Traduttore


giovedì 20 aprile 2017

Aspettando il ritorno del Signore (parte III): pregare per la missione

Il SIGNORE ha rivelato il suo braccio santo
agli occhi di tutte le nazioni;
tutte le estremità della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.

Isaia 52:10 


Joseph Benoit Suvee, La predicazione di S. Paolo, 1779 circa.
Come abbiamo visto negli studi precedenti, la Seconda Lettera di Paolo ai Tessalonicesi si colloca molto probabilmente nei primi anni 50, durante la stessa permanenza dell'apostolo a Corinto che fornì l'occasione di scrittura della Prima Lettera ai Tessalonicesi.1 A livello letterario, essa è strutturata secondo il seguente schema:2
  1. Indirizzo (1:1-2)
  2. Primo esordio (1:3-12)
  3. Prima esortazione (2:1-12)
  4. Secondo esordio (2:13-15)
  5. Prima conclusione (2:16-3:5)
  6. Seconda esortazione (3:6-15)
  7. Seconda conclusione (3:16-18)
Dopo aver dedicato il primo studio al commento dell'indirizzo e del primo esordio, ed il secondo studio al commento della prima esortazione e del secondo esordio, in questo terzo approfondimento ci avvicineremo alla comprensione della prima conclusione della lettera, costituita da soli sette versetti (2:16-3:5). Nei brani precedenti, Paolo ha incoraggiato i credenti di Tessalonica a resistere alle difficoltà, rassicurandoli del vicino giudizio di Dio; chiarendo però che il giorno del Signore non era già arrivato. Successivamente egli ha descritto gli eventi che dovranno avvenire prima del ritorno del Signore, ringraziando Dio per la loro evidente elezione e per la loro fedeltà. Dopo tutto questo, troviamo il brano al centro del nostro attuale interesse:

Ora lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio nostro Padre, che ci ha amati e ci ha dato per la sua grazia una consolazione eterna e una buona speranza, consoli i vostri cuori e vi confermi in ogni opera buona e in ogni buona parola. 

Per il resto, fratelli, pregate per noi perché la parola del Signore si spanda e sia glorificata come lo è tra di voi, e perché noi siamo liberati dagli uomini molesti e malvagi, poiché non tutti hanno la fede. 

Ma il Signore è fedele ed egli vi renderà saldi e vi guarderà dal maligno. A vostro riguardo abbiamo questa fiducia nel Signore, che fate e farete le cose che vi ordiniamo. 

Il Signore diriga i vostri cuori all'amore di Dio e alla paziente attesa di Cristo.
2Tessalonicesi 2:16, 3:1-5 

La spaziatura che ho introdotto nel testo aiuta a comprendere la sua struttura peculiare. Nel modo tipico delle conclusioni epistolari dell'apostolo Paolo3, troviamo infatti delle preghiere di benedizione/intercessione (una all'inizio e una alla fine), la richiesta alla comunità di pregare per l'operato missionario e l'esortazione a continuare a perseverare nella fede e nell'obbedienza. La preghiera iniziale ricorda e invoca l'amore del Padre che ha dato per grazia una buona consolazione e speranza, e che assieme al Signore Gesù Cristo può consolare i cuori dei credenti tessalonicesi e confermarli in ogni opera e parola buona. Nella lettera precedente, Paolo si rallegra del fatto che il suo passaggio a Tessalonica non era stato vano (1 Ts. 2:1), in quanto essi avevano riconosciuto fin da subito la natura divina della sua predicazione (1 Ts. 2:13) dimostrandosi fedeli anche nelle persecuzioni, diventando così imitatori delle chiese di Dio che erano in Gesù Cristo nella Giudea (1 Ts. 2:14). I tessalonicesi dunque avevano manifestato la loro elezione (1 Ts. 1:4), ed erano stati resi partecipi da Dio della grazia di Cristo. Molti, constatando questi buoni frutti, si fermerebbero ad essi, limitandosi ad elogiare questi fratelli e ringraziare Dio. Paolo invece in questa seconda lettera non perde occasione di intercedere per loro davanti al Signore ancora una volta, chedendo che vengano confermati in ogni opera buona e in ogni buona parola. Come sappiamo, la vita cristiana è per l'appunto una realtà vitale e dinamica. L'adesione al messaggio del Vangelo non implica una singola scelta nella propria vita a cui può seguire un atteggiamento passivo, ma, al contrario, una conversione che inizia in un momento della propria vita e che deve essere vissuta giorno dopo giorno nella dinamica della lotta tra la propria carne (la propria natura in Adamo) e lo Spirito (l'essere in Cristo). Questa tensione sarà sempre presente nell'intera vita del credente, e, proprio per la certezza della propria salvezza in Cristo, deve essere affrontata con la ferma volontà di camminare secondo lo Spirito. In questo scenario, Paolo prega che questi cari fratelli nel Signore possano continuare ad essere confermati da Dio, così come noi dovremmo pregare per noi stessi e per gli altri fratelli che conosciamo, portando anche praticamente i pesi gli uni degli altri per adempiere pienamente la legge di Cristo (Gal. 6:2).

