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venerdì 28 febbraio 2014

Tommaso d'Aquino e le cinque vie per dimostrare l'esistenza di Dio

Tommaso d'Aquino nasce nel 1225 vicino a Napoli. A soli cinque anni inizia a ricevere un'educazione religiosa. Nel 1239 si iscrive nella prima Università. Nel 1244 si unisce ai frati Domenicani.

La sua formazione teologica continua poi a Parigi e a Colonia sotto il teologo Alberto Magno. Nel 1252 torna a Parigi, questa volta per insegnare.

Nel XIII secolo, la questione più scottante, nel suo contesto, era probabilmente la relazione tra la teologia e la filosofia di Aristotele. Tommaso sente un richiamo verso questi temi e si muove nel desiderio di conciliare la ragione e la fede, la filosofia e la teologia, Aristotele e la dottrina cristiana. Decide di abbracciare la filosofia aristotelica, ma con le opportune misure, prendendo quindi la distanza da tutte le affermazioni filosofiche che erano in netto contrasto con la dottrina cristiana. Egli sente la necessità di non contrapporre i due sistemi ma piuttosto di unirli in armonia, in modo da rafforzarli vicendevolmente. La sua visione si potrebbe rappresentare come una casa a due piani, nella quale le fondamenta ed il primo piano sono la filosofia, ed il secondo piano ed il tetto sono la teologia con l'ausilio della filosofia. 


I suoi scritti spaziano quindi da commentari delle Scritture, a commentari su Aristotele e trattati filosofici. La sua opera più famosa probabilmente è la Summa theologiae, nella quale riesce a prendere la teologia di Agostino d'Ippona (influenzata dalla filosofia neoplatonica) e rielaborarla in termini aristotelici presentando così una delle massime presentazioni sistematiche della fede cristiana. 

Il pensiero di Tommaso d'Aquino è molto vasto, e ci è pervenuto in decine di opere che, come appena visto, sono di genere anche molto diverso tra di loro. In questo contesto però, vorrei soffermarmi più che altro sulle cinque vie che Tommaso ha formulato per dimostrare l'esistenza di Dio. Esse non sono il compendio dei suoi insegnamenti ma solamente una parte delle sue riflessioni che hanno avuto una grande influenza nella storia della teologia. Questi ragionamenti sono debitori della filosofia aristotelica e platonica, ma nella rielaborazione seguente hanno potuto dare un sensibile contributo alla teologia cristiana medioevale.


Le cinque vie per dimostrare l'esistenza di Dio

Secondo Tommaso d'Aquino, come un artista provvede a firmare il proprio dipinto, così Dio avrebbe impresso nell'intera creazione la propria "firma" visibile nelle caratteristiche stesse della natura, che parlano della Sua identità ed esistenza. L'ordine del mondo diviene quindi la prova più convincente dell'esistenza e della sapienza di Dio. Questo presupposto pone un fondamento per cinque "vie" nelle quali egli espone le sue prove per dimostrare l'esistenza di Dio. Le sue metodologie sono "a posteriori", nascono cioè dagli effetti per dedurne razionalmente la Causa prima. 


Il movimento 

Il primo ragionamento parte dalla considerazione che il mondo non è una realtà statica ma dinamica. La pioggia, la neve, le onde, le nuvole, il vento, i fiumi...tutto si muove. Ma come fanno questi elementi a muoversi? Chi gli dà il movimento? Secondo il pensiero di Tommaso, per ogni movimento esiste una causa che l'ha provocato ed ogni causa di movimento deve avere a sua volta un'altra causa. Egli descrive quindi una catena di cause di movimento che stanno alla base del mondo così come lo conosciamo. Escludendo che questa catena sia infinita, deve avere quindi un'origine che dia luogo a tutte le cause di movimento. Questa origine - egli sostiene - non è altro che Dio, il primo "motore immobile", Colui che fermo in Sé stesso dona il moto alla prima causa della serie.  

La causa 

Il secondo ragionamento parte dall'idea della casualità. Tommaso nota nel mondo l'esistenza di cause ed effetti, rintracciabili in ogni aspetto dell'esistenza e ben illustrati negli esempi sul movimento appena visti. Seguendo una logica identica a quella precedente, egli conclude che tutti gli effetti, in un processo a ritroso, possono essere attribuiti ad un'unica causa originaria, cioè a Dio.

