INTRODUZIONE
Se
consideriamo la totalità del messaggio biblico, approfondendone la
teologia, una delle prime cose che noteremo è la continua
comunicazione e interazione tra Dio e l'uomo. Dio crea (e lo fa
parlando!), ordina, dà uno scopo a ogni aspetto del creato, parla
intimamente con l'uomo e, nonostante la sua disobbedienza, non cessa
mai di avere un'influenza su coloro che lo cercano personalmente e di
intervenire nella storia per promuovere attivamente la sua volontà.
Certo, ci sono momenti di silenzio e apparente assenza, ma anche in
queste situazioni c'è sempre qualche protagonista biblico che vive
in una feconda relazione con il proprio creatore e che, nel momento
della necessità, interviene in favore della sua famiglia, tribù,
popolo, nazione. Un comune denominatore teologico di queste migliaia
di anni, decine di autori e svariate storie bibliche dunque, non può
che essere la comunicazione
di Dio.
Dio ha comunicato con la creazione (il fatto che quel che è attorno
a noi esiste, è già di per sé comunicazione!), ha comunicato con
la Torah (stabilendo un patto e delle indicazioni di vita per il suo
popolo Israele), ha comunicato attraverso i profeti
veterotestamentari (quando l'interpretazione della Torah diventava
vuota, slegata da un coinvolgimento personale e sociale attivo) ha
comunicato in modo definitivo con la vita, la morte e risurrezione di
suo Figlio Gesù (riportando la comunicazione a tutti i popoli e
tutte le nazioni) e ha comunicato attraverso la Bibbia: una raccolta
di testi ispirati dallo Spirito Santo e raccolti nell'Antico Patto,
precedente a Cristo, e nel Nuovo Patto. La malattia e la sofferenza
maggiore per l'uomo è, ed è sempre stata, la solitudine. Sapendolo
molto bene, il nostro creatore si è quindi premurato da sempre di
dire a noi, sue creature: non siete soli!
In
questa cornice complessiva, oggi considereremo un'importante frase
che l'Apostolo Paolo scrisse ai credenti di Roma in un momento
particolare della sua vita e del suo ministero. Dobbiamo considerare
infatti che la Lettera ai Romani costituisce l'opera massima
dell'apostolo Paolo: una lettera scritta ad una comunità non fondata
da lui, alla fine di una fase cruciale della sua opera missionaria
(probabilmente nell'inverno tra il 57 e il 58), con il chiaro intento
di esporre e difendere la propria matura comprensione dell'evangelo
così come lo aveva proclamato fino a quel momento e come sperava di
poterlo presentare fino alle estremità della terra, in Spagna.
Questa lettera è la meno condizionata dal fluire del discorso e del
colloquio di Paolo con le sue chiese, e per questo è considerata la
più adatta per una comprensione completa del suo insegnamento
slegato da incombenze e problemi comunitari specifici. Da questa
lettera trarremo l'insegnamento da comprendere quest'oggi, per
realizzare quanto Dio non solo comunichi ma quanto voglia comunicare
con ciascuno
di noi.
IL CUORE DEL MESSAGGIO
Dopo
l'introduzione, la Lettera ai Romani procede affrontando una serie di
argomenti che possiamo considerare come la sistematizzazione del
messaggio evangelico e apostolico. Troviamo un primo discorso
dottrinale sulla giustificazione (1:18-4:25), un secondo discorso
sulla vita cristiana (5:1-8:39) e un terzo discorso sul rapporto tra
i giudei e il vangelo (9:1-11:36). Sappiamo infatti che vi era una
certa tensione tra coloro che avevano riconosciuto Gesù come Messia
e coloro invece che, pur appartenendo al popolo ebraico, non lo
avevano fatto. Nello specifico, l'editto di Claudio che espulse i
giudei da Roma divise le chiese della capitale, vedendo esiliati i
credenti di origine ebraica. Quando l'ordinanza cessò e i
giudeocristiani tornarono le loro cariche erano state ricoperte da
nuovi fratelli di origine gentile: come accoglierli e come trovare un
nuovo equilibrio sociale ed ecclesiale in queste comunità? Paolo
scrive anche per questo, ma lo fa considerando la tensione nel suo
insieme, in modo globale e approfondito al tempo stesso.
Da
questo spunto Paolo esprime il suo desiderio per tutti i
connazionali, ossia che riconoscano il Cristo, e la sua
preoccupazione per ogni situazione in cui questo non avviene. Egli
riconosce che i giudei hanno zelo per Dio, ma senza conoscenza della
necessità di una giustizia che non può essere la propria: ogni
giustizia umana infatti è imperfetta e inadatta davanti a Dio. Per
questo motivo Cristo è morto e risorto, per adempiere la giustizia
divina e poter essere invocato per fede da tutti: tanto dai giudei
quanto dai greci (tutti coloro che non sono di origine ebraica). Dopo
questa considerazione, l'Apostolo sottolinea la necessità di
predicare il messaggio di Dio in Cristo ma conferma anche che questo
compito si stava adempiendo regolarmente. E in questa situazione,
proprio come profetizzato da Isaia (cfr. 53:1), non tutti avevano
ascoltato attivamente e ubbidito alla buona notizia.
“Così
la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene
dalla parola di Cristo.”
