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sabato 1 novembre 2014

L'etica del Nuovo Testamento












1.INTRODUZIONE
Con il termine etica si intende, in senso ampio, quel ramo della filosofia che si occupa di qualsiasi forma di comportamento (gr.ἦθος) umano, politico, giuridico o morale («Etica» in Enciclopedia Treccani). In senso più prettamente filosofico esso si riferisce specificamente ad una riflessione riguardante la sfera delle azioni umane che va alla ricerca di un ideale universale di vita buona. L’etica è, in questo senso, una disciplina che affonda le sue radici nel pensiero greco, e che trova in Socrate il suo padre fondatore. È a questo filosofo ateniese che si fa risalire, infatti, il primo tentativo di definire la natura della virtù e della vita buona. La filosofia socratica, magistralmente ripresa e sviluppata dall'allievo Platone, va alla ricerca della chiarificazione di idee come il bene, la giustizia, il piacere, la felicità, a partire dalla convinzione che sia possibile per questi concetti etici trovare una definizione universale al di là delle opinioni personali.

La riflessione etica come teoria generale della vita buona è presente in modo limitato negli scritti del Nuovo Testamento. In ambito cristiano essa si è sviluppata a partire dall’idea, predicata da Gesù di Nazaret, di un’uguaglianza tra gli uomini chiamati ad essere figli di Dio. Da questo presupposto nasce la regola di condotta evangelica che si traduce nel sommo comandamento d’amore per gli altri. L’etica cristiana è un operoso donare sé stessi, senza nulla chiedere in cambio, la vita buona è condotta in vista dell’attuazione del Regno che è sì dono di Dio, ma insieme meta cui l’uomo deve tendere. Essa riscopre il grande ideale di perfezione morale nell'unico modello di vita: il Figlio di Dio fatto uomo che, incarnandosi e morendo in croce, riscattò gli uomini offrendo loro il «dono di diventare figli di Dio» (Giov. 1, 12).


2.UN'ETICA ESCATOLOGICA 












Leggendo l'Antico Testamento, è possibile accorgersi molto presto di quale sia stato l'evento trasformante per tutto il popolo ebraico: la liberazione dall'oppressione egiziana, e la promulgazione della Legge di Dio trasmessa per mezzo di Mosè. Questi avvenimenti sono raccontati nel pentateuco, ossia nei primi cinque libri della Bibbia. Tali eventi si sono solidificati nell'identità etnica e nazionale del popolo, centralizzando la fede comune per poi condurla oltre con la promessa davidica (renderò stabile il tuo trono per sempre..), l'edificazione del tempio, e l'attesa del Messia. Nel caso del cristianesimo, è possibile trovare un'importante analogia all'interno del Nuovo Testamento: un nuovo evento specifico che ha permesso l'edificazione della Chiesa e la trasmissione della fede nei millenni. Questa vera e propria chiave di volta è particolarmente evidenziata nelle tradizioni dei vangeli sinottici e corrisponde alla pasqua, ossia alla resurrezione del Signore. Studiando i vangeli si è soliti adoperare questo evento come spartiacque, e fare quindi una distinzione fra il gruppo prepasquale (ossia i discepoli che seguirono Gesù durante il suo ministero terreno, raccogliendo i suoi detti), e la comunità postpasquale (ossia le comunità che vivevano nella fede del Cristo risorto, fortificate da questo evento sovrannaturale attraverso il quale rivedere la precedente tradizione per una comprensione più completa del piano di Dio). 

Nelle nostre considerazioni sull'etica cristiana, il corretto punto da cui iniziare è costituito proprio dal gruppo prepasquale e dalle rispettive tradizioni che sono successivamente confluite all'interno dei vangeli sinottici. In questi testi, possiamo sottolineare subito una caratteristica importante della predicazione di Gesù: ossia che il suo messaggio etico si identifica con quello escatologico, con l'annuncio del regno di Dio che sta per venire. E' infatti a causa dell'imminente arrivo del regno che si può enunciare l'imperativo "convertitevi!" che troviamo per esempio in Mc 1:15 o Mt 3:2, 4:17. Non vi è perciò una parziale esortazione relativa a qualche aspetto del culto, ma piuttosto il comandamento a un cambiamento radicale, un'accettazione incondizionata, un'obbedienza completa alla volontà del Padre rivelata per mezzo del Figlio. 

Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, bensì i malati. Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori a ravvedimento».
Luca 5:31,32 

L'appello di Gesù non è rivolto solo alle persone religiose del popolo, ma è rivolto a tutti, e soprattutto a coloro che sono peccatori, bisognosi e indigenti. Esso non consiste in una particolare regola di condotta ma piuttosto nella totale sottomissione alla sovranità di Dio. Ogni legame familiare, nazionale ed economico deve essere sciolto per entrare nella libertà del regno di Dio, distaccandosi anche da sé stessi e dal proprio egocentrismo. 

La predicazione di Gesù non si contrappone alla legge di Mosè, ma in alcuni casi mostra una volontà divina superiore, come nel caso della santificazione del sabato (Mc 3), o del digiuno (Mc 2). Evidenzia inoltre una cattiva comprensione della stessa, un travisamento del significato fondamentale:

Marco 7:13 [...] annullando così la parola di Dio con la tradizione che voi vi siete tramandata. Di cose simili ne fate molte». 

Queste osservazioni diventano di vitale importanza proprio a causa del subentro di una situazione nuova (Mc 2:22), un nuovo tempo della salvezza che cambia la posizione nei confronti della legge, nell'antica divisione tra sacro e profano; radicalizzando invece altri precetti che vengono allargati fino alle intenzioni del cuore. Tutta la legge infatti trova il suo pieno adempimento nell'amore di Dio e del prossimo (Mt 22:37), laddove il prossimo non è più solo il proprio connazionale (Lev 19:18) ma addirittura il proprio nemico e persecutore (Mt 5:44). L'amore di cui parla Gesù, non è un amore umano ma è l'amore di Dio, che avvolge per primo tutti i suoi figli rendendoli capaci di ricambiare questo stesso amore verso di lui e verso il prossimo. 

Esiste una certa difficoltà nell'inquadrare la predicazione e la richiesta di Gesù sotto le normali classificazioni sociali e religiose. Egli infatti non è un riformatore morale, né un rivoluzionario sociale e neppure un asceta nemico del mondo, nonostante la sua scelta di non sposarsi e non avere alcun possedimento. Le sue guarigioni non vogliono portare a una riforma dell'igiene e della medicina, né si rende portavoce della richiesta di abolizione della schiavitù. Il suo appello infatti trascende ogni singolo aspetto per contenerli tutti: la richiesta è quella di fare vere rinunce, non in senso ascetico ma per vivere nella libertà di decisione per il regno di Dio. In questo modo ogni legame (familiare, sociale, economico etc.) viene relativizzato perdendo quindi il carattere di potenza assoluta. Ogni cosa impallidisce di fronte alla realtà del regno di Dio, che a partire da questo momento storico rappresenta tanto il mezzo quanto il fine dell'intera vita umana secondo le intenzioni del Creatore. Questa etica escatologica vige fino al compimento del regno di Dio, quando male, matrimonio e stato non esisteranno più, e vi sarà una totale ed eterna adesione alla realtà spirituale tanto predicata e tanto attesa.

3.LA COMUNITA' POST PASQUALE













La pasqua di resurrezione è l'origine della comunità cristiana, l'evento trasformante che ha reso necessario non solo il ricordo e la trasmissione degli insegnamenti di Gesù, ma anche la loro rielaborazione, interpretazione e attualizzazione. In poco tempo sono sorte nuove comunità che ben presto hanno sviluppato delle esigenze storiche nuove, i cui problemi non trovavano soluzione nei detti conosciuti di Gesù. Ecco quindi la necessità di prendere decisioni personali, conciliando il dono dello Spirito Santo con le esigenze dell'etica, con il comandamento dell'amore. Assistiamo quindi ad un vero e proprio sviluppo dell'etica cristiana, che assume la sapienza giudaica ed ellenistica, le leggi morali della società ed in genere tutto quello che poteva servire per coprire il più possibile la casistica di problemi all'interno delle chiese locali. Non vi era alcuna forma di esclusivismo cristiano proprio perché tutto ciò che è santo, giusto, buono, tutto ciò in cui vi è qualche virtù (Fil 4:8) poteva essere considerato cristiano in modo puro o indipendente. La coesistenza di diversi tipi di etica (di Paolo, Giovanni, Giacomo etc.) dimostra che esisteva un ampio campo di libertà e possibilità, secondo la molteplicità di doni dello Spirito Santo. In questo nuovo contesto emergono necessariamente nuove autorità etiche: la chiesa in quanto comunità (cfr. 1 Cor 5), l'apostolo come padre spirituale delle comunità da lui fondate (cfr. 1 Cor 4:14-17) e successivamente i direttori di comunità nominati dagli apostoli stessi. Questa impostazione si è consolidata secondo un passaggio a più livelli. Inizialmente infatti vi era soltanto la parola di Gesù convalidata mediante la pasqua, in un secondo momento questa stessa parola si è potuta attualizzare in base alle situazioni storiche delle comunità, arrivando infine ad uno sviluppo ulteriore dell'etica cristiana mediante concetti nuovi come l'etica dello Spirito in Paolo, la fondazione cristologica dell'etica, la parenesi battesimale e la lotta contro le potenze di questo mondo. 

