Traduttore


domenica 27 gennaio 2019

Il SIGNORE ha detto al mio Signore...

Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni
e in possesso le estremità della terra.
Salmo 2:8

Schema teologico-letterario del Vangelo secondo Marco







INTRODUZIONE 
 
Da un punto di vista strutturale, il Vangelo secondo Marco si articola in due grandi momenti determinati sin dall'inizio dell'opera. L'asserzione iniziale (1:1) infatti presenta Gesù come Cristo (il Messia) e il Figlio di Dio; e proprio riprendendo questi due titoli, il vangelo sviluppa una prima sua parte per motivare l'identità di Gesù come Messia (1:1-8:30) e una seconda per provare l'identità di Gesù in quanto Figlio di Dio (8:31-16:8)1. Questa macro suddivisione è possibile vederla anche nello schema presente in apertura dell'articolo. 

Il mio proposito in questo contesto è quello di approfondire un particolare insegnamento che il vangelo riporta. Un insegnamento di Gesù breve e conciso, ma dall'enorme valore e dall'inestimabile portata teologica. Non a caso Marco riporta che queste parole sono state pronunciate nel tempio: il luogo più sacro del giudaismo, il luogo dove dimorava la presenza di Dio. Essendo il brano specifico che intendo considerare nel dodicesimo capitolo del vangelo di Marco sarà importante realizzare sin da ora che, nel suo contesto più ampio, la tesi di fondo di questa porzione del testo resta legata alla dimostrazione che Gesù è il Figlio di Dio.

Leggiamo dunque ora il brano in questione.


1. IL CRISTO, DI CHI È FIGLIO?
Gesù, mentre insegnava nel tempio, disse: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è Figlio di Davide? Davide stesso disse per lo Spirito Santo:
"Il SIGNORE ha detto al mio Signore:
'Siedi alla mia destra,
finché io abbia messo i tuoi nemici sotto i tuoi piedi'".
Davide stesso lo chiama Signore; dunque come può essere suo figlio?» E una gran folla lo ascoltava con piacere.

Vangelo secondo Marco 12:35-37
In questo dodicesimo capitolo, nei versetti precedenti, leggiamo la parabola dei vigniaiuoli e una serie di provocazioni da parte degli scribi, farisei e sadducei, che volevano minare l'autorità di Gesù mettendolo alla prova. Gli argomenti sono quelli della legittimità dei tributi, della risurrezione e del comandamento più importante. Temi spinosi che tuttavia Gesù affronta con una grande lungimiranza. Dopo aver superato questi dibattiti, egli parte al contrattacco: e lo fa minando il cuore della comprensione degli scribi a riguardo del Messia. Essi infatti affermavano che era (solamente) Figlio di Davide, ma è realmente così? Questo interrogativo solleva una questione centrale non solo per la folla e i discepoli che ascoltavano al tempo o per gli scribi presi in causa, ma anche per i discepoli di Gesù della nostra generazione.

Il lettore del vangelo giunto a questo punto sa già infatti che il Cristo è Gesù stesso, ma come deve intendere questo titolo? Come il discendente del re Davide che avrebbe riportato gloria a Israele? Come il capostipite di una nuova dinastia reale? È Gesù stesso a rispondere a queste domande, e lo fa attraverso una citazione dell'Antico Testamento e una domanda retorica. 

Per prima cosa, Gesù accredita l'autorità della citazione che sta per fare: essa proviene da un Salmo di Davide, ma un Salmo che è stato scritto per lo Spirito Santo. In Spirito Santo dunque, così come accadeva per i profeti, Davide scrisse queste parole: 
"Il SIGNORE ha detto al mio Signore:
'Siedi alla mia destra,
finché io abbia messo i tuoi nemici sotto i tuoi piedi'".
Se il Messia è il Figlio di Davide, perché Davide stesso al posto di chiamarlo Figlio, lo chiama Signore? Attorno a questa domanda ruota l'enigmatica soluzione. Per poter procedere con una maggiore profondità di analisi però, a questo punto dobbiamo andare a considerare il versetto in questione nel suo contesto originario.

2. IL SALMO 110: CENNI A UNA STORIA DELLA SUA TEOLOGIA
 
Naturalmente la prima cosa da fare è leggere il Salmo nella sua interezza.
Salmo di Davide.

