Traduttore


giovedì 31 dicembre 2015

I quattro concili ecumenici dell'antichità (parte IV): il concilio di Calcedonia [451 d.C.]


1. LO SCANDALO DEL MONOFISISMO

Icona rappresentante Eutiche di Alessandria
Nove anni dopo il Concilio di Efeso, il monaco Eutiche divenne archimandrita (superiore) di un monastero con più di trecento persone a Costantinopoli1, il cui patriarcato era retto ora dal vescovo Pròclo, successore dell'ormai esiliato Nestorio2. Quattro anni più tardi, nel 444, Diòscoro successe a Cirillo come patriarca di Alessandria d'Egitto3; nel 446 a Costantinopoli il vescovo Flaviano prese il posto di Pròclo.

Alla morte di Cirillo, il suo avversario Teodoreto vescovo di Cirro (in Siria), scrisse: "La sua dipartita allieta chi resta, ma se possibile scoraggia i morti; temiamo che dietro la provocazione dei suoi compagni, possano rimandarlo tra noi [...] Bisognerebbe ordinare alla corporazione dei becchini di mettere una pietra grossa e pesante sulla tomba per impedirgli di tornare tra noi"4. Sfortunatamente, anche il successivo Diòscoro si dimostrò un personaggio altrettanto ambizioso e impetuoso, con la testarda volontà di umiliare la sede vescovile di Costantinopoli5


Nel frattempo, Eutiche, appassionato sostenitore della teologia di Cirillo, cominciò ad insegnare che prima dell'incarnazione Cristo avesse due nature, ma che dopo quest'ultima sarebbe rimasto un solo Cristo, un solo Figlio in una sola hypostasis e un solo prosopon6. Egli detestava il concetto di due nature di Cristo dopo l'incarnazione perché riteneva che natura significasse esistenza concreta: affermare due nature significava per lui affermare due esistenze concrete, due ipostasi, due persone in Cristo7. Eusebio, vescovo di Dorileo, avendo sentito questo insegnamento denunciò ufficialmente  Eutiche davanti a Flaviano patriarca di Costantinopoli, e al concilio locale che era qui riunito nel 4488. Dopo numerose convocazioni, Eutiche finalmente si presentò al concilio rifiutandosi ostinatamente di rivedere la sua posizione, e come conseguenza il collegio di vescovi lo scomunicò, deponendolo dagli incarichi di presbitero e archimandrita9. Per i teologi occidentali la posizione di Eutiche non aveva senso: prima dell'incarnazione c'era solo una natura, quella divina; dopo, c'erano la natura divina e quella umana unite, ma senza confusione10. Per la scuola teologica alessandrina però il termine "natura" identificava una specifica entità, come qualsiasi nome proprio di persona indica una singola persona con quel nome; essi potevano quindi asserire che Cristo era "l'unica natura di Dio, il Verbo incarnato", al contrario della scuola teologica antiochena che al termine "natura" associava una caratteristica di una persona (come il colore dei capelli) e non la persona concreta in sé11. La confusione relativa al significato di questa parola dunque, fu una delle cause che permise alla questione di esplodere in tutta la sua drammaticità. Eutiche infatti, evidentemente insoddisfatto della decisione del sinodo e del patriarca Flaviano, si appellò ai vescovi di Roma, Alessandria, Gerusalemme e Tessalonica12. Ad Alessandria, Diòscoro prese al volo l'occasione per contrastare Flaviano, e alleandosi con Crisafio (l'influente eunuco alla corte dell'imperatore Teodosio II) riuscì a convincere l'imperatore a convocare un nuovo concilio ad Efeso che si tenne effettivamente nell'anno successivo, nel 449. Il vescovo di Roma Leone I non riuscì a presenziare per il caos generato da Attila in tutta Italia, ma inviò dei delegati con lettere per l'imperatore, per Flaviano, per il concilio e per i monaci di Costantinopoli13. Tra queste, vi era anche il famoso Tomus per Flaviano, che possiamo leggere nel seguente documento:
LETTERA DI PAPA LEONE
A FLAVIANO VESCOVO DI COSTANTINOPOLI
SU EUTICHE

Letta la lettera della Tua Dilezione (e ci meravigliamo che sia stata scritta così tardi), e scorso l'ordine degli atti dei vescovi, finalmente abbiamo potuto renderci conto dello scandalo sorto fra voi contro l'integrità della fede. Quello che prima sembrava oscuro, ci appare in tutta la sua chiarezza. Eutiche, che pareva degno di onore per la sua dignità di sacerdote, ora ne balza fuori come molto imprudente ed incapace. Si potrebbe applicare anche a lui la parola del profeta: Non volle capire per non dover agire rettamente. Ha meditato l'iniquità nel suo cuore.

Che vi può essere infatti di peggio, che essere empio e non volersi sottomettere ai più saggi e ai più dotti? Cadono in questa stoltezza quelli che, quando incontrano qualche oscura difficoltà nella conoscenza della verità, non ricorrono alle testimonianze dei profeti, alle lettere degli apostoli o alle affermazioni dei Vangeli, ma a se stessi, e si fanno, quindi, maestri di errore proprio perché non hanno voluto essere discepoli della verità. Quale conoscenza può avere dalle pagine sacre del nuovo e dell'antico Testamento chi non sa comprendere neppure i primi elementi del Simbolo? Ciò che viene espresso in tutto il mondo dalla voce di tutti i battezzandi non è ancora compreso dal cuore di questo vecchio.