Dopo l'intercessione iniziale, l'apostolo chiede a sua volta ai tessalonicesi di pregare per lui e per la sua squadra apostolica, con due principali soggetti di preghiera.  Il primo è che "la parola del Signore si spanda e sia glorificata come lo è tra di voi". Questa comunità era nata grazie all'opera di Paolo e dei suoi collaboratori, ed aveva conosciuto il Signore grazie alla loro predicazione, alla loro cura e alla potenza dello Spirito Santo in loro (1 Ts. 1:5). Ma questa stessa squadra ministeriale era ora all'opera nell'importante e grande città di Corinto, un nuovo fronte di evangelizzazione. Ecco quindi che la chiesa di Tessalonica viene educata anche nella preghiera e intercessione per la missione cristiana, e nello specifico per l'apostolo che li aveva nutriti spiritualmente, affinché egli potesse portare quelle stesse cure a numerose altre persone, in modo che la parola del Signore fosse glorificata a Corinto come lo era stata a Tessalonica (cfr. Atti 18:1-17). Il secondo soggetto di preghiera però è ancora più specifico, ed è volto a chiedere che "noi siamo liberati dagli uomini molesti e malvagi". Questo era un impedimento fin troppo conosciuto da Paolo, che aveva in mente i numerosi avversari, giudei e gentili, che si erano opposti con accanimento alla sua missione.4 Non tutti hanno la fede, e gli uomini molesti e malvagi possono opprimere in vari modi l'opera missionaria del credenti, cercando di rovinare il loro lavoro. La richiesta in preghiera che la parola del Signore sia glorificata dunque, viene associata alla richiesta che possa farlo senza impedimenti da parte degli uomini malvagi. Trovo che queste indicazioni siano molto utili alle comunità cristiane, specialmente a quelle troppo chiuse in sé stesse. Quando una chiesa locale è ben strutturata e riesce a svolgere regolarmente i suoi servizi, l'impegno non deve essere solo quello di continuare nelle proprie attività interne ma deve essere volto anche e soprattutto verso l'essere una testimonianza nella città e verso la perseveranza nell'impegno in preghiera per la missione cristiana. Se l'apostolo Paolo chiedeva preghiera per la propria attività, a maggior ragione ne hanno bisogno i tantissimi pastori e missionari che operano nel nostro paese così come in nazioni lontani. Possiamo cogliere quindi anche queste parole come un'insegnamento, e iniziare a pregare per coloro che conosciamo e che sono in prima linea nella missione.

Dopo la richiesta di preghiera, Paolo esprime la propria fede nella protezione e nel sostegno del Signore a favore dei tessalonicesi. Fede che viene estesa anche nel fatto che essi sapranno ubbidire alle "cose che vi ordiniamo". La stessa mansuetudine che l'apostolo aveva mostrato loro, paragonata da lui stesso alla tenera cura che una nutrice ha con i suoi bambini (1 Ts. 2:7), viene ora richiesta con fiducia a questi stessi credenti. In questo contesto sono da notare due aspetti parimenti importanti: da una parte l'aspetto relazionale, e dall'altra l'aspetto dell'autorità spirituale, in questo caso in perfetto equilibrio. Sebbene Paolo avesse potuto semplicemente far valere la sua autorità apostolica infatti, egli ha scelto fin dall'inizio di costruire pazientemente questa relazione così personale e amorevole con tutti loro (1 Ts. 2:6,7). Tale equilibrio è quello che possiamo auspicare in tutte le comunità cristiane, sebbene spesso sia molto difficile da raggiungere. Quando l'autorità spirituale non è ostentata o imposta ma mostrata attraverso pazienza, amore e cura personale, essa rafforza la fede dei credenti ed essi possono crescere imparando l'ubbidienza e la mansuetudine. Del resto, ci sono momenti in cui l'autorità spirituale deve essere risoluta per via di qualche emergenza, come Paolo stesso ha dovuto fare nella sua Lettera ai Galati. L'ubbidienza comunque, per l'apostolo era attesa fiduciamente nel Signore, non in sé stesso, e la fedeltà è similmente - al contrario delle divisioni e della ribellione - un importante frutto dello Spirito Santo (e non della natura umana) nella vita di ogni credente (Gal. 5:22).

L'ultima parte di questa prima conclusione epistolare consiste infine in una seconda preghiera e benedizione: la richiesta che il Signore diriga i vostri cuori all'amore di Dio e alla paziente attesa di Cristo. L'amore di Dio mostrato al passato nella morte di Cristo e al presente tramite l'azione dello Spirito Santo (cfr. Rm. 5:1-11), non può che dirigere verso la paziente attesa del Signore Gesù come suo perfetto compimento. Ed è proprio con l'attenzione rivolta a questo momento che il nostro testo trova la sua fine. 

CONCLUSIONE

Quella che a livello letterario si può definire come la prima conclusione epistolare della Seconda Lettera di Paolo ai Tessalonicesi, come abbiamo visto in soli sette versetti racchiude numerosi insegnamenti per la vita cristiana. La preghiera per la consolazione e confermazione, la richiesta di preghiera per la missione, l'esortazione all'ubbidienza e la preghiera per la direzione dei cuori all'amore di Dio e all'attesa di Cristo manifestano tutti i sentimenti dell'apostolo Paolo a riguardo di questa comunità a lui così cara. Quando i versetti biblici escono da una fin troppo frequente fredda divisione e catalogazione per tornare nel loro contesto storico e letterario, restituiscono il loro pieno significato, la loro meravigliosa e genuina bellezza, oltre che la loro ferma autorità spirituale. Appassionandoci alla Parola di Dio possiamo immergerci al di sotto della comune patina di superficialità per essere rinnovati con piena fiducia nella nostra mente e conoscere infine per esperienza la buona, gradita e perfetta volontà di Dio (Rm. 12:2).



Note:

[1] Cfr. Jordi Sànchez Bosh, Scritti Paolini (2001), Paideia, p. 146.
[2] Id. Ibid. p. 148. 
[3] Id. Ibid. p. 150. 
[4] Cfr. Francesco Mosetto, Lettere ai Tessalonicesi (2007), Edizioni Messaggero Padova, p. 91. 

sabato 8 aprile 2017

La teologia della grazia nella Lettera ai Romani

Molti dolori subirà l'empio;
ma chi confida nel SIGNORE sarà circondato dalla sua grazia.