Il SIGNORE ha detto al mio Signore:
«Siedi alla mia destra
finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi».
Il SIGNORE stenderà da Sion lo scettro del tuo potere.
Domina in mezzo ai tuoi nemici!
Il tuo popolo si offre volenteroso
quando raduni il tuo esercito.
Parata di santità, dal seno dell'alba
la tua gioventù viene a te come rugiada.
Il SIGNORE ha giurato e non si pentirà:
«Tu sei Sacerdote in eterno,
secondo l'ordine di Melchisedec».
Il Signore, alla tua destra,
schiaccia dei re nel giorno della sua ira,
giudica i popoli,
ammucchia i cadaveri,
stritola la testa ai nemici in un vasto territorio.
Si disseta al torrente lungo il cammino,
e perciò terrà alta la testa.
L'ambientazione e il contenuto del Salmo 110 indica che è una nuova interpretazione del Salmo 22. Il destinatario originale è Davide stesso o un suo discendente, forse nel momento dell'intronizzazione. Il nuovo re dunque viene chiamato a sedersi alla destra di Jahvè, condividendone in questo modo la sovranità cosmica, pur essendone subordinato; egli dunque riceve autorità e onore ineguagliabili e inalienabili, e perciò benedizione, partecipazione al suo potere e alla sua giustizia3. I paralleli con il Salmo 2 sono continui, e dall'epilogo ci accorgiamo che l'esortazione ai re di essere saggi e lasciarsi correggere (Sl. 2:10) non ha avuto il suo effetto. Per questo motivo infatti i nemici circondano ora l'unto del Signore, che conseguentemente schiaccia i re, giudica i popoli e ammucchia i cadaveri. Il tema dunque è quello della guerra santa, tanto cara a Davide, e che ha promosso la sua ascesa regale. Le implicazioni del salmo si sono sviluppate teologicamente lungo due principali coordinate: la prima riguarda l'assunzione regale della carica sacerdotale, pretesa che risale peraltro a Davide stesso (cfr. 2 Sam. 6:14-15, 24-25) e continua con il figlio Salomone (cfr. 1 Re 3:4 e v. 15, 8:5 e vv. 62-64). La seconda invece riguarda la suprema esaltazione escatologica di una figura messianica (associata al figlio dell'uomo descritto in Dan. 7), spesso dopo la tribolazione subita a causa del conflitto tra Jahvè e i suoi avversari4. Ed è proprio in quest'ultima direzione che si muove il contributo di Gesù nel nostro contesto.

3. FIGLIO DI DIO

Tornando adesso al nostro contesto del Vangelo secondo Marco, possiamo a questo punto procedere verso alcune importanti definizioni, arrivando al centro dell'argomento considerato. Naturalmente Gesù è discendente del re Davide, e questo è confermato in più modi dai vangeli. Egli è il Messia, e questa è la prima tesi fondamentale di Marco. Ma non può essere solo questo. Dopo aver evitato i tranelli dei suoi oppositori, infatti, Gesù rivela la sua identità nel tempio mostrando l'insufficienza della comprensione teologica del Messia propria degli scribi. Il Signore (kyrios) infatti ha detto al Signore (kyrios) di Davide:
«Siedi alla mia destra
finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi».
Se nell'ebraismo di poco posteriore, questa affermazione scritturale ha portato a rabbi Aqiba l'accusa della profanazione della presenza divina per aver maturato l'idea che, conseguentemente, in Dan. 7:9 si descrivano due troni, uno per Jahvè e uno per Davide5, Gesù interviene dimostrando invece che il Messia è chiamato Signore proprio da Davide ed è da lui posto in una posizione di maggiore dignità rispetto a quello della sua discendenza. Di conseguenza il Cristo non può essere (solo) discendente di Davide essendo il suo Signore. Un Signore che è alla destra del Signore Jahvè e dal quale riceve ogni vittoria sui nemici, ogni potere, un forte esercito e un sacerdozio più alto di quello degli stessi Leviti. Un Messia che nel precedente Salmo 2 è detto da Jahvè "mio figlio" (Sl. 2:7), quindi un Messia Figlio di Dio. A questo punto della riflessione teologica, il titolo "Figlio di Dio" non può più essere circoscritto alla semplice regalità israelitica, in quanto è già sfociato nell'accostamento con il celeste Figlio dell'Uomo (Dan. 7:13): il Messia escatologico. Ecco dunque come Gesù si presenta pubblicamente nel tempio: come il Messia escatologico, della fine dei tempi, il Figlio di Dio che riceve da Jahvè ogni potere e dominio per sottomettere tutti i suoi nemici. Nemici che non si identificano nel suo caso con le forze armate dell'Impero romano ma - in questo momento - con i principati e le potenze spirituali (cfr. Col. 2:15, Ef. 6:12).  

CONCLUSIONE
 
In seguito a questa definizione, Gesù non può essere un semplice discendente di Davide, né un essere angelico glorificato. Infatti solo Jahvè può perdonare i peccati e avere dominio sulla natura, azioni che in questo vangelo promuove Gesù stesso. Secondo il mistero che noi cristiani chiamiamo con il nome di Trinità, Gesù subito dopo aver affermato l'unicità di Dio (Mc. 12:29) afferma attraverso questa citazione e domanda retorica di sedere alla sua destra: di ricevere dal Padre ogni potenza e dominio. E una gran folla lo ascoltava con piacere. Proprio come la prima Chiesa lo ascoltava con piacere e come, a duemila anni di distanza, anche noi oggi lo ascoltiamo con attenzione attraverso le Scritture, testimoni fedeli per la salvezza di chiunque crede (Rm. 1:16).



Note:

[1] Rafael Aguirre Monasterio, Antonio Rodrìguez Carmona, Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, Editrice Paideia, Brescia, 1995, pp. 96-97. 
[2] G. K. Beale, D.A. Carson, L'Antico Testamento nel Nuovo - vol. 1, Paideia, Torino, 2017, p. 400. 
[3] Id. Ibid.  
[4] Ibid. p. 402. 
[5] Id. Ibid
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...