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giovedì 12 maggio 2016

Il discorso del folle

La follia è una donna turbolenta,
sciocca, che non sa nulla.
Siede alla porta di casa,
sopra una sedia, nei luoghi elevati della città,
per chiamare quelli che passano per la via,
che vanno diritti per la loro strada, dicendo:
«Chi è sciocco venga qua!»
E a chi è privo di senno dice:
«Le acque rubate sono dolci,
il pane mangiato di nascosto è delizioso».
Ma egli non sa che là sono i defunti,
che i suoi convitati giacciono in fondo al soggiorno dei morti.

Proverbi 9:13-18

INTRODUZIONE














La Seconda lettera di Paolo ai Corinzi, è stata scritta durante il terzo viaggio missionario dell'apostolo (52-53/57 d.C.) per rispondere ad una nuova emergenza sorta in seguito alla scrittura della Prima lettera, come già visto nell'approfondimento dedicato all'argomentazione teologica della "raccomandazione" dell'apostolo, ossia al brano delimitato in 4:1-5:10. Dei "falsi apostoli" erano arrivati in città con l'intento di screditare Paolo presso questa comunità cristiana per prenderne il controllo. Per affrontare questa crisi, l'apostolo dei gentili dovette scrivere una lettera "tra molte lacrime" e fare una prima visita lampo terminata con un'offesa subita, prima di poter constatare tramite Tito che questi credenti si erano finalmente ravveduti e redigere quindi l'epistola che conosciamo come Seconda ai Corinzi. La lettera in sé, può essere suddivisa nelle seguenti unità letterarie: 
  • unità A, lettera della riconciliazione (capp. 1-7)
  • unità B, prima nota sulla colletta (cap. 8)
  • unità C, seconda nota sulla colletta (cap. 9)
  • unità D, apologia di Paolo (capp. 10-13)1
Nell'ultima unità, quella dedicata all'apologia di Paolo, troviamo un brano particolarmente interessante nel quale l'apostolo inizia a parlare per assurdo, con la stessa logica dei suoi oppositori, per mostrare quanto essa fosse insensata. Questo discorso, che troviamo dal cap. 11 v.1 al cap 12 v.13, è conosciuto con il nome di  "discorso del folle", anche se risulta composto in realtà da tre diversi discorsi formulati in modo simile: il primo contro i falsi apostoli, il secondo per vantarsi nella debolezza e il terzo per descrivere la coesistenza di rivelazioni eccelse e prove umilianti. In tutti i casi, le premesse sono le stesse: scendere sullo stesso terreno dei falsi apostoli per usare le loro stesse armi con la consapevolezza di parlare "da pazzo". Il presente approfondimento intende esaminare proprio questo testo complessivo, per comprendere al meglio il sentimento e l'insegnamento di Paolo in proposito, e di conseguenza l'esortazione e l'edificazione che questa Scrittura in particolare rivolge ad ogni credente. Prima di iniziare a riflettere su questo brano però, vorrei introdurlo attraverso un testo molto più recente, tratto dal libro "Ortodossia", pubblicato nel 1908 dallo scrittore cristiano G. K. Chesterton:
Mi ricordo, una volta, di avere sentito in bocca a un prospero editore, mentre camminavamo insieme per strada, un'osservazione già udita di frequente e divenuta, quasi, il motto del mondo moderno. Io, però, l'avevo sentita una volta di troppo, e vidi che era completamente vuota. L'editore disse di qualcuno: "Quell'uomo farà strada; crede in se stesso". Ricordo che, mentre alzavo la testa per ascoltare, scorsi un omnibus su cui era scritto "Hanwell" (Sede di un manicomio a ovest di Londra). Così, risposi: "Volete che vi dica dove si trovano gli uomini che più credono in se stessi? Perchè sono in grado di dirvelo. So di uomini che credono in se stessi più follemente di Napoleone o di Cesare. So dove brilla la stella fissa della certezza e del successo. Posso guidarvi al trono dei Superuomini. Gli uomini che credono veramente in se stessi si trovano tutti in manicomio". L'editore replicò blandamente che, dopo tutto, molti uomini che credevano in se stessi non erano in manicomio. "Sì, è vero", ribattei "e voi, fra tutti, dovreste conoscerli. Il poeta ubriacone, di cui non prendereste mai una orrida tragedia, credeva in se stesso. L'anziano ministro con un poema epico, che sfuggivate come la peste, credeva in se stesso. Se vi rifaceste alla vostra esperienza commerciale, invece che alla vostra detestabile filosofia individualistica, sapreste che il credere in se stessi è uno dei segni più comuni dei cialtroni. Attori che non sono in grado di recitare credono in se stessi; e così i debitori che non sono in grado di pagare. Sarebbe molto più vero dire che un uomo fallirà di sicuro perchè crede in se stesso. La completa fiducia in se stessi non è solo un peccato; è una debolezza"2.     
Di chi dobbiamo avere piena fiducia, di noi stessi oppure di Dio? Di cosa dobbiamo vantarci, dei nostri successi oppure il nostro vanto è nel Signore? Queste domande sembrano scontate e retoriche nella teoria, ma nella pratica sono difficili e spigolose, pronte a riprendere importanza ogni volta che il nostro orgoglio emerge con prepotenza in noi stessi, anche quando pensavamo magari di averlo dominato. Per quale motivo serviamo Dio: per ottenere il plauso degli uomini, o per ubbidire al nostro Padre celeste? La risposta di Paolo a questa domanda è categorica:  "se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo" (Gal. 1:10). Una risposta dura, che porta a considerare come unico punto fermo di ogni cristiano solo ed esclusivamente la propria sincera devozione personale a Dio (la giustizia nel segreto), dalla quale scaturisce ogni ministero e servizio per amore del Signore e, di conseguenza, del nostro prossimo. Tutto il resto, ci insegna la Scrittura, è soltanto manifestazione della follia dell'uomo carnale
 
