al capitolo diciannove come effettivo. Verso la metà del secondo secolo Giustino Martire diceva che i cristiani veramente ortodossi erano certi del fatto che alla risurrezione dei morti doveva fare seguito un millennio a Gerusalemme51. Ireneo, nella seconda metà dello stesso secolo, credeva in un millennio terreno durante il quale i santi e i martiri avrebbero ricevuto la loro ricompensa52. In questo stesso tempo però fiorirono anche molte esagerazioni a riguardo, speculazioni su godimenti materialistici e sensuali riservati a questo periodo millenario che irrigidirono gli studiosi successivi, portandoli a condannare la concezione millenarista che aveva messo radici nella chiesa53. Nel terzo secolo Origene riprese quanti si aspettavano un millennio di piacere fisico e lussuria54, ma fu solo con Agostino, nel quinto secolo, che si iniziò ad interpretare esplicitamente Ap. 20 in modo non millenaristico55. Da qui in avanti la Chiesa consolidò sempre più questa posizione, comunicando lo stesso disagio per il millenarismo (chiamato anche chialismo) anche alla teologia dei Riformatori nel XVI secolo56. La Confessione Augustana redatta nel 1530 da Filippo Melantone, afferma infatti a proposito nel suo diciasettesimo capitolo:
Allo stesso modo insegnano che Cristo apparirà alla fine del mondo per giudicare, e risusciterà tutti i morti: ai pii e agli eletti darà vita eterna e gioia perpetua; ma condannerà gli uomini empi e i diavoli perché siano tormentati senza fine. Condannano gli Anabattisti, i quali affermano che, per gli uomini dannati e per i diavoli, vi sarà un termine alle pene. Condannano anche altri che in questi tempi diffondono credenze giudaiche e cioè che, prima della risurrezione dei morti, i pii conquisteranno il governo del mondo, dopo aver sottomesso ovunque i malvagi.
In seguito, il teologo Giovanni Calvino affrontò l'argomento commentando nel seguente modo il millenarismo di Ireneo:
Ma poco dopo sono usciti i Chiliasti, i quali hanno voluto abbreviare il regno di Gesù Cristo e restringerlo nel termine di mille anni. La loro tesi è così puerile che non richiede di essere confutata, poiché non ne è degna. L’Apocalisse da cui essi hanno tratto lo spunto per mascherare il loro errore, non lo appoggia affatto, visto che il numero mille, che è menzionato (Apoc., XX,4), non si riferisce alla beatitudine permanente della Chiesa, ma a molte rivoluzioni che dovevano accadere per molestarla»
Istituzione della religione cristiana, Libro Terzo, 25, 5.
Nei secoli successivi, la Chiesa Cattolica romana definì sempre meglio il suo pensiero nell'ottica preterista a-millenarista, mentre la Chiesa Protestante nell'ottica storicista a-millenarista, riconoscendo nel papa l'Anticristo preannunciato dall'Apocalisse di Giovanni. Nel frattempo gli Anabattisti continuarono a restare fedeli al millenarismo, dottrina che sarebbe riemersa in molteplici denominazioni fino a raggiungere i nostri giorni principalmente grazie al mondo evangelicale. Allo stato attuale, come osserva il Dr. R. Fowler White: "lo scambio accademico tra questi due gruppi [a-millenaristi e pre-millenaristi] ha raggiunto poco più di una delineazione delle loro differenze e, di fatto, i contributi più recenti ammontano a non più di ripetizioni banali di vecchi argomenti." Il problema resta dunque aperto, e la necessità di riaccendere la discussione si ripresenta ciclicamente, rilanciando ad ogni nuova generazione la sfida del raggiungimento di una comprensione soddisfacente e definitiva.

Cercando di concludere l'analisi della presente visione di Giovanni sul millennio, il riconoscimento di molti punti oscuri legati a questo brano specifico è innegabile. Da una parte infatti abbiamo l'incognita del quadro temporale e spaziale, e dall'altra l'incognita del significato stesso di questi eventi nel caso siano da considerare come futuri. Nel testo si trovano alcuni indizi che possono far pensare ad una ricapitolazione delle visioni precedenti (cap. 19) apportando piccole modifiche in proposito, così come esistono degli indizi che potrebbero portare a pensare ad una visione cronologica delle varie visioni di questo ultimo settenario del libro. A mio avviso tanto la visione storicista/futurista a-millenarista (con la concezione del millennio inaugurato) quanto quella futurista pre-millenarista (con la concezione di un millennio futuro) hanno ragione di esistere, in quanto nonostante non siano perfette, presentano entrambi scenari verosimili, contribuendo contemporaneamente a manifestare gli specifici problemi interpretativi del brano tanto dall'una quanto dall'altra parte. A favore della visione futurista pre-millenarista vorrei però ribadire il possibile e realistico  scopo di un futuro regno millenario di Cristo: non tanto provare in modo tangibile la vittoria del bene sul male, né provare che gli uomini possono essere corrotti anche in una società perfetta, ma piuttosto offrire uno speciale premio e riconoscimento per quanti hanno pagato con la vita il prezzo di una fedele opposizione alla persecuzione secolare. Troverebbe dunque a questo riguardo un particolare significato tanto il premio offerto ai martiri della chiesa di Smirne (Ap. 2:10), quanto il grido riportato nel sesto capitolo:

Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di quelli che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che gli avevano resa. Essi gridarono a gran voce: «Fino a quando aspetterai, o Signore santo e veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra?» E a ciascuno di essi fu data una veste bianca e fu loro detto che si riposassero ancora un po' di tempo, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro.
Apocalisse 6:9-11

E, oltre a tutto questo, acquisirebbe un nuovo spessore anche questo importante detto di Gesù:

Chi avrà trovato la sua vita la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. 
Matteo 10:39 
 
In questa prospettiva infatti, tale frase non riguarderebbe più coloro che hanno dedicato genericamente la propria vita a Cristo, ma in modo più specifico coloro che sono stati fedeli fino alla morte. In ogni caso, in qualunque modo Giovanni intese questi eventi, senza dubbio proprio a loro volle riportare questa divina promessa. Ai martiri, la corona della vita. A coloro che sono stati decapitati per la testimonianza di Gesù, questa prima risurrezione. 

6. E VIDI: UN GRANDE TRONO BIANCO




Poi vidi un grande trono bianco e colui che vi sedeva sopra. La terra e il cielo fuggirono dalla sua presenza e non ci fu più posto per loro. E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono. I libri furono aperti, e fu aperto anche un altro libro che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri, secondo le loro opere. Il mare restituì i morti che erano in esso; la morte e l'Ades restituirono i loro morti; ed essi furono giudicati, ciascuno secondo le sue opere. Poi la morte e l'Ades furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda, cioè lo stagno di fuoco. E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco.  
Apocalisse 20:11-15

Fino ad ora, esaminando quest'ultimo settenario dell'Apocalisse di Giovanni, abbiamo analizzato due grandi quadri, descritti in più visioni. Il primo quadro è quello del ritorno di Cristo e della battaglia finale ad Harmaghedon, e si compone di una prima visione che descrive l'arrivo di Cristo ed i suoi dal cielo, una seconda visione con un angelo che chiama gli uccelli del cielo a banchettare con i cadaveri degli sconfitti, ed una terza visione con l'inevitabile conclusione della battaglia. Successivamente siamo arrivati al secondo quadro descritto in due visioni: la prima con la legatura e detenzione di Satana e la seconda con il regno millenario di Cristo assieme ai martiri, regno che termina con la liberazione del diavolo, la seduzione delle nazioni e una battaglia che porta alla definitiva vittoria del Signore. Come abbiamo già dettagliato in precedenza, questi due grandi quadri vengono riconosciuti come consequenziali dai teologi pre e post-millenaristi e non consequenziali dai teologi a-millenaristi. Questi ultimi infatti interpretano il secondo quadro come una riepilogazione del primo, quindi come la ripetizione di eventi già descritti in precedenza. Adesso però, superata quest'impasse, possiamo entrare in un nuovo terzo quadro, con uno scenario completamente diverso, riconosciuto come tale dagli studiosi di qualsiasi orientamento dottrinale escatologico. Questa sesta visione, infatti, descrive il giudizio finale: la valutazione di condotta della vita di tutti gli uomini comparsi nella storia dell'umanità. L'apertura della scena introduce un grande trono bianco e una figura seduta, che non viene però specificata. Nel Nuovo Testamento il giudizio viene spesso attribuito a Cristo (cfr. Gv. 5:22, 2 Cor. 5:10, 2 Tim. 4:1), ma nell'Apocalisse appare frequentemente il Padre seduto su un trono in sede di giudizio (cfr. 4:2,9; 5:1,7,13; 6:16; 7:10, 15; 19:4; 21:5). In questo contesto appare dunque più probabile che Dio Padre stesso sia seduto sul trono per procedere al giudizio finale57. In seguito alla visione del grande trono bianco, la terra e il cielo fuggirono dalla sua presenza e non ci fu più posto per loro. Nei libri biblici sono molteplici i riferimenti ad una fuga o una distruzione della creazione in sede di giudizio (cfr. Sal. 102:26; Is. 51:6; Mc. 13:31; Atti 3:21), ma l'ultimo accenno in ordine temporale è probabilmente quello che troviamo nella seconda lettera di Pietro:

Il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni; ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento. Il giorno del Signore verrà come un ladro: in quel giorno i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno bruciate. 
2Pietro 3:9-10

D'altra parte però, il Nuovo Testamento presenta anche il concetto di un rinnovamento ed un riscatto della creazione, piuttosto che di una sua distruzione. Leggiamo infatti:

Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio; perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l'ha sottoposta, nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio.
Romani 8:19-21 

Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli.
 