Non sapendo perciò quello che dovrebbe pensare sulla incarnazione del Verbo di Dio, e non volendo applicarsi nel campo delle sacre scritture per attingervi luce per l'intelligenza, avrebbe almeno dovuto ascoltare con attenzione la comune e unanime confessione, con cui l'insieme dei fedeli professa di credere in Dio padre onnipotente, e in Gesù Cristo suo unico figlio, nostro signore, nato dallo Spirito santo e da Maria vergine: tre affermazioni da cui vengono distrutte le costruzioni di quasi tutti gli eretici. Se infatti si crede che Dio è onnipotente e padre, si dimostra con ciò che il Figlio è a lui coeterno, in nessuna cosa diverso dal Padre, perché è Dio nato da Dio, onnipotente da onnipotente, coeterno da eterno; e non è a lui posteriore nel tempo, inferiore per potenza, dissimile nella gloria, diverso per essenza. Questo eterno unigenito dell'eterno padre, inoltre, è nato dallo Spirito santo e da Maria vergine; e questa nascita nel tempo non ha tolto nulla, come nulla ha aggiunto, a quella divina ed eterna nascita, ma fu consacrata interamente alla redenzione dell'uomo, che era stato ingannato,- e a vincere la morte, e a distruggere col suo potere il diavolo, che aveva il dominio della morte. Noi non avremmo potuto vincere l'autore del peccato e della morte, se non avesse assunto e fatta sua la nostra natura colui che il peccato non avrebbe potuto contaminare e la morte avere in suo dominio. Egli infatti fu concepito dallo Spirito santo nel seno della vergine Madre, che lo diede alla luce nella sua integrità verginale, così come senza diminuzione della sua verginità l'aveva concepito.

Se poi Eutiche, non era capace di attingere da questa purissima fonte della fede cristiana il genuino significato, perché aveva oscurato lo splendore di una verità così evidente con la propria cecità, avrebbe dovuto sottomettersi alla dottrina del Vangelo. Matteo dice: Libro della genealogia di Gesù Cristo, figlio di David, figlio di Abramo. Egli avrebbe dovuto consultare anche l'insegnamento della predicazione apostolica; e leggendo nella lettera ai Romani: Paolo, servo di Gesù Cristo, chiamato apostolo, scelto Per la predicazione del Vangelo di Dio, che aveva già Promesso attraverso i Profeti nelle sacre scritture riguardo al Figlio suo, che gli è nato dalla stirpe di David, secondo la carne, avrebbe dovuto rivolgere la sua pia considerazione alle pagine dei profeti. Imbattendosi nella promessa di Dio ad Abramo, quando dice: nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti, per non dover dubitare della identità di questa discendenza, avrebbe dovuto seguire l'apostolo, che dice: Le Promesse sono state fatte ad Abramo e alla sua discendenza. Non dice: ai suoi discendenti, quasi che fossero molti; ma, quasi che fosse una: alla sua discendenza, che è Cristo. Avrebbe anche compreso con l'udito interiore la profezia di Isaia, quando dice: Ecco, una vergine concepirà nel suo seno e darà alla luce un figlio, e lo chiameranno Emmanuele, che viene interpretato Dio Con noi. Ed avrebbe letto con fede le parole dello stesso profeta: Ci è nato un fanciullo, ci è stato dato un figlio, il suo potere sarà sulle sue spalle. E lo chiameranno: angelo di somma prudenza, Dio forte, principe della Pace, Padre del secolo futuro; e non direbbe con inganno che il Verbo si è fatto carne in tal modo, che Cristo, nato dalla Vergine, avesse bensì la forma di un uomo, ma non la realtà del corpo di sua madre. Forse egli può aver pensato che nostro signore Gesù Cristo non aveva la nostra natura per il fatto che l'angelo mandato alla beata vergine Maria disse: Lo Spirito santo scenderà su di te, e la forza dell'Altissimo li coprirà della sua ombra. E perciò l'essere santo che nascerà da te sarà chiamato figlio di Dio, quasi che, dato che il concepimento della Vergine fu effetto di un'operazione divina, il corpo da essa concepito non provenisse dalla natura di chi lo concepiva. Non così dev'essere intesa quella generazione singolarmente mirabile e mirabilmente singolare, come se per la novità della creazione sia stato annullato ciò che è proprio del genere (umano). Ora, lo Spirito santo rese feconda la Vergine, ma la realtà del corpo proviene dal corpo. E mentre la sapienza si edificava una casa, il Verbo si fece carne e pose la sua dimora fra noi, con quella carne, cioè, che aveva assunta dall'uomo, e che lo spirito razionale animava.

Salva quindi la proprietà di ciascuna delle due nature, che concorsero a formare una sola persona, la maestà si rivestì di umiltà, la forza di debolezza, l'eternità di ciò che è mortale; e per poter annullare il debito della nostra condizione, una natura inviolabile si unì ad una natura capace di soffrire; e perché, proprio come esigeva la nostra condizione, un identico mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù potesse morire secondo una natura, non potesse morire secondo l'altra. Nella completa e perfetta natura di vero uomo, quindi, è nato il vero Dio, completo nelle sue facoltà, completo nelle nostre. Quando diciamo "nostre", intendiamo quelle facoltà che il creatore mise. in noi da principio, e che ha assunto per restaurarle. Quegli elementi, infatti, che l'ingannatore introdusse, e che l'uomo, ingannato, accettò, non lasciarono alcuna traccia nel Salvatore. Né perché volle partecipare a tutte le umane miserie, fu anche partecipe dei nostri peccati. Egli prese la forma di servo senza la macchia del peccato, elevando ciò che era umano, senza abbassare ciò che era divino; perché quell'abbassamento per cui egli da invisibile si fece visibile, e, pur essendo creatore e signore di tutte le cose, volle essere dei mortali, fu condiscendenza della misericordia non mancanza di potenza.

