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domenica 8 settembre 2019

Se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli



INTRODUZIONE


Il Vangelo secondo Matteo viene riconosciuto come il “Vangelo ecclesiale” perché proprio la chiesa risulta essere uno dei principali argomenti trattati, e in modo unico rispetto agli altri Vangeli Sinottici, ossia Marco e Luca. Basti pensare che la parola “chiesa” ricorre qui 3 volte e negli altri vangeli nessuna. La parola “fratello” ricorre invece addirittura 39 volte contro le sole 20 di Marco e 24 di Luca. Gia questi due piccoli flash statistici sul lessico manifestano indizi importanti proprio in questo senso.

Da un punto di vista dottrinale, invece, questo vangelo possiede altre peculiarità da segnalare, tra le quali la più importante riguarda la suddivisione degli insegnamenti in cinque grandi e famosi discorsi di Gesù. Appare evidente che il redattore, pur essendo in polemica contro la sinagoga, è familiare con l'ebraismo del tempo e per questo motivo utilizza una divisione in cinque unità dal grande impatto simbolico (cinque sono i libri di Mosè, la Torah, e cinque sono i libri dei Salmi, i Tehillim), per consegnare ai discepoli di Cristo un nuovo e definitivo insegnamento che si inserisce in continuità con le precedenti Scritture, pur andando al di là di esse portandole a compimento. Ecco quindi che troviamo il discorso della montagna (5:1-7:29), il discorso di missione (9:35-10:42), il discorso in parabole (c.13), il discorso ecclesiale (18:3-34) e infine il discorso escatologico (23:1-25:46). Il versetto che stiamo considerando oggi si inserisce quindi chiaramente nel discorso ecclesiale, ed è in quest'ottica che dobbiamo considerarlo.

DIVENTARE COME BAMBINI


La prima considerazione che dobbiamo fare a riguardo di questo insegnamento è il fatto che sia rivolto ai discepoli (18:1). È direttamente a loro – e a noi – che Gesù si rivolge: non agli scribi o farisei, non alle moltitudini. Diverse frasi vengono qui raccolte con delle specifiche “parole di aggancio”: ossia “bambino “ (vv. 2.3.4.5.) e “piccoli” (vv. 6.10.14.), che risultano quindi parole chiave per la comprensione del brano e per ogni comunità che accoglie il regno dei cieli. Nel suo complesso, è possibile ravvisare in questo discorso la preoccupazione per le divisioni all'interno delle comunità, il peccato e la condizione dei fratelli deboli. Sempre qui troviamo una procedura per risolvere i conflitti (18:15-20), pur affidandosi tutti alla misericordia del Padre.

Iniziando la lettura del diciottesimo capitolo, troviamo che i discepoli chiedono al Signore chi sia il più grande del regno dei cieli – eufemismo nato per rendere “regno di Dio” senza nominarlo invano – una discussione probabilmente affrontata più volte, come riportano i vangeli (p. es. Lc. 22:24). Al che, Gesù prende un παιδίον – paidion – bambino/fanciullo, lo pone in mezzo ai discepoli e dice:

In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.

La prima cosa che salta all'occhio, e non c'è bisogno di studi particolari per notarlo, è il paradosso di questa affermazione che fa degli elementi sociali più ignorati addirittura un modello per poter entrare nel regno dei cieli. I discepoli discutono su chi sia più grande, e Gesù risponde prendendo il più piccolo tra i presenti. Come fa presente R.T. France, la caratteristica che viene presa in considerazione non è tanto di carattere personale dei bambini (innocenza, umiltà, sensibilità o fiducia) quanto la loro posizione sociale. Restando aderenti al libro in considerazione, è possibile riscontrare che il termine tradotto con “bambini” compare 15 volte nel Vangelo secondo Matteo e principalmente identificando Gesù stesso da piccolo (2:8-9; 2:11,13-14 e 20-21), coloro che erano tra i presenti alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, i protagonisti del 18mo capitolo che stiamo considerando e, infine, i presenti in un'ultima considerazione simile che sarà ripetuta nel diciannovesimo capitolo. Trovo significativo quindi che questo termine ha in sé in questo libro biblico una connotazione marcatamente positiva: non è mai usato con accezione anche solo parzialmente negativa, come ad esempio da Paolo in 1 Corinzi 14:20. I bambini di cui parla Matteo sono coloro che per la loro giovane età vengono disprezzati dalla società. Sono tra gli ultimi. Sono poveri in spirito, semplici, senza alcuna proprietà. Sono proprio come Gesù, un ebreo della periferica Galilea che cresce senza alcun riconoscimento umano ma con una salda fede in Dio. E tale doveva essere anche per questi fanciulli che nel vangelo hanno sempre una cosa in comune: sono presenti alla predicazione di Gesù.