1. VI HO FIDANZATI A UN UNICO SPOSO


Vorrei che sopportaste da parte mia un po' di follia! Ma, sì, già mi state sopportando! Infatti sono geloso di voi della gelosia di Dio, perché vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo. Ma temo che, come il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così le vostre menti vengano corrotte e sviate dalla semplicità e dalla purezza nei riguardi di Cristo. Infatti, se uno viene a predicarvi un altro Gesù, diverso da quello che abbiamo predicato noi, o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un vangelo diverso da quello che avete accettato, voi lo sopportate volentieri. 

Stimo infatti di non essere stato in nulla inferiore a quei sommi apostoli. Anche se sono rozzo nel parlare, non lo sono però nella conoscenza; e l'abbiamo dimostrato tra di voi, in tutti i modi e in ogni cosa. Ho forse commesso peccato quando, abbassando me stesso perché voi foste innalzati, vi ho annunciato il vangelo di Dio gratuitamente? Ho spogliato altre chiese, prendendo da loro un sussidio, per poter servire voi. Durante il mio soggiorno tra di voi, quando mi trovai nel bisogno, non fui di peso a nessuno, perché i fratelli venuti dalla Macedonia provvidero al mio bisogno; e in ogni cosa mi sono astenuto e mi asterrò ancora dall'esservi di peso. Com'è vero che la verità di Cristo è in me, questo vanto non mi sarà tolto nelle regioni dell'Acaia. Perché? Forse perché non vi amo? Dio lo sa. Ma quello che faccio lo farò ancora per togliere ogni pretesto a coloro che desiderano un'occasione per mostrarsi uguali a noi in ciò di cui si vantano. Quei tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si travestono da apostoli di Cristo. Non c'è da meravigliarsene, perché anche Satana si traveste da angelo di luce. Non è dunque cosa eccezionale se anche i suoi servitori si travestono da servitori di giustizia; la loro fine sarà secondo le loro opere.
2Corinzi 11:1-15