Il possibile 

La terza via per dimostrare l'esistenza di Dio prende in considerazione l'esistenza di esseri contingenti. Gli esseri umani infatti - afferma Tommaso - non esistono solo perché devono necessariamente esistere. Non sono quindi esseri necessari. Ogni essere arriva ad esistere perché ve lo conduce qualcosa che esiste già. Ogni persona è causata da un altro essere esistente. C'è un perché per l'esistenza di ogni essere umano. Ma per la possibilità dell'esistenza degli esseri umani, deve esistere una causa originaria che può essere soltanto qualcuno la cui esistenza è necessaria, ossia Dio stesso. 

Il grado di perfezione

La quarta dimostrazione si basa sui valori umani. Da dove vengono la bontà, la verità, la nobiltà d'animo? Tommaso sostiene che ci dev'essere qualcosa che sia buono, vero e nobile in sé stesso. Dio sarebbe perciò l'origine di queste idee ed attitudini, la loro causa originaria. 

Il fine

La quinta ed ultima via, esplora la natura stessa del mondo, constatando che esso mostra in modo evidente le tracce di un disegno intelligente. Sembra infatti che le leggi della natura siano state predisposte con obiettivi ben precisi, per adempiere a scopi pensati con un'intelligenza. Deve esistere perciò una fonte intelligente dietro a questo ordine generale, cioè Dio.


Le obiezioni dei critici di Tommaso

Nel corso del Medioevo sono state avanzate varie obiezioni a questi cinque ragionamenti. Queste le più importanti:

1) Perché deve esserci per forza un Primo Motore Immobile? Non è dimostrato che la catena di cause non possa essere infinita. 

2) Perché queste argomentazioni devono portare a credere in un unico Dio? Potrebbero essercene molteplici. 

3) Questi argomenti non dimostrano che Dio continui ad esistere. Possono portare al pensiero che sia esistito una volta, ma non che necessariamente esiste ancora oggi. 

Considerazioni personali 

Le "cinque vie" di Tommaso suggeriscono la ragionevolezza nel credere che Dio abbia innescato una serie di eventi che hanno portato a vedere il mondo così come lo conosciamo oggi, ma sono lontane dal dimostrare Dio nel modo in cui i cristiani di ogni epoca Lo conoscono. Nella storia della teologia cristiana sono state prese in considerazione molte prospettive differenti sulla relazione tra ragione e fede, e in questo contesto il pensiero di Tommaso d'Aquino si pone come uno tra i più importanti contributi, da conoscere e studiare.

Bibliografia:
- Compendio del pensiero cristiano nei secoli, Tony Lane, Ed. Voce della Bibbia
- Teologia cristiana, Alister E. McGrath, Ed. Claudiana

mercoledì 12 febbraio 2014

"Lo voglio, sii purificato"

Mentre egli si trovava in (en) una di quelle città, ecco un uomo tutto coperto di lebbra, il quale, veduto Gesù, si gettò con la faccia a terra e lo pregò dicendo (legō) : «Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi (katharizō)». 
Ed egli stese la mano e lo toccò, dicendo
«Lo voglio, sii purificato (katharizō)». 
In quell'istante la lebbra sparì da lui. 
Poi Gesù gli comandò di non dirlo (legō) a nessuno. «Ma va'», gli disse, «mòstrati al sacerdote e offri per la tua purificazione ciò che Mosè ha prescritto; e ciò serva loro di testimonianza». 
Però la fama di lui si spandeva sempre più; e moltissima gente si radunava per udirlo ed essere guarita dalle sue infermità. Ma egli si ritirava nei (en) luoghi deserti e pregava. 
Luca 5:12-16

Questa pericope, tratta dal Vangelo secondo Luca, racchiude nella sua narrazione una struttura chiastica. Il chiasmo, o chiasma, è una figura retorica che crea un incrocio tra una serie di parole secondo uno schema sintattico di AB, BA. In questo caso abbiamo due serie di tre elementi contraddistinti dalle stesse parole greche, i cui due elementi centrali rappresentano il fulcro dell'episodio narrativo in modo concentrico. Si può rappresentare tale struttura visualizzandola nel seguente modo:

