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domenica 24 marzo 2019

La parola di Cristo















INTRODUZIONE

Se consideriamo la totalità del messaggio biblico, approfondendone la teologia, una delle prime cose che noteremo è la continua comunicazione e interazione tra Dio e l'uomo. Dio crea (e lo fa parlando!), ordina, dà uno scopo a ogni aspetto del creato, parla intimamente con l'uomo e, nonostante la sua disobbedienza, non cessa mai di avere un'influenza su coloro che lo cercano personalmente e di intervenire nella storia per promuovere attivamente la sua volontà. Certo, ci sono momenti di silenzio e apparente assenza, ma anche in queste situazioni c'è sempre qualche protagonista biblico che vive in una feconda relazione con il proprio creatore e che, nel momento della necessità, interviene in favore della sua famiglia, tribù, popolo, nazione. Un comune denominatore teologico di queste migliaia di anni, decine di autori e svariate storie bibliche dunque, non può che essere la comunicazione di Dio. Dio ha comunicato con la creazione (il fatto che quel che è attorno a noi esiste, è già di per sé comunicazione!), ha comunicato con la Torah (stabilendo un patto e delle indicazioni di vita per il suo popolo Israele), ha comunicato attraverso i profeti veterotestamentari (quando l'interpretazione della Torah diventava vuota, slegata da un coinvolgimento personale e sociale attivo) ha comunicato in modo definitivo con la vita, la morte e risurrezione di suo Figlio Gesù (riportando la comunicazione a tutti i popoli e tutte le nazioni) e ha comunicato attraverso la Bibbia: una raccolta di testi ispirati dallo Spirito Santo e raccolti nell'Antico Patto, precedente a Cristo, e nel Nuovo Patto. La malattia e la sofferenza maggiore per l'uomo è, ed è sempre stata, la solitudine. Sapendolo molto bene, il nostro creatore si è quindi premurato da sempre di dire a noi, sue creature: non siete soli!

In questa cornice complessiva, oggi considereremo un'importante frase che l'Apostolo Paolo scrisse ai credenti di Roma in un momento particolare della sua vita e del suo ministero. Dobbiamo considerare infatti che la Lettera ai Romani costituisce l'opera massima dell'apostolo Paolo: una lettera scritta ad una comunità non fondata da lui, alla fine di una fase cruciale della sua opera missionaria (probabilmente nell'inverno tra il 57 e il 58), con il chiaro intento di esporre e difendere la propria matura comprensione dell'evangelo così come lo aveva proclamato fino a quel momento e come sperava di poterlo presentare fino alle estremità della terra, in Spagna. Questa lettera è la meno condizionata dal fluire del discorso e del colloquio di Paolo con le sue chiese, e per questo è considerata la più adatta per una comprensione completa del suo insegnamento slegato da incombenze e problemi comunitari specifici. Da questa lettera trarremo l'insegnamento da comprendere quest'oggi, per realizzare quanto Dio non solo comunichi ma quanto voglia comunicare con ciascuno di noi.

IL CUORE DEL MESSAGGIO

Dopo l'introduzione, la Lettera ai Romani procede affrontando una serie di argomenti che possiamo considerare come la sistematizzazione del messaggio evangelico e apostolico. Troviamo un primo discorso dottrinale sulla giustificazione (1:18-4:25), un secondo discorso sulla vita cristiana (5:1-8:39) e un terzo discorso sul rapporto tra i giudei e il vangelo (9:1-11:36). Sappiamo infatti che vi era una certa tensione tra coloro che avevano riconosciuto Gesù come Messia e coloro invece che, pur appartenendo al popolo ebraico, non lo avevano fatto. Nello specifico, l'editto di Claudio che espulse i giudei da Roma divise le chiese della capitale, vedendo esiliati i credenti di origine ebraica. Quando l'ordinanza cessò e i giudeocristiani tornarono le loro cariche erano state ricoperte da nuovi fratelli di origine gentile: come accoglierli e come trovare un nuovo equilibrio sociale ed ecclesiale in queste comunità? Paolo scrive anche per questo, ma lo fa considerando la tensione nel suo insieme, in modo globale e approfondito al tempo stesso.

Da questo spunto Paolo esprime il suo desiderio per tutti i connazionali, ossia che riconoscano il Cristo, e la sua preoccupazione per ogni situazione in cui questo non avviene. Egli riconosce che i giudei hanno zelo per Dio, ma senza conoscenza della necessità di una giustizia che non può essere la propria: ogni giustizia umana infatti è imperfetta e inadatta davanti a Dio. Per questo motivo Cristo è morto e risorto, per adempiere la giustizia divina e poter essere invocato per fede da tutti: tanto dai giudei quanto dai greci (tutti coloro che non sono di origine ebraica). Dopo questa considerazione, l'Apostolo sottolinea la necessità di predicare il messaggio di Dio in Cristo ma conferma anche che questo compito si stava adempiendo regolarmente. E in questa situazione, proprio come profetizzato da Isaia (cfr. 53:1), non tutti avevano ascoltato attivamente e ubbidito alla buona notizia.


Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo.” 
Romani 10:17


Ecco quindi che la parola, la comunicazione di Dio, era stata data – così come è data anche al giorno d'oggi – e aveva raggiunto nel corso del tempo persone di ogni estrazione. Ma alcuni avevano udito senza ascoltare, avevano rinnegato la potenza del messaggio, erano stati incapaci di riconoscere la pienezza del suo contenuto.


Da tutto questo possiamo comprendere molto della dinamica comunicativa tra Dio e l'uomo (ciascuno di noi!) e scoprire come Dio sta parlando a noi, ma se non lo stiamo sentendo....è perché ascoltiamo altrove, con altre priorità e con scarsa concentrazione. Al fulcro di tutto questo, poi, troviamo la fede: l'asse attorno al quale ruota la nostra relazione personale con Dio.


Per prima cosa dobbiamo considerare la direzione dell'ascolto. I giudei sapevano quello che Gesù aveva detto e fatto e quello che gli apostoli proclamavano, ma molti non lo (ri)conoscevano. Avevano udito, ma senza ascoltare. C'è una grande differenza tra questi due verbi. Tutti noi siamo bombardati ogni giorno da migliaia di informazioni e migliaia di scelte – piccole e grandi – che dobbiamo fare. Naturalmente non possiamo prestare la giusta attenzione a ogni situazione, e in automatico il nostro cervello fa una selezione di quelle che inconsciamente ritiene essere degne della nostra attenzione consapevole. A volte però qualcosa ci sfugge, e lo trattiamo con superficialità. Ecco: la comunicazione di Dio è degna di tutta la nostra attenzione. Non dobbiamo solo udire: dobbiamo ascoltare. Ascoltare cosa? Ascoltare il Vangelo e la sua predicazione: il motivo per cui ci sentiamo soli e separati da Dio e il modo che egli ha trovato per ristabilire invece una nuova relazione, comunione e comunicazione nella croce di Cristo. Dobbiamo scegliere di ascoltare il messaggio di Dio e per farlo dobbiamo distogliere la nostra attenzione da altri messaggi.


In secondo luogo è necessario comprendere la potenza della comunicazione di Dio (il Vangelo). Quel che riceviamo dalla parola di Dio infatti non è solo un messaggio di servizio, ma è il mezzo attraverso cui la sua potenza viene liberata. Attraverso la parola di Dio sono stati creati i mondi (cfr. Gn 1; Eb 11) e attraverso la stessa parola possiamo ricevere la sua potenza per la nostra salvezza. Per fede. La stessa potenza che ha creato ogni cosa attorno a noi è disponibile per risanare le nostre ferite, colmare le nostre debolezze e superare le nostre limitatezze. Ascoltarlo, comprenderlo e viverlo è però nostra responsabilità. Se non si prova a mettere in pratica una determinata azione non si può mai sapere quale può essere il suo risultato. Ecco, guardando attorno a noi possiamo vedere la potenza di Dio nella salvezza e pienezza di vita presente nella sua Chiesa, e unirci nel vivere questo stesso messaggio credendo ad esso con la nostra mente, con la nostra confessione e con la nostra adesione quotidiana.


Naturalmente, come accennato in precedenza, questi aspetti coinvolgono una concentrazione e un ascolto attivo. Questo non deve sembrare qualcosa di troppo difficile: non stiamo parlando di una lezione universitaria! Riguarda invece soprattutto un'attitudine del nostro cuore. Noi siamo naturalmente inclini a essere concentrati nei riguardi di ciò che riteniamo importante o di ciò che ci piace molto. Ecco, questa è la chiave di tutto. Basta considerare inizialmente quello che sono le parole di Gesù e il senso del suo sacrificio per esserne affascinati. Come si può non esserlo?! Lasciamoci affascinare da Gesù e, senza che neanche ce ne rendiamo conto, la nostra attenzione aumenterà nei suoi confronti (distogliendosi dalle altre voci), comprenderà il peso delle sue parole (crescendo la fede dentro di noi) e ci porterà con una naturalezza sovrannaturale a seguire le sue orme. Per la sua gloria.

CONCLUSIONE

La tesi di fondo della Lettera ai Romani è presentata sin dal suo inizio (1:16) e riguarda il fatto che il giusto per la sua fede vivrà. Ma questa fede ha un'origine e la sua origine è l'ascolto della parola di Cristo. Questo ascolto nasce a volte in modo inconsapevole, ma il fascino delle parole del Signore genera interesse, attenzione e potenza. Sì, possiamo rigettare tutto questo come fecero i giudei del I secolo che si distanziarono da Cristo, ma la volontà di Dio è invece che troviamo in lui una comunione che ci allontani dalla nostra solitudine. Una vita che ci allontani dalla nostra morte. Un messaggio che ci allontani dalla cacofonia che ci circonda e che in ultima analisi non è altro che un assordante silenzio. L'esortazione che Dio ci rivolge oggi, dunque, è di tornare a Cristo. Tornare al suo ascolto. Tornare alla sua vita. Tornare alla potenza della sua parola.
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