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domenica 18 febbraio 2018

Dal senso di abbandono allo spirito di figliolanza

















Nota: Questi sono gli appunti di un sermone che ho predicato il 30 luglio 2017 nella Missione Oikos di Como.

Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.
Filippesi 2:5-10

Come abbiamo appena letto, pur essendo in forma di Dio Gesù non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente. Soffermandoci a riflettere possiamo domandarci: perché Gesù riuscì a non considerare la propria divinità qualcosa da preservare gelosamente ad ogni costo? 

Una possibile risposta è perché egli era dall'eternità certo della propria condizione e dell'amore infinito ricevuto dal Padre e ricambiato a lui.

Noi però non siamo in questa condizione, anzi, per natura noi nasciamo con una frattura nella relazione con Dio e portiamo nel nostro DNA il senso di abbandono dei nostri progenitori Adamo ed Eva. Provate a pensare come si dovessero sentire, quando furono messi alla porta dal giardino di Eden. Coperti da una pelliccia, soli, con la consapevolezza di aver tradito l'Onnipotente Dio Creatore. I primi giorni, i primi mesi non dovettero essere per nulla semplici. Il racconto biblico ci presenta questa descrizione:

Così egli scacciò l'uomo e pose a oriente del giardino d'Eden i cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via dell'albero della vita.

Genesi 3:24

Mentre se ne andavano, Adamo ed Eva hanno senza dubbio guardato alle spalle e hanno potuto vedere i cherubini con una spada di fuoco a guardia dell'ingresso e a segno del loro tradimento. Ebbene, possiamo dire - considerato il dato biblico, nonché quello esperienziale - che questa stessa condizione di separazione è restata nella loro discendenza, arrivando fino a noi. Ma il proposito di Dio non è mai stato quello di vivere lontano dall'uomo, anzi, è stato quello di vivere INSIEME a lui. Ed è per questo che Gesù ha portato ad effetto la volontà del Padre, prendendo su di sé "l'iniquità di tutti noi" (Is. 53:6). Nel vangelo di Matteo in relazione al momento della crocifissione leggiamo:

E, verso l'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lamà sabactàni?», cioè: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Costui chiama Elia».
Matteo 27:46, 47

Sulla croce Gesù ha preso su di sé tutto l'abbandono di Dio, tutta la sua ira. E lo ha fatto al posto nostro. Successivamente, dopo la resurrezione e l'ascensione, avendo vinto ogni disubbidienza con la sua ubbidienza fino alla morte di croce, Dio ha potuto mandare il Consolatore, lo Spirito Santo nel cuore dei credenti.

E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!»  Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui.

Romani 8:15-17

Quale meraviglia! Vediamo che in questi eventi si è effettuato un vero e proprio scambio reso possibile dalla pura misericordia e grazia di Dio. In origine, dopo il peccato adamitico, i figli di Adamo dicevano «Elì, Elì, lamà sabactàni?» (Salmo 22:1), mentre Gesù poteva dire «Abbà! Padre!». Ma  nel cuore del Padre c'era tristezza per la solitudine che l'uomo aveva causato con la propria disobbedienza. Allora il Padre, in accordo con il Figlio e lo Spirito ha decretato una vera e propria sostituzione. Ed è stato Gesù a dire «Elì, Elì, lamà sabactàni?» affinché noi potessimo dire per mezzo dello Spirito «Abbà! Padre!».

È avvenuto uno scambio: Gesù ha preso (momentaneamente) la nostra separazione da Dio, così che noi potessimo ricevere la sua figliolanza (per sempre). Questa è una realtà spirituale che è già decretata e avvenuta, ma della quale in quanto credenti dobbiamo prendere piena consapevolezza. Perché è su questo presupposto e con questa cognizione e con questo Spirito che noi possiamo a nostra volta avere in noi lo stesso sentimento di Cristo Gesù. Da separati da Dio non potremo mai avere la possibilità di essere umili, perché ne va della nostra sopravvivenza! Ma da figli, noi abbiamo tutta la dignità per poter percorrere la via dell'umiltà senza sentirci inferiori perché lo Spirito dentro di noi ci ricorda chi siamo, e ce lo ricorda anche quando siamo impopolari, quando facciamo lavori umili, quando nessuno ci capisce, quando facciamo delle rinunce per amore. Solo vivendo quotidianamente la nostra realtà di figli amati, possiamo essere più simili al Figlio. Dobbiamo perciò abbandonare ogni senso di competizione, ogni pretesa di superiorità o complesso di inferiorità, ogni difesa e ogni diritto. Ma dobbiamo farlo in un solo ed unico modo: con la comunione, con la forza e con “l'identità famigliare” dello Spirito Santo. Per questo motivo, oggi possiamo chiedere a Dio una fresca rivelazione sul suo grande amore, sulla nostra figliolanza e sulla comunione con lo Spirito in noi. Per questo motivo possiamo rialzarci se siamo caduti e riprendere il nostro percorso con una rinnovata forza e determinazione comprendendo meglio chi siamo e dove stiamo andando.

Il tutto per la nostra riconciliazione, riabilitazione e salvezza; per il sacrificio di Cristo, per la gloria di Dio.

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