Salmo 32:10


INTRODUZIONE 

La parola "grazia", traduce il termine greco neotestamentario charis, che significa in senso stretto "grazia, ringraziamento, stima".1 Insieme con agape, ossia "amore", essa si colloca al centro stesso dell'evangelo di Paolo, riassumendo e caratterizzando nella maniera più chiara tutta la sua teologia.2 Nel Nuovo Testamento, e nel pensiero paolino in particolare, charis acquisisce due significati teologici di primaria ed essenziale importanza: la grazia come evento epocale di Cristo (2 Cor. 8:9, Rom. 5:15, Gal. 2:21, Ef. 1:6), e l'irruzione vitale della grazia nell'esperienza umana individuale (Rom. 3:24, 5:15,17,20).3 Per l'apostolo Paolo infatti, grazia non è solo l'atto di Dio che nel passato ha portato ad una vita di fede, ma è anche l'esperienza presente e continua della potenza divina abilitante.4 Nell'Antico Testamento concetti analoghi potevano essere espressi con i termini hen (grazia, benevolenza, favore) e hesed (gentilezza amorevole, amore frutto dell'alleanza, benignità, generosa disponibilità), denotando entrambi il comportamento generoso di un superiore verso un inferiore, trovando però implicita in hesed anche una certa reciprocità, e quindi la possibilità di una risposta che con hen non viene contemplata.5 Nella traduzione greca dei LXX charis rende quasi sempre hen, mentre elos traduce solitamente hesed; ma in Paolo le posizioni si rovesciano ed il termine charis viene utilizzato nella stragrande maggioranza di volte, assumendo in sé gli aspetti più positivi dei due termini ebraici: tanto l'unilateralità di hen, quanto l'impegno eterno di hesed.6 Nel Nuovo Testamento charis ricorre 156 volte:  12 nei vangeli (Lc. e Gv.) e 17 negli Atti, concentrandosi molto di più nelle lettere, e nello specifico proprio nelle lettere di Paolo.7 Tra di esse, la Lettera ai Romani costituisce il testo con il maggior numero di ricorrenze, fissato nel numero di 24.8 Questi numeri di per sé potrebbero avere poco senso nell'ottica di una fredda statistica, ma correttamente compresi offrono invece una prima istantanea dello sviluppo di questa importante concezione teologica, e dei luoghi principali della sua esposizione. È infatti indubbio che la Lettera ai Romani costituisca l'opera massima dell'apostolo Paolo9: una lettera scritta ad una comunità non fondata da lui, alla fine di una fase cruciale della sua opera missionaria (probabilmente nell'inverno tra il 57 e il 58), con il chiaro intento di esporre e difendere la propria matura comprensione dell'evangelo così come lo aveva proclamato fino a quel momento e come sperava di poterlo presentare fino alle estremità della terra, in Spagna.10 Questa lettera è la meno condizionata dal fluire del discorso e del colloquio di Paolo con le sue chiese, e di conseguenza è la più adatta ad una comprensione del suo insegnamento slegato da incombenze e problemi comunitari specifici.11 Per questi motivi, risulta particolarmente utile approfondire la teologia della grazia così come è presentata in questa lettera particolare, per avere un sufficiente quadro di insieme sul tema e poter confrontare eventualmente questo aspetto in un secondo momento con le altre lettere paoline prima e con i restanti libri neotestamentari poi. Come procedere però nel nostro proposito? Ritengo che la strada più rispettosa del testo sia quella di ammirare prima di tutto lo schema letterario nel suo insieme, in modo da poter avere un quadro generale della sua struttura. Da questo punto, potremo partire con le analisi di singoli brani di particolare rilevanza per il nostro tema, comprendendo contemporaneamente il senso del discorso generale. Terminata questa attività, sarà possibile giungere infine a delle conclusioni adeguate. 

La prima considerazione che possiamo fare riguarda l'unità della lettera, che senza dubbio risulta molto forte, in quanto i vari temi sono strettamente legati ed articolati tra di loro.12 Tuttavia è comunque possibile individuare alcuni grandi blocchi che possono essere definiti in questo schema generale:
  • Introduzione della lettera (1:1-17)
  • Primo discorso dottrinale: la giustificazione (1:18-4:25)
  • Secondo discorso dottrinale: la vita cristiana (5:1-8:39)
  • Terzo discorso dottrinale: i giudei e il vangelo (9:1-11:36)
  • Discorso parenetico (12:1-15:13)
  • Epilogo della lettera (15:14-16:27)13  
Come abbiamo visto, tutta questa lettera è profondamente intrisa della charis di Dio in Cristo Gesù, ma c'è un discorso in particolare (uno dei tre sopra indicati) - che scopriremo nel corso della nostra trattazione - che custodisce il cuore di questo concetto teologico e la sua più dettagliata esposizione. Ma per poter iniziare con il giusto ordine, possiamo e dobbiamo concentrarci adesso sul primo grande discorso dottrinale dell'apostolo Paolo: quello riguardante la giustificazione mediante la sola fede. 

1. LA GIUSTIZIA MEDIANTE LA FEDE


Dopo la formula introduttiva infatti (dove troviamo l'indicazione della grazia e apostolato ricevuto da Paolo, e della grazia e pace offerta da Dio e dal Signore ai credenti di Roma), l'apostolo inizia a sviluppare il suo primo grande discorso letterario introducendo due importanti serie di note preliminari: la prima relativa al peccato dei gentili (1:18-32) e la seconda riguardante il peccato dei giudei (2:1-3:20).14 Lo scopo è quello di dimostrare che tutti - ovvero sia i giudei che i greci - sono ugualmente sottoposti al peccato (3:9), criticando con queste accuse in modo particolare il senso di privilegio e distinzione dei giudei ed il vanto di Israele a questo riguardo.15 La conclusione è che se tutti, ebrei e non ebrei, nessuno escluso, sono nella condizione di essere peccatori e quindi destinati a venire distrutti, ciò avviene perché la giustificazione deve essere concessa in ugual modo a tutti quanti.16

Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono - infatti non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio - ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù.
Romani 3:21-26