Romani 10:17
Romani 10:17
Ecco
quindi che la parola, la comunicazione di Dio, era stata data –
così come è data anche al giorno d'oggi – e aveva raggiunto nel
corso del tempo persone di ogni estrazione. Ma alcuni avevano udito
senza ascoltare, avevano rinnegato
la potenza del messaggio, erano
stati incapaci di riconoscere la
pienezza del suo contenuto.
Da
tutto questo possiamo comprendere molto della dinamica comunicativa
tra Dio e l'uomo (ciascuno di noi!) e scoprire come Dio sta parlando
a noi, ma se non lo stiamo sentendo....è perché ascoltiamo
altrove, con altre
priorità e con scarsa
concentrazione. Al fulcro di tutto
questo, poi, troviamo la fede: l'asse attorno al quale ruota la
nostra relazione personale con Dio.
Per
prima cosa dobbiamo considerare la direzione
dell'ascolto. I giudei sapevano
quello che Gesù aveva detto e fatto e quello che gli apostoli
proclamavano, ma molti non lo (ri)conoscevano.
Avevano udito, ma senza ascoltare. C'è una grande differenza tra
questi due verbi. Tutti noi siamo bombardati ogni giorno da migliaia
di informazioni e migliaia di scelte – piccole e grandi – che
dobbiamo fare. Naturalmente non possiamo prestare la giusta
attenzione a ogni situazione, e in automatico il nostro cervello fa
una selezione di quelle che inconsciamente ritiene essere degne della
nostra attenzione consapevole. A volte però qualcosa ci sfugge, e lo
trattiamo con superficialità. Ecco: la comunicazione di Dio è degna
di tutta la nostra attenzione. Non dobbiamo solo udire:
dobbiamo ascoltare.
Ascoltare cosa? Ascoltare il Vangelo e la sua predicazione: il motivo
per cui ci sentiamo soli e separati da Dio e il modo che egli ha
trovato per ristabilire invece una nuova relazione, comunione e
comunicazione nella croce di Cristo. Dobbiamo scegliere di ascoltare
il messaggio di Dio e per farlo dobbiamo distogliere la nostra
attenzione da altri messaggi.
In
secondo luogo è necessario comprendere la potenza
della comunicazione di Dio (il Vangelo). Quel che riceviamo dalla
parola di Dio infatti non è solo un messaggio di servizio, ma è il
mezzo attraverso cui la sua potenza viene liberata. Attraverso la
parola di Dio sono stati creati i mondi (cfr. Gn 1; Eb 11) e
attraverso la stessa parola possiamo ricevere la sua potenza per la
nostra salvezza. Per fede. La stessa potenza che ha creato ogni cosa
attorno a noi è disponibile per risanare le nostre ferite, colmare
le nostre debolezze e superare le nostre limitatezze. Ascoltarlo,
comprenderlo e viverlo è però nostra responsabilità. Se non si
prova a mettere in pratica una determinata azione non si può mai
sapere quale può essere il suo risultato. Ecco, guardando attorno a
noi possiamo vedere la potenza di Dio nella salvezza e pienezza di
vita presente nella sua Chiesa, e unirci nel vivere questo stesso
messaggio credendo ad esso con la nostra mente, con la nostra
confessione e con la nostra adesione quotidiana.
Naturalmente,
come accennato in precedenza, questi aspetti coinvolgono una
concentrazione e un ascolto attivo. Questo non deve sembrare qualcosa
di troppo difficile: non stiamo parlando di una lezione
universitaria! Riguarda invece soprattutto un'attitudine del nostro
cuore. Noi siamo naturalmente inclini a essere concentrati nei
riguardi di ciò che riteniamo importante o di ciò che ci piace
molto. Ecco, questa è la chiave di tutto. Basta considerare
inizialmente quello che sono le parole di Gesù e il senso del suo
sacrificio per esserne affascinati. Come si può non esserlo?!
Lasciamoci affascinare da Gesù e, senza che neanche ce ne rendiamo
conto, la nostra attenzione aumenterà nei suoi confronti
(distogliendosi dalle altre voci), comprenderà il peso delle sue
parole (crescendo la fede dentro di noi) e ci porterà con una
naturalezza sovrannaturale a seguire le sue orme. Per la sua gloria.
CONCLUSIONE
La
tesi di fondo della Lettera ai Romani è presentata sin dal suo
inizio (1:16) e riguarda il fatto che il
giusto per la sua fede vivrà. Ma
questa fede ha un'origine e la sua origine è l'ascolto della parola
di Cristo. Questo ascolto nasce a volte in modo inconsapevole, ma il
fascino delle parole del Signore genera interesse, attenzione e
potenza. Sì, possiamo rigettare tutto questo come fecero i giudei
del I secolo che si distanziarono da Cristo, ma la volontà di Dio è
invece che troviamo in lui una comunione che ci allontani dalla
nostra solitudine. Una vita che ci allontani dalla nostra morte. Un
messaggio che ci allontani dalla cacofonia che ci circonda e che in
ultima analisi non è altro che un assordante silenzio. L'esortazione
che Dio ci rivolge oggi, dunque, è di tornare a Cristo. Tornare al
suo ascolto. Tornare alla sua vita. Tornare alla potenza della sua
parola.