Perciò chi rimanendo nella forma di Dio fece l'uomo, si fece uomo nella forma di servo. Ciascuna natura, infatti, conserva senza difetto ciò che le è proprio. E come la natura divina non sopprime quella di servo, così la natura di servo non porta alcun pregiudizio a quella divina. Il diavolo, infatti, si gloriava che l'uomo, ingannato dalla sua frode, aveva perduto i doni divini; che era stato spogliato della dote dell'immortalità ed era andato incontro ad una dura sentenza di morte; che, quindi, egli, il diavolo, nei suoi mali aveva trovato un certo conforto nella comune sorte del prevaricatore; e che anche Dio, secondo la esigenze della giustizia verso l'uomo (quell'uomo che aveva innalzato a tanto onore, creandolo) aveva dovuto mutare il suo disegno. Fu necessario, allora, che, nell'economia del suo segreto consiglio, Dio, che è immutabile, e la cui volontà non può esser privata della stia innata bontà, completasse per così dire il primitivo disegno della sua benevolenza verso di noi con un misterioso e più profondo piano divino, e così l'uomo, spinto alla colpa dall'inganno della malvagità diabolica, non perisse contro il disegno di Dio.

Il Figlio di Dio, scendendo dalla sede dei cieli senza cessare di essere partecipe della gloria del Padre, fa l'ingresso in questo basso mondo, generato secondo un ordine ed una nascita del tutto nuovi: secondo un ordine nuovo, perché invisibile nella sua natura divina, si fece visibile nella nostra; perché incomprensibile, volle esser compreso; fuori del tempo, cominciò ad esistere nel tempo; Signore di tutte le cose, assunse la natura di servo, nascondendo l'immensità della sua maestà; incapace di soffrire perché Dio, non disdegnò di farsi uomo soggetto alla sofferenza, infine, perché immortale, volle sottoporsi alle leggi della morte. Generato secondo una nuova nascita, perché la verginità inviolata non conobbe passione e somministrò la materie della carne. Dalla madre il Signore ha assunto la natura non la colpa. E nel signore nostro Gesù Cristo, generato dal seno della Vergine, la nascita ammirabile non rende la natura dissimile dalla nostra. Colui, infatti, che è vero Dio, quegli è anche vero uomo. In questa unione non vi è nulla di incongruente, trovandosi insieme contemporaneamente la bassezza dell'uomo e l'altezza della divinità.

Come, infatti, Dio non muta per la sua misericordia, così l'uomo non viene annullato dalla dignità divina. Ognuna delle due nature, infatti, opera insieme con l'altra ciò che le è proprio: e cioè il Verbo, quello che è del Verbo; la carne, invece, quello che è della carne. L'uno brilla per i suoi miracoli, l'altra sottostà alle ingiurie. E come al Verbo non viene meno l'uguaglianza nella gloria paterna, così la carne non abbandona la natura umana. La stessa e identica persona, infatti, - cosa che dobbiamo ripetere spesso - è vero figlio di Dio e vero figlio dell'uomo: Dio, per ciò, che in principio esisteva il Verbo: e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; uomo, per ciò, che: il Verbo si fece carne e stabilì la sua dimora fra noi; Dio, perché tutte le cose sono state fatte per mezzo suo, e senza di lui nulla è stato fatto, uomo, perché nacque da una donna sottoposto alla legge La nascita della carne manifesta l'umana natura; il parto di una Vergine è segno della divina potenza. L'infanzia del bambino è attestata dall'umile culla; la grandezza dell'Altissimo è proclamata dalle voci degli angeli. Nel suo nascere è simile agli altri uomini quegli che Erode tenta ampiamente di uccidere; ma è Signore di ogni cosa quello che i Magi godono di poter adorare prostrati. Già quando si recò dal suo precursore Giovanni per il battesimo, perché non restasse nascosto che sotto il velo della carne si celava la divinità, la voce del Padre, tonando dal cielo, disse: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto. A colui, perciò, che l'astuzia del demonio tentò come uomo, a lui come ad un Dio rendono i loro uffici gli angeli. Aver fame, aver sete, stancarsi e dormire, evidentemente è proprio degli uomini; ma saziare cinquemila uomini con cinque pani, dare alla samaritana l'acqua viva, che produca l'effetto in chi beve di non aver più sete; camminare sul dorso del mare senza che i piedi sprofondino, e render docili i flutti furiosi dopo aver rimproverato la tempesta: tutto ciò senza dubbio è cosa divina. Come, quindi, per tralasciare molte cose, non è della stessa natura piangere con affetto pietoso un amico morto e richiamarlo alla vita, redivivo, al solo comando della voce, tolta di mezzo la pietra di una tomba chiusa già da quattro giorni; o pendere dalla croce e sconvolgere gli elementi della natura, trasformando la luce in tenebre; o essere trapassato dai chiodi e aprire le porte del paradiso alla fede del ladrone; così non è della stessa natura dire: Io e il Padre siamo una cosa sola, e dire: Il Padre è maggiore di me. Quantunque, infatti, nel signore Gesù Cristo vi sia una sola persona per Dio e per l'uomo, altro però è l'elemento da cui sgorga per l'uno e per l'altro l'offesa, altro ciò da cui promana per l'uno e l’altro la gloria. Dalla nostra natura egli ha un'umanità inferiore al Padre; dal Padre gli deriva una divinità uguale a quella del Padre.