A Gesù si trovava in (en) una città (5:12a)

    B Lì c'era un uomo lebbroso che vedendo Gesù si gettò a terra dicendo (legō) (5:12b)

       C "Signore, se tu vuoi, puoi purificarmi" (katharizō) (5:12c)

       C Gesù lo toccò dicendo: "lo voglio, sii purificato (katharizō) (5:13a)
    B Il lebbroso fu guarito e Gesù gli comandò di non dirlo (legō) a nessuno.
A Moltissima gente però venne a saperlo e Gesù si ritirò nei (en) luoghi deserti per pregare. 

Credo sia utile pensare a questo brano evangelico come ad una serie di cerchi concentrici, il cui cerchio centrale rappresenta il fulcro, il cuore del messaggio che l'autore voleva trasmettere. Ogni espressione deve dunque essere letta sia nel naturale divenire della narrazione, sia nel confronto con la sua controparte, ossia con l'altra metà che costituisce assieme ad essa un "cerchio" completo. 

Negli ultimi due secoli la critica biblica ha spezzato i vangeli in piccolissime unità di testo per stabilire a quale stile narrativo appartenessero. Solo negli ultimi decenni però, è tornata una nuova attenzione nell'utilità di considerare porzioni di testo più ampie, che potessero contenere informazioni ancora più importanti per il loro studio. I protagonisti coinvolti, i luoghi, il tempo, dunque, sono diventati elementi di grande importanza per la delimitazione dei brani ed il loro approfondimento. Anche in questo caso è possibile applicare questa regola per evidenziare interessanti indizi a riguardo del presente testo. 


Il cerchio più esterno: il luogo

Il racconto si apre con Gesù in una città, presumibilmente Cafarnao. Nella Bibbia le città rappresentano i luoghi di maggior concentrazione di persone, e questo non sempre con un senso positivo. In Genesi leggiamo che Dio ha creato un giardino per stabilirvi l'uomo, ma dopo la trasgressione di Adamo sarà suo figlio Caino (colpevole di aver ucciso suo fratello, e quindi capostipite di una genealogia ribelle a Dio) a costruire la prima città (Ge 4:17). Se i discendenti di Set si manterranno "separati" e puri, i discendenti di Caino lasceranno proliferare la propria peccaminosità fino alla decisione del Signore di distruggere il mondo attraverso il diluvio universale. La città quindi è spesso associata ad un'alta concentrazione di peccato, di ingiustizia, di disagio. Gesù è presente in un luogo di questo tipo, e la sua santità non può evitare di manifestarsi per la gloria di Dio. 

Parallelamente, il brano si chiude con moltissima gente che cerca Gesù per ascoltarlo e per essere guarita. Una situazione apparentemente positiva, che evidenzia però proprio il bisogno di quelle persone, un bisogno che - a loro insaputa - andava oltre la necessità di guarigioni, oltre il desiderio di ascoltare la realtà di Dio. Il loro bisogno più profondo infatti era quello di una rigenerazione e di una nuova nascita attraverso lo Spirito Santo (Gv 16:7). Un bisogno che sarà potenzialmente soddisfatto da lì a poco con il sacrificio di Cristo e con la discesa dello Spirito a Pentecoste. Il tempo di questo racconto però non è ancora quello, e forse anche per questo motivo vediamo Gesù ritirarsi nei luoghi deserti a pregare. Non era il tempo della sua manifestazione come Messia, non era ancora il suo tempo. 

Contrapposta alla città, alla folla, troviamo dunque un luogo deserto, solitario. Un luogo dove Gesù poteva pregare il Padre in modo intimo e personale. Un luogo dove ricevere forza, indicazione, e riposo. Un luogo dove il Figlio poteva ascoltare la volontà del Padre per adempierla in modo perfetto.


