Il libro di Isaia rappresenta il libro biblico dell'Antico Testamento che parla di più della vita del Messia, riguardo alla sua prima e seconda venuta. Per questo motivo viene anche chiamato “vangelo di Isaia”. Nel Nuovo Testamento viene citato oltre 65 volte, più di qualsiasi altro libro veterotestamentario. Gesù stesso, come viene raccontato nel Vangelo di Luca, dopo essere stato battezzato e tentato da Satana nel deserto, entrò un sabato nella sinagoga di Nazareth dove lesse un passo del libro di Isaia:
Luca 4:18-21 «Lo Spirito del Signore è sopra di me,
perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri;
mi ha mandato per annunciare la liberazione ai prigionieri
e il ricupero della vista ai ciechi;
per rimettere in libertà gli oppressi,
per proclamare l'anno accettevole del Signore».
Poi, chiuso il libro e resolo all'inserviente, si mise a sedere; e gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui.
Egli prese a dir loro: «Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voi udite».
La proclamazione dell'adempimento di questa profezia di Isaia è coincisa con il periodo iniziale del ministero di Cristo. Un avvenimento di importanza cruciale, che sottolinea il legame tra questo libro e l'opera del Messia, raccontata nei quattro vangeli.
domenica 25 marzo 2012
Il piano di Dio per Israele
Isaia 2:3 Molti popoli vi accorreranno, e diranno:
«Venite, saliamo al monte del SIGNORE,
alla casa del Dio di Giacobbe;
egli ci insegnerà le sue vie,
e noi cammineremo per i suoi sentieri».
Da Sion, infatti, uscirà la legge,
e da Gerusalemme la parola del SIGNORE.
Isaia 3:1 Ecco, il Signore, il SIGNORE degli eserciti,
sta per togliere a Gerusalemme e a Giuda
ogni risorsa e ogni appoggio,
ogni risorsa di pane
e ogni risorsa d'acqua [...]
Il libro di Isaia presenta un forte contrasto fra profezie di condanna e punizione del popolo di Israele e di Giuda e quelle relative ad un riscatto futuro, escatologico. Dio afferma che l'iniquità di Giuda (e Gerusalemme) non si può espiare che con la loro morte (22:14) e che mille di loro fuggiranno alla minaccia di uno solo, in battaglia (30:17). Isaia però profetizza anche alle rovine di Gerusalemme di prorompere in grida di gioia, perchè il Signore consola il suo popolo (52:9), e che la loro discendenza possiederà le nazioni e popolerà le città deserte (54:3). Anche il filo delle profezie messianiche presenta messaggi disomogenei, dichiarando che il Signore sarà sia un santuario sia una pietra d'inciampo per le due case di Israele (8:14). Nascerà un bambino con attributi divini (9:5,6), un discendente di Davide su cui dimorerà lo Spirito del Signore, e che con “il soffio delle sue labbra farà morire l'empio” (11:1-4); ma che non griderà, né alzerà la voce. Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante (42:2, 3). Un servo del Signore che sarà esaltato e reso sommamente eccelso, ma che sarà anche disprezzato ed abbandonato dagli uomini (52:13, 53:3). E' evidente quindi che il piano di Dio per Israele comprende un tempo di punizione e un tempo di riscatto e glorificazione al di sopra di tutte le altre nazioni. Questo piano comprende un Messia che sarà sia debole che forte, un servo che si sacrificherà ma che sarà al di sopra di chiunque altro. A causa della prospettiva profetica, Isaia vide questi avvenimenti futuri senza conoscere la sequenza cronologica degli eventi. Così come guardando da lontano una catena montuosa si possono riconoscere tutte le cime - che sembrano sullo stesso piano pur non essendolo – allo stesso modo Isaia vede molti eventi apparentemente accostati, anche senza che lo siano nella realtà futura. L'Apostolo Paolo, in un tempo di grandi tensioni tra Giudei e Gentili convertiti a Cristo, confessa ai credenti di Roma la tristezza del suo cuore per l'incredulità di Israele, mettendo ordine attraverso le sue rivelazioni a tutti questi fatti. Egli prende il puzzle disfatto e incomincia a comporlo