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domenica 20 ottobre 2019

Jahvè-Nissi: Il Signore è la mia bandiera



INTRODUZIONE


Nel grande progetto teologico e letterario del Pentateuco troviamo un percorso che fungerà da matrice non soltanto per l'Israele dei primordi, ma anche per quello sofferente al tempo delle deportazioni, lasciando un'eco delle sue tracce fino all'ultimo libro del Nuovo Testamento, ossia l'Apocalisse di Giovanni. 

Possiamo delineare con maggiore precisione questo movimento, rilevandolo dal libro biblico dell'Esodo:
  1. Uscita dall'Egitto (1:1-15:21)
  2. Marcia attraverso il deserto (15:22-18:27)
  3. Avvenimenti del Sinai (19-40)
Il punto di partenza dunque è la sofferenza dei discendenti di Giacobbe nella schiavitù egiziana, che provoca il diretto intervento di Jahvè mediante un uomo che egli sceglie per questo specifico scopo: Mosè. Con potenti e prodigiosi interventi divini, questo popolo riesce quindi a fuggire dall'Egitto per intraprendere il suo pellegrinaggio nel deserto avanzando verso il monte di Dio: luogo in cui potrà finalmente rispondere in modo ufficiale all'appello di Jahvè e stabilire con lui un patto corporativo.
Questo tempo di cammino e di attesa è travagliato, ma porta anche a nuove rivelazioni su Dio e sulla loro relazione. La prima difficoltà incontrata da Israele è quella della scarsità di acqua e cibo. In molti esprimeranno il rimpianto di essere fuggiti dall'Egitto dove, pur essendo schiavi, almeno avevano l'essenziale per vivere. Dio però ha voluto utilizzare questa distretta per rinnovare la rivelazione vissuta dal loro patriarca Abramo a riguardo della provvidenza (Gen. 22:14): egli infatti è il Dio che provvede. Dopo aver mangiato e bevuto, però, il popolo non ha tempo per riposarsi in quanto una nuova sfida lo aspetta, foriera però anche di una più profonda comprensione dello stesso Signore che li ha portati alla libertà.
LA GUERRA CONTRO AMALEC
Allora venne Amalec per combattere contro Israele a Refidim. E Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci a combattere contro Amalec; domani io starò sulla vetta del colle con il bastone di Dio in mano». Giosuè fece come Mosè gli aveva detto e combatté contro Amalec; e Mosè, Aaronne e Cur salirono sulla vetta del colle. E quando Mosè teneva le mani alzate, Israele vinceva; e quando le abbassava, vinceva Amalec. Ma le mani di Mosè si facevano pesanti. Allora essi presero una pietra, gliela posero sotto ed egli si sedette; Aaronne e Cur gli tenevano le mani alzate, uno da una parte e l'altro dall'altra. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. E Giosuè sconfisse Amalec e la sua gente passandoli a fil di spada. Il SIGNORE disse a Mosè: «Scrivi questo fatto in un libro, perché se ne conservi il ricordo, e fa' sapere a Giosuè che io cancellerò interamente sotto il cielo la memoria di Amalec». Allora Mosè costruì un altare che chiamò «il SIGNORE è la mia bandiera»; e disse: «Una mano s'è alzata contro il trono del SIGNORE, perciò il SIGNORE farà guerra ad Amalec di generazione in generazione».
Esodo 17:8-16
Possiamo notare il fatto che la narrazione di questo evento è concitata: Amalec e il suo esercito arrivarono semplicemente a fare guerra al popolo di Israele, senza che ne siano spiegati i motivi e il contesto. Del resto anche dall'altra parte non troviamo dettagli sullo stato d'animo di Mosè o del suo popolo, ma solo il veloce piano d'azione che prevedette la scelta da parte di Giosuè di alcuni uomini abili alla guerra e la scelta di Mosè di salire sulla vetta di un colle con Aaronne e Cur, ma soprattutto con il bastone di Dio. Lo stesso bastone che, per ordine divino, poco tempo prima aveva aperto il Mar Rosso e permesso che il popolo passasse in mezzo al mare camminando sul terreno asciutto, è adesso preso in causa come vero strumento di vittoria. E, infatti, nel breve racconto che abbiamo letto emerge come, sebbene la guerra fosse combattuta da Giosuè e dai suoi uomini, in realtà l'esito derivasse dai gesti di Mosè e da quanto egli tenesse le mani alzate.
Per Dio non c'è differenza tra le difficoltà che Israele mano a mano incontrava. Egli è colui che governa la natura, e lo ha dimostrato tanto aprendo il mare quanto intervenendo per provvedere cibo e acqua per il popolo. Ma egli è anche colui che ha stabilito per le nazioni delle epoche assegnate e dei confini alle loro abitazioni (Atti 17:26). Sia Mosè che Giosuè sono stati risoluti sia nel rispondere alla minaccia incalzante e presentarsi per combattere, sia nella consapevolezza che il risultato di quella battaglia sarebbe stato stabilito non tanto dalla loro effettiva forza o tecnica ma dal fatto che il Signore era con loro. Questa nuova esperienza tuttavia dimostra la fondatezza della loro fede anche al resto del popolo, e persino ai loro discendenti, in quanto è il Signore stesso a chiedere che se ne tenga memoria. In seguito alla vittoria, Mosè costruisce un altare, segno votivo della sua fede, chiamandolo “Il Signore è la mia bandiera”. La bandiera è da sempre simbolo di identità, di coesione, di appartenenza a determinati valori o gruppi sociali e Mosè tramite questa esperienza capisce bene che l'identità del popolo che ha portato su richiesta del Signore verso la libertà non è da ricercarsi in sé stesso ma in quello stesso Signore che ha procurato questa chiamata e liberazione. Lui è la bandiera di Israele e questo è il tratto distintivo di questo popolo rispetto a tutte le altre nazioni sulla terra.
Da questo racconto biblico, come sempre possiamo trarre poi delle considerazioni ermeneutiche valide anche per noi, cristiani del XXI secolo. Anche noi infatti, come l'Israele peregrino, camminiamo dal momento della nostra conversione in un deserto - che rappresenta il nostro mondo - verso il luogo del Monte di Dio, dove poter suggellare la nostra relazione con lui in modo definitivo ed eterno. Anche noi attraversiamo nella nostra vita sfide molto concrete, e possiamo imbatterci in difficoltà di carattere primario: cosa mangiare, e come vestirci. Ma Gesù, nella distretta finanziaria, ci rassicura sul fatto che il Padre provvede ai nostri bisogni (Mt. 6). Anche noi, dopo aver ricevuto la rivelazione per esperienza della provvidenza di Dio, possiamo rimanere sbigottiti da attacchi personali nei nostri confronti, da accuse spesso ingiuste. E in questo caso la nostra fede ci porta a conoscere Dio come colui che è la nostra bandiera. Colui che ci rappresenta e che determina la nostra vittoria. Sì, la nostra vittoria non è determinata dal vigore della nostra forza o dalla nostra difesa, ma dalla sua autorità e dalla sua presenza nella nostra vita. Amalec non ha chiesto permesso per muovere guerra, e in modo simile anche nella nostra vita molte persone ostili non ci chiederanno il permesso per attaccarci. Ma la nostra anima deve restare salda come quella di Mosè e Giosuè, confidando nel Dio che ci ha chiamati a libertà e a salvezza, e che questo stesso Dio ci porterà anche verso la vittoria in queste battaglie e guerre.
Ritengo opportuno concludere questa riflessione leggendo le seguenti importanti parole scritte secoli dopo gli eventi che abbiamo considerato, come promesse e eredità comuni ai cristiani di ogni epoca:
Che diremo dunque riguardo a queste cose? Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica. Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi. Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Com'è scritto: «Per amor di te siamo messi a morte tutto il giorno; siamo stati considerati come pecore da macello». Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun'altra creatura potranno separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
Romani 8:31-39