I primi quattro versetti di questo undicesimo capitolo costituiscono un'introduzione ai tre discorsi da aphrōn (stolto, pazzo, folle): Paolo è geloso dei corinzi della gelosia di Dio, in quanto essi sono stati fidanzati ad un unico sposo e non devono finire per seguire un altro sposo, peccando di infedeltà/idolatria3. Il pericolo infatti è quello di essere sviati dalla semplicità e dalla purezza nei riguardi di Cristo. Questi credenti avevano sopportato la presentazione di un altro Gesù, che li aveva messi nella rischiosa posizione di poter ricevere uno spirito diverso dallo Spirito Santo, e accogliere un vangelo differente, che avrebbero dovuto rigettare in modo netto, senza alcuna indecisione. A causa di questa situazione così preoccupante, e della confusione che può esserne conseguita, Paolo decide quindi di difendere il suo operato dal discredito degli oppositori e portare alla ragione questi credenti parlando secondo la follia dei suoi avversari, utilizzando cioè i loro stessi metodi di vanto.

In questo primo discorso, inizialmente Paolo accetta di paragonarsi con i "sommi apostoli", ossia molto probabilmente gli apostoli di Gerusalemme4, mentre non accetta di paragonarsi con  suoi diretti oppositori, che egli denuncia come falsi apostoli e operai fraudolenti. Costretto a paragonarsi quindi in questo ragionamento folle (ossia per criteri carnali e non spirituali), egli dichiara di essere meno raffinato di loro nell'oratoria, ma di non essere sicuramente da meno nella conoscenza, dimostrata ampiamente ai corinzi. Paolo afferma di non essere in nulla inferiore a loro, proprio per la sua consapevolezza nel fatto che il ministero apostolico non sia basato sull'eccellenza di parola o di sapienza, ma piuttosto sulla conoscenza di Gesù Cristo e lui crocifisso, accompagnata dallo Spirito e dalla potenza di Dio (1 Cor. 2:1-5). Egli dunque non è inferiore degli apostoli di Gerusalemme, come stavano invece affermando i millantatori arrivati dalla Giudea. E non ha neanche commesso peccato quando egli ha annunciato il Vangelo ai corinzi gratuitamente. Dal testo possiamo dedurre che anche quest'ultima insinuazione fosse una critica mossa dai suoi oppositori5, ma perchè servire questa comunità gratuitamente poteva essere visto come un peccato? Nel testo apprendiamo che Paolo è stato sostenuto dai fratelli della Macedonia per la sua opera a Corinto, come del resto era stato sostenuto dai fratelli di Filippi per la sua opera a Tessalonica (Fil. 4:16). Ma non ha voluto tassativamente alcun sostegno economico dalla chiesa di Corinto e dai fratelli dell'Acaia. Come mai? Per quanto riguarda i corinzi, sappiamo che la comunità era divisa in più fazioni (cfr. 1 Cor. 1:10-16), perciò probabilmente Paolo non voleva accettare un sostegno da credenti di una delle fazioni per non alimentare ulteriormente il settarismo6, mentre per quanto riguarda i tessalonicesi è possibile che non volesse metterli in difficoltà vista la persecuzione nella loro città (1 Tess. 1:6). L'apostolo dei gentili dunque accettava sovvenzioni per la sua opera soltanto da chiese unite nella fede e nell'amicizia, evitando di accettare contributi dalle comunità che erano divise o in particolari difficoltà, anche a costo di dover lavorare. Proprio quest'ultimo comportamento poteva essere visto da alcuni come una mancanza di fede, o un sottrarre tempo al lavoro apostolico. Paolo ha abbassato sé stesso per servire i credenti di Corinto, ha spogliato altre chiese per servirli, ma, rinunciando alle loro offerte, il suo intento non era certo quello di offenderli, quanto piuttosto quello di togliere ogni pretesto a coloro che desideravano un'occasione per mostrarsi uguali a lui in ciò di cui si vantavano. I "falsi apostoli" giunti a Corinto si vantavano dei propri successi, si vantavano di avere l'approvazione dalla chiesa di Gerusalemme (non sappiamo se mentendo o dicendo il vero), si vantavano di un proprio status apostolico. Dicevano di essere uguali in tutto agli altri apostoli ma, a riguardo della richiesta di sostegno economico, non potevano essere uguali a Paolo. La decisione di non avvalersi di questo diritto infatti creava automaticamente questa disparità odiata proprio dai diretti interessati.