Questa giustificazione però viene concessa - con grande stupore - indipendentemente dalla legge, pur essendo preannunciata dalla legge stessa. Forse Paolo ha presente, in questa paradossale funzione della legge, soprattutto i passi di Ab. 2:4 citato in Rm. 1:17 e di Gn. 15:6 sul quale si soffermerà lungo il midrash di Rm. 4:1-22  che analizzeremo a breve, testo nel quale Abramo è elogiato come modello della giustizia accreditata per la fede e non con le opere della legge.17 La giustizia di Dio manifestata indipendentemente dalla legge, è offerta mediante la fede in Gesù Cristo, e per tutti coloro che credono. In questi versetti è utilizzato in greco un genitivo che si trova al centro del dibattito esegetico-teologico contemporaneo, sulla concezione paolina di fede: pistis Christou o pistis Iesou (fede di Cristo o fede di Gesù)18, che la traduzione Nuova Riveduta presenta come fede in Cristo Gesù. In questione è posta la fede/credibilità/affidabilità di Cristo (genitivo soggettivo), oppure la fede/fiducia che i credenti ripongono in Cristo?19 Anche se entrambe le posizioni si possono sostenere dal punto di vista grammaticale, si può rilevare che Paolo non fonda mai sulla fedeltà di Cristo, nei confronti di Dio, la giustificazione divina, mentre in Gal. 2:16 ha già sottolineato l'importanza della fede in Cristo per essere giustificati.20 D'altro canto, Paolo non dovrebbe avere motivo di avvertire la necessità di trattare della fedeltà di Cristo per motivare la giustificazione, mentre ha sicuramente bisogno di stabilire una fondamentale relazione tra la fede in Cristo e la giustizia divina.21 Possiamo considerare quindi il senso di questa espressione come quello della fede che i credenti ripongono in Cristo Gesù, ossia nella sua grazia resa disponibile in virtù della redenzione operata attraverso il suo sacrificio. Questa è la grazia propria dell'evento di Cristo, la grazia che apre questa nuova, unica e definitiva strada per la giustificazione divina; una giustificazione che ha origine non più nella legge ma, per l'appunto nel sacrificio propiziatorio di Cristo Gesù. Questo sacrificio genera la grazia della giustificazione, alla quale tutti possono avere accesso solamente attraverso la fede. Il problema del peccato al quale ogni essere umano è sottomesso, dunque non può essere risolto dall'uomo in alcun modo, ma è invece risolto dalla grazia di Dio in Cristo: egli è la soluzione, il mezzo del perdono, il garante che Dio accetta.22 Egli è il propiziatorio, termine reso in greco con hilasterion, alludendo in questo modo al coperchio dell'arca dell'alleanza utilizzato durante i sacrifici dell'Antico Testamento per la remissione dei peccati.23 Tale parallelo è senza dubbio suggestivo, in quanto Gesù Cristo è presentato come vero espiatorio per mezzo del quale il sangue è utilizzato come strumento per la remissione dei peccati e per il ristabilimento dell'alleanza tra Dio e il suo popolo.24 Il primo utilizzo di Paolo del termine "grazia" quindi (dopo l'introduzione epistolare) nel primo discorso dottrinale della lettera, riguarda in modo molto stretto la definitiva giustificazione di Dio, resa possibile appunto per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Ma continuando questo discorso, egli perfeziona la sua argomentazione con un particolare commento scritturale che evidenzia con ancora maggior chiarezza la dinamica della giustificazione per fede, e una caratteristica molto importante della grazia di Dio per la salvezza di chiunque crede:

Che diremo dunque che il nostro antenato Abraamo abbia ottenuto secondo la carne? Poiché se Abraamo fosse stato giustificato per le opere, egli avrebbe di che vantarsi; ma non davanti a Dio; infatti, che dice la Scrittura? 

«Abraamo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto come giustizia».

IL SIGNIFICATO DI "MESSO IN CONTO"
Ora a chi opera, il salario non è messo in conto come grazia, ma come debito; mentre a chi non opera ma crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede è messa in conto come giustizia. Così pure Davide proclama la beatitudine dell'uomo al quale Dio mette in conto la giustizia senza opere, dicendo: «Beati quelli le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti. Beato l'uomo al quale il Signore non addebita affatto il peccato». Questa beatitudine è soltanto per i circoncisi o anche per gl'incirconcisi? Infatti diciamo che la fede fu messa in conto ad Abraamo come giustizia. In quale circostanza dunque gli fu messa in conto? Quando era circonciso, o quando era incirconciso? Non quando era circonciso, ma quando era incirconciso; poi ricevette il segno della circoncisione, quale sigillo della giustizia ottenuta per la fede che aveva quando era incirconciso, affinché fosse padre di tutti gl'incirconcisi che credono, in modo che anche a loro fosse messa in conto la giustizia; e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo sono circoncisi ma seguono anche le orme della fede del nostro padre Abraamo quand'era ancora incirconciso. 

IL SIGNIFICATO DI "CREDETTE"
Infatti la promessa di essere erede del mondo non fu fatta ad Abraamo o alla sua discendenza in base alla legge, ma in base alla giustizia che viene dalla fede. Perché, se diventano eredi quelli che si fondano sulla legge, la fede è resa vana e la promessa è annullata; poiché la legge produce ira; ma dove non c'è legge, non c'è neppure trasgressione. Perciò l'eredità è per fede, affinché sia per grazia; in modo che la promessa sia sicura per tutta la discendenza; non soltanto per quella che è sotto la legge, ma anche per quella che discende dalla fede d'Abraamo. Egli è padre di noi tutti (com'è scritto: «Io ti ho costituito padre di molte nazioni») davanti a colui nel quale credette, Dio, che fa rivivere i morti, e chiama all'esistenza le cose che non sono. Egli, sperando contro speranza, credette, per diventare padre di molte nazioni, secondo quello che gli era stato detto: «Così sarà la tua discendenza». Senza venir meno nella fede, egli vide che il suo corpo era svigorito (aveva quasi cent'anni) e che Sara non era più in grado di essere madre; davanti alla promessa di Dio non vacillò per incredulità, ma fu fortificato nella sua fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli ha promesso, è anche in grado di compierlo. 

