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lunedì 14 aprile 2014

Le sette lettere dell'Apocalisse (parte I): la chiesa di Efeso

Schema degli eventi dell'Apocalisse interpretati con un approccio futurista
L'apocalisse di Giovanni è l'unico libro di genere apocalittico incluso nel canone biblico. Sebbene la tradizione identifica il suo autore con l'Apostolo Giovanni, scrittore del relativo vangelo e delle tre lettere neotestamentarie, gli studiosi moderni associano questi scritti ad una redazione quasi corale legata in ogni caso alla scuola teologica giovannea. La data di redazione viene fatta risalire comunemente alla prima metà degli anni 90 del I secolo, durante il regno di Domiziano. Le circostanze, sono riportate all'inizio del libro stesso:

Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, ero nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui rapito dallo Spirito nel giorno del Signore, e udii dietro a me una voce potente come il suono di una tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea».
Apocalisse 1:9-11

I primi destinatari dunque furono queste sette chiese dell'Asia Minore che l'Apostolo Giovanni conosceva personalmente. A queste chiese, oltre che il libro nel suo insieme, vengono indirizzate in particolare anche sette lettere (una per chiesa) che troviamo nei capitoli 2 e 3. Il numero sette indica la perfezione e totalità, per questo sembra che le sette chiese rappresentino la totalità della Chiesa. Queste lettere seguono tutte uno stesso schema: un'intestazione, una presentazione dell'Autore, un riscontro dello stato della chiesa, delle esortazioni a cui seguono l'invito all'ascolto dello Spirito ed una promessa. Esse mostrano quindi differenti situazioni spirituali in diverse comunità, il cui significato è stato interpretato in modi differenti.

Gli approcci interpretativi all'Apocalisse infatti, sono principalmente quattro: quello preterista, storico, idealista e futurista. L'approccio preterista interpreta l'Apocalisse come una descrizione di eventi accaduti nel I secolo dopo Cristo. L'approccio storico considera la realizzazione di questi eventi nel corso dell'intera storia, dal primo secolo in poi. L'interpretazione idealista considera la descrizione come mitologica, svuotandola di un contesto storico per renderla adatta ad ogni tempo e luogo. Infine, la visione futurista condivide lo stesso approccio di quella preterista per i primi tre capitoli (dunque per le lettere alle sette chiese, viste come lettere dedicate alle comunità esistenti nel I secolo), ma interpreta gli eventi presentati dal terzo capitolo in poi come eventi futuri. 
Schema interpretativo delle sette lettere, approcciate con un modello interpretativo storicista
Io mi voltai per vedere chi mi stava parlando. Come mi fui voltato, vidi sette candelabri d'oro e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un figlio d'uomo, vestito con una veste lunga fino ai piedi e cinto di una cintura d'oro all'altezza del petto. Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana candida, come neve; i suoi occhi erano come fiamma di fuoco; i suoi piedi erano simili a bronzo incandescente, arroventato in una fornace, e la sua voce era come il fragore di grandi acque. Nella sua mano destra teneva sette stelle; dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, affilata, e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza. Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli pose la sua mano destra su di me, dicendo: «Non temere, io sono il primo e l'ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell'Ades. Scrivi dunque le cose che hai viste, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito, il mistero delle sette stelle che hai viste nella mia destra, e dei sette candelabri d'oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese, e i sette candelabri sono le sette chiese.
Apocalisse 1:12-20

Giovanni, voltandosi per vedere chi gli stava parlando, vede sette candelabri ed in mezzo a loro la figura di Gesù Cristo glorificato, con in mano sette stelle. Esse rappresentavano gli angeli delle sette chiese, ossia - visto il contesto - gli anziani responsabili delle rispettive comunità. I candelabri intorno a Lui invece, erano le sette chiese. 

Per riassumere dunque, il Signore si presenta a Giovanni rapito in Spirito. Inizialmente egli ne sente soltanto la voce, che gli dà l'incarico di scrivere quello che sta per vedere per mandarlo alle sette chiese dell'Asia minore, mentre in seguito - dopo essersi girato - vede con i propri occhi Cristo glorificato in mezzo ai sette candelabri (alle sette chiese) con i mano sette stelle (i sette responsabili delle rispettive comunità). Il Signore dopo aver confermato la Sua identità, ed aver rassicurato l'Apostolo Giovanni, inizia a dettargli la prima delle sette lettere, dedicata alla chiesa di Efeso:

"Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi. So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato. Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi. Tuttavia hai questo, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch'io detesto. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso di Dio".
Apocalisse 2:2-7 

