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giovedì 30 luglio 2015

"Pasci le mie pecore"

Quand'ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami più di questi?» Egli rispose: «Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, una seconda volta: «Simone di Giovanni, mi ami?» Egli rispose: «Sì, Signore; tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pastura le mie pecore». Gli disse la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?» Pietro fu rattristato che egli avesse detto la terza volta: «Mi vuoi bene?» E gli rispose: «Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità ti dico che quand'eri più giovane, ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti». Disse questo per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio. E, dopo aver parlato così, gli disse: «Seguimi».
Giovanni 21:15-19 

Questo brano
del vangelo secondo Giovanni riveste sicuramente una grande importanza. Essendo posizionato al termine dell'opera, contribuisce a portare a compimento il messaggio principale dell'autore, con una ricchezza teologica di grande rilievo. Nonostante le molte considerazioni esegetiche che si potrebbero fare, in questa occasione vorrei soffermarmi principalmente su tre aspetti che penso siano particolarmente utili ai fini di una più profonda comprensione.

Possiamo considerare questi aspetti come concentrici, in quanto partono da una visione di insieme per procedere sempre più vicino al cuore del testo stesso. Come per ogni altro brano biblico, lo studio del contesto è essenziale, ed è proprio da questo cerchio più esterno che stiamo per iniziare il nostro percorso.
 
1. CONSIDERAZIONI SUI QUATTRO VANGELI

Sappiamo che i tre vangeli sinottici (Matteo, Marco, Luca), presentano forti somiglianze nella narrazione e nelle espressioni utilizzate. Tra di loro, il testo lucano ha la particolarietà di avere un seguito nel libro degli Atti degli Apostoli, dove l'autore può raccontare la nascita della Chiesa e delle prime missioni cristiane. Matteo e Marco invece, terminano le rispettive opere con il brano della missione che Gesù affida ai discepoli dopo la sua resurrezione, alludendo in questo modo ai futuri tempi missionari. Il vangelo di Giovanni rispetto ai sinottici presenta una narrazione propria e utilizza delle fonti indipendenti rispetto agli altri vangeli. In comune con Matteo e Marco non possiede un seguito, ma si distingue anche in questo caso terminando in modo completamente diverso. Se in Mt e Mc infatti, come appena detto, la conclusione è data dal comando di andare per il mondo e predicare il vangelo/fare discepoli, qui la conclusione è invece costituita principalmente dal brano in questione (21:15-19). L'intimo dialogo finale tra Gesù e Pietro prende quindi il posto del comando della missione. 

Questa osservazione è utile, in quanto consente di valutare l'importanza di questo testo specifico secondo una corretta prospettiva d'insieme. Per Giovanni, la presente conversazione è di primo piano almeno quanto il racconto del comando di predicare il vangelo fino all'estremità del mondo. Come l'ultima cena (c. 13) viene qui incentrata sul lavaggio dei piedi (nel quale ancora una volta emerge un dialogo con Pietro) al posto che sulla dichiarazione sul corpo e sangue di Cristo, allo stesso modo l'ultima occasione di incontro tra Gesù e i discepoli viene descritta attraverso il comando dato a Pietro di "pascere gli agnelli e pasturare le pecore", piuttosto che attraverso il comando di andare, predicare e battezzare. Una differenza di messaggio che stiamo per approfondire ancora più da vicino.

2. LA RELAZIONE TRA GESU' E PIETRO

Conosciamo tutti il carattere dell'apostolo Pietro: impetuoso e impulsivo da un lato, fragile e dubitante dall'altro. Per comprendere il senso della triplice domanda finale di Gesù, è necessario individuare altri due precedenti punti fondamentali della relazione tra Gesù e Pietro nel vangelo di Giovanni. Il primo punto riguarda una audace dichiarazione dell'apostolo, alla quale il Signore risponde profeticamente:

Pietro gli disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!» Gesù gli rispose: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico che il gallo non canterà che già tu non mi abbia rinnegato tre volte.
Giovanni 13:37,38 

Il secondo punto, riguarda invece l'adempimento di questa parola profetica:

Intanto Simon Pietro stava là a scaldarsi, e gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?» Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, disse: «Non ti ho forse visto nel giardino con lui?» E Pietro da capo lo negò, e subito il gallo cantò.
Giovanni 18:25-27 e vv. precedenti

Impulsivamente, l'apostolo era pronto a dare la sua vita per Gesù, tanto da sguainare la spada per difendere il suo Maestro dalle guardie arrivate per arrestarlo (18:10). Ma non era questa la volontà del Signore. Impulsivamente, l'apostolo Pietro era stato inorridito dal fatto che Gesù volesse lavargli i piedi (13:8), ma ancora una volta dovette prendere atto della ferma volontà di Cristo di andare fino in fondo. Queste azioni di Gesù evidenziano dei precisi insegnamenti promossi con le sue azioni piuttosto che con le sue parole. Le ultime e più importanti indicazioni che Cristo ha lasciato ai discepoli nel vangelo di Giovanni, sono state date con l'esempio prima ancora che con la predicazione. 

Il triplice rinnegamento di Pietro nel momento di maggiore sconforto, viene quindi ripreso specularmente con una triplice domanda di Gesù, un momento cruciale nel quale l'apostolo può soltanto lasciare cadere definitivamente il suo modo di fare le cose e prendere con sé e per sé il modo di fare le cose del suo Signore. In questi contesti vediamo una preminenza di Pietro rispetto agli altri discepoli, ma il messaggio comune non è quello di indicarlo come sostituto di Cristo nella guida della Chiesa nascente, quanto piuttosto quello di sottolineare un passaggio fondamentale nella crescita cristiana: il passaggio dal fare le cose per Dio con le nostre forze e preferenze, all'ubbidire a Dio secondo i suoi tempi e i suoi modi. Un passaggio che ogni credente deve scoprire e attraversare, evidenziato nel percorcorso di Pietro in modo chiaro e specifico.