Colossesi 1:19,20

Esso consiste nel raccogliere sotto un solo capo, in Cristo, tutte le cose: tanto quelle che sono nel cielo, quanto quelle che sono sulla terra.
 
Efesini 1:10b

Ed inoltre:

E Gesù disse loro: Io vi dico in verità che nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi, che mi avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele.  
Matteo 19:28

Il termine che la traduzione Nuova Riveduta riporta come "nuova creazione", è reso in originale con paliggenesia, che letteralmente significa piuttosto "rigenerazione"; tant'è che nell'unica altra ricorrenza neotestamentaria (Tito 3:5) viene utilizzato in merito al "bagno della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo" dei credenti. Una traduzione più letterale del versetto matteano sarebbe dunque: io vi dico in verità che nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi, che mi avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele. Così come la conversione comporta una rigenerazione e un rinnovamento del credente per opera dello Spirito Santo, allo stesso modo nel giudizio finale - potremmo dire - avverrà una rigenerazione e un rinnovamento di ogni cosa

E' un dato di fatto quindi che nella Scrittura esistano queste tre differenti tradizioni a riguardo (fuga dei cieli e della terra, distruzione dei cieli e della terra, rigenerazione in Cristo dei cieli e della terra). Il teologo J.R. Middleton, nel suo libro A New Heaven and a New Earth, raccoglie queste differenti tradizioni bibliche per analizzarle in ogni dettaglio, e arrivare ad una conclusione intelligente ed armonica. Partendo proprio dal brano della Seconda Lettera di Pietro,  egli annota che il termine greco katakahesetai (ovvero, saranno bruciate) deriva dal Textus Receptus nell'edizione di Erasmo che si basa su manoscritti bizantini. I codici più antichi e autorevoli però, ossia il Codex Vaticanus e il Codex Sinaiticus, non mostrano affatto questo termine, e al suo posto presentano la parola heurethesetai, ossia saranno trovati. La traduzione corretta dell'ultima parte di questo versetto sarebbe dunque all'opposto la terra e le opere che sono in essa saranno trovate. Saranno trovate nel senso che passeranno il giudizio. Che dire però dei precedenti riferimenti alla dissolvenza e al bruciare? Egli procede alla dimostrazione che gli elementi dissolti con maggiore probabilità non sono elementi materiali, ma argomentazioni e filosofie umane (cfr. Col. 2:8) e che i riferimenti ai cieli che passano stridendo accompagnati da terremoti e calamità eccezionali sono comuni a molte teofanie dell'Antico Testamento che vengono presentate proprio con espressioni simili, dal carattere simbolico e non letterale (cfr. Giudici 5:4,5). Il significato autentico di 2 Pietro 3:9,10 sarebbe dunque il seguente: come il cristiano sarà trovato nel giorno del giudizio in quanto passerà la prova, allo stesso modo anche la terra ed i cieli passeranno il giudizio e saranno trovati. In quest'ottica, l'espressione di Ap. 20:11b potrebbe essere simbolica, o affermare semplicemente che il giudizio viene effettuato altrove. Questa possibilità, che trovo interessante, ha il pregio di accordare tutti gli indizi biblici con una logica che onori i testi. Senz'altro questa tesi deve essere motivata sulla base di molte altre analisi bibliche, per tutti i dettagli quindi rimando direttamente al libro dell'autore in questione.

Tornando ora alla nostra sesta visione nell'ultimo settenario dell'Apocalisse, compaiono a questo punto tutti i morti, in piedi davanti al trono, ed essi vengono giudicati in base al contenuto dei libri riportanti le loro opere e in base ad un altro libro chiamato "della vita". La scena presenta grandi somiglianze con quella presente nel libro del profeta Daniele:

Io continuai a guardare e vidi collocare dei troni, e un vegliardo sedersi. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano simili a lana pura; fiamme di fuoco erano il suo trono, che aveva ruote di fuoco ardente. Un fiume di fuoco scaturiva e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano, diecimila miriadi gli stavano davanti. Si tenne il giudizio e i libri furono aperti. Io guardavo ancora, a motivo delle parole arroganti che il corno pronunciava; guardai fino a quando la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto, gettato nel fuoco per essere arso. Le altre bestie furono private del loro potere; ma fu loro concesso un prolungamento di vita per un tempo determinato. Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d'uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto.
Daniele 7:9-14

