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venerdì 19 aprile 2019

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Poiché tu non abbandonerai l'anima mia in potere della morte,
né permetterai che il tuo santo subisca la decomposizione.
Salmo 16:10 

 INTRODUZIONE

Senza ombra di dubbio, il fulcro di tutti e quattro i Vangeli sinottici risiede nel racconto finale della passione, morte e risurrezione di Gesù. È infatti attraverso questo evento che il gruppo di discepoli costituito prima di questa Pasqua rilegge tutti gli eventi vissuti in precedenza, comprendendo in modo più profondo ogni intervento e insegnamento di Gesù e costituendo sulla base di tutto questo finalmente una vera e propria comunità attraverso la quale il Signore può continuare a operare mediante il dono dello Spirito Santo. 

Tuttavia nella dinamica evangelica non vi è risurrezione senza morte, né esaltazione senza una precedente umiliazione. Per questo motivo gli evangelisti si impegnano a descrivere le circostanze che hanno portato alla morte Gesù. Non una morte comune, né una morte in eroica battaglia, ma una morte la cui caratteristica principale è quella di essere in perfetto accordo con le parole profetiche delle Scritture e in totale sottomissione alla volontà di Dio Padre. Una morte dunque carica di significati teologici, ossia relativi a una maggiore comprensione di Dio. 

In questa ricorrenza del Venerdì Santo perciò, giorno in cui il mondo cristiano commemora la morte del Signore, vorrei approfondire il racconto della passione di Cristo attraverso la narrazione che troviamo nel più antico Vangelo secondo Marco, evidenziando soprattutto i collegamenti di quest'ultimo con le Scritture dell'Antico Testamento. 

1. NEL LUOGO DETTO GOLGOTA

La prima cosa da fare è leggere in modo esteso il brano in questione. L'ideale sarebbe leggere con interezza i capitoli 14 e 15 del Vangelo, ma per esigenze di analisi ci soffermeremo in questo contesto su una selezione del quindicesimo capitolo. Avendone la possibilità, consiglio comunque di interrompere adesso la lettura dell'articolo per riprenderla dopo aver letto nella loro totalità i due capitoli indicati. In alternativa, di seguito riporto l'estratto più rilevante.
Costrinsero a portare la croce di lui un certo Simone di Cirene, padre di Alessandro e di Rufo, che passava di là, tornando dai campi. E condussero Gesù al luogo detto Golgota che, tradotto, vuol dire «luogo del teschio». Gli diedero da bere del vino mescolato con mirra; ma non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirandole a sorte per sapere quello che ciascuno dovesse prendere. Era l'ora terza quando lo crocifissero. L'iscrizione indicante il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei. Con lui crocifissero due ladroni, uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra. [E si adempì la Scrittura che dice: «Egli è stato contato fra i malfattori».] Quelli che passavano lì vicino lo insultavano, scotendo il capo e dicendo: «Eh, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso e scendi giù dalla croce!» Allo stesso modo anche i capi dei sacerdoti con gli scribi, beffandosi, dicevano l'uno all'altro: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso. Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, affinché vediamo e crediamo!» Anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. Venuta l'ora sesta, si fecero tenebre su tutto il paese, fino all'ora nona. All'ora nona, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì lamà sabactàni?» che, tradotto, vuol dire: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Chiama Elia!» Uno di loro corse e, dopo aver inzuppato d'aceto una spugna, la pose in cima a una canna e gli diede da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se Elia viene a farlo scendere». Gesù, emesso un gran grido, rese lo spirito. E la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. E il centurione che era lì presente di fronte a Gesù, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Veramente, quest'uomo era Figlio di Dio!» Vi erano pure delle donne che guardavano da lontano. Tra di loro vi erano anche Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo il minore e di Iose, e Salome, che lo seguivano e lo servivano da quando egli era in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
Marco 15:21-40 
La cosa che appare evidente sin da una prima lettura, è che questo racconto non comprende molte descrizioni generali del contesto, del luogo o delle persone coinvolte ma, al contrario, è ricco di singoli dettagli riportati proprio perché carichi di un particolare significato teologico. Non abbiamo idea di come sia il luogo detto Golgota, ma sappiamo che il suo nome significa "luogo del teschio", e questo è importante perché è qui che sta per avvenire la morte del Signore, lasciando intendere come questo luogo fosse predestinato a tal scopo da Dio. Non sappiamo a questo punto quante persone fossero presenti, cosa dicevano, come erano vestite, quanto tempo richiese la crocifissione, ma sappiamo il dettaglio che appena questa fu compiuta i soldati romani si divisero le vesti di Gesù tirando a sorte. Perché? Perché questo dettaglio era presente nelle Scritture, e questa testimonianza non fa altro che avvalorare che tutto quello che sta accadendo è nella piena volontà di Dio, una volontà così perfetta e immutabile da essere stata descritta secoli prima in un Salmo composto dal più grande monarca di Israele: il Salmo 22. Questo adempimento è il primo ma non l'ultimo, infatti tutto il resto della descrizione si incrocia più volte con questo Salmo particolare che merita una lettura dedicata per poter infine tornare al nostro brano originario con una maggiore capacità di comprensione. Al di là delle singole citazioni e allusioni infatti, tutto il Salmo 22 e il suo significato teologico all'epoca del Vangelo di Marco sono fondamentali per rilevare come sia stato ri-compreso negli eventi della Passione, costituendone non solamente una realtà tangente ma una vera e propria matrice teologica lungo l'intera narrazione. Leggiamo dunque con attenzione il Salmo 22, parte del primo dei cinque libri dei Salmi e per questo attribuito al prode re Davide.