Proprio per questa unità di persona, da intendersi come propria di ognuna delle due nature, si legge che il Figlio dell'uomo discese dal cielo, mentre fu il Figlio di Dio che assunse la carne dalla Vergine da cui è nato; e, d'altra parte, si dice che il Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, quantunque non abbia subito questo nella stessa divinità, per cui l'unigenito è coeterno e consostanziale al Padre, ma nella infermità della natura umana. Proprio per questo confessiamo tutti anche nel Simbolo che il Figlio unigenito di Dio è stato crocifisso e sepolto, secondo le parole dell'apostolo: Se infatti l'avessero conosciuta, non avrebbero mai crocifisso il Signore della gloria. E lo stesso nostro Signore e Salvatore, volendo istruire con le sue domande i discepoli nella fede: Chi dicono gli uomini, disse, che sia il Figlio dell'uomo? Essi riferiscono le varie opinioni degli altri. E voi, riprese, chi dite che io sia?: io, che sono il Figlio dell’uomo, e che voi vedete sotto l'aspetto di un servo e nella verità della carne, chi dite che sia? Fu allora che S. Pietro divinamente ispirato e destinato a giovare a tutti i popoli con la sua confessione, Tu sei il Cristo, disse, il Figlio del Dio vivo . E bene a ragione fu chiamato beato dal Signore; e dalla pietra principale trasse la solidità della virtù e del nome, lui che per rivelazione del Padre riconobbe in lui il Figlio di Dio e il Cristo, poiché accettare una cosa senza l'altra, non avrebbe giovato alla salvezza. E vi era uguale pericolo nel credere che il signore Gesù Cristo fosse o solo Dio, senza essere uomo, o uomo soltanto, senza che fosse anche Dio.

Dopo la resurrezione del Signore, poi, che avvenne certamente nel vero corpo, poiché non altri risuscitò se non quegli che era stato crocifisso ed era morto, che altro Egli fece, nello spazio di quaranta giorni, se non rendere pura ed integra la nostra fede da ogni errore? Per questo Egli parlava con i suoi discepoli e, vivendo e mangiando con essi, permetteva loro, scossi com'erano dal dubbio, di avvicinarlo e di avere frequentemente contatto con lui, entrò a porte chiuse dai discepoli e col suo soffio diede loro lo Spirito santo; e donava luce all'intelligenza e svelava il senso misterioso e profondo delle sacre Scritture; e mostrava ripetutamente la stessa ferita del suo fianco, e i fori dei chiodi, e tutti i segni della recentissima passione, dicendo: Guardate le mie mani e i miei piedi: sono io, toccate: uno spirito non ha carne ed ossa, Come voi invece vedete che io ho perché si potesse costatare che le proprietà della natura divina e di quella umana rimanevano in lui; e così sapessimo che il Verbo non è la stessa cosa che la carne, e confessassimo che il Verbo e la carne costituiscono un solo Figlio di Dio.

Dinanzi a questo sacramento della fede Eutiche si dimostra ben sprovvisto, egli che nell'Unigenito di Dio né attraverso l'umiltà di uno stato soggetto alla morte, né attraverso la gloria della resurrezione ha riconosciuta la nostra natura; né è restato scosso dalle parole del beato Giovanni, apostolo ed evangelista, quando dice: Chiunque confessa che Gesù Cristo è apparso nella carne, è da Dio. E chiunque divide Gesù, non è da Dio; anzi è l'anticristo . E che cos'è dividere Gesù, se non separare da lui la natura umana e con vanissime ciance annullare il mistero per cui soltanto siamo stati salvati? Inoltre, chi brancola nelle tenebre per quanto riguarda la natura del corpo di Cristo, bisogna per forza che vaneggi con la stessa cecità anche per quanto riguarda la sua passione. Se, infatti, non ritiene falsa la croce del Signore e non dubita che sia stata vera la morte, accettata per la salvezza del mondo, dovrà pure ammettere la carne di chi crede essere morto. Né potrà rifiutarsi di ammettere che sia stato uomo con un corpo simile al nostro colui che riconosce avere sofferto. Perché negare la verità della carne, è negare la realtà della passione corporea.

Se, quindi, egli accetta la fede cristiana, e non trascura di ascoltare la parola del Vangelo, consideri quale natura, trapassata dai chiodi, sia stata appesa sul legno della croce, e il fianco del crocifisso squarciato dalla lancia; da dove sia sgorgato il sangue e l'acqua, perché la chiesa di Dio fosse irrigata da un lavacro e da una fonte. Ascolti il beato apostolo Pietro predicare che la santificazione avviene con l'aspersione del sangue di Cristo. Legga, riflettendo, le espressioni dello stesso apostolo, quando dice: Sappiate che non siete stati redenti con l'oro e con l'argento, cose che periscono, dal vostro vano modo di vivere secondo la tradizione dei Padri, ma dal sangue prezioso di Gesù Cristo, agnello Puro ed immacolato .

E non resista neppure alla testimonianza del beato apostolo Giovanni, che dice: Il sangue di Gesù, figlio di Dio, ci purifica da ogni Peccato. Ed anche: Questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non colui che crede che Gesù è il figlio di Dio? A lui che è venuto attraverso l'acqua e il sangue, Gesù Cristo,- non nell'acqua solo, ma nell'acqua e nel sangue. Ed è lo Spirito a rendere testimonianza, Poiché lo Spirito è verità. Poiché sono tre che rendono testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue. E questi tre sono una cosa sola. Naturalmente si deve intendere dello spirito di santificazione, del sangue della redenzione, dell'acqua del battesimo: tre cose che sono una stessa cosa, eppure conservano la loro individualità, e nessuna di esse è separata dalle altre. Perché la chiesa cattolica vive e progredisce di questa fede: che nel Cristo Gesù non vi è umanità senza vera divinità, né divinità senza vera umanità.

Esaminato e interrogato da voi Eutiche rispose: "Confesso che Nostro Signore avesse due nature prima della loro unione; ma che ne avesse una sola dopo l'unione", mi meraviglio come una professione di fede così assurda e perversa non abbia trovato nei giudici una severa riprensione; e che un discorso così sciocco sia potuto passare come se non contenesse nulla di offensivo. Eppure è ugualmente empia l'affermazione: che l'unigenito Figlio di Dio prima dell'incarnazione abbia avuto due nature, e l'altra affermazione: che dopo che il Verbo si è fatto carne, vi sia stata in lui una sola natura.

