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martedì 27 dicembre 2016

Aspettando il ritorno del Signore (parte II): il mistero dell'empietà

Io vidi quel corno fare guerra ai santi e avere il sopravvento, finché non giunse il vegliardo.
Daniele 7:21,22a

"Mentre aspettiamo - esortazioni da 2 Tessalonicesi"
Dopo aver presentato un'introduzione alla Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi ed aver commentato il primo capitolo nella prima parte dello studio chiamata fedeli nelle persecuzioni, possiamo in questa seconda parte addentrarci meglio nell'epistola soffermandoci sul secondo capitolo fino al versetto quindici. Come abbiamo già visto, la struttura letteraria dell'opera viene identificata in due esordi, due esortazioni e due conclusioni. In questo approfondimento tratteremo la prima esortazione (2:1-12) ed il secondo esordio (2:13-15). 

Dopo aver lodato la fedeltà del tessalonicesi, dopo averli rassicurati sulla giustizia di Dio manifestata proprio nella loro fedeltà e nella crudeltà dei loro persecutori (fedeltà e crudeltà che saranno rispettivamente onorate e punite da Dio nel giorno del Signore), dopo aver pregato per loro, l'apostolo Paolo inizia ad esortare questi cari credenti entrando nel vivo nell'argomento che voleva trattare.

Ora, fratelli, circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto sconvolgere la mente, né turbare sia da pretese ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche lettera data come nostra, come se il giorno del Signore fosse già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l'apostasia e non sia stato manifestato l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, l'avversario, colui che s'innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e proclamandosi Dio. Non vi ricordate che quand'ero ancora con voi vi dicevo queste cose? Ora voi sapete ciò che lo trattiene affinché sia manifestato a suo tempo. Infatti il mistero dell'empietà è già in atto, soltanto c'è chi ora lo trattiene, finché sia tolto di mezzo. E allora sarà manifestato l'empio, che il Signore Gesù distruggerà con il soffio della sua bocca, e annienterà con l'apparizione della sua venuta. La venuta di quell'empio avrà luogo, per l'azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi, con ogni tipo d'inganno e d'iniquità a danno di quelli che periscono perché non hanno aperto il cuore all'amore della verità per essere salvati. Perciò Dio manda loro una potenza d'errore perché credano alla menzogna; affinché tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma si sono compiaciuti nell'iniquità, siano giudicati. 
2Tessalonicesi 2:1-12 


Nella Prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo aveva istruito la comunità su quello che sarebbe avvenuto al ritorno del Signore, e in particolare su quello che sarebbe successo a coloro che nel frattempo erano morti martiri in seguito alle persecuzioni avvenute in quella città (cfr. Atti 17:1-9; 1 Ts. 1:6). Tornando ora sempre sul tema della venuta del Signore Gesù Cristo e del prossimo incontro con lui, l'apostolo si trova costretto a correggere un falso insegnamento o una errata comprensione a riguardo. I credenti di Tessalonica infatti in breve tempo avevano visto turbata la propria mente a causa di una nuova convinzione: il fatto che il giorno del Signore fosse già presente. Questa indicazione derivava forse da una ispirazione, ossia da una profezia carismatica. Oppure da un discorso, ovvero una predicazione o un insegnamento; o ancora da qualche lettera data come per loro. E' possibile che la chiesa abbia ricevuto una falsa lettera a nome di Paolo che annunciava finalmente l'arrivo del giorno del Signore, e che questa fosse stata confermata in assemblea da profezie e insegnamenti. Ma c'è anche la possibilità che i tessalonicesi abbiano semplicemente compreso male una parte della lettera precedente.1 Di fatto, la comunità aveva accolto come vero questo dato e almeno parte di essa aveva reagito in modo non sano (2 Ts. 3:6-12). Per questo motivo l'apostolo Paolo poco dopo la prima lettera, scrive questa seconda missiva. Poiché il giorno del Signore non è già arrivato, l'insegnamento apostolico verte in questo caso soprattutto su ciò che deve accadere prima del giorno del Signore, in modo che possa esserci chiarezza per tutti. Gli eventi che vengono descritti rappresentano quindi una specie di "orario" dei tempi finali paragonabile a quelli che si leggono negli scritti biblici apocalittici, come anche nel "discorso escatologico" dei Vangeli sinottici.2 Tali avvenimenti sono in questo caso l'apostasia, ossia il rinnegamento e l'allontanamento della fede in Cristo, e la manifestazione dell'uomo del peccato. Quest'ultimo è chiamato anche il figlio della perdizione e l'avversario, colui che s'innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio od oggetto di culto. Questo individuo non sarà Satana in persona, ma un uomo che sorgerà per azione efficace di Satana e che promuoverà un'apostasia di enormi proporzioni. Egli si innalzerà contro Dio e si porrà a sedere nel tempio di Dio, proclamandosi Dio. All'epoca della lettera, il tempio di Gerusalemme era ancora integro, e l'aspettativa era quindi quella che tale personaggio arrivasse a compiere queste azioni blasfeme proprio nel luogo più santo per il culto giudaico. Le sue azioni assomigliano in particolare a quelle descritte in un brano apocalittico del libro di Daniele, ma anche nell'oracolo di Ezechiele contro il principe di Tiro e la sua autodivinizzazione:
  