Perciò gli fu messo in conto come giustizia. 

Or non per lui soltanto sta scritto che questo gli fu messo in conto come giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà pure messo in conto; per noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù, nostro Signore, il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.
Romani 4:1-25

L'apostolo Paolo consapevole, forse, di non aver sfruttato appieno la volta precedente (cfr. Galati 3:6) il potenziale di Genesi 15:6 per il proprio evangelo della giustificazione, riprende questo breve testo nella Lettera ai Romani, offrendo in questo caso una delle esposizioni più eleganti di un testo scritturistico che l'antichità abbia conservato.25 Prima di ogni cosa egli annuncia il testo, e poi espone, una dopo l'altra, le sue due parti principali, concludendo infine l'esposizione richiamando ancora il testo stesso.26 Quello che vuole provare, in realtà, è quanto già affermato poco prima (3:21,22), ossia il fatto che la giustificazione viene attuata mediante la sola fede, per grazia e senza le opere della legge.27 A quel tempo prevaleva la tendenza di interpretare Gn. 15:6 a partire da Gn. 22:17-18, perché quest'ultimo brano forniva la motivazione della benedizione divina e della copiosa discendenza: l'obbedienza dimostrata con la disponibilità di sacrificare il figlio Isacco.28 Questo è evidente, per esempio, nel Primo Libro dei Maccabei:  

Abramo non fu trovato forse fedele nella tentazione e non gli fu ciò accreditato a giustizia? 
1 Macc. 2:52 

Anche altri testi apocrifi come il Libro dei Giubilei, alcuni testi Qumranici e i primi scritti rabbinici testimoniano questa comune linea interpretativa del tardo giudaismo del secondo tempio.29 Paolo però non segue questa linea, e procede in un primo momento ad argomentare come Abramo potè essere giustificato: ossia per mezzo della fede e non dell'ubbidienza, ottenendo l'accreditamento della giustizia prima di ubbidire alla circoncisione e alla richiesta di sacrificio di Isacco. Poi continua risalendo alla qualità di questa fede che è strettamente legata alla giustizia per grazia, e non alla giustizia per la legge. È quindi la fede/fiducia di Abramo nella promessa del Dio della vita (colui che crea la vita e può far rivivere i morti) che gli ha concesso l'accreditamento della giustificazione, una giustificazione che è gratuita, per grazia, come appunto già espresso in 3:24. L'aver dimostrato scritturalmente questo ragionamento, mette l'apostolo nelle condizioni di evidenziare il meccanismo di giustificazione non solo di Abramo, ma con lui di ogni credente. Tanto i giudei quanto i gentili, infatti, rispondendo a questo stesso principio spirituale, vengono giustificati esclusivamente per la fede nel Dio della vita. Per la fede nel Dio che è Padre del Signore Gesù Cristo, e che lo ha risuscitato dai morti affinché giudei e gentili potessero trovare perdono e giustizia in lui, unica via di una comune salvezza.   

Questo è l'importantissimo primo obiettivo che Paolo raggiunge in questo discorso dottrinale. Infatti, solo dopo aver definito scritturalmente la fonte e le caratteristiche della giustificazione di Dio, egli può procedere più speditamente nel suo secondo grande discorso dottrinale: il discorso che sposta l'argomento al pieno centro del nostro interesse.
 
2. PER SOLA GRAZIA





Il secondo discorso si apre considerando le conseguenze di quanto appena affermato: le conseguenze nella relazione dei credenti con Dio Padre e le conseguenze nel rapporto tra Cristo e il peccato/morte, per poi svilupparsi nella descrizione della condizione di vittoria proprio sul peccato e sulla morte.

RICONCILIATI CON IL PADRE
Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l'accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l'afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l'esperienza speranza. Or la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall'ira. Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo anche in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, mediante il quale abbiamo ora ottenuto la riconciliazione.
Romani 5:1-11

In questa apertura Paolo torna all'antico schema composto da fede, speranza e amore che ha già utilizzato varie volte in passato (Cfr. 1 Tess. 1:3, 5:8; 1 Cor. 13:13).30 Giustificati per fede (v.1), abbiamo una speranza che non delude (vv. 2b, 4-5), perché l'amore ci è stato dato dallo Spirito.31 Proprio perché l'amore ci è già stato dato in passato (mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi), ed è sparso nei nostri cuori dallo Spirito nel presente, a maggior ragione si manifesterà anche nel futuro, attraverso la salvezza dalla sua ira. La fede - e solo la fede - può aprire l'accesso alla grazia della giustificazione in Cristo, ed è in questa giustificazione e per questa grazia che bisogna rimanere saldi. La supremazia della fede sulle opere della legge è già stata dimostrata precedentemente, quindi ora può essere rafforzata proprio questa fiducia in virtù del sacrificio passato, dell'amore presente e della speranza (che quindi non sarà delusa) di una piena salvezza futura. Questa è la condizione di riconciliazione con il Padre, una condizione nella quale i credenti si possono gloriare in Cristo, perché stabilita fermamente ed eternamente. La giustificazione dei credenti davanti a Dio avviene dunque solo per fede attraverso la grazia ottenuta dal sacrificio di Gesù Cristo, ma come è potuta sorgere questa grazia così dirompente nella sua potenza contrastante la condizione di peccato e di morte? Per rispondere a questa domanda, l'apostolo Paolo prosegue nel suo secondo discorso, indagando sulle due persone che hanno originato queste rispettive condizioni: Adamo e Gesù. 

