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domenica 25 marzo 2012

L'insegnamento di Isaia sul peccato

Isaia 1:2 Udite, o cieli! E tu, terra, presta orecchio!
Poiché il SIGNORE parla:
«Ho nutrito dei figli e li ho allevati,
ma essi si sono ribellati a me.

Nell'antico Israele c'erano due modi di risolvere una lite giuridica: una discussione diretta fra le due parti (modalità pre-giudiziale) oppure una sessione formale di fronte a un giudice o un collegio di giudici con funzione di arbitraggio (modalità giudiziale).
Nell'Antico Testamento possiamo vedere quante siano numerose le volte in cui il Signore si rivolge al popolo per correggere i suoi comportamenti sbagliati.
Dopo aver ripreso numerose volte la nazione, il Signore decide di parlare attraverso Isaia in un modo nuovo. La struttura di questo processo è quella propriamente ebraica del rîb. Il Signore infatti descrivendo tutte le sue premure e le ribellioni di Israele, porta il popolo ad ammettere la propria colpa e riconoscere di avere peccato contro di lui.
Questa ammissione di colpa è seguita immediatamente da una promessa di perdono, anche se non mancherà un giudizio.
Analizzando il libro nella sua interezza però, veniamo a conoscenza di un insegnamento relativo al peccato più profondo di quello apparente. Il concetto di peccato infatti non è legato al male in senso stretto, ma alla condizione di chi non è stato in grado di adempiere allo scopo per il quale è stato creato. In questo senso quindi, Israele ha peccato nella sua mancanza di relazione con Dio. Nel momento in cui vuote tradizioni religiose hanno preso il posto di un amore viscerale (De 6:5), si è creata una situazione dilagante di idolatria e ingiustizia sociale. Queste però sono solamente l'effetto di aver mancato il proprio scopo.

Questa riflessione è molto importante in quanto aiuta a comprendere in modo più profondo ogni testo biblico. Molto spesso infatti l'approccio alla lettura si basa su presupposti morali legati alla nostra cultura. Ciò che consideriamo “giusto” o “sbagliato” deriva da quello che apprendiamo dalla società, o nel migliore dei casi, dai comandamenti che Dio diede a Mosè.
Il Signore però non è soggetto a questi stessi comandamenti, né ad alcuna moralità umana. Molti Suoi comportamenti nella Bibbia sembrano incomprensibili proprio perchè la chiave di lettura è sbagliata in partenza.
Dio non può peccare in quanto il peccato è per definizione tutto ciò che è lontano dalla Sua volontà. L'essere umano percepisce il bene e il male in relazione al benessere e alla sopravvivenza propria o dei suoi cari. E' influenzato dal frutto della conoscenza del bene e del male, dall'essere sottomesso al tempo e dal vivere in una cultura e un'epoca storica ben precisa.
Il Signore però è onnisciente ed eterno. E i Suoi propositi sono il filo a piombo dell'intera creazione.

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