Questo brano sembra riepilogare tutti gli eventi che andranno a costituire il settenario delle visioni nell'Apocalisse di Giovanni che stiamo esaminando. C'è infatti il Padre seduto sul trono del giudizio, c'è una prima distruzione della bestia e un periodo di vita ulteriore per le altre, che vengono comunque distrutte da uno simile a un figlio d'uomo, ossia il Figlio, attraverso il suo intervento dal cielo. Al Messia vengono dati infine dominio, gloria e regno in eterno. Il giudizio anche qui viene effettuato attraverso dei libri che vengono aperti. Il brano di Ap. lascia intendere che tutti gli uomini passeranno per questo giudizio, tanto i cristiani quanto i non cristiani, tanto coloro che sono stati seppelliti quanto coloro che morendo hanno lasciato il proprio cadavere in balìa del mare. Poiché sono riportati i libri delle opere e il libro della vita, sembrerebbe  che tutti debbano passare per il giudizio delle loro opere, e successivamente coloro che sono riportati nel libro della vita restino per la fase successiva del Regno di Dio, mentre chi non compare nel libro della vita viene esplicitamente destinato allo stagno di fuoco. Per ultimo, la morte e l'Ades vengono gettati in questo stesso stagno di fuoco, in accordo con quanto detto dall'apostolo Paolo in 1 Cor. 15:26 e in questi successivi versetti:

Quando poi questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta:
«La morte è stata sommersa nella vittoria».

«O morte, dov'è la tua vittoria?
O morte, dov'è il tuo dardo?»
Ora il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge; ma ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo.

1Corinzi 15:54-57 

7. E VIDI: UN NUOVO CIELO E UNA NUOVA TERRA





















Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate». E colui che siede sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Poi mi disse: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere», e aggiunse: «Ogni cosa è compiuta. Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell'acqua della vita. Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio. Ma per i codardi, gl'increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda». 

Poi venne uno dei sette angeli che avevano le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli, e mi parlò, dicendo: «Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell'Agnello». Egli mi trasportò in spirito su una grande e alta montagna, e mi mostrò la santa città, Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, con la gloria di Dio. Il suo splendore era simile a quello di una pietra preziosissima, come una pietra di diaspro cristallino. Aveva delle mura grandi e alte; aveva dodici porte, e alle porte dodici angeli. Sulle porte erano scritti dei nomi, che sono quelli delle dodici tribù dei figli d'Israele. Tre porte erano a oriente, tre a settentrione, tre a mezzogiorno e tre a occidente. Le mura della città avevano dodici fondamenti, e su quelli stavano i dodici nomi di dodici apostoli dell'Agnello. E colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura. E la città era quadrata, e la sua lunghezza era uguale alla larghezza; egli misurò la città con la canna, ed era dodicimila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza erano uguali. Ne misurò anche le mura ed erano di centoquarantaquattro cubiti, a misura d'uomo, adoperata dall'angelo. Le mura erano costruite con diaspro e la città era d'oro puro, simile a terso cristallo. I fondamenti delle mura della città erano adorni d'ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento era di diaspro; il secondo di zaffiro; il terzo di calcedonio; il quarto di smeraldo; il quinto di sardonico; il sesto di sardio; il settimo di crisòlito; l'ottavo di berillo; il nono di topazio; il decimo di crisopazio; l'undicesimo di giacinto; il dodicesimo di ametista. Le dodici porte erano dodici perle e ciascuna era fatta da una perla sola. La piazza della città era d'oro puro, simile a cristallo trasparente. 

Nella città non vidi alcun tempio, perché il Signore, Dio onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno di sole, né di luna che la illumini, perché la gloria di Dio la illumina, e l'Agnello è la sua lampada. Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra vi porteranno la loro gloria. Di giorno le sue porte non saranno mai chiuse (la notte non vi sarà più); e in lei si porterà la gloria e l'onore delle nazioni. E nulla di impuro, né chi commetta abominazioni o falsità, vi entrerà; ma soltanto quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello.

Poi mi mostrò il fiume dell'acqua della vita, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla piazza della città e sulle due rive del fiume stava l'albero della vita. Esso dà dodici raccolti all'anno, porta il suo frutto ogni mese e le foglie dell'albero sono per la guarigione delle nazioni. Non ci sarà più nulla di maledetto. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell'Agnello; i suoi servi lo serviranno, vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome scritto sulla fronte. Non ci sarà più notte; non avranno bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli.
Apocalisse 21, 22:1-5

Dopo la battaglia di Harmaghedon, dopo il regno messianico dei mille anni ed il giudizio finale, arriviamo ora all'ultima visione descritta da Giovanni, un brano che rappresenta la situazione eterna che prenderà il posto dell'età presente. L'inizio di questa visione riprende l'oracolo profetico con cui si chiudeva il libro del profeta Isaia:

«Infatti, come i nuovi cieli
e la nuova terra che io sto per creare
rimarranno stabili davanti a me», dice il SIGNORE,
«così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome.
Avverrà che, di novilunio in novilunio e di sabato in sabato,
ogni carne verrà a prostrarsi davanti a me», dice il SIGNORE.
«Quando gli adoratori usciranno, vedranno
i cadaveri degli uomini che si sono ribellati a me;
poiché il loro verme non morirà, e il loro fuoco non si estinguerà;
e saranno in orrore a ogni carne».
Isaia 66:22-24