Se abbiamo seminato per voi i beni spirituali, è forse gran cosa se mietiamo i vostri beni materiali? Se altri hanno questo diritto su di voi, non lo abbiamo noi molto di più? Ma non abbiamo fatto uso di questo diritto; anzi sopportiamo ogni cosa, per non creare alcun ostacolo al vangelo di Cristo. 
1Corinzi 9:11-12  

I veri apostoli del Signore sono disposti a perdere i propri diritti per non creare alcun ostacolo al vangelo di Cristo. I falsi apostoli invece tengono più ai propri diritti e al proprio successo che al vangelo di Cristo. Si presentano alle chiese come servitori di giustizia, quando in realtà sono servitori di Satana. Si presentano come importanti leaders cristiani, quando per i veri cristiani le persone più importanti sono quelle nel bisogno, da servire con ogni riguardo e attenzione (Mt. 25:31-46).
2. IL VANTO NELLA FOLLIA








Nessuno, ripeto, mi prenda per pazzo; o se no, accettatemi anche come pazzo, affinché anch'io possa vantarmi un po'. Quel che dico quando mi vanto con tanta sicurezza, non lo dico secondo il Signore, ma come se fossi pazzo. Poiché molti si vantano secondo la carne, anch'io mi vanterò. Or voi, pur essendo savi, li sopportate volentieri i pazzi! Infatti, se uno vi riduce in schiavitù, se uno vi divora, se uno vi prende il vostro, se uno s'innalza sopra di voi, se uno vi percuote in faccia, voi lo sopportate. Lo dico a nostra vergogna, come se noi fossimo stati deboli; eppure, qualunque cosa uno osi pretendere (parlo da pazzo), oso pretenderla anch'io. 

- PRIMA STROFA
Sono Ebrei? Lo sono anch'io. Sono Israeliti? Lo sono anch'io. Sono discendenza d'Abraamo? Lo sono anch'io. Sono servitori di Cristo? Io (parlo come uno fuori di sé) lo sono più di loro;
 
- SECONDA STROFA
più di loro per le fatiche, più di loro per le prigionie, assai più di loro per le percosse subite. Spesso sono stato in pericolo di morte.
 
- TERZA STROFA
Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio; ho passato un giorno e una notte negli abissi marini.
 
- QUARTA STROFA
Spesso in viaggio, in pericolo sui fiumi, in pericolo per i briganti, in pericolo da parte dei miei connazionali, in pericolo da parte degli stranieri, in pericolo nelle città, in pericolo nei deserti, in pericolo sul mare, in pericolo tra falsi fratelli;
 
- QUINTA STROFA
in fatiche e in pene; spesse volte in veglie, nella fame e nella sete, spesse volte nei digiuni, nel freddo e nella nudità.
 
- SESTA STROFA
Oltre a tutto il resto, sono assillato ogni giorno dalle preoccupazioni che mi vengono da tutte le chiese. Chi è debole senza che io mi senta debole con lui? Chi è scandalizzato senza che io frema per lui?


Se bisogna vantarsi, mi vanterò della mia debolezza. Il Dio e Padre del nostro Signore Gesù, che è benedetto in eterno, sa che io non mento. A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni per arrestarmi; e da una finestra fui calato, in una cesta, lungo il muro, e scampai alle sue mani. 
2Corinzi 11:16-33