Anche la comunità postpasquale vive un'etica di tipo escatologico, evitando di formulare trattati sulla filosofia della società, per intervenire solo nel momento in cui la situazione specifica degli ascoltatori e dei lettori rende necessaria una direttiva concreta. Ecco quindi che la cessione e comunione dei beni descritta negli Atti, non ha un intento assolutistico ma funge da esempio (probabilmente con un certo grado di idealizzazione) di libertà nell'accoglienza della causa del regno di Dio. Il problema anche in questo caso non è la proprietà in quanto tale, ma piuttosto il rapporto tra la proprietà e l'uomo. Il possesso della proprietà infatti esercita un potere sul cuore dell'uomo, che ne risulta legato. Per questo motivo vi sono così tante esortazioni a non accumulare tesori terreni (p.es. Mt 6:19), ma anche denunce relative all'impossibilità di servire contemporaneamente Dio e la ricchezza (cfr. Mt 6:24). In tutto questo quindi non troviamo nulla di simile ad una concezione comunista, ma piuttosto delle linee guida su come superare certi ostacoli pratici che allontanano da una vita piena di amore per il Signore e per il suo regno. Dalla parte opposta infatti, la stessa povertà non viene glorificata ma considerata secondo la stessa luce critica dell'escatologia. Il regno dei cieli infatti non appartiene ai poveri in quanto tali, ma ai poveri in spirito (Mt 5:3). 

Più avanti con il tempo, troviamo un'ulteriore sviluppo del pensiero etico cristiano nella formazione delle prime comunità ellenistiche, come quella di Antiochia di Siria. Queste chiese locali sono il frutto della missione fra i gentili, e manifestano notevoli differenze rispetto alle comunità giudeo-cristiane. In questi nuovi contesti viene accettata la combinazione della legge di Mosè con la tradizione di Gesù, sviluppando però anche il presupposto storico che porterà alla teologia ed etica paolina. Il solo e semplice passaggio verso la cultura ed il linguaggio ellenistico rese necessaria la formazione di termini nuovi: euaggélion, khàris, agape, per esempio; ma anche termini spiccatamente etici come areté (virtù) e synéidesis (coscienza), riscontrabili in Fil 4:8 e Rom 2:15. Le comunità presenti nei territori greco-romani erano soggette a pressioni pagane molto potenti, e per questo motivo si dovette rispondere con delle regole di vita cristiana molto chiare, espresse per esempio con la parenesi battesimale illustrata da Paolo in Romani 6. In questo contesto troviamo anche i cataloghi di vizi e virtù (cfr. 1 Cor 6:9 e seguenti, Gal 5:19 e seguenti) adottati sicuramente da un ambiente ellenistico ma rivisti nell'ottica cristiana. Non bisogna dimenticare il fatto che la predicazione missionaria rimaneva e rimarrà sempre un annunzio del giudizio, che non esaspera tuttavia uno stile di vita legalistico proprio grazie al kerygma, all'annuncio di Cristo Salvatore. 

4.L'ETICA CRISTOCENTRICA DI PAOLO













L'apostolo Paolo ha senz'altro dato un contributo fondamentale allo sviluppo dell'etica cristiana, attingendo prevalentemente a tre tipi di importanti tradizioni:

1) Il kerygma dell'unico vero Dio in contrasto con il politeismo pagano.
2) La predicazione escatologica del giudizio, in accordo con la tradizione sinottica (vista nel capitolo 2.UN'ETICA ESCATOLOGICA).
3) Le prime forme di parenesi etica di tipo battesimale. 