Un nuovo cielo ed una nuova terra infatti aprono questo nuovo scenario, nel quale entrerà anche la nuova Gerusalemme. Il termine "nuovo" è reso in greco da kainos, per evidenziare la freschezza di questa creazione e di questa città santa, ormai privi di vanità e peccato. La maggior parte del commentatori considera questa nuova creazione come creata dal nulla, ma alcuni teologi, come abbiamo visto precedentemente, iniziano a considerare la possibilità di una rigenerazione della vecchia creazione piuttosto di una ri-creazione vera e propria. Una delle prime descrizioni di Giovanni in questa settima visione riguarda l'assenza del mare. Molto probabilmente questa nota si riferisce al tumulto dei popoli rappresentati proprio dal mare in Ap. 13:1. Di conseguenza, l'assenza del mare indicherebbe un'assenza di ribellioni e di empietà da parte dei popoli che vivranno in questo nuovo ordine eterno58. La nuova Gerusalemme viene presentata dal Padre come il tabernacolo di Dio con gli uomini, utilizzando il sostantivo skēnē che rimanda alla Shekinah (dimora di Dio) nel tabernacolo di Mosè, nel Tempio di Salomone e successivamente all'abitazione (eskenosen) fra gli uomini del Logos di Dio fatto carne (Giov. 1:14), ossia la vita terrena di Gesù Cristo59. La presenza di Dio tra gli uomini, infatti, inizialmente era resa possibile dall'Arca dell'Alleanza, mentre con l'incarnazione di Cristo essa si è manifestata attraverso la sua stessa persona. Dopo risurrezione e ascensione del Signore, lo Spirito Santo ha dimorato nei credenti (Giov. 14:17), ma la condizione definitiva ed eterna della comunione di Dio con gli uomini rimane destinata alla realtà futura della Gerusalemme celeste, la città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio (Ebr. 11:10). Secondo alcuni la nuova Gerusalemme sarebbe una città vera e propria, ma è decisamente preferibile intenderla come un simbolo della Chiesa nella sua dimensione perfetta ed eterna60. Essa, proprio come rappresentazione della comunione eterna con Dio, è promessa a coloro che vincono, in accordo con le sette lettere iniziali del libro, e negata ai codardi, gl'increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi. Quest'ultimo elenco non comincia con i tradizionali difetti del paganesimo, ma con la codardia e l'incredulità. Secondo J. Roloff, questo sarebbe un indizio del fatto che "a essere presa di mira è la condotta di quei cristiani che in mezzo alla persecuzione e alle avversità si indeboliscono e rinnegano la loro ubbidienza al Signore"; questo sarebbe perciò più un giudizio per i credenti che hanno rinnegato la propria fede, piuttosto che per coloro che non hanno mai fatto parte - neanche apparentemente - della Chiesa61. Successivamente, uno degli angeli che recava una delle sette coppe descritte in precedenza, mostra a Giovanni la città celeste in quanto sposa, moglie dell'Agnello. Nell'antichità, era cura di ogni padre provvedere a gioielli, oro, argento e pietre preziose, vesti che fossero di ornamento e dote alla sposa, quando questa era consegnata al marito62. Questo sembrerebbe proprio il caso di Dio Padre, che provvede ad ogni ricchezza per le nozze tra la Chiesa e l'Agnello, ricchezze descritte nei termini successivi. Le dodici porte onorano le dodici tribù di Israele (in accordo con Ez. 48:30-34), e i dodici fondamenti onorano i dodici apostoli di Cristo, garantendo una continuità ampiamente difesa da tutto il Nuovo Testamento. La lunghezza della città è uguale alla sua larghezza, e questo con un unico precedente biblico, costituito dal luogo Santissimo del Tempio di Salomone:

Salomone stabilì il santuario nell'interno, in fondo alla casa, per collocarvi l'arca del patto del SIGNORE. Il santuario aveva venti cubiti di lunghezza, venti cubiti di larghezza, e venti cubiti d'altezza. Salomone lo ricoprì d'oro finissimo; davanti al santuario fece un altare di legno di cedro e lo ricoprì d'oro.
1Re 6:19-20