Perché, dunque Eutiche non debba credere di avere fatto questa affermazione o conforme a verità, o almeno tollerabilmente (per il fatto che non sia stato confutato da nessuna sentenza in contrario), noi esortiamo il tuo amore sempre sollecito, fratello carissimo, perché, se per grazia della misericordia di Dio la causa si va risolvendo in modo soddisfacente, l'imprudenza di un uomo così ignorante sia purificata anche da questa peste del suo pensiero. Egli, come documenta la relazione degli atti, aveva rettamente cominciato a rinunziare alle sue idee quando, costretto dalla vostra sentenza, affermava di ammettere quanto prima non ammetteva, e di aderire a quella fede, da cui prima si era mostrato alieno. Ma per il fatto che egli non volle dare il suo assenso quando si trattò di condannare l'empia dottrina, la fraternità vostra ben comprese che egli rimaneva nella sua perfida opinione, ed era degno di ricevere un giudizio di condanna. Se quindi egli sinceramente ed utilmente si pente di tutto ciò, e riconosce, benché tardi, con quanta ragione si sia mossa l'autorità dei vescovi, se a piena soddisfazione egli condannerà a viva voce e firmando di sua mano tutti i suoi errori, nessuna misericordia, per quanto grande, sarà degna di biasimo. Nostro Signore, infatti, vero e buon pastore, che diede la sua vita per le pecore, e che venne a salvare le anime degli uomini, non a perderle, desidera che noi siamo imitatori della sua pietà. E se la giustizia deve reprimere chi manca, la misericordia non può respingere chi si converte. E’ allora, infatti, che la vera fede è difesa con abbondantissimo frutto, quando l'errore viene condannato anche da quelli che lo sostengono.

Per condurre a termine piamente e fedelmente la questione, abbiamo mandato come nostri rappresentanti i nostri fratelli Giulio, vescovo, e Renato, presbitero del titolo di S. Clemente, oltre a mio figlio Ilario, diacono. Abbiamo aggiunto ad essi Dolcizio, nostro notaio, la cui fedeltà a tutta prova ci è nota. E confidiamo che ci assista l'aiuto divino, perché colui che ha errato, condannato il suo malvagio modo di sentire, sia salvo. Dio ti custodisca sano, fratello carissimo
14.
Giulio, vescovo di Pozzuoli, il presbitero Renato e e il diacono Ilario dunque, come rappresentanti della chiesa di Roma sbarcarono ad Efeso e si presentarono con le loro lettere a Flaviano patriarca di Costantinopoli15. Questo secondo concilio di Efeso fu convocato in sessione l'8 agosto 449, presenziarono 170 vescovi ma fu vietata la partecipazione ai quarantadue vescovi che condannarono Eutiche16. La presidenza venne tenuta da Diòscoro, con la chiara intenzione di voler riabilitare Eutiche e svergognare Flaviano. Vennero lette le lettere imperiali di convocazione del concilio, successivamente si alzò il delegato Ilario per leggere anche quella di Leone, ma Diòscoro con vari stratagemmi ignorò le sue numerose richieste17. Eusebio di Dorileo chiese a Eutiche di riconoscere le due nature del Verbo incarnato, ma i vescovi ormai controllati da Diòscoro si agitarono e riconobbero la professione di Eutiche come corretta con 111 voti su 130, reintegrando il monaco alle sue cariche ecclesiastiche18. Successivamente Diòscoro fece leggere degli estratti dei canoni redatti nel precedente concilio di Efeso in cui si proibiva - pena la deposizione - di proporre o insegnare credi diversi da quello di Nicea19. Tutti i presenti dettero il loro assenso, ma a questo punto in modo sorprendente Diòscoro denunciò Flaviano ed Eusebio per aver violato questo canone, e chiese la loro immediata deposizione, sentendosi rispondere da Flaviano: "Io disprezzo la tua autorità"20. Mentre gli altri vescovi si avvicinavano a Diòscoro chiedendogli di rivedere la sua accusa, egli, sostenendo di essere stato aggredito, fece accorrere il commissario imperiale che aprì le porte dalle quali entrarono la polizia militare assieme a una folla di monaci e malfattori di ogni genere21. Eusebio di Dorileo fu immediatamente messo agli arresti, Flaviano dopo essere stato malmenato riuscì a rifugiarsi nella sacrestia con Ilario, ma venne successivamente catturato e portato all'esilio dove morirà in poco tempo22. Diòscoro con gli alleati Giovenale di Gerusalemme, Eutiche, Barsuma e l'eunuco imperiale Crisafio, riuscirono dunque con l'inganno e la violenza a decretare ancora una volta la vittoria di Alessandria, come ai tempi di Giovanni Crisostomo nel 404 e Nestorio nel 43123. Ilario riuscì però a scampare alla polizia imperiale manovrata da Crisafio e raggiungere rocambolescamente Roma, dove informò il patriarca Leone I di tutto l'avvenuto, consegnando inoltre un'ultima lettera che Flaviano riuscì a scrivere prima di essere catturato24. Da Cirro, arrivarono contemporaneamente a Leone dei presbiteri con un dignitoso appello del vescovo Teodoreto: "Attendo il giudizio della vostra sede apostolica. Scongiuro e imploro vostra santità di venire in soccorso alla mia supplica rivolta al vostro imparziale e giusto tribunale"25. Leone convocò un sinodo locale a Roma dove invalidò gli atti del concilio e scrisse proteste all'imperatore, alla sorella Pulcheria, a Flaviano, al clero e ai monaci di Costantinopoli, chiedendo che si tenesse un nuovo sinodo generale per ristabilire la situazione26. L'imperatore d'Occidente Valentiniano III sostenne l'appello presso i suoi parenti di Costantinopoli ma Teodosio II approvò ufficialmente il secondo concilio di Efeso e rassicurò l'Occidente che "la pace regnava e la verità era assoluta"27. Leone definì il concilio un latrocinium, un covo di ladri28, e solo alla morte di Teodosio (cadde a cavallo nel luglio del 450), Pulcheria prendendo il potere (e sposandosi con il senatore Marciano, diventato così nuovo imperatore d'Oriente) potè sostenere l'appello del patriarca di Roma, convocando un nuovo concilio generale, che inizialmente si doveva tenere a Nicea.29