in modo preciso ed accurato. Sottolinea infatti la sovranità di Dio nel vincolo dell'elezione, infatti “non i figli della carne sono figli di Dio ma i figli della promessa” (Ro9:8). La scelta del Signore non si basa sulle opere delle persone ma risiede in colui che chiama. Egli quindi ha “sopportato con pazienza dei vasi d'ira preparati per la perdizione per far conoscere la sua gloria verso vasi di misericordia”, ossia i credenti in Cristo sia Giudei che Gentili (Ro9:22 e seguenti). Al presente infatti i Giudei cercano di stabilire la propria giustizia attraverso la legge di Mosè, ignorando la giustizia di Dio manifestata nel sacrificio di Cristo Gesù (il Messia profetizzato da Isaia) per la giustificazione di tutti coloro che credono (Ro10:3-4). Gesù di Nazareth dunque, Dio Figlio, è la pietra di inciampo per Israele profetizzata secoli prima, ed è contemporaneamente fonte di salvezza per tutti i credenti. In questo modo si abbatte il muro di separazione tra il popolo scelto da Dio, Israele, e tutte le altre nazioni della Terra. La salvezza di Dio è estesa a tutta l'umanità ed unisce questi due gruppi in un unica salvezza. Il Signore però non ha affatto ripudiato il suo popolo. Le promesse e le profezie che riguardano la nazione di Israele rimangono validi e certe. L'indurimento di Israele infatti è stato voluto dal Signore per dare un tempo nel quale tutti i Gentili eletti potessero raggiungere la salvezza. Quando questo avverrà, tutto Israele sarà salvato (Ro11:25).
Isaia 52:9 Prorompete assieme in grida di gioia,
rovine di Gerusalemme!
Poiché il SIGNORE consola il suo popolo,
salva Gerusalemme.
Isaia 52:10 Il SIGNORE ha rivelato il suo braccio santo
agli occhi di tutte le nazioni;
tutte le estremità della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.
«Venite, saliamo al monte del SIGNORE,
alla casa del Dio di Giacobbe;
egli ci insegnerà le sue vie,
e noi cammineremo per i suoi sentieri».
Da Sion, infatti, uscirà la legge,
e da Gerusalemme la parola del SIGNORE.
Isaia 3:1 Ecco, il Signore, il SIGNORE degli eserciti,
sta per togliere a Gerusalemme e a Giuda
ogni risorsa e ogni appoggio,
ogni risorsa di pane
e ogni risorsa d'acqua [...]
Il libro di Isaia presenta un forte contrasto fra profezie di condanna e punizione del popolo di Israele e di Giuda e quelle relative ad un riscatto futuro, escatologico. Dio afferma che l'iniquità di Giuda (e Gerusalemme) non si può espiare che con la loro morte (22:14) e che mille di loro fuggiranno alla minaccia di uno solo, in battaglia (30:17). Isaia però profetizza anche alle rovine di Gerusalemme di prorompere in grida di gioia, perchè il Signore consola il suo popolo (52:9), e che la loro discendenza possiederà le nazioni e popolerà le città deserte (54:3). Anche il filo delle profezie messianiche presenta messaggi disomogenei, dichiarando che il Signore sarà sia un santuario sia una pietra d'inciampo per le due case di Israele (8:14). Nascerà un bambino con attributi divini (9:5,6), un discendente di Davide su cui dimorerà lo Spirito del Signore, e che con “il soffio delle sue labbra farà morire l'empio” (11:1-4); ma che non griderà, né alzerà la voce. Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante (42:2, 3). Un servo del Signore che sarà esaltato e reso sommamente eccelso, ma che sarà anche disprezzato ed abbandonato dagli uomini (52:13, 53:3). E' evidente quindi che il piano di Dio per Israele comprende un tempo di punizione e un tempo di riscatto e glorificazione al di sopra di tutte le altre nazioni. Questo piano comprende un Messia che sarà sia debole che forte, un servo che si sacrificherà ma che sarà al di sopra di chiunque altro. A causa della prospettiva profetica, Isaia vide questi avvenimenti futuri senza conoscere la sequenza cronologica degli eventi. Così come guardando da lontano una catena montuosa si possono riconoscere tutte le cime - che sembrano sullo stesso piano pur non