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domenica 11 febbraio 2018

Nessuno ha mai visto Dio, ma...




I. IL TESTO

Nel prologo introduttivo del Vangelo secondo Giovanni incontriamo presto questa considerazione di carattere centrale per la comprensione cristiana della propria identità, del giudaismo, dell'Antico Testamento e - in ultima analisi - di ogni aspetto della vita che ci circonda:

Nessuno ha mai visto Dio; l'unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l'ha fatto conoscere.
Giovanni 1:18 

Da un punto di vista letterario, identificandolo come parte dell'inno originale del prologo, possiamo comporre questo testo in versi nel seguente modo:1

Nessuno ha mai visto Dio;
è l'Unigenito Dio,
sempre accanto al Padre,
che Lo ha rivelato.

In una struttura a chiasmo possiamo accostare in effetti il fatto che nessuno ha mai visto Dio con il fatto che l'Unigenito Dio lo ha fatto conoscere/rivelato secondo un'efficace contrapposizione. Il secondo accostamento invece, quello più interno, riguarda il fatto che l'Unigenito Dio è accanto/nel seno del Padre. Naturalmente quest'ultimo aspetto è quello centrale, che legittima de facto quello più esterno: l'Unigenito cioè può far conoscere il Padre proprio perché è nel suo seno/accanto a lui. "L'Unigenito Dio" è la lettura data da alcuni dei migliori manoscritti greci (inclusi P66 e P75), mentre altri manoscritti riportano "L'Unigenito Figlio".2 Il significato teologico in ogni caso è il medesimo in quanto nel brano precedente Giovanni ha già identificato la Parola con il Figlio, e il Figlio con Dio.3 

Entrando adesso nello specifico del senso teologico possiamo avvicinarci meglio ai suoi due aspetti fondamentali, per poter tracciare brevemente alcune principali conseguenze.

II. "TU NON PUOI VEDERE IL MIO VOLTO" 
 
Nell'affermazione che nessuno ha mai visto Dio, Giovanni pensa probabilmente al seguente episodio veterotestamentario:4

Mosè disse: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!» Il SIGNORE gli rispose: «Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà, proclamerò il nome del SIGNORE davanti a te; farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà». Disse ancora: «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo non può vedermi e vivere». E il SIGNORE disse: «Ecco qui un luogo vicino a me; tu starai su quel masso; mentre passerà la mia gloria, io ti metterò in una buca del masso, e ti coprirò con la mia mano finché io sia passato; poi ritirerò la mano e mi vedrai da dietro; ma il mio volto non si può vedere».
Esodo 33:18-23


L'uomo non può vedere il Signore e vivere, al massimo può vederne "le spalle". Questa indicazione è radicata a fondo nella fede giudaica, sebbene ci siano nelle Scritture diverse eccezioni. Tali eccezioni però riguardano teofanie antropomorfiche, ossia delle apparizioni di Dio in forma umana per poter comunicare in modo efficace un determinato messaggio. Questo è prova del fatto che è intenzione di Dio istruirci su cose nelle quali l'uomo non ha conoscenza diretta (come i suoi attributi) in termini di realtà a noi noti.5 Lo scopo di tutto questo è portare a una crescita di consapevolezza spirituale, ma proprio per le caratteristiche di questa forma di comunicazione dobbiamo stare attenti ai possibili fraintendimenti delle parole, come è noto da tempo per i teologi. Nel linguaggio umano infatti le parole sono nate per identificare realtà visibili e tangibili. Se però, come nel nostro caso, utilizziamo alcune parole per identificare realtà invisibili come quella di Dio dobbiamo comprendere che lo possiamo fare per assomiglianza più che per esattezza. Diviene quindi necessario un discernimento per comprendere il senso oltre la forma. Se il testo di Genesi riporta che Dio camminava nel giardino - per fare un esempio (cfr. Gen. 3:8) - questo non vuol dire che egli ha le gambe, ma piuttosto che era lì presente. Nessuno ha mai visto Dio, e per questo motivo dobbiamo essere attenti a comprendere il senso di un testo (anche biblico) o discorso teologico, realizzando i termini di questa difficoltà intrinseca.

Di per sé questa è una brutta notizia, mettendo davanti ai nostri occhi una limitazione pesante e inviolabile. Ma a questa notizia il versetto che stiamo esaminando ne fa seguire un'altra, decisamente migliore, che la ridefinisce secondo un nuovo e inedito punto di vista.  