3. LA MATURITA' CRISTIANA NELLA FEDELTA' FINO ALLA MORTE

Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), perché è mercenario e non si cura delle pecore.
Giovanni 10:11-13
 
In verità, in verità ti dico che quand'eri più giovane, ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti». Disse questo per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio. E, dopo aver parlato così, gli disse: «Seguimi».
Giovanni 21:18,19

Per l'essere umano, l'idea di responsabilità, autorità e conduzione è legata al pensiero di dominio, sottomissione e signoraggio. Fin da subito, tuttavia, Gesù è stato chiaro nel ribaltare questo sistema di pensiero, esplicitando che chiunque avrebbe voluto essere grande tra i suoi discepoli, sarebbe stato servitore degli altri (Mc 10:42, Mt 20:25, Lc 22:25). Questo nuovo paradigma è stato promosso con il suo insegnamento, con i suoi esempi e con il suo sacrificio. Il Signore ha dichiarato di essere il buon pastore, e di avere lo scopo di raggiungere prima di tutto le pecore perdute della casa d'Israele (Mt 15:24) e successivamente le "altre pecore" (Gv 10:16) di origine non ebraica. Un pastore buono, senza interessi economici e con il desiderio di proteggere le sue pecore fino alla morte. Nessuno può prendere il suo posto, il posto del buon pastore. Tuttavia, alla fine del vangelo di Giovanni egli comanda a Pietro di pascere le sue pecore. Questo passaggio è molto delicato, con un significato che non va inteso in termini carnali ma con "l'alfabeto di Cristo". Il peso di questo incarico infatti, non è quello di una corona tempestata di diamanti da porre sul capo, ma piuttosto è quello di una vita spesa al servizio degli altri, fino al costo del martirio. A mio avviso questo è il cuore del brano, il messaggio più interno custodito da questo epilogo evangelico. E' vero, negli altri vangeli Gesù comanda di predicare il vangelo e fare discepoli fino all'estremità della terra, ma nel vangelo di Giovanni troviamo lo spirito con cui farlo. Il Signore ha scelto e chiamato i suoi discepoli all'inizio del vangelo con la parola "seguimi", iniziando il loro percorso di crescita e formazione; adesso però egli ripete nuovamente questo comando a Pietro, in un'occasione apparentemente simile, ma in realtà completamente diversa. Se lo scopo della vita cristiana è di diventare simili a Cristo, questo momento rappresenta l'istante della definitiva rottura del proprio orgoglio, una tappa dolorosa ma necessaria per poter abbracciare la propria croce e seguire fino in fondo il Signore. Non so quanti anziani/vescovi siano stati storicamente ordinati al ministero con questo sentimento, ma questo è il sentimento che ogni vescovo dovrebbe avere per svolgere adeguatamente il proprio servizio. Chiunque altro, è semplicemente un mercenario.

Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita.
Apocalisse 2:10  

Fedeltà fino alla morte, con la promessa di ricevere la corona della vita. Fedeltà fino alla morte, come termine ultimo per la maturità cristiana. Fedeltà fino alla morte, per essere simili in ogni cosa al proprio Signore. 

giovedì 23 luglio 2015

I quattro concili ecumenici dell'antichità (parte II): il concilio di Costantinopoli [381 d.C.]

"Quando manca una saggia direzione il popolo cade;
nel gran numero dei consiglieri sta la salvezza."
Proverbi 11:14 

1.TRA NICEA E COSTANTINOPOLI

Conseguentemente al Concilio di Nicea del 325 d.C., si svilupparono principalmente cinque diverse posizioni teologiche, in relazione alla dottrina di Ario:

1) Coloro che appoggiavano pienamente i canoni del Concilio, detti niceni o omousiani
2) Coloro che parlando dei tre componenti della divinità intendevano "sostanza" non in riferimento alle loro individualità, bensì alla medesima componente divina. Questa posizione fu sostenuta dai Padri cappadoci (Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa) e detta neonicena.
3) Coloro che distinguevano nella trinità tre "sostanze", dando a questo termine il significato di "sostanza individuale". Secondo questa prospettiva, Gesù avrebbe quindi una distinta sostanza individuale ma era unito al Padre nel volere e nell'agire. Questa posizione è detta semiariana, ed era promossa da tre vescovi di nome Eusebio: di Cesarea, Emesa e Nicomedia.
4) Gli omei (= simile), ossia coloro che vedevano Gesù "simile secondo le Scritture" al Padre, in una formula piuttosto vaga. Questo fu l'indirizzo dell'imperatore Costanzo II, figlio di Costantino. 
5) Gli anomei (= dissimile), ossia gli ariani radicali, che sostenevano la diversità tra il Padre ed il Figlio1.

Già dopo pochi anni, nonostante le decisioni ufficializzate a Nicea, l'imperatore Costantino fu convinto dalla posizione semiariana grazie a Eusebio di Nicomedia, e si volse contro la posizione nicena difesa strenuamente da Atanasio, vescovo di Alessandria2. Atanasio aveva combattuto l'arianesimo promosso dal presbitero Ario nella chiesa di Alessandria, quando ne era vescovo Alessandro (anche lui antiariano), era stato presente a Nicea, e in un secondo momento successe ad Alessandro come vescovo di Alessandria d'Egitto nel 328 d.C. Sono sue le celebri parole: anche se tutto il mondo fosse contro di me, io persisto a portare avanti la mia lotta, sicuro che trionferà contro ogni opposizione la verità del Dio vero e vivente scolpita nelle Sacre Scritture”, e l'esclamazione allora è Atanasio contro il mondo” (Athanasius Contra Mundum) formulata in risposta alla preoccupata constatazione di un suo collega che aveva osservato come l'intero mondo fosse contro di lui3. Il suo impegno per la causa nicena lo portò svariate volte in esilio, fra numerosi pericoli.  