ADAMO E CRISTO
Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato...Poiché, fino alla legge, il peccato era nel mondo, ma il peccato non è imputato quando non c'è legge. Eppure, la morte regnò, da Adamo fino a Mosè, anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Però, la grazia non è come la trasgressione. Perché se per la trasgressione di uno solo, molti sono morti, a maggior ragione la grazia di Dio e il dono della grazia proveniente da un solo uomo, Gesù Cristo, sono stati riversati abbondantemente su molti. Riguardo al dono non avviene quello che è avvenuto nel caso dell'uno che ha peccato; perché dopo una sola trasgressione il giudizio è diventato condanna, mentre il dono diventa giustificazione dopo molte trasgressioni. Infatti, se per la trasgressione di uno solo la morte ha regnato a causa di quell'uno, tanto più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo di quell'uno che è Gesù Cristo. Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini. Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l'ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti. La legge poi è intervenuta a moltiplicare la trasgressione; ma dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata, affinché, come il peccato regnò mediante la morte, così pure la grazia regni mediante la giustizia a vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. 
Romani 5:12-21

Il genere che caratterizza questo brano è quello del confronto tra due personaggi o realtà, al fine di sottolineare l'importanza o la grandezza di uno rispetto all'altro.32 In epoca patristica, tale confronto sarà posto sotto la denominazione della tipologia: a un "tipo" corrisponde un "antitipo", all'ombra la realtà.33 L'accento o il peso dell'argomentazione non è posto tanto sul tipo, ossia Adamo in questo caso, bensì sull'antitipo, vale a dire su Gesù Cristo.34 Questo confronto specifico era già stato stabilito dall'apostolo Paolo nella sua Prima lettera ai Corinzi: 

Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati [...]
1Corinzi 15:22

In questo contesto, l'esposizione era centrata sulla risurrezione di Cristo, mentre lo svolgimento di Rom. 5 si incentra invece in modo particolare sul valore della sua morte.35 La contrapposizione tra le espressioni "un solo uomo", ossia Adamo, e "un solo uomo", ossia Gesù Cristo, si ripete per cinque volte.36 Con loro si delineano due schieramenti: da una parte abbiamo infatti il peccato, la condanna (della legge) e la morte, e dall'altro la grazia, la giustizia e la vita.37 Il senso dell'argomentazione è che così come un solo uomo (Adamo) ha portato nel mondo il peccato e la morte attraverso la sua trasgressione (e di conseguenza in lui tutti hanno peccato e sono morti), in modo simile ma contrario un solo uomo (Cristo) ha portato nel mondo la grazia e la giustificazione attraverso un solo atto di giustizia vivificante. Di conseguenza, come Adamo rappresenta il genere umano mediante la vita che sfocia nella morte, così Cristo rappresenta il genere umano mediante la morte che introduce alla vita.38 Trasgressione e grazia si trovano quindi in aperto conflitto, ma come emerge dal testo la loro potenza non è allo stesso livello. La grazia infatti è abbondante, anzi, sovrabbondante, tanto da poter sommergere le fiumane mortifere del peccato e instaurare un nuovo regno di vita eterna. Un solo peccato ha causato tantissimi peccati, ma questi tantissimi peccati vengono ora assorbiti da un unico atto di grazia. Un singolo atto dall'influenza incalcolabile, una grazia che da sola è in grado di invertire il processo di morte in corso sin dai tempi di Adamo, con un impulso opposto che conduce alla vita eterna. Questa grazia non può che essere trasformante e non può che cambiare le vite di coloro che vengono raggiunti dalla sua luce. Non può che essere manifestata, cioè, che dal frutto della santificazione. 

VITTORIA SUL PECCATO E SULLA MORTE

Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? No di certo! Noi che siamo morti al peccato, come vivremmo ancora in esso? O ignorate forse che tutti noi, che siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Perché se siamo stati totalmente uniti a lui in una morte simile alla sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla sua. Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato; infatti colui che è morto è libero dal peccato. Ora, se siamo morti con Cristo, crediamo pure che vivremo con lui, sapendo che Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Poiché il suo morire fu un morire al peccato, una volta per sempre; ma il suo vivere è un vivere a Dio. Così anche voi fate conto di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù. Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale per ubbidire alle sue concupiscenze; e non prestate le vostre membra al peccato, come strumenti d'iniquità; ma presentate voi stessi a Dio, come di morti fatti viventi, e le vostre membra come strumenti di giustizia a Dio; infatti il peccato non avrà più potere su di voi; perché non siete sotto la legge ma sotto la grazia. Che faremo dunque? Peccheremo forse perché non siamo sotto la legge ma sotto la grazia? No di certo! Non sapete voi che se vi offrite a qualcuno come schiavi per ubbidirgli, siete schiavi di colui a cui ubbidite: o del peccato che conduce alla morte o dell'ubbidienza che conduce alla giustizia? Ma sia ringraziato Dio perché eravate schiavi del peccato ma avete ubbidito di cuore a quella forma d'insegnamento che vi è stata trasmessa; e, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. Parlo alla maniera degli uomini, a causa della debolezza della vostra carne; poiché, come già prestaste le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità per commettere l'iniquità, così prestate ora le vostre membra a servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate schiavi del peccato, eravate liberi riguardo alla giustizia. Quale frutto dunque avevate allora? Di queste cose ora vi vergognate, poiché la loro fine è la morte. Ma ora, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna; perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.
Romani 6:1-23 