2. IL CONCILIO DI CALCEDONIA

Il primo settembre 451 molti vescovi erano già arrivati a Nicea, ma l'imperatore Marciano trovandosi nell'impossibilità di abbandonare Costantinopoli a causa delle invasioni degli Unni, ordinò che il concilio fosse spostato a Calcedonia, città separata dalla capitale soltanto dal canale del Bosforo30. Prima dell'inizio del concilio, Diòscoro di sua iniziativa scomunicò Leone per non aver accettato il suo concilio di Efeso, appoggiato da alcuni vescovi provenienti dall'Egitto, Palestina e Illirico31. L'8 ottobre 451 iniziò ufficialmente a Calcedonia il nuovo concilio generale, presenziato secondo la tradizione da 500 vescovi (anche se da altre fonti storiografiche sembra non dovettero essere più di 350); la presidenza fu tenuta dai delegati di Leone che iniziarono il concilio d'accordo con Eusebio di Dorileo con la lettura dei canoni redatti nel precedente concilio di Efeso del 44932. Quando negli atti fu nominato Teodoreto di Cirro, egli fu fatto entrare ed ammesso all'assemblea, e quando la lettura continuò, i vescovi che presenziarono a quel concilio si vergognarono e scusarono uno dopo l'altro, isolando sempre più Diòscoro33. Dopo lettura della Formula di Unione redatta in seguito al concilio di Efeso del 431, invece, tutti furono d'accordo con essa, e tanto Giovenale di Gerusalemme con i suoi vescovi quanto quelli dell'Illirico si spostarono dall'altra parte della navata lasciando ormai quasi solo Diòscoro34. Tutti i vescovi  del concilio di Efeso del 449 implorarono il perdono, Diòscoro e Giovenale furono condannati dai commissari imperiali, e i restanti vescovi nella seconda sessione (il 10 ottobre) rilessero i canoni di Nicea, Costantinopoli, la seconda lettera di Cirillo a Nestorio e la lettera di Leone a Flaviano, riconoscendo in essi "la fede dei padri e degli apostoli"35. Alla terza sessione del concilio, Diòscoro fu deposto dal suo ufficio episcopale, alla quarta i monaci di Eutiche furono consegnati alla giurisdizione del patriarca di Costantinopoli e alla quinta sessione una commissione di nove vescovi con i tre delegati di Leone redassero la seguente Definizione:
«Seguendo i santi Padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l'umanità, "simile in tutto a noi, fuorché nel peccato"; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza, nato da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l'umanità.
Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola persona e una sola ipostasi»
36.
Circa 452 vescovi firmarono il documento, e redassero successivamente insieme i seguenti trenta canoni disciplinari:
I. I canoni di ciascun sinodo devono osservarsi scrupolosamente.
II. Che non si consacri un vescovo per denaro.
III. Un chierico o un monaco non deve occuparsi di cose estranee.
IV. I monaci non devono far nulla contro la volontà del proprio vescovo né costruire un monastero, o occuparsi di cose mondane.
V. Un chierico non deve passare da una chiesa ad un'altra.
VI. Nessun chierico deve essere ordinato assolutamente.
VII. I chierici o i monaci non devono tornare nel mondo.
VIII. Gli ospizi dei poveri, i luoghi consacrati ai martiri e i monasteri siano sotto la potestà del vescovo.
IX. I chierici non devono adire i tribunali secolari.
X. Non è lecito ad un chierico servire in due chiese di due diverse città.
XI. Quelli che hanno bisogno di assistenza siano provvisti di lettere di pace; lettere commendatizie si diano solo a chi ha buona reputazione.
XII. Un vescovo non deve essere fatto metropolita con lettere imperiali, né una provincia deve essere divisa in due.
XIII. I chierici non possono esercitare il servizio liturgico in altre città senza lettere commendatizie.
XIV. Chi appartiene all'ordine sacerdotale non può unirsi in matrimonio con eretici.
XV. Delle diaconesse.
XVI. Le vergini consacrate a Dio non devono sposarsi.
XVII. Sulle parrocchie di campagna.
XVIII. I membri dell'ordine sacerdotale non possono congiurare o cospirare.
XIX. Due volte all'anno bisogna celebrare i sinodi in ciascuna provincia.
XX. Un chierico non deve trasferirsi da una città all'altra.
XXI. Chi accusa i vescovi deve essere di buona fama.
XXII. I chierici, dopo la morte del proprio vescovo, non devono appropriarsi dei suoi beni.
XXIII. Che siano cacciati da Costantinopoli i chierici e i monaci forestieri che fanno confusione.
XXIV. I monasteri non devono diventare degli alberghi.
XXV. Una chiesa non deve rimanere priva del vescovo per più di tre mesi.
XXVI. Ogni vescovo deve amministrare i beni della propria diocesi attraverso un economo.
XXVII. Non si deve usare violenza ad una donna a scopo di matrimonio.
XXVIII. Voto sui Privilegi della sede di Costantinopoli.
XXIX Un vescovo allontanato dalla propria sede non deve essere computato fra presbiteri.
XXX. Gli Egizi sono senza colpa per non aver sottoscritto la lettera di Leone vescovo di Roma37. 
Il ventottesimo canone che confermava gli stessi privilegi del patriarcato di Roma a quello di Costantinopoli (pur restando quest'ultimo secondo per onore) tuttavia non fu ben accolto da Leone che diplomaticamente accettò la fede professata a Calcedonia ma non i canoni qui redatti, esprimendo il suo disappunto su Anatolio, il nuovo patriarca di Costantinopoli38. Questo canone sarà ammesso nelle collezioni canoniche ufficiali orientali solo nel VI secolo, e accettato dall'Occidente cattolico solo nel 1274 al secondo concilio di Lione39.