Nel 337 Costanzo II, figlio di Costantino, fu nominato imperatore insieme ai fratelli Costantino II e Costante I; egli si prodigò nello sradicamento del paganesimo, ma assimilò una fede cristiana spiccatamente ariana. Convocò di sua iniziativa il Concilio di Sardica (342), quello di Arles (353) e di Milano (355), aggravando una sempre più marcata scissione tra la Chiesa Occidentale filo-nicena e quella Orientale filo-ariana, causando infine l'esilio di Liberio, vescovo di Roma, insieme con tutti i vescovi niceni4 e 5. Come scriverà successivamente Girolamo, "il mondo gemette e notò con stupore di essere diventato ariano"6. Solo la morte di Costanzo II nel 361 portò ad un cambiamento della situazione: il successore Giuliano (conosciuto come l'Apostata, per essere tornato al paganesimo) revocò ogni esilio sperando che il cristianesimo si lacerasse dall'interno; alla sua morte nel 363 gli succedette Gioviano, poi Valentiniano I, per arrivare al governo congiunto di Valente, Graziano e Valentiniano II7. Nel 379 prese il potere Teodosio, che nel successivo anno promulgò l'editto di Tessalonica (assieme a Graziano e Valentiniano II):

« IMPERATORI GRAZIANO, VALENTINIANO E TEODOSIO AUGUSTI. EDITTO AL POPOLO DELLA CITTA' DI COSTANTINOPOLI. Vogliamo che tutte le nazioni che sono sotto nostro dominio, grazie alla nostra carità, rimangano fedeli a questa religione, che è stata trasmessa da Dio a Pietro apostolo, e che egli ha trasmesso personalmente ai Romani, e che ovviamente (questa religione) è mantenuta dal Papa Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, persona con la santità apostolica; cioè dobbiamo credere conformemente con l'insegnamento apostolico e del Vangelo nell’unità della natura divina di Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono uguali nella maestà e nella Santa Trinità. Ordiniamo che il nome di Cristiani Cattolici avranno coloro i quali non violino le affermazioni di questa legge. Gli altri li consideriamo come persone senza intelletto e ordiniamo di condannarli alla pena dell’infamia come eretici, e alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa; costoro devono essere condannati dalla vendetta divina prima, e poi dalle nostre pene, alle quali siamo stati autorizzati dal Giudice Celeste.
DATO IN TESSALONICA NEL TERZO GIORNO DALLE CALENDE DI MARZO, NEL CONSOLATO QUINTO DI GRAZIANO AUGUSTO E PRIMO DI TEODOSIO AUGUSTO
»8
.

L'imperatore Teodosio era di orientamento fortemente niceno, di conseguenza perseguitò l'arianesimo, espellendo da Costantinopoli il vescovo ariano Demòfilo e affidando la conduzione delle chiese di questo territorio al niceno Gregorio di Nazianzo9. Nel 381 infine, convocò un nuovo sinodo: il concilio di Costantinopoli.  

2.IL CONCILIO DI COSTANTINOPOLI

Sul luogo dell'antica Bisanzio, nel 324 l'imperatore Costantino circoscrisse il tracciato delle mura di una nuova città, consacrata sei anni più tardi con il nome di Costantinopoli e destinata a diventare la nuova Roma, il centro di un Impero ormai cristiano10. Le chiese di questa nuova ed importante capitale furono guidate dal vescovo semiariano Eusebio di Nicomedia dal 328 fino alla sua morte avvenuta nel 341, quando l'imperatore Costanzo II impose come nuovo vescovo Macedonio, un presbitero della comunità con lo stesso orientamento teologico di Eusebio11. Tuttavia nel 360 egli fu deposto sempre dall'imperatore che nel frattempo aveva accettato ed imposto come formula finale quella omea, dalla quale Macedonio si distanziava vigorosamente. Nel 370 il vescovo di Berea (Demòfilo) riuscì a farsi trasferire proprio a Costantinopoli, restando in carica per un decennio12.

Alla persona di Macedonio viene associata una particolare dottrina chiamata pneumatomachia (cioè ostilità allo Spirito Santo), che probabilmente nacque come una riformulazione del subordinazionismo ariano: secondo questo pensiero, lo Spirito Santo sarebbe una semplice creatura di Dio, superiore agli angeli ma non certo della stessa sostanza13. La pneumatomachia fu combattuta da Atanasio fino alla sua morte, e fu uno degli argomenti principali del concilio di Costantinopoli. Nel maggio del 381 venne ufficialmente aperto il concilio, al quale parteciparono soltanto i vescovi d'Oriente; la presidenza fu tenuta dal vescovo Melezio d'Antiochia fino alla sua morte, dopodiché sembra che prese il suo posto per qualche tempo Gregorio di Nazianzo ed infine Nettario14. I trentasei vescovi (su circa centocinquanta totali) difensori della pneumatomachia si rifiutarono di riconoscere questa dottrina come erronea e si allontanarono dalla città15. Furono redatti quattro nuovi canoni e una formula di fede prima della chiusura avvenuta nel luglio di quello stesso anno: nel primo canone veniva riconfermata la fede di Nicea e condannate definitivamente le diverse posizioni ariane, oltre alla pneumatomachia; nel terzo invece veniva tenuto conto della posizione assunta da Costantinopoli quale nuova residenza dell'imperatore, riconoscendo per questo motivo al vescovo di questa città una posizione di primato rispetto agli altri patriarchi della Chiesa orientale, pur in secondo piano rispetto al vescovo di Roma16. Questa specifica decisione non fu riconosciuta dalla chiesa di Roma, ma la confessione di fede conosciuta come Simbolo Niceno-Costantinopolitano venne adottata come confessione ufficiale della Chiesa greca, affermandosi successivamente anche nella Chiesa occidentale dove ancora oggi viene usata nella messa romana (con una piccola aggiunta, gravida di conseguenze), e riconosciuta dalle Chiese protestanti17.