essendolo – allo stesso modo Isaia vede molti eventi apparentemente accostati, anche senza che lo siano nella realtà futura. L'Apostolo Paolo, in un tempo di grandi tensioni tra Giudei e Gentili convertiti a Cristo, confessa ai credenti di Roma la tristezza del suo cuore per l'incredulità di Israele, mettendo ordine attraverso le sue rivelazioni a tutti questi fatti. Egli prende il puzzle disfatto e incomincia a comporlo in modo preciso ed accurato. Sottolinea infatti la sovranità di Dio nel vincolo dell'elezione, infatti “non i figli della carne sono figli di Dio ma i figli della promessa” (Ro9:8). La scelta del Signore non si basa sulle opere delle persone ma risiede in colui che chiama. Egli quindi ha “sopportato con pazienza dei vasi d'ira preparati per la perdizione per far conoscere la sua gloria verso vasi di misericordia”, ossia i credenti in Cristo sia Giudei che Gentili (Ro9:22 e seguenti). Al presente infatti i Giudei cercano di stabilire la propria giustizia attraverso la legge di Mosè, ignorando la giustizia di Dio manifestata nel sacrificio di Cristo Gesù (il Messia profetizzato da Isaia) per la giustificazione di tutti coloro che credono (Ro10:3-4). Gesù di Nazareth dunque, Dio Figlio, è la pietra di inciampo per Israele profetizzata secoli prima, ed è contemporaneamente fonte di salvezza per tutti i credenti. In questo modo si abbatte il muro di separazione tra il popolo scelto da Dio, Israele, e tutte le altre nazioni della Terra. La salvezza di Dio è estesa a tutta l'umanità ed unisce questi due gruppi in un unica salvezza. Il Signore però non ha affatto ripudiato il suo popolo. Le promesse e le profezie che riguardano la nazione di Israele rimangono validi e certe. L'indurimento di Israele infatti è stato voluto dal Signore per dare un tempo nel quale tutti i Gentili eletti potessero raggiungere la salvezza. Quando questo avverrà, tutto Israele sarà salvato (Ro11:25).
Isaia 52:9 Prorompete assieme in grida di gioia,
rovine di Gerusalemme!
Poiché il SIGNORE consola il suo popolo,
salva Gerusalemme.
Isaia 52:10 Il SIGNORE ha rivelato il suo braccio santo
agli occhi di tutte le nazioni;
tutte le estremità della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.
L'insegnamento di Isaia sul peccato
Isaia 1:2 Udite, o cieli! E tu, terra, presta orecchio!
Poiché il SIGNORE parla:
«Ho nutrito dei figli e li ho allevati,
ma essi si sono ribellati a me.
Nell'antico Israele c'erano due modi di risolvere una lite giuridica: una discussione diretta fra le due parti (modalità pre-giudiziale) oppure una sessione formale di fronte a un giudice o un collegio di giudici con funzione di arbitraggio (modalità giudiziale).
Nell'Antico Testamento possiamo vedere quante siano numerose le volte in cui il Signore si rivolge al popolo per correggere i suoi comportamenti sbagliati.
Dopo aver ripreso numerose volte la nazione, il Signore decide di parlare attraverso Isaia in un modo nuovo. La struttura di questo processo è quella propriamente ebraica del rîb. Il Signore infatti descrivendo tutte le sue premure e le ribellioni di Israele, porta il popolo ad ammettere la propria colpa e riconoscere di avere peccato contro di lui.
Questa ammissione di colpa è seguita immediatamente da una promessa di perdono, anche se non mancherà un giudizio.
Analizzando il libro nella sua interezza però, veniamo a conoscenza di un insegnamento relativo al peccato più profondo di quello apparente. Il concetto di peccato infatti non è legato al male in senso stretto, ma alla condizione di chi non è stato in grado di adempiere allo scopo per il quale è stato creato. In questo senso quindi, Israele ha peccato nella sua mancanza di relazione con Dio. Nel momento in cui vuote tradizioni religiose hanno preso il posto di un amore viscerale (De 6:5), si è creata una situazione dilagante di idolatria e ingiustizia sociale. Queste però sono solamente l'effetto di aver mancato il proprio scopo.