Appare dunque verosimile che Giovanni abbia ripreso questo modello, alludendo forse anche alla larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo, oggetto della preghiera di Paolo per i credenti di Efeso (cfr. Ef. 3:18). In quest'ultimo caso Giovanni, con queste sue misurazioni e l'intera visione, potrebbe aver voluto proporre un'alternativa altrettanto "mistica" e pneumatica, alla conoscenza delle "profondità di Dio" sbandierata dall'avversaria Iezabel (Ap. 2:28)63. Come osserva Tripaldi: "che poi le dimensioni siano fissate a dodici migliaia di stadi, non stupisce: l'architettura, in prima battuta, e poi le delizie della città che incarna il "sogno" del nuovo Israele di Dio non possono che giocare sul dodici e suoi multipli; dodicimila, inoltre, è la dodicesima parte del numero incalcolabile centoquarantaquattromila, il che riporta la misurazione a segmenti di dimensioni "infinite" e ne offusca di fatto la precisione: con la sua strategia dei numeri, anche Giovanni, insomma, torna a celebrare l'assoluta irriducibilità della Gloria di YHWH a parametri, attese e concetti umani"64. La città non presenta alcun tempio, a differenza di quanto descritto dal profeta Ezechiele in ben sette capitoli (40-46), e questo mostra quanto per Giovanni il simbolo abbia ormai ceduto il posto alla realtà: non più un tempio simboleggiante la presenza di Dio ma la presenza di Dio stessa come realtà del tempio è presente per illuminare tutta la città65. Le nazioni e i re descritti ricalcano un altro oracolo di Isaia:

Sorgi, risplendi, poiché la tua luce è giunta,
e la gloria del SIGNORE è spuntata sopra di te!

Infatti, ecco, le tenebre coprono la terra
e una fitta oscurità avvolge i popoli;
ma su di te sorge il SIGNORE
e la sua gloria appare su di te.

Le nazioni cammineranno alla tua luce,
i re allo splendore della tua aurora.
Isaia 60:1-3

Tuttavia, se i redenti abitano l'interno della città, chi sono queste nazioni e questi re? Mounce analizzando il problema conclude che Giovanni abbia mutuato dai profeti quelle soluzioni espressive e quelle figure retoriche che presuppongono che i popoli gentili continuino ad esistere sulla terra anche dopo l'inizio della nuova era66. Giovanni avrebbe dunque mantenuto inavvertitamente alcuni elementi profetici veterotestamentari che non erano del tutto adatti alla nuova situazione67.

Arrivando al ventiduesimo capitolo, troviamo il fiume che scaturisce dal trono di Dio, l'albero della vita sulle sponde del fiume, e la descrizione di un giorno eterno. Queste immagini riprendono quelle del giardino dell'Eden, riscattandolo però e donando una nuova pienezza di vita all'intera scena. Linguisticamente, Tripaldi in accordo con Aune sposta il punto della prima frase per ricercare una migliore resa, ottenendo:
"Poi mi mostrò il fiume dell'acqua della vita, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello in mezzo alla piazza della città. E sulle due rive del fiume stava l'albero della vita"68. Il trono di Dio e dell'Agnello sarebbe dunque in mezzo alla piazza della città, da dove scaturisce il fiume dell'acqua della vita, descritto ancora una volta anche dal profeta Ezechiele:

Egli mi ricondusse all'ingresso della casa; ed ecco delle acque uscivano sotto la soglia della casa, dal lato d'oriente; perché la facciata della casa guardava a oriente; le acque uscite di là scendevano dal lato meridionale della casa, a mezzogiorno dell'altare. Poi mi condusse fuori per la via della porta settentrionale e mi fece fare il giro, di fuori, fino alla porta esterna, che guarda a oriente; ed ecco, le acque scendevano dal lato destro.
Ezechiele 47:1,2

L'albero della vita sarebbe posizionato invece sulle due rive di questo fiume, portando abbondanza di frutto per ogni mese. Le sue foglie inoltre sono indicate per la guarigione delle nazioni. In questa città eterna non ci sarà più maledizione né peccato, ma solo la piena presenza di Dio e dell'Agnello, assieme a tutti i redenti. Non ci sarà più notte; non avranno bisogno di luce di lampada, né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli.

CONCLUSIONE

Dopo aver considerato il contesto storico-letterario dell'Apocalisse di Giovanni, e aver analizzato le ultime sette visioni di questo prezioso libro biblico, possiamo trarre le nostre conclusioni in merito alle modalità di compimento del Regno di Dio. Se tutto è iniziato con la Genesi, nel giardino dell'Eden, tutto finirà con l'Apocalisse, nella nuova Gerusalemme: in una condizione di ripristinata dignità, santità ed eternità. In questa nuova realtà, le cose di prima saranno passate, ogni dolore e sofferenza sarà infatti soltanto un ricordo e la presenza di Dio avvolgerà ogni cosa. Potremmo dire che la condizione definitiva dell'umanità redenta sarà quella di vivere all'interno dell'originario Luogo Santissimo, la realtà celeste presa come modello per il Tabernacolo di Mosè (Ebr. 8:5). Se in quella stanza poteva entrare solo il sommo sacerdote una volta all'anno, in questa città invece potranno dimorare tutti i credenti ormai pienamente santificati, per l'eternità.