La sua battaglia avveniva su due fronti: quello giudaico (con la concezione che la legge porta alla salvezza), e quello gnostico (soprattutto a Corinto e Colossi, con la ricerca di una conoscenza nascosta necessaria a possedere già il regno di Dio). Per questi motivi la sua difesa era volta a rimarcare la gratuità della salvezza in Cristo (Rom 3:24) e camminare nello Spirito (Galati 5:25) da una parte, e dall'altra a sostenere l'energica predicazione del "non ancora" escatologico. Il regno di Dio infatti non si è ancora pienamente manifestato, ed è proprio lo Spirito Santo che insegna ad attendere e sospirare la redenzione non ancora avvenuta (Rom 8). Per l'apostolo quindi il senso dell'etica cristiana si posiziona tra la resurrezione di Cristo e l'apparizione finale del Signore; essa è perciò necessaria unicamente in questo periodo intermedio della chiesa. Le sue indicazioni sono peraltro squisitamente "comunitarie", in quando provengono dalla comunità e valgono per essa; al contrario, per esempio, dell'etica degli stoici rivolta a tutti gli uomini. 

Purificatevi del vecchio lievito, per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata. Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità.
1 Corinzi 5:7,8

In queste poche frasi inviate ai Corinti possiamo renderci conto della motivazione cristologica dell'etica paolina. La necessità di purificazione infatti nasce proprio dalla morte sacrificale di Cristo. Parafrasando, possiamo trovare il seguente significato: "divenite quello che siete già realmente mediante Cristo, cioè vivete la nuova esistenza partendo da Cristo". Non è un'etica del dovere, o dell'ubbidienza ad uno status, ma un nuovo concetto etico della persona che agisce in Cristo e per Cristo.

Ci sono però altre due motivazioni in questo tipo di etica. La prima è quella sacramentale, e si vede per esempio nell'insegnamento del battesimo quale unione con la morte e resurrezione di Cristo (Rom 6) in vista della libertà dalla tirannia del peccato. La seconda invece è quella pneumatologica, ed è mostrata dalla necessità della presenza e comunione con lo Spirito per adempiere la volontà di Dio e produrre i frutti desiderati (cfr. Rom 8, Galati 5). Lo Spirito Santo dunque compie la legge di Dio, attraverso l'azione degli stessi cristiani. Il tutto però deve essere vincolato dall'amore per essere confermato tanto dalla chiesa quanto dal Signore stesso.

Ora, fratelli, vi esorto, per il Signore nostro Gesù Cristo e per l'amore dello Spirito, a combattere con me nelle preghiere che rivolgete a Dio in mio favore [...] 
Romani 15:30 

Or la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato.
Romani 5:5 

L'amore è il legame che sussiste tra Dio e l'uomo, e che si concretizza nelle opere dei cristiani. Esso è divino ed umano contemporaneamente, e si origina proprio dalla croce di Cristo. Un amore che si sacrifica, si dedica e serve, che non pensa al proprio interesse ma piuttosto a quello del prossimo (Fil 2). Questa concezione dell'amore è agli antipodi di tutta l'antichità, e si allontana dalla virtù aristocratica dei sapienti, dalla ragione dell'uomo, dalla virtù del cittadino della polis, o dalla maturazione in un processo pedagogico. Questo amore è dono di Dio in Cristo, una realizzazione della salvezza. 

Esso trova una sua manifestazione anche nel rapporto tra la comunità e il mondo, e in molti altri aspetti di vita pratica e sociale. 

Ma questo dichiaro, fratelli: che il tempo è ormai abbreviato; da ora in poi, anche quelli che hanno moglie, siano come se non l'avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che si rallegrano, come se non si rallegrassero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano di questo mondo, come se non ne usassero, perché la figura di questo mondo passa.
1 Corinzi 7:29,31 

Il tempo rimanente prima della fine è molto breve, i credenti in Cristo sono nuove creature che, entrando in questa nuova creazione (ossia nella Chiesa), sono invitati a vivere in modo degno della loro chiamata. Non abbiamo un disprezzo del mondo come quello dei cinici, degli scettici o degli gnostici, ma una santificazione derivata da un fatto molto positivo: la presenza della salvezza. 