3.IL SIMBOLO NICENO-COSTANTINOPOLITANO

"Crediamo in un solo Dio, padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili; e in un solo signore Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, si è incarnato per opera dello Spirito santo da Maria vergine, e divenne uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, patì, fu sepolto e risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture, salì al cielo e siede alla destra del Padre, verrà nuovamente nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine; e nello Spirito santo, che è signore e dà vita, che procede dal Padre, che insieme al Padre e al Figlio deve essere adorato e glorificato, che ha parlato per mezzo dei profeti; e nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica; confessiamo un solo battesimo per la remissione dei peccati e aspettiamo la resurrezione dei morti e la vita del secolo futuro"18.
In realtà gli atti del concilio di Nicea sono smarriti, tuttavia negli atti del concilio di Calcedonia del 451 è riportata questa formula di fede presentata come "dei santi padri di Costantinopoli"; questo testo a sua volta recepisce il precedente credo di Nicea e lo precisa con brevi interventi antiariani19. Se - per esempio - il credo di Nicea a proposito dello Spirito Santo diceva infatti solamente "credo nello Spirito Santo", questo nuovo testo aggiunge invece una intera sezione intenzionata a specificare la sua divinità. Questi termini sono tratti dalle Scritture, in cui lo Spirito è chiamato "Signore" (2 Cor 3:17) e si dice che "dà la vita" (Gv 6:63 e 2 Cor 3:6); solo Dio, infatti, si presumeva potesse dare la vita20

4.CONSIDERAZIONI FINALI 

Nota 21
Il concilio di Costantinopoli viene riconosciuto come il secondo concilio ecumenico dell'antichità, e riveste un ruolo fondamentale per il consolidamento della dottrina cristiana ortodossa (ossia, corretta). Nel pieno della controversia trinitaria, i canoni approvati diedero la forza necessaria alla visione nicena per superare questo momento storico così delicato e diventare gradualmente la posizione di fede abbracciata da quasi tutto il cristianesimo. Le incertezze non mancarono sicuramente anche in seguito al concilio, tant'è che fino al 451 non possiamo considerare definitivamente chiusa l'altra importante questione detta "cristologica", ma bisogna comunque riconoscere in questo incontro durato soli tre mesi un'importanza rara per la cristianità tutta. La strada di Nicea era stata rinforzata, l'irreprensibile impegno di Atanasio era stato tardivamente premiato e la Chiesa, superata la parentesi ariana, poteva continuare con perseveranza la gara che le è stata proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta (Eb 12:1,2).


Note:


[1] Rinaldi Giancarlo, Cristianesimi nell'antichità, Ed. GBU, cit. p. 727.
[2] Jedin Hubert, Breve storia dei concili, Ed. Herder-Morcelliana, cit. p. 24. 
[3] http://paolocastellina.blogspot.it/2015/06/athanasius-contra-mundum.html 
[4] http://www.treccani.it/enciclopedia/costanzo-ii-imperatore/ 
[5] R.Giancarlo, Cristianesimi nell'antichità, Ed. GBU, cit. p. 728. 
[6] J. Hubert, Breve storia dei concili, Ed. Herder-Morcelliana, cit. p. 25.
[7] Vedi: 
- http://www.treccani.it/enciclopedia/giuliano-l-apostata/
- http://www.treccani.it/enciclopedia/gioviano/
- http://www.treccani.it/enciclopedia/valentiniano-i-imperatore/
- http://www.treccani.it/enciclopedia/valentiniano-ii-imperatore/
- http://www.treccani.it/enciclopedia/graziano-imperatore-romano-d-occidente/ 
[8] http://it.cathopedia.org/wiki/Editto_di_Tessalonica 
[9] http://www.romanoimpero.com/2009/09/teodosio-379-395.html 
[10] Wilken Robert Louis, I primi mille anni, Ed. Einaudi, cit. p. 98. 
[11] Vedi:
- http://www.eresie.it/it/Eusebio_Nicomedia.htm
- http://www.eresie.it/it/Macedonio.htm 
[12] http://www.treccani.it/enciclopedia/demofilo-di-berea/
[13] http://www.eresie.it/it/Macedonio.htm 
[14] J. Hubert, Breve storia dei concili, Ed. Herder-Morcelliana, cit. p. 27.
[15] Id. Ibid.  
[16] Id. Ibid., cit. p.28.  
[17] Id. Ibid.  
[18] R.Giancarlo, Cristianesimi nell'antichità, Ed. GBU, cit. p. 729. 
[19] Id. Ibid.  
[20] W. Robert Louis, I primi mille anni, Ed. Einaudi, cit. p. 109. 
[21] http://www.diocesicoptamilano.com/uploads/1/3/8/2/13826853/8915536_orig.gif?365 

domenica 12 luglio 2015

Essere poveri in spirito, essere simili a Cristo

A un tratto, come egli usciva dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito scendere su di lui come una colomba. Una voce venne dai cieli: «Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto».
Vangelo secondo Marco 1:10,11

1.LO SPIRITO SANTO: TERZA PERSONA DELLA TRINITA'