Al primo discorso, segue questo secondo, sempre scritto da Paolo "come se fosse pazzo". L'apostolo infatti entra ora nel pieno del vanto con tanta sicurezza, un vanto che risponde ai molti che si vantavano nella carne e che mira ad evidenziare proprio l'assurdità e la mancata spiritualità di questa attitudine orgogliosa. Il secondo discorso del folle è costituito da un preambolo, un piccolo inno/poema che i biblisti evangelici Maurice Carrez e Bruno Corsani identificano come strutturato in sei strofe7, e da una "coda" in prosa. Il preambolo è dominato proprio dal tema della follia/pazzia, ripetuto per cinque volte in sole sei frasi. Paolo annuncia di parlare non secondo il Signore, ma come se fosse pazzo, ossia esattamente nello stesso modo in cui i suoi oppositori parlavano comunemente. Egli li incolpa di aver sopportato questi falsi apostoli usando delle espressioni figurate e non materiali8, ma che avevano sicuramente come realtà il fatto che questi ultimi si facevano mentenere dalla comunità, divorandola. La passività e accettazione di questa situazione da parte dei credenti di Corinto era sicuramente una fonte di vergogna. Nel testo greco non c'è il possessivo "nostra"9, quindi resta il dubbio se questa vergogna fosse di Paolo oppure sarebbe dovuta essere dei corinzi. Parlando dunque in modo carnale, dopo essersi paragonato ai sommi apostoli nel primo discorso, l'apostolo nel secondo discorso inizia a mostrare il proprio vanto, contrapponendolo a quello dei suoi diretti oppositori. 

La prima strofa contesta ogni superiorità dei rivali su quattro punti: essi si vantavano di essere Ebrei, Israeliti, figli di Abraamo, ma anche Paolo possiede pienamente questa ascendenza. Essi affermavano di essere servitori di Cristo, e Paolo risponde (affermando esplicitamente di parlare fuori di sé, ossia secondo la follia dell'orgoglio umano) di esserlo più di loro.
La seconda strofa descrive in cosa Paolo poteva dimostrare di essere più servitore del Signore rispetto agli avversari: più in fatiche, prigionie, percosse, pericoli di morte. Questo, pur essendo un folle vanto dichiarato, è comunque un vanto molto più spirituale di quanto potesse esserlo quello degli antagonisti dell'apostolo. Ad un vanto dei successi, delle importanti conversioni, del numero di comunità fondate, dei membri di chiesa aderenti alla propria rete apostolica, Paolo preferisce proporre, anche mentre parla per orgoglio, un vanto per le sue sofferenze per amore del Signore. Se la pazzia di Dio è più saggia degli uomini (1 Cor. 1:25), di certo anche la pazzia dei veri uomini di Dio è più saggia dei mercenari che predicano il Vangelo per un proprio interesse economico o di vanagloria (Gv. 10:12). 
La terza strofa descrive alcune occasioni di percosse e pericoli di morte, mentre la quarta strofa elenca i pericoli corsi durante i viaggi missionari. 
La quinta strofa continua la tematica della quarta e conduce alla sesta, nella quale si aggiungono le preoccupazioni provenienti da tutte le chiese. Il vanto di Paolo è dunque proprio nelle sue difficoltà e nella sua debolezza, che lo mettono nella condizione di comprendere appieno la sofferenza del prossimo, e di conseguenza di poterlo amare con un cuore consapevole e sincero. Invece di terminare il suo poema in modo diverso, con la descrizione di un successo, ancora una volta il nostro sceglie di raccontare un episodio umanamente vergognoso, ma prezioso agli occhi di Dio. Un episodio che sicuramente molti avrebbero preso come occasione di scherno, ma che Paolo sapeva corrispondere invece ad un'occasione di fedeltà ed onore nel servizio per il suo Signore.    

3. LA POTENZA DI DIO PERFETTA NELLA DEBOLEZZA










Bisogna vantarsi? Non è una cosa buona; tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa (se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. So che quell'uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all'uomo di pronunciare. Di quel tale mi vanterò; ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolezze. Pur se volessi vantarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, perché nessuno mi stimi oltre quello che mi vede essere, o sente da me. E perché io non avessi a insuperbire per l'eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l'allontanasse da me; ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte. Sono diventato pazzo; siete voi che mi ci avete costretto; infatti io avrei dovuto essere da voi raccomandato; perché in nulla sono stato da meno di quei sommi apostoli, benché io non sia nulla. Certo, i segni dell'apostolo sono stati compiuti tra di voi, in una pazienza a tutta prova, nei miracoli, nei prodigi e nelle opere potenti. In che cosa siete stati trattati meno bene delle altre chiese, se non nel fatto che io stesso non vi sono stato di peso? Perdonatemi questo torto.
2Corinzi 12:1-13