Nonostante l'attesa escatologica, il comportamento da tenere deve essere sempre rappresentativo della rinnovata realtà interiore. Un primo esempio importante di questa attitudine può essere trovato nella seconda lettera ai Tessalonicesi, al terzo capitolo. Questo brano presenta quello che viene chiamato "il comandamento del lavoro", che manifesta la necessità di continuare a lavorare per non essere di peso a nessuno ed agire in modo ordinato. E' evidente la ricerca di un delicato equilibrio tra la consapevolezza di non appartenere a questo mondo e quella di esserci in mezzo. Come abbiamo visto precedentemente la soluzione non è quella di estraniarsi, ma di continuare a usare di questo mondo, facendolo però come se non lo si facesse. Un'attitudine di cuore volta alla libertà da ogni legame, e alla testimonianza dell'opera di Cristo.
Vi può essere qualche difficoltà a mettere a fuoco questo pensiero proprio perché esso non è sistematizzato in un vero e proprio concetto etico, ma viene presentato sempre e comunque in risposta a situazioni concrete delle comunità, rendendo l'apostolo Paolo un "etico della situazione". Un secondo esempio dell'equilibrio e della necessità di dare una buona testimonianza, è presente nella lettera ai Romani, al tredicesimo capitolo. I primi versetti riguardano la posizione dei cristiani di Roma verso i funzionari e le autorità dell'impero. In questo contesto Paolo non si pone neanche il problema della legittimità del potere romano, arrivando subito dritto al punto: questa autorità politica esiste perché è stata voluta da Dio, e quindi bisogna necessariamente sottomettervisi. Qui non troviamo alcuna motivazione cristologica dello stato, anche se si tratta comunque di una conseguenza significativa dell'amore e dell'umiltà. Prima delle sanzioni, deve essere la stessa coscienza dei cristiani a vincolarli verso lo stato, riconoscendo in esso un ordinamento divino. 
Un terzo esempio può essere quello della prima lettera ai Corinti al settimo capitolo. Questo brano risponde ad alcune domande specifiche relative al matrimonio. Paolo respinge tanto la tendenza libertina quanto quella dell'ascetismo radicale, restringendo la libertà al cristiano che di fatto non deve cedere alla carne e ai suoi desideri, ma neanche perseguire una forma di ascesi assoluta. C'è il consiglio di non sposarsi a causa dell'attesa del regno di Dio e per non essere occupati da altro che piacere e servire Lui, ma c'è anche la consapevolezza che il matrimonio è un ordinamento sacro voluto dal Signore, e che di conseguenza è "cosa buona". La chiamata di Dio non strappa l'uomo dalla sua posizione storico-sociale, pertanto non esiste una "rivoluzione sociale" ma l'esortazione che "ciascuno continui a vivere secondo lo stato che gli fu assegnato dal Signore". 

5.CONCLUSIONE














Il Nuovo Testamento evita di formulare un pensiero etico completo, principalmente perché questo non è il suo scopo. Il messaggio del regno di Dio e il significato del sacrificio di Cristo, infatti, rappresentano qualcosa di molto più grande, che trascende i singoli aspetti della vita umana pur comprendendoli tutti. L'urgenza verte sulla libertà di risposta ed adesione alla chiamata di Dio, a cui deve seguire un'adeguata condotta di vita. Per questo motivo possiamo descrivere l'etica neotestamentaria come escatologica in primo luogo, e parenetica in secondo. Escatologica perché vive nell'attesa dell'instaurazione del regno di Dio, e parenetica in quanto manifesta unicamente delle risposte alle singole esigenze storico-sociali delle comunità o dei cristiani a cui erano rivolti gli scritti biblici. 


Nel tempo attuale, è logico pensare che i cristiani contemporanei debbano fare altrettanto: ubbidire alle indicazioni delle Scritture, ma anche a quelle delle nuove autorità etiche sorte nel frattempo: l'assemblea ecclesiastica nel suo insieme, gli apostoli fondatori delle comunità e i responsabili da loro nominati nelle rispettive chiese locali. Queste autorità sono chiamate in causa soprattutto quando la risposta a un determinato problema non è contemplato dalle parole di Gesù nei vangeli o dal resto dei libri biblici, ma è consigliabile che essi possano seguire un ragionamento simile a quello dell'apostolo Paolo: evitare cioè qualsiasi "rivoluzione sociale" per valorizzare ogni persona alla luce del regno di Dio, in sottomissione al più importante tra tutti i comandamenti:

Uno degli scribi che li aveva uditi discutere, visto che egli aveva risposto bene, si avvicinò e gli domandò: «Qual è il più importante di tutti i comandamenti?» Gesù rispose: «Il primo è: "Ascolta, Israele: Il Signore, nostro Dio, è l'unico Signore. Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua". Il secondo è questo: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Non c'è nessun altro comandamento maggiore di questi». 
Marco 12:28-31 


Bibliografia:

- Wendland Heinz-Dietrich, Etica del Nuovo Testamento, Paideia Editrice Brescia.

Sitografia:
- http://www.treccani.it/enciclopedia/etica/

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