3. LE CONSEGUENZE DEL CONCILIO DI CALCEDONIA

Vedi nota 40
La Definizione di Calcedonia purtroppo non segnò la fine della controversia monofisita (dal greco monos, "unico", e physis, "natura"), ma al contrario (come accadde a Nicea per l'arianesimo) l'intensificò. A Gerusalemme riuscì a farsi eleggere come nuovo patriarca il monaco Teodosio, che incolpava il concilio di Calcedonia di non aver saputo accettare completamente il programma teologico di Cirillo; Giovenale riuscì ad essere reinsediato sulla cattedra gerosolimitana soltanto grazie all'esercito, in una città oscurata dalla legge marziale e da tensioni politico-religiose sempre più intense41. Leone scrisse ai monaci palestinesi:
"Sebbene da quell'inizio in cui il Verbo si è fatto carne nel grembo della vergine, nessuna divisione è mai esistita tra la sostanza divina e quella umana, e con l'intera crescita del corpo le azioni venivano sempre compiute da una sola persona, tuttavia noi non confondiamo, con qualsivoglia commistione, queste specifiche azioni che pure furono fatte inseparabilmente, e ci rendiamo conto, dalle loro caratteristiche, che cosa appartiene a una forma e che cosa all'altra. Infatti, né le azioni divine sminuiscono la validità di quelle umane, né le azioni umane recano danno a quelle divine, perché entrambe contribuiscono proprio a questo scopo, che le caratteristiche particolari non vengano assorbite, e l'unità della persona non venga divisa in due."42
Per la linea teologica dichiarata ortodossa, l'unità della persona di Cristo implicava quella che viene chiamata "comunicazione degli idiomi": in conseguenza dell'unione ipostatica tra la natura umana e quella divina di Gesù Cristo, possono essere enunciati gli attributi propri dell'una e dell'altra, senza per questo rinunciare alla distinzione delle due nature stesse43. L'Oriente tuttavia era ancora fedelissimo all'espressione "una sola natura incarnata nel Verbo divino", e numerosi cirilliani si convinsero che la Definizione di Calcedonia fosse decisamente nestoriana, rigettando il pensiero che Gesù Cristo potesse morire secondo una natura (quella umana), ma non secondo l'altra (quella divina)44.  In Egitto e in Siria per parecchio tempo gli intrighi di vescovi ed imperatori si accavallarono per supportare una o l'altra posizione, culminando trentatrè anni dopo il concilio di Calcedonia al triste epilogo del cosiddetto scisma acaciano, per il quale la Chiesa d'Occidente e quella d'Oriente furono ufficialmente divise fino al 51945.  Il monofisismo tuttavia sopravvisse anche successivamente in Egitto, Etiopia, Siria e Armenia, dove viene professato ancora ai giorni nostri nelle chiese che si autodefiniscono orientali ortodosse (da non confondere con la chiesa ortodossa calcedonese)46. Il resto della cristianità invece nel corso del tempo assimilò la definizione del concilio, consolidandola infine come definitiva.

4. CONSIDERAZIONI FINALI


Quest'ultimo approfondimento dei quattro dedicati ai concili ecumenici dell'antichità, completa la panoramica degli eventi principali che definirono le dottrine cristiane di fondamento sulla Trinità e sulla persona di Gesù Cristo. Sono stati necessari cinque secoli di dispute teologiche per elaborare un pensiero univoco e sufficientemente preciso in proposito, e da un certo punto di vista non bastarono, visto i considerevoli strascichi protratti nei tempi successivi. Purtroppo questi secoli incrementarono sempre di più nel mondo cristiano dinamiche di potere ben distanti dalle parole evangeliche "chiunque, tra di voi, vorrà essere primo sarà servo di tutti" (Marco 10:44); arrivando a violenze e soprusi di ogni tipo da parte di coloro che professavano di essere servitori di Dio. Già nel II secolo la Chiesa cristiana per sopravvivere ai nuovi contesti politici e sociali dovette intraprendere un cammino di riorganizzazione e istituzionalizzazione che - sebbene potè garantire un indubbio successo sul piano storico - potrebbe suscitare delle perplessità se confrontato con lo stato della precedente epoca apostolica. Nel successivo XVI secolo, il concetto di successione episcopale venne  messo in discussione dai riformatori, che arrivarono ad affermare che il segno distintivo della Chiesa cristiana non è quello di avere una forma visibile ed evidente, ma è piuttosto quello di promuovere la pura predicazione della Parola di Dio e amministrare rettamente i sacramenti istituiti47 (battesimo e cena del Signore). Come ai tempi di Elia, in piena crisi religiosa, la voce divina gli rispose "Io lascerò settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal" (1Re 19:18), così è nell'epoca attuale a riguardo dell'Israele eletto (Ro 11:1-6); ma tutto sommato possiamo pensare - assieme alla Parola di Dio - che sia così anche nel Regno di Dio, reso ora visibile dalla Chiesa ma contenente grano e zizzania, pesci buoni e cattivi (Mt 13). Il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: «Il Signore conosce quelli che sono suoi», e «Si ritragga dall'iniquità chiunque pronuncia il nome del Signore» (2 Tim 2:19). Quindi il fondamento su cui ogni credente può e deve appoggiarsi è quello di Gesù Cristo (1 Cor 3:11) e quello della fede nella sua signoria sul cosmo, sulla storia e sull'umanità; nella convinzione, in particolare, che egli conosce quelli che sono suoi e che nessuno potrà mai rapirli dalle mani del Padre (Gv 10:29).  La vera adorazione al Padre ora è in Spirito e Verità (Gv 4:23), la giustizia di Dio ora è solamente nella fede in Cristo Gesù (Rom 3:22), dove troviamo anche redenzione (3:24), l'amore di Dio (5:8), la riconciliazione (5:11), il  battesimo nella morte di Gesù Cristo (6:3) e di conseguenza nella sua vita di resurrezione (6:4 e 6:11). Laddove Cristo ha preso il ruolo di Sommo Sacerdote eterno (Eb 9), ogni credente non deve più dipendere da altri sacerdoti umani, ma vivere in prima persona la libertà di accostarsi personalmente e con fiducia al trono della grazia di Dio (Eb 4:16). 