Il re agirà a suo piacimento, s'innalzerà, si esalterà al di sopra di ogni dio e pronuncerà parole inaudite contro il Dio degli dèi; prospererà finché non sia finita l'ira, poiché ciò che è stato deciso si compirà. Egli non avrà riguardo agli dèi dei suoi padri; non avrà riguardo al dio preferito dalle donne, né ad alcun dio, perché si innalzerà al di sopra di tutti.
Daniele 11:36,37

«Figlio d'uomo, di' al principe di Tiro:
Così parla il Signore, DIO:
"Il tuo cuore si è insuperbito, e tu dici:
'Io sono un dio!
Io sto seduto su un trono di Dio nel cuore dei mari!',
mentre sei un uomo e non un dio
e hai scambiato il tuo cuore per quello di Dio.

Ezechiele 28:2 

Sappiamo che il sovrano seleucide Antioco IV Epifane (175-164 a.C.) saccheggiò il tempio riconsacrandolo alla divinità pagana Giove Olimpo, vietando ai giudei di osservare i propri precetti religiosi. Molti di essi assecondarono questo dominatore e accolsero con favore gli usi e i costumi greci, rinnegando di fatto la propria religione. Secondo la moderna esegesi biblica proprio questi avvenimenti stanno alla base della descrizione di Daniele, che possiamo leggere con prospettiva profetica tesa verso questo figlio della perdizione descritto da Paolo, destinato a compiere le stesse terribili azioni in un prossimo futuro precedente al giorno del Signore. Tutto questo è un mistero, chiamato mistero dell'empietà, in quanto persino la più grande vittoria di Satana e dei suoi agenti resta soltanto un piccolo dettaglio del segreto disegno generale che Dio promuove per il raggiungiumento dei suoi eterni obiettivi. Infatti l'empio, questo individuo senza legge, è comunque destinato ad essere distrutto velocemente dal soffio della bocca del Signore Gesù. Ma al presente c'è qualcosa/qualcuno che lo trattiene, affinché possa manifestarsi al tempo opportuno deciso da Dio, non prima (per quanto in una certa misura il mistero dell'empietà sia già in atto). Paolo parla di ciò che lo trattiene, in modo impersonale, ma subito dopo ne parla come di chi ora lo trattiene, passando velocemente a parlarne in termini personali. La domanda che sorge spontanea è: chi o cosa sta trattenendo anche al giorno d'oggi l'azione del mistero dell'empietà? L'apostolo non lo dice esplicitamente, e per questo motivo nel corso della storia sono state proposte molteplici soluzioni. Numerosi Padri della Chiesa (Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Agostino, Girolamo, Cirillo etc.) hanno visto in questa forza l'Impero romano con la sua civiltà ed il suo ordine, poi personificato nell'Imperatore (da Costantino in poi, salvo qualche eccezione, di fede cristiana).3 Ma l'Impero a suo tempo è crollato, e il mistero dell'empietà non si è comunque palesato. Tommaso d'Aquino (1225-1274) ha dunque affermato che per Impero romano non si dovesse intendere solo l'impero materiale ma anche quello spirituale rappresentato dalla Chiesa cattolica romana.4 Altri invece hanno successivamente pensato all'autorità costituita dalla predicazione del Vangelo, che deve raggiungere l'estremità della terra, allo Spirito Santo, oppure all'arcangelo Michele. Viste le caratteristiche letterarie del brano in questione (e la precedente allusione in 1 Ts. 4:16), la mia opinione personale propende più che altro verso quest'ultima possibilità. Sappiamo che nell'apocalittica giudaica e in quella cristiana il ruolo delle creature angeliche è senza dubbio preminente, e lo è anche negli scritti biblici corrispondenti a questo genere. Possiamo confrontare il libro di Daniele al capitolo dieci e dodici, con l'Apocalisse di Giovanni al capitolo dodici, ma possiamo confrontare anche i numerosi testi apocrifi che sono utili a comprendere meglio questi testi così enigmatici, per capirne meglio le dinamiche.5 Michele è l'arcangelo che Dio ha incaricato di difendere i figli di Israele (Dn. 12:1), e nel quadro biblico apocalittico è verosimile che sia stato anche incaricato di trattenere questa empietà, visto che la sua azione andrà a danneggiare prima di tutto il cuore della vita spirituale di Israele, e con esso quello di tutti i cristiani. Quando Michele sarà tolto di mezzo (per ordine di Dio?) sarà manifestato l'empio, che il Signore Gesù distruggerà con il soffio della sua bocca, e annienterà con l'apparizione della sua venuta. La manifestazione di questo uomo del peccato sarà accompagnata da opere potenti, segni e prodigi bugiardi: miracoli demoniaci che saranno creduti da tutti coloro che avranno rifiutato il Vangelo di Dio. Queste persone, in seguito al loro rifiuto, saranno sensibili alla potenza di errore che arriverà direttamente da Dio, e che li farà cadere nella più profonda menzogna e iniquità, in attesa del loro giudizio. 