CONCLUSIONE

Il Signore è la mia bandiera” è stato un nome che Mosè ha dato a un nuovo altare dopo l'esperienza di una vittoria militare ottenuta attraverso la fiducia nella presenza e autorità di Dio, simboleggiata dallo stesso bastone che in precedenza aveva aperto il Mar Rosso, permettendo a un intero popolo di camminare verso la salvezza.

Il Signore è la mia bandiera” è il nome che ogni cristiano può comprendere per esperienza crescendo nella propria vita di fede con il Signore e vedendo come egli prende la nostra difesa di fronte agli attacchi ingiustificati che talora riceviamo. Non c'è da avere paura nelle battaglie di ogni giorno, ma la fede che scaturisce dall'esperienza. Dio è con noi, e sebbene questo non ci esenta dalle nostre responsabilità, ci dà la certezza che egli è colui che ci rappresenta, e non le nostre capacità o alleanze. Di conseguenza la nostra vittoria è in lui e non in noi stessi: questo ci deve dare una grande serenità anche nei momenti più difficili.

Nell'epoca del rientro dall'esilio babilonese, al popolo di Giuda venne rivolta questa parola da parte del Signore: “Non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio", dice il SIGNORE degli eserciti.” (Zac. 4:6). E allo stesso modo, anche per noi deve essere così, ancora oggi, giorno dopo giorno. 

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