Camminando in questo modo, collegati direttamente uno ad uno con il Figlio così come i vari tralci della vite sono collegati ad essa (Gv 15:5), la Chiesa formata da tutti coloro che sono conosciuti dal Signore può crescere e prosperare anche nelle sofferenze e difficoltà, rimanendo certamente preservata in questo agire fino al ritorno del Signore. Consapevoli di aver ricevuto dalle Scritture la luce sufficiente per conoscere Dio nella misura in cui si è rivelato, e ricevere in questo la grazia della sua salvezza, dobbiamo però anche comprendere la vastità dei misteri che ancora ci circondano e che, quando vedremo faccia a faccia, potremo finalmente comprendere pienamente così come anche siamo stati perfettamente conosciuti (1 Co 13:12).   


Bibliografia:

Alberigo Giuseppe, Decisioni dei concili ecumenici, Ed. Unione tipografico-editrice torinese.

Calvino Giovanni, Istituzione della religione cristiana (a cura di Giorgio Tourn), Ed. UTET.

Cappelli Salvato, Cronaca e storia dei concili, Ed. Mondadori.

Davis Leo Donald, Storia e cronaca dei sette concili che definirono la dottrina cristiana, Ed. Piemme.

Freeman Charles, Il cristianesimo primitivo, Ed. Einaudi.

Jedin Hubert, Breve storia dei concili, Ed. Herder-Morcelliana.

Wilken Robert Louis, I primi mille anni, Ed. Einaudi.


Note:

[1] http://www.eresie.it/it/Eutiche.htm
[2] Vedi: 
- https://it.wikipedia.org/wiki/Proclo_di_Costantinopoli
- https://it.wikipedia.org/wiki/Patriarchi_di_Costantinopoli
[3] http://www.treccani.it/enciclopedia/dioscoro-di-alessandria/
[4] Wilken Robert Louis, I primi mille anni, Ed. Einaudi, cit. p. 226.

[5] Id. Ibid.
[6] Davis Leo Donald, Storia e cronaca dei sette concili che definirono la dottrina cristiana, Ed. Piemme, cit. p. 188
[7] Id. Ibid.
[8] Id. Ibid., cit. p. 190.
[9] Id. Ibid., cit. p. 191.
[10] Id. Ibid.
[11] W. R. Louis, I primi mille anni, Ed. Einaudi, cit. p. 226.
[12]
D. L. Donald, Storia e cronaca dei sette concili che definirono la dottrina cristiana, Ed. Piemme, cit. p. 191. 
[13] Id. Ibid., cit. p. 192.
[14] Decisioni dei concili ecumenici, a cura di Giuseppe Alberigo, Unione tipografico-editrice torinese, pp. 151-161. 
[15] D. L. Donald, Storia e cronaca dei sette concili che definirono la dottrina cristiana, Ed. Piemme, cit. p. 194. 
[16] Id. Ibid. 
[17] Id. Ibid. cit. p. 195.
[18] Id. Ibid.
[19] Id. Ibid.
[20] Id. Ibid. cit. p. 196. 
[21] Id. Ibid.
[22] Id. Ibid.
[23] Id. Ibid.
[24] Id. Ibid. cit. p. 197.
[25] Id. Ibid. cit. p. 197. 
[26] Id. Ibid.
[27] Id. Ibid.
[28] W. R. Louis, I primi mille anni, Ed. Einaudi, cit. p. 227.
[29] D. L. Donald, Storia e cronaca dei sette concili che definirono la dottrina cristiana, Ed. Piemme, cit. p. 198. 
[30] Id. Ibid. 
[31] Id. Ibid. cit. p. 199.
[32] Id. Ibid.
[33] Id. Ibid. cit. p. 201.
[34] Id. Ibid.
[35] Id. Ibid.
[36] http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p122a3p1_it.htm  
[37] Decisioni dei concili ecumenici, a cura di Giuseppe Alberigo, Unione tipografico-editrice torinese, pp. 165-175.
- Per dettagli vedi anche: http://www.intratext.com/IXT/ITA0158/  
[38] D. L. Donald, Storia e cronaca dei sette concili che definirono la dottrina cristiana, Ed. Piemme, cit. p. 213. 
[39] Id. Ibid. cit. p. 214.
[40] https://it.wikipedia.org/wiki/Concilio_di_Calcedonia#Il_distacco_tra_Roma_e_Costantinopoli 
[41] D. L. Donald, Storia e cronaca dei sette concili che definirono la dottrina cristiana, Ed. Piemme, cit. p. 214.
[42] Id. Ibid. cit. p. 215.
[43] https://books.google.it/books?id=oTna3cTaN2MC&pg=PA21&lpg=PA21&dq=comunicazione+degli+idiomi&source=bl&ots=v7vyudWGXT&sig=Mzi9r-9PlfPtcGkejhxE4uaabmY&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiXqdTt_4PKAhXIbxQKHbd8Bu8Q6AEIJTAB#v=onepage&q=comunicazione%20degli%20idiomi&f=false 
[44] D. L. Donald, Storia e cronaca dei sette concili che definirono la dottrina cristiana, Ed. Piemme, cit. p. 216.
[45] https://it.wikipedia.org/wiki/Scisma_acaciano
[46] http://www.eresie.it/it/Monofisismo.htm

[47] Giovanni Calvino, Istituzione della religione cristiana, Ed. UTET (2009), primo libro, cit. p. 129.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...