Un singolo atto di grazia annulla una moltitudine di trasgressioni, ma l'apostolo Paolo specifica che questa condizione non deve portare i credenti a restare nel peccato. La fede infatti permette di passare dall'influenza del peccato di Adamo all'influenza della grazia di Cristo per una vita di giustizia, e questa vita di giustizia è raggiunta attraverso l'unione con la sua morte. La crocifissione del credente con Cristo non è un'esperienza del presente, ma un avvenimento del passato, come indica, nel greco, il tempo aoristo; quelli che sono uniti per fede in Cristo sono considerati crocifissi con lui nel passato, quando lui fu crocifisso.39 Essendo totalmente uniti a lui nella sua morte, i credenti sono però anche uniti in una risurrezione simile alla sua. Questa risurrezione avverrà al futuro, ma al presente i vantaggi della risurrezione di Cristo sono evidenti proprio nell'essere nella sua grazia, ossia nell'essere affrancati dalla schiavitù del peccato e liberi di...non peccare! I cristiani sono morti al peccato in Cristo, e viventi e liberi di esercitare la giustizia davanti Dio, sempre in Cristo. Questo è il vero senso della grazia: non solo il perdono gratuito, ma anche la forza e la condizione di vivere diversamente, in virtù della morte e risurrezione del Signore. Più avanti, verso la conclusione di questo stesso discorso, Paolo scriverà:

Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù, perché la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte.
Romani 8:1-2

Nella grazia non c'è condanna, perché essa è stata inchiodata con Cristo. Nella grazia c'è lo Spirito di vita che risorse Cristo Gesù dai morti, che libera dalla legge del peccato e della morte. E ancora:

Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Romani 8:11

Lo Spirito oltre a liberare dalla legge del peccato e della morte (al passato), vivifica al presente i corpi mortali dei cristiani permettendo di compiere la giustizia di Dio altrimenti impossibile da raggiungere. Come affermato nell'introduzione, la grazia è quindi anche l'esperienza presente e continua della potenza divina abilitante. Un'esperienza reale, possibile attraverso l'abitazione dello Spirito, che permette di raggiungere una vita all'altezza della statura perfetta di Cristo (Ef. 4:13).

Possiamo riassumere quanto visto fino ad ora nel seguente modo: L
a grazia del Signore Gesù Cristo nel passato ha liberato i credenti dalla legge del peccato e della morte, nel presente li rende abili a portare il frutto della santificazione e nel futuro li porterà alla risurrezione portando a compimento questo meraviglioso processo. Tre inestimabili aspetti della grazia di Dio, promossi dalla sua iniziativa e per la sua gloria. Tre espressioni che l'apostolo Paolo descrive perfettamente nella piena ispirazione dello Spirito Santo.

Avendo ora concluso l'esame di questo argomento anche nel secondo discorso dottrinale dell'apostolo Paolo della Lettera ai Romani, non ci rimane che avvicinarci all'ultimo di questi discorsi, e alla parte terminale della nostra trattazione.


3. NON PIÙ PER OPERE



















Nella dinamica della lettera, il terzo discorso dottrinale sviluppato nei capitoli  9, 10 e 11, ha carattere di digressione, in quanto affronta un tema diverso rispetto a quello affermato nei precedenti discorsi.40 L'argomento è quello della relazione tra i giudei ed il vangelo, e viene sviluppato formalmente con un esordio (9:1-5), un argomento preliminare (9:6-33), una proposizione (10:1-4), una argomentazione centrale (10:5-11:2), una applicazione (11:13-24) e una perorazione finale (11:25-36).41 L'argomentazione centrale prima di tutto dimostra che anche la legge parla di giustizia della fede (10:5-10), poi ribadisce la non distinzione tra giudei e gentili (10:12) e l'apertura della salvezza ai gentili per provocare la gelosia di Israele, popolo disubbidiente e contestatore. A questo punto, l'apostolo Paolo introduce una citazione veterotestamentaria per dimostrare l'importante concetto teologico dell'elezione divina.

Dico dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? No di certo! Perché anch'io sono israelita, della discendenza di Abraamo, della tribù di Beniamino. Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha preconosciuto. Non sapete ciò che la Scrittura dice a proposito di Elia? Come si rivolse a Dio contro Israele, dicendo: «Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno demolito i tuoi altari, io sono rimasto solo e vogliono la mia vita»? Ma che cosa gli rispose la voce divina? «Mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal». Così anche al presente, c'è un residuo eletto per grazia. Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia.
Romani 11:1-6

Di fronte alla ribellione di Israele qualcuno avrebbe potuto pensare che Dio avesse ripudiato il suo popolo, per questo motivo Paolo interviene spiegando esplicitamente che non è così. Dio non ha ripudiato il suo popolo, perché - come ai tempi di Elia - egli ha eletto un piccolo residuo per grazia, indurendo invece il resto del popolo (v.7). Paolo stesso faceva parte di questo residuo eletto, in quanto aveva accettato il vangelo di Dio, e per questo motivo conosceva bene e per esperienza personale quello di cui stava parlando. Questo residuo di Israele non è nato in virtù della propria bontà o dell'eccellenza della propria giustizia, ma per grazia, per un atto di generosa benevolenza promosso da Dio per sua insindacabile iniziativa. Qualche anno prima l'apostolo aveva scritto queste parole alle chiese della Galazia, per descrivere la sua conversione al Signore:

Infatti voi avete udito quale sia stata la mia condotta nel passato, quand'ero nel giudaismo; come perseguitavo a oltranza la chiesa di Dio, e la devastavo; e mi distinguevo nel giudaismo più di molti coetanei tra i miei connazionali, perché ero estremamente zelante nelle tradizioni dei miei padri. Ma Dio che m'aveva prescelto fin dal seno di mia madre e mi ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché io lo annunciassi fra gli stranieri.
Galati 1:13-16

Allo zelo nella tradizione giudaica, Paolo contrappone la chiamata divina per grazia, espressione della sovrana prescelta di Dio. Troviamo quindi in questa ottica una chiave di lettura per la corretta comprensione del "residuo eletto per grazia", ossia nel gruppo di persone che come Paolo provenivano da una zelante osservanza delle tradizioni giudaiche e che al momento opportuno sono state chiamate da Dio mediante la sua grazia attraverso la rivelazione del Figlio. Anche questo aspetto dunque, ossia quello dell'elezione divina, è strettamente legato a quello della grazia, e non può che essere così in virtù dell'esclusività dell'iniziativa divina e dell'impossibilità di una adeguata risposta da parte dell'essere umano. Anche l'annuncio del vangelo ed il servizio cristiano infatti, pur essendo contraddistinti da una intensa fatica sono considerati dall'apostolo Paolo come espressioni della grazia stessa più che del proprio impegno e della propria risposta a Dio in contraccambio (cfr. 1 Cor. 15:10). La grazia quindi non proviene da opere umane, non può essere ripagata in nessun modo, ed è manifestazione della sovrana elezione dell'unico e vero Dio. Altrimenti, come dice l'apostolo stesso, essa non sarebbe più grazia. 