Ma noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio fin dal principio vi ha eletti a salvezza mediante la santificazione nello Spirito e la fede nella verità. A questo egli vi ha pure chiamati per mezzo del nostro vangelo, affinché otteniate la gloria del Signore nostro Gesù Cristo. Così dunque, fratelli, state saldi e ritenete gli insegnamenti che vi abbiamo trasmessi sia con la parola, sia con una nostra lettera. 
2Tessalonicesi 2:13-15 

Avendo terminato la prima esortazione della lettera, Paolo scrive ora questo secondo esordio.6 In antitesi a coloro che periscono perché non hanno aperto il cuore all'amore della verità per essere salvati, ci sono proprio i credenti di Tessalonica, che con la loro fede e perseveranza hanno manifestato di essere stati eletti a salvezza da Dio fin dal principio, attraverso la santificazione nello Spirito e la fede nella verità. L'elezione divina dei credenti per la loro salvezza in Cristo risale a prima della fondazione del mondo (Ef. 1:4), ed è un decreto sovrano di Dio (Rm. 9:18), ma si realizza attraverso la santificazione nello Spirito e la fede nella verità. Queste due caratteristiche dunque, mostrano in modo visibile la realtà invisibile e segreta dell'elezione di Dio, realizzando nel tempo il suo piano che ha come obiettivo finale quello di far raggiungere anche ai credenti la gloria del Signore Gesù Cristo. Per questo motivo, è necessario restare saldi negli insegnamenti apostolici, ossia nella verità, per poter crescere nella fede sulla strada che porta verso la realizzazione di questa mirabile realtà 