Il terzo brano conclude il complessivo discorso del folle, sviluppando ulteriormente il tema e rimarcando gli elementi già espressi precedentemente. Il vanto, dice Paolo, non è una cosa buona, letteralmente "non è una cosa utile"10. Tuttavia, trascinato in questa follia, l'apostolo continua il suo discorso inserendo tra il racconto della fuga a Damasco (epilogo del discorso precedente) e il racconto della spina nella carne (in questa ultima parte di discorso), anche un episodio di eccellente rivelazione. Questo racconto, di per sé ora finalmente glorioso, viene però presentato smorzando ogni sensazionalismo, restando quindi nello stesso sentimento del resto del discorso. Il vanto non è utile, esattamente come i doni dello Spirito Santo non lo sono se non restano esercitati nell'agape, ossia nell'amore cristiano (1 Cor. 13:1-3). Il senso del ministero, della predicazione, dell'esercizio dei carismi spirituali infatti è quello di edificare il prossimo e non innalzare sé stessi. E come potrebbe edificare il prossimo un proprio vanto personale? Per sua stessa espressione il vanto costituisce un piedistallo che allontana le persone, piuttosto che avvicinarle per poterle servire. No, il vanto non è sicuramente una cosa buona. Tuttavia l'apostolo viene portato obbligatoriamente a condividere le visioni e rivelazioni ricevute dal Signore, che evidentemente considerava molto personali. Non ne parla in prima persona ma in terza, per sottolineare  - anche nell'inutile vanto - il suo distacco da ogni orgoglio e superiorità. Egli dunque si descrive come un "uomo in Cristo" che quattordici anni prima (parecchi anni, ad evidenziare che neanche per lui esperienze di questo tipo erano alla portata di tutti i giorni) era stato rapito fino al terzo cielo, ossia in paradiso. Il verbo "rapire", reso in originale con harpazō viene usato da Paolo una sola altra volta, in 1 Tess. 4:17, quando parla del ritorno del Signore e del rapimento dei credenti11. Questo dato potrebbe portare a pensare al rapimento spirituale dell'apostolo come ad un'anticipazione del rapimento escatologico promesso dal Signore, ma dobbiamo considerare anche la mancanza di qualsiasi incontro con Cristo o con Dio Padre, o perlomeno la mancanza di qualsiasi racconto di questo genere12. Paolo dunque fu rapito in paradiso, ma afferma di non sapere tecnicamente se questa sua esperienza sia avvenuta con il corpo o senza il corpo, e questo probabilmente per polemizzare ancora una volta con il borioso vanto degli antagonisti che evidentemente raccontavano e spiegavano ogni dettaglio delle loro esperienze estatiche. A tutte queste specifiche Paolo contrappone un grande mistero, legato all'inesprimibilità di ciò che riuscì ad ascoltare. Le parole ascoltate nel terzo cielo infatti erano ineffabili, e nessun uomo può pronunciarle, figuriamoci raccontarle per vantarsi con altri credenti. Questa è stata un'esperienza reale, ma l'apostolo afferma ancora una volta di preferire di gran lunga astenersi da simili racconti affinché le persone che aveva incontro potessero conoscerlo per quel che vedevano e sentivano piuttosto che per leggende e agiografie, che purtroppo a partire dal secolo successivo sarebbero fiorite in gran quantità sul suo conto. L'ennesima demolizione di qualsiasi pretesa di orgoglio, viene infine affrontata con il racconto della "spina nella carne". Dato il linguaggio metaforico, questa limitazione poteva essere una malattia (balbuzie, epilessia, congiuntivite), oppure un rivale (messaggero di Satana), o ancora una preoccupazione, magari la mancata possibilità di predicare efficacemente il Vangelo ai suoi connazionali (Rom. 9:1-3)13. Quale che fosse questa "spina", essa era comunque stata permessa da Dio affinché la potenza di Dio potesse dimostrarsi perfetta nella debolezza. Questa lezione è sicuramente restata ben impressa nel cuore dell'apostolo perché è proprio per questo motivo che dichiara di compiacersi in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo piuttosto che in successi, rivelazioni, estasi e miracoli. I segni dell'apostolo non sono mancati nella comunità di Corinto mentre Paolo vi era presente, essi avevano potuto conoscere la sua pazienza e vedere segni, miracoli, prodigi e opere potenti. Ma avevano conosciuto soprattutto il suo amore e il suo servizio completamente gratuito: un amore e un servizio che parlavano di Cristo più di molti discorsi, secondo la volontà stessa del nostro Maestro.