Con questo ultimo elemento, abbiamo delinato tutte le principali caratteristiche del concetto di grazia in questa meravigliosa lettera. Un percorso importante per la corretta comprensione della verità biblica e per la corretta crescita di ogni cristiano; un baluardo contro ogni distorsione e incomprensione all'interno della Chiesa e nel cuore di ogni credente. Nel concetto biblico di grazia non c'è posto per estremismi umani e distorsioni dottrinali, c'è posto solo per l'immensa gratitudine per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, per la vera adorazione e per la crescita nella santità. Qui vi è la benedizione di Dio, qui vi è la vera Chiesa, qui vi è la salvezza.

CONCLUSIONE 










Possiamo rappresentare il concetto teologico della grazia nel pensiero paolino (e in particolare nella Lettera ai Romani) con l'immagine di un fiume. Così come un fiume si origina dai ghiacciai perenni, scorre per i monti e per le valli seguendo percorsi talvolta anche tortuosi ed infine raggiunge il mare, similmente la grazia di Dio trova la sua origine nel sacrificio espiatorio di Gesù Cristo, scorre nelle vite dei credenti attraverso lo Spirito Santo procurando la santificazione e confluisce infine nella risurrezione escatologica. Queste tre fasi corrispondono ai tre momenti di salvezza vissuti da ogni credente: la propria morte al peccato realizzata spiritualmente al momento della crocifissione di Cristo, la vivificazione del proprio corpo mortale attuata dallo Spirito della vita che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti (nel corso della vita cristiana), e la risurrezione con un corpo celeste incorruttibile riservata per il giorno del ritorno glorioso del Signore. Dietro a questo intero processo si trova la grazia di Dio in Cristo Gesù, promossa indipendentemente dalla legge e da qualsiasi iniziativa o merito umano. Questa grazia è l'unica via di salvezza per ogni uomo, che sia giudeo o gentile, e attualmente raggiunge Israele nella forma di un residuo eletto da Dio. Essa è la risposta salvifica del Padre alla trasgressione mortifera di Adamo, risposta di entità enormemente superiore e di direzione opposta. La grazia di Dio in Cristo Gesù è il luogo dove risplende eternamente la sua gloria, il luogo dove può trovare riparo l'essere umano e dove può essere ripristinata questa relazione altrimenti irrimediabilmente perduta.  
 
Il tutto, per la gloria di Dio. 


Note: 

[1] Horst Baltz, Gerhard Schneider, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento (ed. unico volume - 2004), Paideia, II 1879.  
[2] James D.G. Dunn, La teologia dell'apostolo Paolo (1999), Paideia, p. 325.  
[3] Id. Ibid. p. 324. 
[4] Id. Ibid. p. 325
[5] Id. Ibid
[6] Id. Ibid. p. 326.
[7] H. Baltz, G. Schneider, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento (ed. unico volume - 2004), Paideia, II 1880.  
[8] Id. Ibid.
[9] Cfr. Jordi Sànchez Bosh, Scritti Paolini (2001), Paideia, p. 232. 
[10] Cfr. J.D.G. Dunn, La teologia dell'apostolo Paolo (1999), Paideia, p. 52.  
[11] Id. Ibid
[12] Cfr. J.S. Bosh, Scritti Paolini (2001), Paideia, p. 238.
[13] J.S. Bosh, Scritti Paolini (2001), Paideia, p. 239.  
[14] Id. Ibid. pp. 241-242. 
[15] Cfr. J.D.G. Dunn, La teologia dell'apostolo Paolo (1999), Paideia, p. 365.  
[16] Jean-Noel Aletti, La lettera ai Romani (2011), Borla, p. 36.
[17] Antonio Pitta, Lettera ai Romani (I rist. 2012), Edizioni Messaggero Padova, pp. 57,58.  
[18] Id. Ibid. p. 58.
[19] Id. Ibid.
[20] Id. Ibid.
[21] Id. Ibid.
[22] Frederick F. Bruce, La lettera di Paolo ai Romani, GBU, p. 125.
[23] A. Pitta, Lettera ai Romani (I rist. 2012), Edizioni Messaggero Padova, pp. 59
[24] Id. Ibid.  
[25] J.D.G. Dunn, La teologia dell'apostolo Paolo (1999), Paideia, p. 378.  
[26] Id. Ibid.
[27] J.-N. Aletti, La lettera ai Romani (2011), Borla, p. 39.  
[28] Id. Ibid. p. 40. 
[29] Id. Ibid.  
[30] J.S. Bosh, Scritti Paolini (2001), Paideia, p. 246.
[31] Id. Ibid.  
[32] A. Pitta, Lettera ai Romani (I rist. 2012), Edizioni Messaggero Padova, pp. 73 
[33] Id. Ibid. 
[34] Id. Ibid.
[35] J.D.G. Dunn, La teologia dell'apostolo Paolo (1999), Paideia, pp. 251,252.   
[36] J.S. Bosh, Scritti Paolini (2001), Paideia, p. 247.
[37] Id. Ibid.   
[38] J.D.G. Dunn, La teologia dell'apostolo Paolo (1999), Paideia, p. 252
[39] F. F. Bruce, La lettera di Paolo ai Romani, GBU, p. 172. 
[40] J.S. Bosh, Scritti Paolini (2001), Paideia, p. 253. 
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...