2. DIO MIO, PERCHÈ MI HAI ABBANDONATO?
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito!
Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi,
e anche di notte, senza interruzione.
Eppure tu sei il Santo,
siedi circondato dalle lodi d'Israele.
I nostri padri confidarono in te;
confidarono e tu li liberasti.
Gridarono a te, e furon salvati;
confidarono in te, e non furono delusi.
Ma io sono un verme e non un uomo,
l'infamia degli uomini, e il disprezzato dal popolo.
Chiunque mi vede si fa beffe di me;
allunga il labbro, scuote il capo,
dicendo:
«Egli si affida al SIGNORE;
lo liberi dunque;
lo salvi, poiché lo gradisce!»
Sì, tu m'hai tratto dal grembo materno;
m'hai fatto riposare fiducioso sulle mammelle di mia madre.
A te fui affidato fin dalla mia nascita,
tu sei il mio Dio fin dal grembo di mia madre.
Non allontanarti da me, perché l'angoscia è vicina,
e non c'è alcuno che m'aiuti.
Grossi tori mi hanno circondato;
potenti tori di Basan m'hanno attorniato;
aprono la loro gola contro di me,
come un leone rapace e ruggente.
Io sono come acqua che si sparge,
e tutte le mie ossa sono slogate;
il mio cuore è come la cera,
si scioglie in mezzo alle mie viscere.
Il mio vigore s'inaridisce come terra cotta,
e la lingua mi si attacca al palato;
tu m'hai posto nella polvere della morte.
Poiché cani mi hanno circondato;
una folla di malfattori m'ha attorniato;
m'hanno forato le mani e i piedi.
Posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano e mi osservano:
spartiscono fra loro le mie vesti
e tirano a sorte la mia tunica.
Ma tu, SIGNORE, non allontanarti,
tu che sei la mia forza, affrèttati a soccorrermi.
Libera la mia vita dalla spada,
e salva l'unica vita mia dall'assalto del cane;
salvami dalla gola del leone.
Tu mi risponderai liberandomi dalle corna dei bufali.
Io annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all'assemblea.
O voi che temete il SIGNORE,
lodatelo!
Voi tutti, discendenti di Giacobbe,
glorificatelo,
temetelo voi tutti, stirpe d'Israele!
Poiché non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del sofferente,
non gli ha nascosto il suo volto;
ma quando quello ha gridato a lui, egli l'ha esaudito.
Tu sei l'argomento della mia lode nella grande assemblea;
io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono.
Gli umili mangeranno e saranno saziati;
quelli che cercano il SIGNORE lo loderanno;
il loro cuore vivrà in eterno.
Tutte le estremità della terra si ricorderanno del SIGNORE e si convertiranno a lui;
tutte le famiglie delle nazioni adoreranno in tua presenza.
Poiché al SIGNORE appartiene il regno,
egli domina sulle nazioni.
Tutti i potenti della terra mangeranno e adoreranno;
tutti quelli che scendon nella polvere
e non possono mantenersi in vita
s'inchineranno davanti a lui.
La discendenza lo servirà;
si parlerà del Signore alla generazione futura.
Essi verranno e proclameranno la sua giustizia,
e al popolo che nascerà diranno com'egli ha agito.
Salmo 22 Al direttore del coro. Su «Cerva dell'aurora». Salmo di Davide.
Questa composizione vive di una forte tensione e contrapposizione tra la sensazione opprimente dell'abbandono di Dio (vv. 1-3) e la visione della sua santità e intronizzazione in Sion (v. 4). A mediare tra questi due opposti, troviamo i ricordi degli interventi salvifici del passato (vv. 5-6). Lungo queste coordinate dunque si dipanano i versi. Davide è ridotto a oggetto di scherno e ridicolizzato dai suoi nemici, senza possibilità di fuga. La sua sofferenza disumana lo porta a pensare di essere stato completamente abbandonato da Dio, e gli avversari se ne approfittano dividendosi le vesti come se fosse già morto. In tutta questa situazione però, egli non smette di invocare il Signore, e infatti la sua speranza viene radicata nel suo intervento.

Nel giudaismo del I secolo questo Salmo rivestiva un ruolo importante per la comunità di Qumran, che lo comprendeva come la descrizione della propria rivalsa escatologica su Belial e i suoi agenti: una Sion vittoriosa i cui nemici sono soffocati e la cui lode è udita in tutto il mondo, una terra nuovamente generosa in cui "gli umili saranno saziati", la tribù di Giuda gioiosa ed esultante per la distruzione dei suoi nemici, e tutto ciò per la gloria di Jahvè1. L'attenzione posta su questo Salmo dunque ancor più che sulla descrizione del servo sofferente veniva posta sulla successiva reintegrazione escatologica della comunità alla gloria di Dio. I nemici, da re gentili ostili a Davide vengono nel corso del tempo sempre più spesso compresi come forze spirituali della malvagità, spesso legate ai popoli oppressori di Giuda, ma che alla fine non potranno fare a meno di sottomettersi e adorare Dio in questa definitiva vittoria finale. 