Riepilogando gli eventi che porteranno a questa condizione, ricordiamo gli avvenimenti dell'Esodo, presi da Giovanni come esempio e adattati per questo nuovo contesto. Allora, Israele era schiavo dell'Egitto. Al tempo presente e/o futuro, la Chiesa è/sarà vessata da Babilonia. Come Mosè fu scelto per portare la liberazione, similmente ci saranno due testimoni che profetizzeranno per milleduecentosessanta giorni, saranno uccisi e infine risusciteranno (l'identità di questi due testimoni è molto controversa, non entro ora nel merito di questo problema
specifico). Come l'Egitto subì le famose dieci piaghe, allo stesso modo il mondo soggiogato da Babilonia subisce/subirà numerosi "guai" e numerose calamità naturali e spirituali. Come il faraone di allora fu indurito nel cuore, allo stesso modo l'Anticristo perseguirà i propri obiettivi satanici fino alla fine, sino all'apparizione del Signore.

E allora sarà manifestato l'empio, che il Signore Gesù distruggerà con il soffio della sua bocca, e annienterà con l'apparizione della sua venuta.
2Tessalonicesi 2:8

Cosa accadrà successivamente al ritorno di Cristo e alla distruzione dell'empio con le sue armate, rimane ancora oggi un problema aperto. La visione a-millenarista pone come immediatamente successivo il giudizio finale e la discesa della nuova Gerusalemme, mentre quella pre- e post-millenarista inserisce a questo punto il regno millenario di Cristo assieme ai martiri di ogni tempo. Quest'ultima prospettiva vede la fine di questo regno intermedio con l'ultima rivolta del diavolo e la sua definitiva sconfitta. Dopodiché ci sarebbe il giudizio finale e la discesa della Gerusalemme celeste. In ogni caso, però, la conclusione di questi eventi resta chiara, ed il termine di tutte le cose è senza dubbio per qualsiasi lettore e studioso delle Sacre Scritture il giorno eterno nel quale Dio e l'Agnello regneranno insieme con i santi, non più sottoposti alla vanità della morte, della sofferenza e del peccato, ma finalmente liberi di esprimere appieno la loro gioia di vedere il Signore faccia a faccia, essere illuminati da lui e governare insieme a lui per l'eternità, nei secoli dei secoli...Di fronte a questa immagine, qualsiasi cristiano non può fare altro di lasciarsi abbandonare alla gratitudine e alla preghiera a Dio, pregando il Signore di realizzare questa profezia il più in fretta possibile. Ed infatti, proprio per questo motivo, l'Apocalisse stessa termina con una triplice invocazione:

Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni». E chi ode, dica: «Vieni». Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell'acqua della vita.
Apocalisse 22:17

Lo Spirito Santo e la Chiesa, in accordo, invocano il ritorno di Cristo e la realizzazione della profezia dicendo: «Vieni». E Giovanni, in quanto profeta, invita chiunque legga queste parole ad unirsi e dire: «Vieni». L'età della grazia è stata inaugurata da Gesù, il numero dei suoi servitori cresce ogni giorno, e il suo appello a prendere in dono dell'acqua della vita è disponibile per tutti: per tutti coloro che rispondono a questo appello e accolgono il Signore, per diventare di conseguenza anche loro figli di Dio. Oggi è ancora il giorno della salvezza (2 Cor. 6:2), oggi è ancora un giorno disponibile per il pentimento, prima che sia troppo tardi, prima del ritorno del Signore.


Note:

[1] http://www.adherents.com/Religions_By_Adherents.html#Christianity
[2] Etcheverrìa Ramòn Trevijano, La Bibbia nel cristianesimo antico, Ed. Paideia, cit. p.  382.
[3] Id. Ibid.
[4] http://www.biblistica.it/wordpress/?page_id=2701
[5] Mounce Robert H., Apocalisse - introduzione e commento, Ed. GBU, cit. p. 10.
[6] Id. Ibid.
[7] Id. Ibid., cit. p. 11.
[8] Id. Ibid., cit. p. 12.
[9] Id. Ibid., cit. pp. 15, 16.
[10] Id. Ibid., cit. pp. 16, 17.
[11] Id. Ibid., cit. p. 18.
[12] Id. Ibid. 
[13] Id. Ibid. cit. p. 21.
[13] Rinaldi Giancarlo, Cristianesimi nell'antichità, Ed. GBU, cit. pp. 313, 314.
[15] Pawson David, Le chiavi della Bibbia, Ed. EUN, cit. pp. 836-840.
[16] Tripaldi Daniele, Apocalisse di Giovanni - Introduzione, traduzione e commento, Ed. Carocci, cit. pp. 207, 208. 
[17] Alegre Xavier, Tuni Josep-Oriol, Scritti giovannei e lettere cattoliche, Ed. Paideia, cit. p. 197.
[18] https://www.blueletterbible.org/lang/lexicon/lexicon.cfm?Strongs=G2919&t=KJV
[19] https://www.blueletterbible.org/lang/lexicon/lexicon.cfm?Strongs=G4170&t=KJV
[20] D'Aragon Jean-Louis con la sovrintendenza di Brown Raymond E., Fitzmeyer Joseph A., Murphy Roland E., Grande commentario biblico, Ed. Queriniana, cit. p. 1466. 
[21] http://www.iglesiareformada.com/Berkhof_Sommario_seconda_venuta_Cristo.html
[22] Pawson D., Le chiavi della Bibbia, Ed. EUN, cit. p. 873
[23] D'Aragon Jean-Louis, Brown Raymond E., Fitzmeyer Joseph A., Murphy Roland E., Grande commentario biblico, Ed. Queriniana, cit. p. 1466. 
[24] Id. Ibid. +
Mounce Robert H., Apocalisse - introduzione e commento, Ed. GBU, cit. p. 471.
[25] Tripaldi D., Apocalisse di Giovanni - Introduzione, traduzione e commento, Ed. Carocci, cit. p. 211 
[26] Tripaldi D., Apocalisse di Giovanni - Introduzione, traduzione e commento, Ed. Carocci, cit. p. 213.
[27] Mounce R. H., Apocalisse - introduzione e commento, Ed. GBU, cit. p. 482.
[28] Tripaldi D., Apocalisse di Giovanni - Introduzione, traduzione e commento, Ed. Carocci, cit. p. 213
[29] Id. Ibid.  
[30] Mounce R. H., Apocalisse - introduzione e commento, Ed. GBU, cit. p. 484.
[31] Id. Ibid.  
[32]
Id. Ibid.  cit. p. 485.
[33] http://www.apuritansmind.com/the-christian-walk/recapitulation-in-revelation-201-10-by-dr-r-fowler-white/
[34] D'Aragon Jean-Louis, Brown Raymond E., Fitzmeyer Joseph A., Murphy Roland E., Grande commentario biblico, Ed. Queriniana, cit. p. 1467.  
[35] Id. Ibid.     
[36] Mounce R. H., Apocalisse - introduzione e commento, Ed. GBU, cit. p. 487.
[37] Id. Ibid.  cit. p. 488.
[38] Alegre X., Tuni J.-O., Scritti giovannei e lettere cattoliche, Ed. Paideia, cit. p. 218. 
[39] Tripaldi D., Apocalisse di Giovanni - Introduzione, traduzione e commento, Ed. Carocci, cit. p. 214
[40] https://it.wikipedia.org/wiki/Fine_del_mondo#Giudaismo 
[41] Alegre X., Tuni J.-O., Scritti giovannei e lettere cattoliche, Ed. Paideia, cit. p. 218.
[42] Id. Ibid.  
[43] http://www.giulioperrotta.it/app/download/5796551261/Quarto_libro_di_Ezra.pdf
[44] http://www.giovannigiorgi.it/dwn/apocrifi/Apocalisse_siriaca_di_Baruc.pdf
[45] http://reluctant-messenger.com/1enoch61-105.htm#Chapter91. Traduzione dall'inglese all'italiano effettuata personalmente. Mi scuso per eventuali imprecisioni.
[46] Tripaldi D., Apocalisse di Giovanni - Introduzione, traduzione e commento, Ed. Carocci, cit. p. 215,216 
[47] Mounce R. H., Apocalisse - introduzione e commento, Ed. GBU, cit. pp. 493-494.
[48] Id. Ibid.
[49] Id. Ibid. cit. p. 492.
[50] Id. Ibid. 
[51] Giustino, dial. 80. 
[52] Ireneo, Haer. 5.32.
[53]
Mounce R. H., Apocalisse - introduzione e commento, Ed. GBU, cit. pp. 495.
[54] Origene, princ. 2.11.2-3.
[55] Agostino, civ. D. 20:7sgg.
[56]
Mounce R. H., Apocalisse - introduzione e commento, Ed. GBU, cit. pp. 496.
[57]
Id. Ibid. cit. p. 504.
[58]
Id. Ibid. cit. p. 513.
[59]
Id. Ibid. cit. p. 515.
[60] Id. Ibid. cit. p. 514.
[61]
Id. Ibid. cit. p. 515.
[62] Tripaldi D., Apocalisse di Giovanni - Introduzione, traduzione e commento, Ed. Carocci, cit. p. 221.

[63] Id. Ibid. cit. p. 223.
[64] Id. Ibid.
[65] Mounce R. H., Apocalisse - introduzione e commento, Ed. GBU, cit. pp. 532.
[66] Id. Ibid. cit. p. 234.
[67] Id. Ibid. [68]
Tripaldi D., Apocalisse di Giovanni - Introduzione, traduzione e commento, Ed. Carocci, cit. p. 226.

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