CONCLUSIONE 

Ritengo che questo "discorso da folle", scritto dall'apostolo Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi, sia quantomai attuale nella nostra epoca e società. E' davvero triste constatare quanta somiglianza ci sia tra l'autoapprovazione e il vanto degli antichi antagonisti dell'apostolo dei gentili e molti credenti di oggi, assuefatti da biografie, diplomi, raccomandazioni e locandine miracolistiche. Personalmente, non mi reputo esente da questa ammonizione scritturale. Chi più e chi meno, penso che ognuno di noi abbia avuto occasione di entrare almeno una volta e almeno con i propri pensieri nel gioco satanico dell'immagine e dell'apparenza, piuttosto che dimorare nell'umiltà e nella mansuetudine di Cristo. Come fu una vergogna per i corinzi, questa è una vergogna anche per noi. Ma la vergogna, non deve rimanere tale per sempre, e la tristezza non deve condurre a morte, ma al ravvedimento (2 Cor. 7:9). La mia preghiera e il mio desiderio dunque, è che questo percorso affrontato coraggiamente attraverso l'undicesimo e parte del dodicesimo capitolo di questa importante lettera paolina, possa risvegliare in noi una nuova consapevolezza sull'autenticità del servizio cristiano, radicato nell'amore (per Dio e per il prossimo) e non nel vanto. Con l'aiuto del Signore.

Gli oppositori dell'apostolo Paolo si vantavano di essere Ebrei, si vantavano delle proprie lettere di raccomandazione e delle proprie esperienze carismatiche, ma questo vanto poteva essere soltanto un inciampo nella crescita spirituale dei credenti di Corinto. E, anche ai giorni nostri, il vanto di presunte superiorità spirituali da parte di alcuni credenti non può far altro che causare un danno nella vita degli altri fratelli nel Signore. I motivi di vanto possono essere diversi (essere battezzati nello Spirito Santo, avere eccellenze di rivelazioni, molti carismi spirituali, un rinomato curriculum teologico), ma qualsiasi ostentazione non può che essere segnale di insicurezza e immaturità nel migliore dei casi e falsità di ministero nel peggiore. 

Il Signore ci guarisca da ogni nostro orgoglio e ci accompagni verso la reale libertà del servizio cristiano. Un servizio svolto con lo Spirito Santo, con potenza e con piena convinzione. Ma solo ed unicamente per la gloria di Dio.
 

Note: 

[1] Bosh Jordi Sanchez, Scritti paolini, Ed. Paideia, cit. p. 189.
[2] Chesterton G.K., Ortodossia, Ed. Piemme (1999), cit. pp. 11,12. 

[3] Corsani Bruno, La seconda lettera ai Corinzi, Ed. Claudiana, cit. p. 142.
[4] Id. Ibid. cit. p. 143.
Cfr. anche Galati 2:9

[5] Corsani B., La seconda lettera ai Corinzi, Ed. Claudiana, cit. p. 145.
[6] Id. Ibid. 
[7] Id. Ibid. cit. pp. 150, 151.
[8] Id. Ibid. cit. p. 149.
[9] Id. Ibid.
[10] Id. Ibid. cit. p. 153
[11] https://www.blueletterbible.org/lang/lexicon/lexicon.cfm?Strongs=G726&t=KJV   
[12] Corsani B., La seconda lettera ai Corinzi, Ed. Claudiana, cit. p. 154
[13] Id. Ibid. cit. p. 156.
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