3. DALLA MORTE DEL SERVO DI DIO AL POPOLO CHE NASCERA'

Questi elementi di vittoria e speranza escatologica possono forse essere estranei al racconto di Marco? Sicuramente il suo intreccio si realizza in questo contesto quasi esclusivamente con la prima parte del Salmo, relativa alla sofferenza di Davide in quanto servo di Dio e - per estensione teologica e ricomprensione cristocentrica - a quella di Cristo, descritta minuziosamente. Sulla croce Cristo grida in modo esplicito proprio il primo verso di questo Salmo, evidenziando il senso di abbandono in un momento di sofferenza assoluta e straziante. Il disprezzo del popolo inoltre appartiene senz'altro a una condanna a morte per mezzo dell'infamante croce, così come il cuore che come cera di scioglie nelle viscere può esprimere in modo calzante l'atroce esperienza di questa tortura. La foratura delle mani e dei piedi divene espressione quasi esclusiva della croce e la spartizione delle vesti e della tunica da parte dei nemici conclude una serie di ricorrenze che, anche solo statisticamente, non può che combaciare in modo esatto e perfetto con lo specifico evento della crocifissione del Signore.

Ma i significati non possono fermarsi qui, a maggior ragione conoscendo gli avvenimenti raccontati successivamente. Ecco quindi che, in modo implicito, l'aspettativa giudaica tutta focalizzata nella seconda metà del Salmo non può evitare di essere inclusa e coinvolta proprio in questo momento di estremo dolore, come punto di partenza per una rinascita - anzi - per una risurrezione. La risurrezione che arriverà a Pasqua ma anche e soprattutto l'effetto che questa avrà per il popolo che nascerà e che dirà com'egli ha agito. Ecco, se è per la gioia che aveva dinanzi che Gesù sopportò la croce (Eb. 12:2), per lo stesso motivo l'evangelista si impegna a descrivere la crocifissione, consapevole che è verso questo momento che è necessario guardare per trovare la vera origine della sua comunità. Se la prima parte del Salmo 22 profetizza la morte in croce del Signore, infatti, gli ultimi versi profetizzano invece le relative conseguenze: la nascita di una comunità formata dalla discendenza del servo sofferente: la primitiva comunità cristiana.
La discendenza lo servirà;
si parlerà del Signore alla generazione futura.
Essi verranno e proclameranno la sua giustizia,
e al popolo che nascerà diranno com'egli ha agito.
Questo è "l'identikit" della comunità di Marco, e non solo della sua: di ogni comunità cristiana che legge questo Vangelo con piena fede nel fatto che Gesù è il Signore. A loro - e a noi - l'incarico di dire come egli (Gesù) ha agito, come e perché egli è morto, ossia in che modo questo eventi hanno portato alla loro (nostra!) nascita come popolo. Questa è l'origine dell'evangelizzazione, il momento del concepimento della Chiesa. Il luogo di morte per eccellenza dunque (il Teschio), anche mentre viene descritto con questo scopo trascende nella volontà di Dio assumendo il significato di luogo di origine per nuova vita, e questo non solo per l'imminente risurrezione del Signore ma anche per l'imminente nascita della Chiesa. Ecco quindi come la passione di Cristo che abbiamo appena letto, il momento in cui ogni speranza sembra dissolversi, può diventare in modo paradossale il fulcro per la certezza di un nuovo trionfo. Un trionfo che inizierà a rendersi manifesto soltanto dopo tre giorni.

CONCLUSIONE      

In questo approfondimento abbiamo potuto prendere in considerazione la parte centrale del racconto di Marco relativo alla crocifissione del Signore. Abbiamo visto come questo racconto compenetra il Salmo 22, che rappresenta nella sua prima parte una perfetta previsione profetica degli eventi che l'evangelista sta descrivendo. Questo Salmo, tuttavia, continua con la descrizione nell'intervento e nell'intronizzazione in Sion di Jahvè e nella reintegrazione del suo popolo in sua presenza. Tale parte era quella maggiormente elaborata dalla riflessione teologica giudaica nel I secolo ed è decisamente improbabile che l'evangelista - anche se non la cita direttamente - non la tenga in considerazione come parimenti calzante con la situazione che sta riportando. I versi finali di questo Salmo infatti dipingono con straordinaria lucidità l'immagine della nascente comunità cristiana, una comunità nata grazie al sacrificio del servo di Dio e la cui missione è quella di dire come ha agito, ossia predicare a sé stessa e al mondo il suo Vangelo.


Note:

[1] Cfr. G.K. Beale, D. A. Carson, L'Antico Testamento nel Nuovo - vol. 1, Paideia Editrice, Torino, 2017, p. 426.   
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