Nei primi cinque secoli del cristianesimo, i padri della Chiesa hanno contribuito con le loro riflessioni ed i loro insegnamenti alla sistematizzazione dottrinale del pensiero cristiano. Fin da subito, i libri di quello che sarebbe stato considerato Antico Testamento vennero riconosciuti come Parola di Dio, ma con il tempo questa considerazione incluse anche i Vangeli, le Lettere e l'Apocalisse che tutti noi possiamo trovare nel Nuovo Testamento, in qualsiasi Bibbia. Il processo di definizione del canone neotestamentario è durato centinaia di anni, svolgendosi parallelamente al processo di definizione della relazione esistente tra Dio Padre, e suo Figlio Gesù. Lo Spirito di Dio, ottenne in questi tempi una minore riflessione teologica: al Concilio di Nicea del 325 sarà protagonista all'interno del Credo qui formulato solamente della frase "crediamo nello Spirito Santo". Soltanto cinquantasei anni più tardi, tuttavia, per contrastare gli insegnamenti di Macedonio di Costantinopoli (che negava la divinità dello Spirito Santo, rielaborando le concezioni subordinazioniste ariane) il Concilio di Costantinopoli riprenderà in mano il precedente Credo aggiungendo una nuova sezione dedicata proprio allo Spirito Santo:

Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti.1

Questa definizione traccerà definitivamente la linea di ortodossia su questo argomento, confermando la divinità dello Spirito, e portando l'intera Chiesa cristiana a fare un ulteriore passo in avanti verso il riconoscimento del Dio Uno e Trino rivelato nelle Sacre Scritture. 

2.BEATI I POVERI IN SPIRITO

Gesù, vedendo le folle, salì sul monte e si mise a sedere. I suoi discepoli si accostarono a lui, ed egli, aperta la bocca, insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli.
Matteo 5:1-3

La prima frase di Gesù in quello che è conosciuto come "sermone sul monte", parla della beatitudine dei "poveri in spirito". I diretti ascoltatori potevano comprendere immediatamente quello a cui Gesù si riferiva, in quanto era già ben conosciuto il tema veterotestamentario dei "mansueti", ossia di coloro che umilmente si affidano a Dio anche quando questo affidamento porta all'oppressione e all'essere svantaggiati.2 Ne parlano in abbondanza i profeti e gli scritti con il termine ebraico 'anav, che significa appunto: povero, debole, afflitto, bisognoso. 

I mansueti saranno coloro che potranno stare al sicuro nel giorno escatologico del Signore:

Cercate il SIGNORE, voi tutti umili della terra,
che mettete in pratica i suoi precetti!
Cercate la giustizia, cercate l'umiltà!
Forse sarete messi al sicuro nel giorno dell'ira del SIGNORE.

Sofonia 2:3

I mansueti sono i principali destinatari del messaggio e del ministero di Gesù Cristo:

Lo spirito del Signore, di DIO, è su di me,
perché il SIGNORE mi ha unto per recare una buona notizia agli umili;
mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato,
per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi,
l'apertura del carcere ai prigionieri,
per proclamare l'anno di grazia del SIGNORE,
il giorno di vendetta del nostro Dio;
per consolare tutti quelli che sono afflitti;
per mettere, per dare agli afflitti di Sion
un diadema invece di cenere,
olio di gioia invece di dolore,
il mantello di lode invece di uno spirito abbattuto,
affinché siano chiamati querce di giustizia,
la piantagione del SIGNORE per mostrare la sua gloria.
Isaia 61:1-3 (cfr. Lc 4:16-20)

I mansueti sono coloro che prendono coscienza di non essere autosufficienti e si pongono davanti al Signore per chiedere l'intervento della sua provvidenza in ogni ambito della vita:

Riponi la tua sorte nel SIGNORE;
confida in lui, ed egli agirà.
Salmi 37:5 

I mansueti, infine, compaiono anche negli scritti giudaici più tardi, nei Salmi di Salomone e nella letteratura di Qumran, identificando ancora una volta il popolo di Dio fedele e perseguitato, che alla fine sarà vendicato dal Signore.

Il regno dei cieli dunque appartiene ai poveri in spirito, ai mansueti, perché essi sono il popolo di Dio: sono coloro che vivono con una fede sincera, genuina e coerente con la loro condotta e la loro vita quotidiana. Essere poveri in spirito non significa aderire a un determinato codice morale oppure adempiere a determinati rituali religiosi, ma piuttosto coltivare una sincera devozione personale verso il Signore e preservarla in ogni momento della vita. Questa è la "vera Chiesa", una assemblea di persona chiamate da Dio che trovano in lui il centro della propria vita presente, e, di conseguenza, che riceveranno il futuro regno dei cieli. Essi sono beati, ossia così felici da essere invidiati, perché il loro premio è eterno, e il regno che gli appartiene non avrà mai fine. 

Sebbene questa descrizione possa apparire ad alcuni molto semplice, se non addirittura scontata, in realtà non è così. E non è stato così neanche per le prime generazioni di cristiani, che hanno vissuto con i racconti diretti della testimonianza dei dodici apostoli, e con le persone che loro stessi avevano stabilito come successori e responsabili nelle varie comunità. Abbiamo un esempio proprio nel Nuovo Testamento, all'interno dell'Apocalisse di Giovanni:

All'angelo della chiesa di Laodicea scrivi:
Queste cose dice l'Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio della creazione di Dio:
"Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca. Tu dici: 'Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!' Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo. Perciò io ti consiglio di comperare da me dell'oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi e vedere. Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me.

Apocalisse 3:14-20


Questo messaggio di riprensione, è per noi qualcosa di incredibilmente prezioso. Immaginiamo di incamminarci per un sentiero di montagna, cercando di arrivare alla cima dove possiamo godere del bel panorama. Ebbene ad un certo punto dal sentiero principale si forma un bivio, dove nasce un sentiero secondario che sembra una scorciatoia per raggiungere più velocemente la nostra meta. Ecco, in questa immagine il presente brano si potrebbe raffigurare come un grosso cartello posto nel sentiero secondario che dice "PERICOLO DI MORTE, IL SENTIERO E' FRANOSO". Cambiando il nostro percorso verso questa strada alternativa, saremmo morti, precipitando a valle. Ma questo cartello ci ha avvisato che il sentiero che apparentemente è più agevole in realtà mette in pericolo di vita tutti coloro che lo percorrono. E così, con questa indicazione, possiamo restare nel sentiero principale e continuare la nostra faticosa - ma sicura - passeggiata verso la cima della montagna.