III. COLUI CHE LO HA FATTO CONOSCERE

Nella continuazione infatti leggiamo un ulteriore elemento che dissolve molta della tensione generata dalla affermazione precedente: l'Unigenito Dio nel seno del Padre è colui che lo ha fatto conoscere. Questo è l'innovativo contributo che Giovanni - e il primo cristianesimo insieme a lui - dà al problema. Nessuno ha mai visto Dio - è vero - ma Gesù Cristo è colui che lo ha fatto conoscere, in virtù della sua vicinanza a lui. Gesù diviene quindi la chiave per comprendere al meglio Dio Padre, anzi, ancora di più: egli diviene la nuova prospettiva attraverso la quale ri-considerare non solo l'identità di Dio, ma anche l'Antico Testamento, noi stessi (in quanto sue creature) e tutto il mondo che ci circonda (in quanto sua creazione). 

Aprendo un breve approfondimento testuale, possiamo vedere che le diverse traduzioni italiane "fatto conoscere" e "rivelato" rendono il verbo greco exēgeomai che significa generalmente "narrare, riferire, informare".6 Nel nostro specifico contesto questo verbo descrive quindi l'attività di condividere informazioni ottenute per esperienza diretta. Come fa notare Bosetti, questa "narrazione del Padre" viene descritta quasi come una esegesi, ossia come una interpretazione, che però in questo caso risulta essere ultima e definitiva.7 L'Unigenito Dio che è nel seno del Padre è l'unico che lo ha visto e per questo motivo lo può spiegare e raccontare con una precisione unica. Questa è la consapevolezza di Giovanni e dei primi cristiani e questa deve essere anche la nostra consapevolezza ventuno secoli dopo di loro. Finché saremo su questa terra conosceremo e profetizzeremo sempre e solo in parte (cfr. 1 Cor. 13:9), ma gli insegnamenti di Cristo e il significato del suo sacrificio rimarranno come garanzia della comprensione il più vicina possibile per quanto ci è consentito alla realtà del Padre. E di certo, tutto questo non è poco, e non è per uno scopo da poco conto. 

Ecco perché la figura vivente di Gesù, spiritualmente sempre con noi (cfr. Mt. 28:20), non può che essere il centro costante di ogni esperienza cristiana. Ecco perché i suoi insegnamenti consolidati nel Nuovo Testamento non possono che essere la nostra guida in ogni aspetto della vita. Ecco perché egli, in quanto Parola Vivente, può aiutarci a comprendere al meglio la Parola di Dio scritta (cfr. Lc. 24:27). Il Vangelo di Giovanni è stato scritto "affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome". Nel suo nome possiamo avere vita, nel suo nome possiamo tornare anche noi al Padre (cfr. 2 Cor. 5:20) per poterlo conoscerlo perfettamente e direttamente nell'ultimo giorno. Quel giorno finalmente:

Non ci sarà più nulla di maledetto. Nella città vi sarà il trono di Dio e dell'Agnello; i suoi servi lo serviranno, vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome scritto sulla fronte.
Apocalisse 22:3-4
IV. CONSIDERAZIONI FINALI

In questo breve percorso racchiuso dal singolo versetto di Gv. 1:18 possiamo identificare due essenziali aspetti della testimonianza cristiana. Il primo riguarda il fatto che nessuno ha mai visto Dio, il secondo riguarda il fatto che solo il Figlio lo conosce intimamente e solo lui lo ha potuto rivelare/raccontare/far conoscere nel modo migliore. In questa esclusività alcuni esegeti hanno letto una possibile polemica contro coloro che rivendicavano altri modi per conoscere intimamente il Padre.8 Questo aspetto è probabile per l'epoca dell'autore e resta di interesse attuale anche per i nostri tempi. La centralità di Cristo compresa e predicata in età apostolica e riscoperta durante la Riforma del XVI secolo con il motto Solus Christus è stato infatti più volte osteggiato per motivi diversi e più volte difeso dalle comunità cristiane che ne hanno esperienza diretta. Tuttavia, questo principio deve anche essere vissuto con la consapevole limitatezza della dialettica umana e con l'anelito al tempo futuro nel quale finalmente Dio sarà tutto in tutti (1 Cor. 15:28) e sarà finalmente visibile nella sua perfezione, al di fuori dei limiti dell'età presente.




[1] vedi: Raymond E. Brown, Giovanni: commento al vangelo spirituale, 2005, Cittadella Editrice.
[2] Id. Ibid
[3] A.A.V.V., Grande commentario biblico Queriniana, I rist., 1974, Brescia, Queriniana, p. 1379.
[4] Id. Ibid. 
[5] Wayne Grudem, Teologia sistematica, Chieti, 2014, Ed. GBU, p. 197. 
[6] Horst Balz, Gerhard Schneider, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Brescia, Paideia Editrice, 2004 (unico volume), 1252. 
[7] Elena Bosetti, Vangelo secondo Giovanni (cc. 1-11), Edizioni Messaggero Padova, 2013, p. 30. 
[8] H. Balz, G. Schneider, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Brescia, Paideia Editrice, 2004 (unico volume), 1252.

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