Questa riflessione è molto importante in quanto aiuta a comprendere in modo più profondo ogni testo biblico. Molto spesso infatti l'approccio alla lettura si basa su presupposti morali legati alla nostra cultura. Ciò che consideriamo “giusto” o “sbagliato” deriva da quello che apprendiamo dalla società, o nel migliore dei casi, dai comandamenti che Dio diede a Mosè.
Il Signore però non è soggetto a questi stessi comandamenti, né ad alcuna moralità umana. Molti Suoi comportamenti nella Bibbia sembrano incomprensibili proprio perchè la chiave di lettura è sbagliata in partenza.
Dio non può peccare in quanto il peccato è per definizione tutto ciò che è lontano dalla Sua volontà. L'essere umano percepisce il bene e il male in relazione al benessere e alla sopravvivenza propria o dei suoi cari. E' influenzato dal frutto della conoscenza del bene e del male, dall'essere sottomesso al tempo e dal vivere in una cultura e un'epoca storica ben precisa.
Il Signore però è onnisciente ed eterno. E i Suoi propositi sono il filo a piombo dell'intera creazione.
Poiché il SIGNORE parla:
«Ho nutrito dei figli e li ho allevati,
ma essi si sono ribellati a me.
Nell'antico Israele c'erano due modi di risolvere una lite giuridica: una discussione diretta fra le due parti (modalità pre-giudiziale) oppure una sessione formale di fronte a un giudice o un collegio di giudici con funzione di arbitraggio (modalità giudiziale).
Nell'Antico Testamento possiamo vedere quante siano numerose le volte in cui il Signore si rivolge al popolo per correggere i suoi comportamenti sbagliati.
Dopo aver ripreso numerose volte la nazione, il Signore decide di parlare attraverso Isaia in un modo nuovo. La struttura di questo processo è quella propriamente ebraica del rîb. Il Signore infatti descrivendo tutte le sue premure e le ribellioni di Israele, porta il popolo ad ammettere la propria colpa e riconoscere di avere peccato contro di lui.
Questa ammissione di colpa è seguita immediatamente da una promessa di perdono, anche se non mancherà un giudizio.
Analizzando il libro nella sua interezza però, veniamo a conoscenza di un insegnamento relativo al peccato più profondo di quello apparente. Il concetto di peccato infatti non è legato al male in senso stretto, ma alla condizione di chi non è stato in grado di adempiere allo scopo per il quale è stato creato. In questo senso quindi, Israele ha peccato nella sua mancanza di relazione con Dio. Nel momento in cui vuote tradizioni religiose hanno preso il posto di un amore viscerale (De 6:5), si è creata una situazione dilagante di idolatria e ingiustizia sociale. Queste però sono solamente l'effetto di aver mancato il proprio scopo.
Questa riflessione è molto importante in quanto aiuta a comprendere in modo più profondo ogni testo biblico. Molto spesso infatti l'approccio alla lettura si basa su presupposti morali legati alla nostra cultura. Ciò che consideriamo “giusto” o “sbagliato” deriva da quello che apprendiamo dalla società, o nel migliore dei casi, dai comandamenti che Dio diede a Mosè.
Il Signore però non è soggetto a questi stessi comandamenti, né ad alcuna moralità umana. Molti Suoi comportamenti nella Bibbia sembrano incomprensibili proprio perchè la chiave di lettura è sbagliata in partenza.
Dio non può peccare in quanto il peccato è per definizione tutto ciò che è lontano dalla Sua volontà. L'essere umano percepisce il bene e il male in relazione al benessere e alla sopravvivenza propria o dei suoi cari. E' influenzato dal frutto della conoscenza del bene e del male, dall'essere sottomesso al tempo e dal vivere in una cultura e un'epoca storica ben precisa.
Il Signore però è onnisciente ed eterno. E i Suoi propositi sono il filo a piombo dell'intera creazione.
Iscriviti a:
Post (Atom)