CONCLUSIONE 






In questo secondo approfondimento dedicato alla Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi abbiamo potuto esaminare la prima vera e propria istruzione in forma di esortazione contenuta nell'epistola. Questa istruzione costituisce uno dei motivi principali di redazione della lettera, e un insegnamento fondamentale per la corretta comprensione degli eventi che anticiperanno il ritorno del Signore. Nel Nuovo Testamento troviamo indicazioni che spronano ad una viva e fiduciosa attesa, ma anche altre esortazioni (come questa) che mettono in guardia da una "febbre apocalittica" che può colpire chi, confondendosi con profezie e libri sul tema, ne vede un adempimento addirittura già avvenuto oppure di imminente realizzazione. No, prima che arrivi questo giorno atteso da tutti i cristiani di ogni epoca, per volontà segreta di Dio deve sorgere un uomo del peccato attraverso l'azione efficace di Satana. Egli dovrà sedurre i popoli con miracoli demoniaci, e profanare il tempio arrivando ad autoproclamarsi Dio. La distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. pone una difficoltà a questo riguardo. Alcuni ritengono che di fatto questo individuo sia già arrivato nella persona di Nerone, o Domiziano; ma per quanto queste ipotesi siano possibili, appaiono molto improbabili.7 Altri ipotizzano che il tempio dovrà essere ricostruito una terza volta, anche se l'attuale assetto politico lo rende impossibile. Altri ancora, invece, hanno interpretato questo tempio come un simbolo della Chiesa (tempio dello Spirito Santo), e la profanazione come un'attività persecutoria. Vista la sofferenza e la persecuzione cittadina vissuta sin dall'inizio dalla comunità di Tessalonica - destinataria di questa lettera - quest'ultima soluzione mi sembra molto poco verosimile. In questo caso infatti avrebbero ragione i tessalonicesi a ritenere il giorno del Signore già arrivato, e Paolo si smentirebbe da solo usando una argomentazione contraria alle sue intenzioni. Se non è così quindi, la Scrittura ci sta dicendo che verrà ricostruito un nuovo tempio? No, non lo fa esplicitamente, e in ultima analisi il problema non può che resta aperto

Sicuramente tuttavia il ritorno del Signore non avverrà di nascosto, né in luoghi segreti: quando arriverà infatti sarà riconosciuto chiaramente da tutti, senza alcuna possibilità di dubbio.8

Allora, se qualcuno vi dice: "Il Cristo è qui", oppure: "È là", non lo credete; perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti. Ecco, ve l'ho predetto. Se dunque vi dicono: "Eccolo, è nel deserto", non v'andate; "Eccolo, è nelle stanze interne", non lo credete; infatti, come il lampo esce da levante e si vede fino a ponente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo.
Matteo 24:23-27 



Note:
[1] Francesco Mosetto, Lettere ai Tessalonicesi, Edizioni Messaggero Padova, p.82.
[2] Id. Ibid.  
[3] http://profezie3m.altervista.org/archivio/fede_cultura/FedeCultura_CatechApocal3-6.htm
[4] Id. Ibid.  
[5] Per approfondimenti: Paolo Sacchi, L'apocalittica giudaica e la sua storia, Paideia.  
[6] Jordi Sanchez Bosh, Scritti paolini, Paideia, p. 150. 
[7] Wayne Grudem, Teologia sistematica, GBU, pp. 1496-1497. 
[8] A questo riguardo non prendo neanche in considerazione l'ipotesi di John Nelson Darby (1800-1882) circa un duplice ritorno di Cristo, uno segreto e uno pubblico, a causa della debolezza biblica dell'argomentazione e della sua recente formulazione. Per approfondimenti: Wayne Grudem, Teologia sistematica, GBU, p. 1490 e seguenti.  

venerdì 9 dicembre 2016

Aspettando il ritorno del Signore (parte I): fedeli nelle persecuzioni

"Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d'uomo."
Daniele 7:13a
Dopo l'introduzione e il commento della Prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi, lavoro intitolato "Il frutto dell'apostolato", iniziamo con questo nuovo approfondimento la sua naturale prosecuzione con il primo articolo di una nuova serie dedicata alla Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi. 