Il secondo cerchio: la parola

Entrando nel secondo "cerchio concentrico", arriviamo all'ingresso nella narrazione di un personaggio malato, sofferente, abbandonato. 
C'erano i cittadini, c'erano i discepoli di Cristo e c'erano coloro che lo avevano ascoltato mentre insegnava. Nonostante il gran numero di persone presenti però, la scena si focalizza sul momento in cui questa persona malata di lebbra vede Gesù. Il lebbroso lo vede e, ignorando tutto quello che accade intorno, si prostra davanti a lui rivolgendogli la parola. Riconosce Gesù, e gli parla. Cosa gli dice? Una frase brevissima che denota il riconoscimento che questa persona aveva dell'autorità di Cristo. Egli sapeva che poteva guarirlo, e su questa certezza si appoggia la sua richiesta. Il lebbroso parla a Gesù.

In modo speculare, Gesù dopo averlo guarito gli comanda di non dirlo a nessuno. 

In questo livello, la contrapposizione è tra la parola di fede che il lebbroso rivolge a Gesù ed il comando del Signore di non dirlo a nessuno. Questo comportamento, molto presente nei vangeli sinottici, è spesso chiamato "segreto messianico", e riguarda proprio lo scrupolo che Gesù aveva di mostrare anzitempo la sua vera identità come Messia. Il lebbroso parla a Gesù, riconoscendo la sua identità, e Gesù che - dopo averlo guarito - parla al lebbroso comandandogli di non dirlo a nessuno. 
Una parola che denota una rivelazione, ed il comando di non divulgare questa stessa rivelazione e il miracolo che la testimonia. 

Giovanni 7:6 Gesù quindi disse loro: «Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo, invece, è sempre pronto. 


Il cuore del brano: la purificazione

Arriviamo ora al vero e proprio cuore del brano, il centro di tutto il racconto, che si appoggia sulla parola "purificato/purificazione". Il lebbroso dice a Gesù "se vuoi, puoi purificarmi", e Gesù gli risponde "lo voglio, sii purificato". Il desiderio di guarigione del malato incontra il desiderio di guarire del Signore, e da questo incontro nasce una guarigione miracolosa. 

In realtà il significato che si cela dietro a questa purificazione è ancora più profondo di una semplice guarigione da una malattia. 

Nel libro del Levitico, al capitolo 13, troviamo le regolamentazioni del popolo di Israele a riguardo della lebbra. Era compito dei sacerdoti diagnosticare la malattia, e dopo che essi l'avevano riconosciuta, dichiaravano quella persona impura. L'impurità comportava un'interdizione dal culto a Dio e dalle altre stesse persone.

Il lebbroso, affetto da questa piaga, porterà le vesti strappate e il capo scoperto; si coprirà la barba e griderà: "Impuro! Impuro!" Sarà impuro tutto il tempo che avrà la piaga; è impuro; se ne starà solo; abiterà fuori del campo.

Levitico 13:45,46 

Il lebbroso del racconto evangelico dunque era una persona separata da Dio e dal prossimo, oltre che vittima di una tremenda malattia fisica. Una persona lasciata a sé stessa, che poteva solo guarire o morire. In questa condizione, l'intervento di Gesù ha avuto ripercussioni sul piano fisico, spirituale e sociale della persona che ha riconosciuto in Lui colui che può operare miracoli.

Riflettendo su questo miracolo, è possibile pensare al fatto che lo scopo del Signore fosse quello di restaurare l'umanità nella sua interezza, su molteplici livelli. Fisicamente, alla resurrezione dei figli di Dio. Spiritualmente, grazie alla nuova nascita. Ma non solo, lo scopo del Signore è stato anche quello di ripristinare l'ordine sociale degli uomini creando la Chiesa. Una realtà fisica, spirituale e sociale, composta dall'insieme delle persone che hanno riconosciuto in Lui il proprio Signore e Salvatore. Una nuova società composta da uomini e donne di ogni lingua, tribù e nazione, accomunati dalla chiamata di Dio sulla loro vita, e dalla propria ubbidienza a "Colui che era, che è e che viene, l'Onnipotente". Un nuovo progetto di Dio visibile nella Scrittura, nella Storia, e in ogni vita incontrata da Gesù.