Non dobbiamo sottovalutare i pericolosi pensieri che prima o poi sorgono in ciascuno di noi: "ora che abbiamo un bel locale, per la vita della chiesa è tutto in discesa!", o "ho studiato per vent'anni e ora non ho più nulla da imparare spiritualmente", oppure "il Signore mi ha dato un ministero benedetto ed ora lo devo solo esercitare, non ho bisogno di null'altro", o ancora "è tutta la vita che la domenica vengo in chiesa, cosa mai potrà accadere di nuovo questa settimana?". Il Signore Gesù, nel suo messaggio alla chiesa di Laodicea, è straordinariamente lucido nel citare pensieri e frasi di questo tipo e denunciarli come ragionamenti deleteri e mortali. Quando una chiesa nel suo insieme crede di essersi arricchita, di non avere bisogno di nulla, ebbene questo è il momento in cui in realtà è miserabile, povera, cieca e nuda. E' l'opposto degli umili del regno dei cieli, è diventata così vanagloriosa e superba da allontanarsi dal resto del popolo di Dio in un autoisolamento che può portare soltanto alla cancrena e successivamente alla morte. Nella sua misericordia, il Signore ordina alla chiesa di ravvedersi e tornare a lui per comperare nuovamente ciò che è veramente importante: tornare, cioè, ad un sentimento di mansuetudine e di santa dipendenza da Dio! Tanto la ricchezza materiale quanto l'orgoglio travestito da ricchezza spirituale sono il banco di prova più duro per i santi del Signore. Quando è costantemente sazio, l'essere umano si insuperbisce innalzandosi sopra le altre persone e circostanze, sia consciamente che inconsciamente. Salomone, nella sua saggezza, ha trattato il tema con questa preghiera scritta:

Io ti ho chiesto due cose;
non me le rifiutare, prima che io muoia;
allontana da me vanità e parola bugiarda;
non darmi né povertà né ricchezze,
cibami del pane che mi è necessario,
perché io, una volta sazio, non ti rinneghi
e dica: «Chi è il SIGNORE?»
oppure, diventato povero, non rubi,
e profani il nome del mio Dio.

Proverbi 30:7-9   

L'uomo spirituale vive in modo sobrio ed equilibrato, è consapevole del grande inganno dell'orgoglio e combatte contro di esso per tutta la sua vita. Ma, in questo combattimento non è solo. Alla vigilia della passione di Cristo, il Signore rivolge queste parole particolari ai suoi discepoli, delle parole che hanno un enorme importanza per ciascuno di noi:

«Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi.
Giovanni 14:15-17

Come abbiamo letto precedentemente, il ministero terreno di Gesù si è svolto con lo scopo di portare una buona notizia agli umili, fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, liberare i prigionieri e consolare gli afflitti. Ma dopo aver ricevuto questa notizia, dopo essere stati fasciati, liberati e consolati, cosa devono fare i mansueti? Come devono vivere i figli di Dio, ora che il Signore Gesù è asceso alla destra del Padre? Sono forse stati restaurati da Cristo e poi lasciati a loro stessi? Siamo forse orfani anche ora, che siamo stati adottati dal Padre? No, non è così. I poveri in spirito sono stati consolati dall'opera di Cristo, esortati ad osservare i suoi comandamenti, ma sono sostenuti continuamente dallo Spirito di verità, dallo Spirito di Dio. Il Nuovo Testamento insegna innumerevoli aspetti del ministero dello Spirito Santo, e sono tutte realtà molto importanti da conoscere e vivere per ogni cristiano. Solo questo tema richiederebbe anni interi per essere affrontato nel modo dovuto. In questo limitato contesto però, ho scelto di approfondire prevalentemente tre particolari significati dell'azione dello Spirito Santo, presenti in una sequenza naturale e fisiologica nella magnifica esposizione che l'apostolo Paolo presenta nella sua lettera ai Romani, all'ottavo capitolo.

3.LO SPIRITO DELLA VITA

Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù, perché la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti, ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha fatto; mandando il proprio Figlio in carne simile a carne di peccato e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito.
Romani 8:1-4
[...]
Ma se Cristo è in voi, nonostante il corpo sia morto a causa del peccato, lo Spirito dà vita a causa della giustificazione. Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Romani 8:10-11

In questo prezioso capitolo della Scrittura, l'apostolo Paolo parla dello Spirito di Dio prima di tutto con il nome di "Spirito di vita", proprio per sottolineare questo aspetto principale della sua azione nella vita dei credenti. Il sacrificio di Gesù Cristo ha provveduto una giustificazione forense a tutti i cristiani, e proprio in virtù di questa giustificazione si realizza la salvezza dei figli di Dio, che possono con questo presupposto essere vivificati dallo Spirito della vita, lo stesso Spirito che ha resuscitato Gesù dai morti. Il corpo attuale degli uomini e delle donne di Dio è ancora soggetto al peccato, alla malattia e alla morte, ma lo Spirito della vita è colui che può intervenire per offrire la liberazione dalla legge del peccato, portando ad una progressiva santificazione realizzata non per giustizia umana ma per azione divina. Lo Spirito Santo, aleggiava sulla superficie delle acque quando la terra era informe e vuota, come un'aquila che volteggia sopra i suoi piccini.4 Similmente, al presente lo Spirito Santo è la persona della divinità che abita nella Chiesa, offrendo la sua vita in modo continuo e costante, per rendere possibile l'impossibile. Se Gesù è la vite, il Padre è il vignaiolo e noi siamo i tralci (cfr. Gv 15), lo Spirito Santo può essere rappresentato dai rami di unione e dalla linfa che collega tutte le estremità della pianta facendo in modo che possa essere un unica realtà e non l'unione di più grappoli scollegati tra di loro, e di conseguenza morti. Per questo motivo, al Concilio di Calcedonia i vescovi presenti si sono accordati per esplicitare nella nuova formula del Credo l'espressione "Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita". Lo Spirito Santo è Dio e dà la vita, poiché egli è lo Spirito della vita. Senza lo Spirito Santo tutti i poveri in spirito rimarrebbero nella loro condizione di necessità, e non potrebbero essere invece soddisfatti con la potenza sovrannaturale della vita di Dio, in modo continuo e quotidiano.