Riepilogando brevemente il contesto storico, in seguito al Concilio di Gerusalemme (Atti XV) l'apostolo Paolo torna ad Antiochia. Da qui, assieme a Sila, riparte per un secondo viaggio missionario attraversando inizialmente la Siria e la Cilicia, fortificando le chiese presenti in queste regioni. A Listra Paolo incontra un credente di nome Timoteo e gli chiede di aggiungersi alla squadra missionaria che, in seguito ad una visione, si dirige prima a Filippi (fondando qui una nuova comunità) e poi a Tessalonica. Dopo alcune settimane di predicazione in sinagoga, diverse persone si convincono e si uniscono a Paolo, ma una immediata persecuzione cittadina spinge l'apostolo con i suoi collaboratori a proseguire lasciando la città e dirigendosi a Berea. Qui restano Sila e Timoteo, mentre Paolo prosegue prima verso Atene e successivamente a Corinto. L'apostolo è preoccupato della salute dei credenti di Tessalonica, ma quando Timoteo e Sila lo raggiungono, possono tranquillizzarlo informandolo del fatto che nonostante la persecuzione e le varie difficoltà, questa chiesa si è ben radicata nella fede e nell'amore cristiano. A Corinto scrive dunque una prima lettera indirizzata a loro tra il 51 e 52 d.C. con l'occasione di istruirli sulla sorte di coloro che sono morti. Da lì a poco però giunge a questi fratelli una falsa lettera scritta a nome di Paolo che pone l'accento sull'estrema prossimità del ritorno del Signore, affermando appunto che "il giorno del Signore è imminente". Ritenendo queste informazioni come imprecise, se non addirittura errate, l'apostolo scrive dunque una seconda lettera - oggetto di questa nuova serie di approfondimenti - per specificare cosa succederà prima della parusìa, ossia prima del ritorno di Gesù.1

Da un punto di vista letterario, la Seconda lettera ai Tessalonicesi possiede delle caratteristiche senza dubbio peculiari: tono e stile infatti si presentano identici alla lettera precedente.2 Le due lettere sono accomunate anche dall'avere entrambe un doppio esordio sotto forma di rendimento di grazie  e una doppia conclusione, in uno schema che possiamo riconoscere nel seguente modo:
  1. Indirizzo (1:1-2)
  2. Primo esordio (1:3-12)
  3. Prima esortazione (2:1-12)
  4. Secondo esordio (2:13-15)
  5. Prima conclusione (2:16-3:5)
  6. Seconda esortazione (3:6-15)
  7. Seconda conclusione (3:16-18)3
Le parole della lettera che non compaiono in nessun'altro scritto dell'apostolo inoltre sono solamente nove, mostrando anche in questo una grande somiglianza con gli altre lettere paoline. Dopo queste considerazioni, possiamo avvicinarci alle prime due sezioni del testo. Le seguenti invece saranno analizzate nei prossimi studi. Di seguito l'inizio:  

Paolo, Silvano e Timoteo, alla chiesa dei Tessalonicesi, che è in Dio nostro Padre e nel Signore Gesù Cristo, grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo.

La lettera si apre con le stesse identiche parole utilizzate nell'indirizzo della prima lettera, aggiungendo però l'indicazione che la grazia e la pace provengono da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo. Paolo è affiancato da Silvano (o Sila) e Timoteo. I due nomi Silvano e Sila sono portati dalla stessa persona, che forse aveva realmente entrambi nomi (il primo latino e il secondo di probabile origine aramaica ma tradotto in greco), o forse vide il proprio nome semitico da un lato grecizzato (Silas) e dall'altro latinizzato (Silvanus).4 Il nome Timoteo invece è greco, e significa "adoratore di Dio".5 All'indirizzo iniziale segue il vero e proprio (primo) esordio:


Noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, com'è giusto, perché la vostra fede cresce in modo eccellente, e l'amore di ciascuno di voi tutti per gli altri abbonda sempre di più; in modo che noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio, a motivo della vostra costanza e fede in tutte le vostre persecuzioni e nelle afflizioni che sopportate. Questa è una prova del giusto giudizio di Dio, perché siate riconosciuti degni del regno di Dio, per il quale anche soffrite. Poiché è giusto da parte di Dio rendere a quelli che vi affliggono, afflizione; e a voi che siete afflitti, riposo con noi, quando il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza, in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al vangelo del nostro Signore Gesù. Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando verrà per essere in quel giorno glorificato nei suoi santi e ammirato in tutti quelli che hanno creduto, perché la nostra testimonianza in mezzo a voi è stata creduta. Ed è anche a quel fine che preghiamo continuamente per voi, affinché il nostro Dio vi ritenga degni della vocazione e compia con potenza ogni vostro buon desiderio e l'opera della vostra fede, in modo che il nome del nostro Signore Gesù sia glorificato in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e Signore Gesù Cristo.
2Tessalonicesi 1:1-12