Il desiderio di ogni credente sarà sempre quello di prostrarsi davanti al Signore e dirgli: "se tu vuoi, puoi purificarmi, puoi restaurarmi".
E ogni volta, il desiderio di Gesù sarà quello di esclamare: "lo voglio, sii purificato!".

mercoledì 5 febbraio 2014

Mettimi un sigillo sul tuo cuore

Il mondo intero non vale il giorno in cui è stato dato ad Israele il Cantico dei Cantici. Tutte le Scritture sono sante, ma il Cantico dei Cantici è il Santo dei santi. 
(Mishnàh. Trattato Jadajim 3,5)
Schema del libro del Cantico dei Cantici

Lo stile narrativo del Cantico dei Cantici è riconducibile al poema amoroso da recitare durante le feste nuziali, pur comprendendo in sé anche altri generi letterari di origine greca. Il libro viene tradizionalmente attribuito al re Salomone, ma la maggior parte dei moderni studiosi datano la sua redazione intorno al III secolo a.C. Molti frammenti del testo sono stati ritrovati a Qumran, confermando l'attendibile trasmissione del testo durante i secoli. Il Cantico è probabilmente il libro più problematico della Bibbia a causa dell'imbarazzo generato dal suo contenuto amoroso, se non addirittura erotico, e dall'assenza di riferimenti espliciti a Dio, anche se come vedremo più avanti, sembra che ci sia una sorta di "firma nascosta" presente nel finale. L'interpretazione più diffusa identifica in modo allegorico i protagonisti con YHWH ed Israele e/o con Cristo e la Chiesa. La parte finale del Cantico riassume molti temi trattati nel libro, ed offre un epilogo di altissimo spessore. Vorrei presentare di conseguenza il testo finale (8:5-14), che consente già di fare luce su molti punti di importante valore teologico e poetico. Il testo in questione è espresso da un coro di amici (o amiche), dall'amata, dall'amato e da un duetto.


Legenda:

Coro       Lei         Lui

M.Chagall - Il Cantico dei Cantici
Chi è colei che sale dal deserto
appoggiata all'amico suo?
Io ti ho svegliata sotto il melo,
dove tua madre ti ha partorito,
dove quella che ti ha partorito si è sgravata di te.
Mettimi come un sigillo sul tuo cuore,
come un sigillo sul tuo braccio;
perché l'amore è forte come la morte,
la gelosia è dura come il soggiorno dei morti.
I suoi ardori sono ardori di fuoco,
fiamma potente.
Le grandi acque non potrebbero spegnere l'amore,
i fiumi non potrebbero sommergerlo.
Se uno desse tutti i beni di casa sua in cambio dell'amore,
sarebbe del tutto disprezzato.
M. Chagall - Il Cantico dei cantici

Noi abbiamo una piccola sorella,
che non ha ancora mammelle;
che faremo della nostra sorella,
quando si tratterà di lei?
Se è un muro,
costruiremo su di lei una torretta d'argento;
se è un uscio, la chiuderemo con una tavola di cedro.
Io sono un muro,
e le mie mammelle sono come torri;
io sono stata ai suoi occhi come chi ha trovato pace.
Salomone aveva una vigna a Baal-Amon;
egli affidò la vigna a dei guardiani,
ognuno dei quali portava, come frutto, mille sicli d'argento.
La mia vigna, che è mia, la guardo da me;
tu, Salomone, tieni per te i tuoi mille sicli,
e ne abbiano duecento quelli che guardano il frutto della tua!
Tu che abiti nei giardini,
i compagni stanno attenti alla tua voce!
Fammela udire!
Fuggi, amico mio,
come una gazzella o un cerbiatto,
sui monti degli aromi!
Cantico dei Cantici 8:5-14 