Ecco quindi che abbiamo tratteggiato un sommario – ma forse sufficiente – identikit di questi bambini a cui dobbiamo conformarci in quanto discepoli di Cristo. Persone che stanno davanti alla presenza di Gesù e lo ascoltano. Che non meditano su chi sia il più importante (come stavano facendo i discepoli) ma che vivono la propria fede nell'intimo, con una devozione personale che non è ostentata ma comunque profondamente radicata. Persone che non impongono la loro influenza e il loro potere politico e sociale ma che vivono in mansuetudine, senza sentirsi superiori a nessuno. Questa identificazione trova una sua conferma proprio in un'altra volta che Gesù dovette entrare sul tema e rispondere – questa volta in modo ancor più chiaro – ai discepoli che riflettevano sempre sulla medesima questione:

Fra di loro nacque anche una contesa: chi di essi fosse considerato il più grande. Ma egli disse loro: «I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che le sottomettono al loro dominio sono chiamati benefattori. Ma per voi non dev'essere così; anzi il più grande tra di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve. Perché, chi è più grande, colui che è a tavola oppure colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve. Or voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io dispongo che vi sia dato un regno, come il Padre mio ha disposto che fosse dato a me, affinché mangiate e beviate alla mia tavola nel mio regno, e sediate su troni per giudicare le dodici tribù d'Israele.
Luca 22:24-30

Ecco la chiave di comprensione che possiamo ricavare dal confronto con questo ulteriore brano: chi governa deve essere come chi serve. Chi è grande tra i discepoli di Cristo deve essere come i più piccoli, ossia come i bambini. Risulta interessante a questo riguardo notare che l'immagine usata da Gesù per farsi capire meglio riguarda la tavola: tra chi è seduto a mangiare e chi serve. In continuità con questo insegnamento è impossibile non accorgersi che il primo (in senso cronologico) ministero istituzionale stabilito nella Chiesa di Gerusalemme è proprio quello del servizio alla mensa, ossia del diaconato (cfr. Atti c.6). Esiste una diaconìa di tutti i credenti (Ef. 4,12) ed è proprio quella del servizio amorevole, ma concreto, verso il prossimo in difficoltà. Chi serve in questo modo, è grande nel regno dei cieli, vive secondo l'esempio di Cristo per grazia di Dio, e un giorno potrà accostarsi alla tavola nel regno del nostro Signore.

CONCLUSIONE


Dai vangeli possiamo vedere che diverse volte i discepoli discutevano tra di loro pensando chi fosse il più grande nel regno di Dio, questa attitudine tuttavia non è solo loro ma ci appartiene: è parte della nostra carnalità. Quante volte abbiamo noi stessi formulato pensieri simili? Anche senza guardare alle statue o alla gerarchia Cattolica romana, ma rimanendo nel nostro contesto evangelico, quante volte abbiamo riflettuto sui pastori e predicatori più in vista pensando a chi sia il più grande? Quante “classifiche” abbiamo fatto o competizioni abbiamo corso nel ministero?

Proprio in questi ragionamenti si inserisce oggi la risposta di Gesù, che ci distoglie dall'attenzione verso tutto questo, alleggerendo di molto nello stesso tempo i pesi inutili che spesso portiamo. La logica del regno di Dio per molti aspetti e contraria a quella della nostra società, e diviene imperativo per noi prendere del tempo ogni volta che ne abbiamo bisogno per conformare meglio la nostra mente alla Parola di Dio e distaccarci dalla mentalità del presente secolo. In questo modo, grazie all'aiuto dello Spirito Santo, potremo avvicinarci sempre di più allo stile di vita di Gesù, che per primo è venuto a noi non per essere servito ma per servire.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  • Rafael Aguirre Monasterio, Antonio Rodriguez Carmona, Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, Paideia Editrice, Brescia, 1995.
  • R. T. France, Il Vangelo secondo Matteo, Edizioni GBU, Chieti-Roma, 2004.

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