4.LO SPIRITO DI ADOZIONE

Così dunque, fratelli, non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne; perché se vivete secondo la carne voi morrete; ma se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete; infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!» Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui.
Romani 8:12-17


Dopo aver presentato lo Spirito Santo come lo Spirito della vita, l'apostolo Paolo passa velocemente ad un altro aspetto della sua azione, parlando in questo caso dello Spirito di adozione. Lo Spirito di Dio trasmette la vita in Cristo Gesù, permettendo la vittoria sulla legge del peccato e della morte, ma compie anche un'ulteriore opera strettamente legata a questa. Insieme alla vivificazione infatti, lo Spirito attesta agli uomini di essere diventati figli di Dio. Con la conversione il credente riceve la vita in Cristo attraverso lo Spirito, e per lo stesso Spirito riceve anche la consapevolezza nella propria coscienza di essere diventato un figlio di Dio, esattamente come Gesù. 

Grazie a questo secondo aspetto iniziamo a riconoscere un disegno e uno scopo ben preciso, una sequenza di interventi dello Spirito Santo atta a portare ogni singolo cristiano da una situazione di empietà, attraverso la conversione e la sua vita di fede fino ad una piena somiglianza con Gesù Cristo. Sappiamo infatti che la vita dei credenti ha lo scopo di arrivare alla perfetta statura di Cristo (Ef 4:13), e questo è possibile proprio camminando con lo Spirito Santo. Ecco quindi come ciascuno di noi per grazia immeritata può ricevere la vita spirituale necessaria per essere liberati dal peccato e la certezza sovrannaturale dell'essere figli di Dio proprio come Gesù Cristo è Figlio di Dio. La vita di Cristo e la figliolanza di Cristo vengono trasmessi ai credenti in modo sovrannaturale, come espressione della sovrana volontà di Dio di acquistarsi figli adottivi, un popolo consacrato formato da persone di ogni lingua, tribù e nazione. L'uomo naturale è separato da Dio e destinato alla morte, ma l'intervento del Signore con la rigenerazione spirituale porta alla condizione di mansuetudine necessaria per ricevere e vivere la sua vita e la sua paternità. E' un processo completo, è un processo spirituale, è un processo che l'uomo non si può procurare ma può solamente ricevere dalla grazia di Dio.           
5.LO SPIRITO CHE INTERCEDE

Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio.
Romani 8:26,27

Oltre alla vita e alla figliolanza, il cristiano riceve però ancora qualcosa in più dallo Spirito Santo: riceve infatti anche l'intercessione. Il teologo riformato Karl Barth commenta questi versetti nel seguente modo:

Noi aspettiamo, ma soltanto perché aspettiamo Dio la nostra attesa non è vana. Noi guardiamo fuori, ma soltanto il fatto che siamo stati guardati prima ci distingue da coloro che guardano nel vuoto. Noi parliamo, ma soltanto il fatto che le nostre parole dicono quello che noi non possiamo dire distingue le nostre parole dalle vane ciance. E così noi preghiamo, ma il fatto che lo Spirito stesso intercede per noi con sospiri che rimangono inespressi sulle nostre labbra, perché tradotti nel nostro linguaggio dovrebbero essere inni di giubilo dei quali non siamo capaci, distingue la nostra preghiera, i nostri sospiri, dai sospiri che non sono altro che debolezza.5 

Nello stesso modo in cui viviamo le altre realtà grazie allo Spirito, siamo aiutati nella nostra debolezza grazie all'intercessione dello Spirito Santo, che ancora una volta rende possibile e realizzato nella vita cristiana un ulteriore aspetto dell'identità e della statura di Cristo. La sua vita, la sua figliolanza e la sua fervente e incessante preghiera si realizza in questo modo in ciascuno di noi, rendendoci giorno dopo giorno sempre più simili a Gesù. Pochi versetti dopo infatti leggiamo:

Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi.

Romani 8:34 

Cristo Gesù è alla destra del Padre e intercede per noi, mentre lo Spirito Santo intercede anch'egli in accordo, portando i figli di Dio a esprimere l'inesprimibile e unirsi spiritualmente con la pienezza dei pensieri e dei desideri di Dio. 

Lo scopo ultimo dei credenti di ogni tempo, è racchiuso in quella che viene conosciuta come preghiera sacerdotale di Gesù, nel vangelo secondo Giovanni:

Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch'essi siano in noi: affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. 
Giovanni 17:20,21   

"Anch'essi siano in noi": questa è la meta, la direzione, il senso della vita! Essere grazie a Cristo con Dio, uniti nella liberazione dal peccato, nella figliolanza, negli stessi desideri espressi incessantemente in preghiera. 