L'apostolo esordisce con l'affermazione della necessità di un continuo ringraziamento a Dio per la fede e l'amore dei tessalonicesi che continuava a crescere in modo eccellente, e abbondare sempre di più. Già le persecuzioni iniziali non avevano soffocato la loro vita spirituale, ma adesso, passato qualche tempo, la testimonianza della loro fedeltà a Cristo si stava espandendo nelle regioni vicine, incoraggiando gli altri fratelli e dando motivo di gioia alla squadra apostolica di Paolo. Nei Vangeli sinottici troviamo questo importante insegnamento di Gesù, che ben descrive le possibili risposte che ci sono nell'ambito della predicazione evangelica:

Tutte le volte che uno ode la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e porta via quello che è stato seminato nel cuore di lui: questi è colui che ha ricevuto il seme lungo la strada. Quello che ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ode la parola e subito la riceve con gioia, però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato. Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani e l'inganno delle ricchezze soffocano la parola che rimane infruttuosa. Ma quello che ha ricevuto il seme in terra buona è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto e, così, l'uno rende il cento, l'altro il sessanta e l'altro il trenta». 
Matteo 13:19-23

Questi credenti di Tessalonica non sono stati un terreno roccioso: arrivando la tribolazione e la persecuzione infatti non si sono sviati, ma hanno perseverato.  Essi erano infatti una "terra buona"; hanno ascoltato la parola, l'hanno compresa, e nonostante le difficoltà hanno da subito portato frutto. Non solo: con il persistere dei problemi, la loro fede ha potuto crescere in modo eccellente e il loro amore per gli altri abbondare sempre di più. Questa costanza è una prova del giusto giudizio di Dio, in quanto manifesta anticipatamente la giustizia di questi fratelli e l'ingiustizia dei loro persecutori, mostrando prima del giorno del giudizio quale sarà l'intervento del giusto Giudice. Egli, infatti, in quel giorno non potrà che rendere afflizione a coloro che stavano affliggendo la chiesa disubbidendo al Vangelo, e rendere riposo invece a coloro che per amore del Vangelo di Cristo stavano soffrendo così intensamente. Tutto questo sarà evidente nel momento in cui il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza, in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al vangelo del nostro Signore Gesù. Una descrizione dal sapore apocalittico che sicuramente si accorda con quella del profeta Daniele, nel settimo capitolo del suo libro, ma anche con la successiva Apocalisse di Giovanni al c. XIX. Il Signore Gesù tornerà dal cielo, nella medesima maniera in cui è stato visto ascendervi (Atti I), e lo farà per giudicare: per colmare finalmente le ingiustizie che si sono accumulate nella storia, inaugurando un regno eterno di pace e giustizia. Ma anche per essere glorificato nei suoi santi, ossia nel pieno compimento della sua redenzione nei loro confronti, nel momento in cui tutti i credenti (tra i quali anche i tessalonicesi conosciuti da Paolo) potranno ammirarlo in tutta la sua maestà. I martiri di ogni tempo stanno aspettando che venga fatta giustizia, e la risposta di Dio in questo tempo è quella di riposarsi ancora un po' di tempo, finché sia completo il numero dei  compagni di servizio e dei propri fratelli (Ap. VI:XI). Questo è un tempo di servizio, in attesa del giorno del Signore. Dopo queste parole, Paolo termina il primo esordio con una preghiera di intercessione: prega infatti continuamente per i credenti di Tessalonica, chiedendo a Dio che li renda degni della sua chiamata, e che porti a compimento - con potenza - ogni loro buon desiderio e l'opera della loro fede. Per portare a termine i buoni desideri che vengono da Dio, per portare a compimento le opere della fede è necessaria la potenza di Dio stesso, l'azione dello Spirito Santo.6 Così come la chiamata, anche il volere e l'agire infatti sono prodotti da Dio, secondo il suo disegno benevolo (Fil. II:XIII). La vita cristiana non è una vita statica, che al raggiungimento di un obiettivo rallenta la propria corsa e si riposa, ma al contrario è una vita che può venire simboleggiata da una intensa attività agonistica che dura sino al momento della propria morte. Le opere della fede sono opere che durano tutta una vita, e che sono state precedentemente preparate da Dio stesso per la sua gloria (Ef. II:X). Sono opere che necessitano di preghiera, per essere radicate nella fede e non nella carne, e per poter essere sostenute continuamente dalla potenza dello Spirito. Per questo motivo Paolo intercedeva davanti a Dio per i credenti di Tessalonica, e per questo stesso motivo ogni credente dovrebbe pregare per sé stesso e per i propri fratelli e le proprie sorelle in Cristo. Questa preghiera conclude il brano, così come questa stessa preghiera dovrebbe concludere ogni momento spirituale passato insieme alla chiesa, in modo che il nome del nostro Signore Gesù sia glorificato in noi, e noi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e Signore Gesù Cristo.