Il testo si apre con un coro che descrive la coppia che sale dal deserto verso la città (di Gerusalemme), in una forma che propone il tema dell'amore "selvaggio" addomesticato in città. A questo punto prende la parola il protagonista, che inizia a parlare coinvolgendo l'immagine del risveglio. L'amore viene visto proprio come il risveglio da un sonno, come una "nuova generazione", una nuova vita. Poi parla del sigillo. Questo era un segno identificativo delle persone, e si era soliti metterlo sul dito o al collo. Metterlo sul cuore era un gesto inusuale. Tale espressione denota la totale appartenenza all'altro, attraverso il cuore come simbolo della volontà, più che del sentimento. L'allusione è sicuramente rivolta alla preghiera che l'ebreo ripete cinque volte al giorno, ispirata a Deuteronomio 6:6-8.
Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, te li metterai sulla fronte in mezzo agli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte della tua città.
Si prende spunto dunque dall'amore per Dio, un amore "con tutto il cuore, con tutta l'anima, e con tutte le forze", per parlare di un amore passionale, un amore invincibile, un amore "forte come la morte". Nel testo l'Amore viene personificato e contrapposto alla morte. Il riferimento di partenza è la caduta dell'uomo in Genesi 3. Lì manca l'amore ed è stato vietato l'accesso alla vita, ma l'Amore del protagonista è pregno di vita, una vita tanto forte da poter affrontare anche la morte.
Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del vangelo, la salverà. 
Marco 8:35 
Tanto l'amore che la morte presuppongono il sacrificio di sé stessi, ed è proprio Gesù a vivere e mostrare quel disegno segreto che lega l'uomo a Dio, e che è presente in forma minore nella stessa relazione tra l'uomo e la donna (cfr. Efesini 5:32). Oltre all'amore però, il Cantico personifica anche la Passione, tradotta con la parola "Gelosia". E' un'inevitabile richiamo alla passione esclusiva di Dio, che non tollera rivali. 
Tu non adorerai altro dio, perché il SIGNORE, che si chiama il Geloso, è un Dio geloso. 
Esodo 34:14  
Alla fine del v.6 del nostro brano, finalmente arriviamo a quella che è stata anticipata come una possibile "firma segreta" del Signore, qualcosa che nel testo si propone come la forza dell'amore descritto. L'espressione "fiamma potente" infatti letteralmente in ebraico suona come "fiamma di Yah'", laddove il termine Yah' può essere interpretato come una forma abbreviata del nome YHWH, oltre all'interpretazione più canonica di "fiamma fortissima". Dopo questa menzione in ogni caso, arriviamo ad una chiara allusione delle acque primordiali (Ge 1:2) il cui caos non può nulla contro l'Amore: Dio infatti ne esce sempre vincitore. Tanto nella creazione quanto nella divisione del Mar Rosso (cfr. Esodo), il Signore ha sempre dimostrato la Sua supremazia contro la forza distruttrice delle acque tortuose, sottomesse appunto alla Sua volontà. Il testo continua sottolineando la gratuità dell'amore ed il fatto che non sia possibile in alcun modo acquistarlo.

A questo punto torna la parola al coro, con un intervento distruttivo dei fratelli di lei. Essi la considerano ancora una bambina, così giovane da non essere abbastanza matura per l'amore, e da necessitare di essere tenuta in casa, come si conviene per le ragazze non sposate. La sua risposta però è stizzita e molto diretta: lei infatti sa gestire benissimo la sua verginità (io sono un muro) e in realtà è già matura per l'amore (le mie mammelle sono come torri). Nell'amore di questa coppia c'è la pace, in ebraico shalom, che prima di ogni cosa è completezza, pienezza, salute. 

Il coro riprende con una contrapposizione dell'amore di "città" - dell'harem che aveva Salomone (che in questo caso figura non come "l'amato") - all'amore della "contadina". E' inevitabile far arrivare il pensiero al celebre canto della vigna di Isaia (Is 5), anch'esso un canto che si presenta inizialmente come un canto d'amore. L'amore della Sulammita tuttavia è di molto superiore ai mille pezzi d'argento che all'epoca erano già una cifra altissima. La sua risposta infatti è ancora una volta diretta e schietta: io non appartengo a nessuno. Essa è a disposizione soltanto dell'amato per sua decisione, si tenga dunque il re la sua proprietà. 

Il Cantico si chiude con un duetto, i giardini nei quali abita la donna rappresentano la donna stessa e il monte degli aromi il suo corpo. L'uomo dunque ricerca la voce della donna e lei risponde chiamandolo a sé in un nuovo incontro, perché l'amore non finisce mai e l'avventura ricomincia sempre. 

Bibliografia:
- Parola&parole, Pier Luigi Galli Stampino e Elena Lea Bartolini De Angeli.
Periodico dell'Associazione Biblica della Svizzera Italiana.
Settembre 2013 - Numero 14.
- G. Ravasi, Cantico dei cantici. Ed. S. Paolo.
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