6.CONCLUSIONE 

I poveri in spirito, i mansueti, sono beati perché è loro il regno dei cieli. 
La vita eterna appartiene a tutti coloro che hanno accettato la salvezza di Gesù Cristo per grazia mediante la fede, e così facendo sono stati resi simili al Figlio dallo Spirito Santo. La vita, la figliolanza e l'intercessione del Cristo sono portati ai credenti per opera dello Spirito Santo, in virtù della giustificazione forense acquisita grazie al suo sacrificio. Nei pensieri del Signore, infatti, lo scopo della Chiesa militante è quello di crescere individualmente e collettivamente fino alla piena conoscenza (intellettuale ed esperienziale) di lui, ed essere finalmente quel popolo che Dio ha tanto desiderato per sé. Un popolo di figli, dove il Signore possa ravvisare una somiglianza in santità, in umiltà, in ubbidienza, in amore, in giustizia. La pienezza di Dio nella persona del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, si manifesta appieno proprio in questo processo di salvezza, in questo disegno che prende l'uomo nella sua miseria e nella sua ribellione per renderlo figlio adottivo e per condurlo attraverso l'esperienza fino ad una completa affinità con Gesù. Un'amore infinito, un'adozione esclusiva, una grazia unica, un desiderio di comunione che si estende da prima che il tempo fosse fino a quando il tempo non sarà più. Una testimonianza vivente ed eterna dell'immensa gloria dell'Onnipotente Dio. 

[...] per mettere, per dare agli afflitti di Sion
un diadema invece di cenere,
olio di gioia invece di dolore,
il mantello di lode invece di uno spirito abbattuto,
affinché siano chiamati querce di giustizia,
la piantagione del SIGNORE per mostrare la sua gloria.

Isaia 61:3 

Note:

[1] Wilken Robert Louis, I primi mille anni, Ed. Einaudi, cit. p.109.
[2] R.T. France, Il vangelo secondo Matteo, Ed. GBU, p.139. 
[3] Id. Ibid.  
[4] Lexicon :: Strong's H7363 - rachaph
[5] Barth Karl, L'Epistola ai Romani, Ed. CDE spa su licenza della Giangiacomo Feltrinelli Editore, p.298. 

mercoledì 1 luglio 2015

Perfettamente conosciuti

Salmi 139:6 La conoscenza che hai di me è meravigliosa,
troppo alta perché io possa arrivarci.
  

 
1Corinzi 13:12 Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.

Come afferma la Scrittura, ciascuno di noi è conosciuto dal Signore in modo perfetto e meraviglioso. Non c'è nessuno che ci conosca meglio di Lui, neanche noi stessi. Per questo motivo possiamo avvicinarci a Dio, stare alla sua presenza, e chiedergli di mostrarci parte di questa conoscenza che ha di noi. Questo è utile e buono per riconoscere i peccati che abbiamo commesso e ravvederci, ma anche per crescere nella nostra vera identità in Cristo. Questa attitudine, manifesta inoltre il rapporto di esclusività che ciascuno di noi ha con il Signore: ascoltare ciò che lo Spirito dice a noi personalmente, vivere questo aspetto di Dio che è solamente nostro. Come nel matrimonio ci sono degli aspetti della vita di coppia conosciuti dai parenti e dagli amici, ma altri aspetti conosciuti solo dai coniugi, allo stesso modo nella nostra relazione personale con il Signore ci sono aspetti conosciuti dalla società ma altri riservati per il tempo di intima preghiera.
 
Nella prima lettera ai Corinzi, c'è un tema che è predominante su tutti gli altri: il tema della crescita. Leggendo gli scritti paolini, traspare con chiarezza l'analisi di una realtà che è in via di sviluppo: un tempo eravamo prigionieri, ora siamo liberi, ma anche in questa libertà possiamo essere bambini in Cristo oppure uomini maturi cresciuti a sua immagine. Anche chi è maturo però sente una profonda sofferenza, perché al tempo presente non vive nella nuova creazione, non vive con un corpo di resurrezione. Solo nella nuova creazione infatti potremo essere liberi da ogni fardello e conoscere pienamente, come anche siamo stati perfettamente conosciuti. C'è dunque questo processo che porta dal mondo delle tenebre al regno del Figlio, e dall'immaturità nel regno del Figlio alla maturità. In questo processo, noi possiamo soltanto intravedere quello che sarà. Possiamo conoscere e profetizzare in parte, ma sappiamo che il Signore conosce già ora tutto pienamente. Noi infatti siamo stati perfettamente conosciuti (al passato!), siamo conosciuti con tutte le nostre debolezze e tutti i nostri punti forti, siamo conosciuti con il nostro carattere e con i cambiamenti che assumiamo mentre il tempo scorre e le esperienze si accumulano, siamo conosciuti nelle limitatezze del nostro corpo soggetto al peccato, e siamo conosciuti nella forma che raggiungeremo al tempo della completezza. Questa conoscenza di Dio non deve spaventarci, ma al contrario deve far crescere in noi la fede nell'azione e nella direzione del Signore nella nostra vita. La conoscenza che il Signore ha di noi è meravigliosa, è una conoscenza che non nasce da un' osservazione esterna ma piuttosto da una consapevolezza interna. Questa è l'onniscienza di Dio: una conoscenza di noi che Lui trova in lui e non in noi o in qualunque altro posto. Per conoscere meglio noi stessi, dunque, la cosa migliore non è quella di guardarci allo specchio, e neanche meditare su noi stessi, ma piuttosto portare il nostro cuore al Signore, e chiedere a Lui chi siamo, chi siamo davvero. Da questa intimità potremo comporre canti al Signore come ha fatto il salmista, potremo vedere le cose da una nuova prospettiva come ha fatto l'apostolo Paolo, potremo continuare a correre la corsa cristiana che ci è posta davanti con rinnovata forza....il tutto alla sola gloria del Suo Nome.
 
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