CONCLUSIONE

In questo primo articolo dedicato alla Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi, abbiamo ripercorso brevemente le tappe storiche che portarono alla redazione di questa epistola. Abbiamo considerato alcune peculiarità letterarie dell'opera, e lo schema generale nel quale può essere suddiviso il testo complessivo. In modo particolare, l'attenzione si è soffermata nella parte iniziale, costituita dall'indirizzo della lettera e dal suo primo esordio. 

Nel breve tempo passato tra l'invio della precedente lettera e la necessità di scrittura di questa seconda, la chiesa di Tessalonica è rimasta salda nell'integrità cristiana; ma per correggere gli insegnamenti di una falsa lettera, l'apostolo Paolo è dovuto intervenire una seconda volta, specificando gli eventi che dovranno precedere il ritorno del Signore (che saranno approfonditi prossimamente). Prima di entrare nel vivo dell'argomento però, egli loda i tessalonicesi per la loro condotta, li rassicura sulla vicina giustizia di Dio (in questo caso una giustizia retributiva) e prega per loro: che venga portato a compimento ogni loro buon desiderio e l'opera della loro fede attraverso la potenza di Dio. Una preghiera che deve essere molto vicina ad ogni credente, per un percorso condiviso da tutta la chiesa ed un traguardo comune: la glorificazione del Signore in noi e la nostra in lui.



Note:

[1] Per approfondire l'occasione della lettera e l'ipotesi di pseudoepigrafia:
Jordi Sanchez Bosh, Scritti paolini, Paideia, p.145 e seguenti. Il presente studio procede dal presupposto più semplice: ossia che la lettera sia autentica.
[2] Per approfondire il linguaggio e lo stile della lettera:
Id. Ibid. p. 146-147.
[3] Id. Ibid. p. 148.
[4] Horst Balz, Gerhard Schneider, Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, II 1333.
[5] Id. Ibid. II 1631.
[6] Francesco Mosetto, Lettere ai Tessalonicesi, Edizioni Messaggero Padova, p.78.