La chiesa di Efeso è stata molto probabilmente fondata da Priscilla e Aquila (Atti 18:26), e curata dall'Apostolo Paolo per circa due anni e tre mesi (Atti 19) durante il suo terzo viaggio missionario. Intorno al 60-62 d.C., Paolo scrisse a questa comunità la celebre lettera agli Efesini inclusa nel canone neotestamentario. Da questa lettera si evince l'immagine di una comunità sana, il cui amore per i santi e la cui fede era risaputa (Ef 1:15). Tra il 63 e il 67 d.C. però, Paolo esortò Timoteo1, suo "legittimo figlio nella fede", a "rimanere a Efeso per ordinare ad alcuni di non insegnare dottrine diverse" (1 Tim 1), probabilmente costruite sulla base di alcuni elementi del giudaismo. 
Intorno al 95 d.C. infine, il Signore stesso rivolge alla comunità le parole che abbiamo appena letto. Egli riconosce le sue opere, la sua fatica, la sua costanza, il discernimento nei confronti dei falsi apostoli. Quest'ultimo elemento mostra il successo del ministero di Paolo e di Timoteo nella cura e nell'educazione della comunità. Ma assieme a questi riconoscimenti, il Signore ha anche un rimprovero da fare: gli Efesini infatti avevano abbandonato il loro primo amore. Sicuramente lo avevano fatto negli ultimi anni, dopo la guida di Paolo e di Timoteo e durante il tempo in cui l'Apostolo Giovanni stesso era stato con loro. Il termine utilizzato è agapē, ed identifica proprio l'amore caritatevole cristiano, l'amore di Dio. In poco più di una trentina di anni, la chiesa aveva perso quell'amore per il quale prima era conosciuta in tutto il territorio dell'Asia minore. Era costante, laboriosa e pura nella dottrina, ma non aveva più il primo amore, la giusta causa di tutte queste attività, che senza di essa rimangono gravemente mancanti. Infatti, in questa condizione il Signore dà la possibilità di ravvedersi, ma avverte che senza ravvedimento Egli avrebbe dovuto rimuovere il candelabro: avrebbe dovuto rimuovere l'intera comunità. In tutto questo però, torna la lode per l'insofferenza verso i Nicolaiti. Nelle Scritture non abbiamo alcuna indicazione circa questa setta, ma troviamo delle indicazioni nell'opera più famosa di Ireneo di Lione: Adversus haereses. Ireneo (nato nel 130 d.C., morto nel 202 d.C.) fu discepolo di Policarpo di Smirne, a sua volta discepolo diretto dell'Apostolo Giovanni. Egli fu il primo a sviluppare una sintesi globale del cristianesimo e a contrastare lo gnosticismo, oltre alle molte altre eresie sorte in quel primo periodo. A questo proposito, Ireneo scrive:

"I Nicolaiti ebbero per maestro un certo Nicolao, uno dei sette diaconi ordinati dagli Apostoli (Atti 6:5). Vivono vergognosamente. Sono esattamente caratterizzati nell'Apocalisse di Giovanni in quanto insegnano che non si deve avere alcuno scrupolo nel fornicare o nel mangiare idolotiti.

(Contro le eresie, Ireneo di Lione, libro primo, parte seconda)

La loro dottrina quindi, viene fatta risalire a Nicola, proselito di Antiochia nominato come diacono dagli Apostoli. I Nicolaiti vengono nominati un'altra volta nella stessa Apocalisse, all'interno della lettera alla chiesa di Pergamo.

La lettera di Gesù Cristo alla chiesa di Efeso invece, termina in questo modo: 
"A chi vince io darò da mangiare dell'albero della vita, che è nel paradiso di Dio". L'esortazione di ravvedersi e tornare al primo amore è in vista della vita eterna, del frutto dell'albero della vita nel paradeisos, nel paradiso raffigurato come l'Eden della Genesi.

Considerazioni finali

Come indicato precedentemente, questa lettera - come l'intera Apocalisse - è stata interpretata in modi diversi. Per alcuni è una lettera indirizzata unicamente alla comunità di Efeso della fine del I secolo. Per altri (tra i quali gli stessi padri della Riforma) rappresenta lo stato dell'intera Chiesa del periodo apostolico (30 d.C. - 100 d.C.). Per alcuni è diretta in modo generico a tutte le comunità cristiane di ogni tempo che rientrano nella descrizione, e non mancano persone che proiettano anche queste lettere nel futuro, in eventuali nuove comunità che si dovrebbero formare prima dell'inizio degli eventi dell'Apocalisse.


Alcuni studiosi trovano un equilibrio accettando la coesistenza di (quasi) tutte queste interpretazioni, identificando nella chiesa di Efeso del primo secolo un primo destinatario, nell'intera Chiesa del I secolo un secondo destinatario, e nella Chiesa universale di ogni tempo un terzo, con particolare significato per le comunità che si trovano in effetti in questo stato.

Personalmente, credo che sia utile applicare a questi brani lo stesso criterio che si applica a tutte le altre lettere del Nuovo Testamento. Le parole delle lettere infatti, sono indirizzate in primo luogo alle relative comunità del tempo, ed in secondo luogo alla Chiesa universale di sempre, essendo incluse nel canone biblico e riconosciute come Parola di Dio. Partendo dal contesto letterario, storico e culturale, si può comprendere il vero significato del testo, che a questo punto può interpellare il lettore di oggi per rimuovere ciò che lo separa da una maggiore conoscenza di Dio.

Termino con questa indicazione dell'Apocalisse, un'indicazione incalzante che coinvolge ogni credente nel Signore Gesù Cristo.

Apocalisse 1:3 Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino!


Note:
1. I padri della Chiesa, il Canone muratoriano (il più antico elenco di libri inclusi nel canone biblico neotestamentario) e moltissimi accademici, teologi e studiosi degli ultimi secoli attribuiscono la paternità della prima lettera a Timoteo all'Apostolo Paolo, così come indicato nella lettera stessa.
Altri studiosi la considerano invece una lettera pseudoepigrafica, scritta da un'altra persona tra la fine del I e l'inizio del II secolo. Di fatto il problema della paternità della lettera è un problema aperto. Il presente studio tuttavia si allinea con l'attribuzione paolina.

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