martedì 22 novembre 2016

Vi è un corpo solo

Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla.
Giovanni 15:5
Nel Nuovo Testamento troviamo molti insegnamenti riguardanti la Chiesa, tanto nei Vangeli, quanto negli Atti degli Apostoli, nelle lettere di Paolo e in quelle Cattoliche, ed infine nell'Apocalisse di Giovanni. La Confessione di fede riformata di Westminster, nel suo venticinquesimo capitolo1, riassume con queste parole gli insegnamenti biblici a riguardo:
1. La chiesa cattolica o universale, la quale è invisibile, è composta dal numero completo degli eletti che sono stati, che sono, e che saranno raccolti insieme in unità, sotto Cristo, il Suo Capo. Essa è la sposa, il corpo, il compimento di Colui che porta a compimento ogni cosa in tutti.
2. La chiesa visibile, la quale sotto l'Evangelo è pure cattolica o universale cioè non confinata ad una nazione come sotto la legge, consiste di tutti coloro che, nel mondo intero professano la vera religione, insieme ai loro figlioli. E' il regno del Signore Gesù Cristo, la casa e la famiglia di Dio, al di fuori dalla quale non v'è nessuna ordinaria possibilità di salvezza.
3. A questa chiesa cattolica e visibile Cristo ha dato il ministero, gli oracoli, e le ordinanze di Dio, per il radunamento e la perfezione dei santi in questa vita fino alla fine del mondo; e per mezzo della propria presenza e del Suo Spirito, secondo la sua promessa, Egli li rende efficaci.
4. Questa chiesa cattolica è stata a volte più, a volte meno, visibile e le chiese particolari, membri di essa, sono più o meno pure a seconda della misura in cui la dottrina dell'Evangelo viene insegnato ed abbracciato, le ordinanze amministrate ed il culto pubblico celebrato con più o meno purezza
5. Le chiese più pure sotto il cielo sono soggette a contaminazione e ad errore; alcune sono degenerate al punto da non essere più chiese di Cristo, ma sinagoghe di Satana. Ciononostante vi sarà sempre sulla terra una chiesa per rendere culto a Dio secondo la sua volontà.
6. Non v'è altro capo della chiesa se non il Signore Gesù Cristo. Il Papa di Roma non può essere in alcun senso il capo della chiesa, ma è l'anticristo, quell'uomo di peccato e figliolo di perdizione, il quale si innalza nella chiesa contro Cristo, e contro tutto quello che è chiamato Dio.
Come affermato esplicitamente, la Chiesa è composta da tutti i credenti che sono raccolti in unità sotto Cristo. Essa è la sposa di Cristo. Essa è il corpo di Cristo, e Cristo ne è il suo naturale capo. Quest'ultima concezione è ben esposta in particolare nelle lettere dell'apostolo Paolo. La Lettera agli Efesini, tradizionalmente attribuita proprio a Paolo nel tempo della sua prigionia romana (62 d.C.), tratta a sua volta l'argomento da una importante prospettiva specifica, che è possibile cogliere volgendo lo sguardo per un momento allo schema d'insieme di questa epistola2:
  • Introduzione epistolare (1:1-23)
  • Le basi del cristianesimo: dalla morte alla vita (2:1-22)
  • Il ministero apostolico (3:1-21)
  • Esortazione generale: la risposta cristiana (4:1-5:20)
  • Esortazioni particolari: la famiglia cristiana (5:21-6:9)
  • Conclusione della lettera (6:10-24)    
Proprio nella sezione centrale dedicata alla risposta cristiana, troviamo un'esortazione generale di ampio respiro che definisce degli aspetti fondamentali della Chiesa. L'apertura del brano in questione è il seguente: 

Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore, sforzandovi di conservare l'unità dello Spirito con il vincolo della pace.
Efesini 4:1-3
   
 
La preoccupazione dell'apostolo era la condotta dei membri di questa chiesa locale, nei loro rapporti interpersonali. Sopra ogni credente c'era una chiamata da parte del Signore ed è proprio in riferimento a questa chiamata che Paolo inizia il suo appello. L'esortazione iniziale infatti è quella di comportarsi in modo degno della vocazione che è stata rivolta da Dio a ciascuno di loro. La Chiesa infatti inizia e continua la sua vita comunitaria con la chiamata sovrana di Dio rivolta a singole persone. Persone che vivono l'esperienza della nuova nascita (o, più correttamente, della nascita dall'alto). Questa è la prima e fondamentale esperienza che accomuna tutti i credenti, tanto nella chiesa locale quanto in quella universale. Lo Spirito Santo convince di peccato, manifesta la presenza di Dio e, grazie al sacrificio di Cristo, porta alla riconciliazione le singole persone con il Padre celeste. E in virtù di questa divina elezione e salvezza, ogni credente entra in questa famiglia spirituale venendo esortato a comportarsi in modo degno, ossia in modo umile, mansueto e paziente. Ogni cristiano è chiamato ad avere il sentimento di Cristo (Fili. 2:5), indicando con questo non un sentimentalismo particolare ma un'attitudine: l'attitudine di Gesù Cristo, il quale pur essendo in forma di Dio spogliò sé stesso facendosi ubbidiente fino alla morte. Ogni cristiano deve contribuire con il proprio sforzo volto a conservare l'unità dello Spirito con il vincolo della pace. Lo Spirito Santo crea e promuove l'unità dei credenti, ma essi devono collaborare nel perseguimento di questo santo obiettivo, assicurandosi che sia sempre vincolato con la pace. D'altra parte, l'unità dello Spirito decade spontaneamente nei confronti di chi si comporta in modo ostinatamente ribelle allo Spirito stesso (1 Cor. 5:11, 1 Gv. 2:19). L'esortazione che troviamo nella lettera poi continua, presentando altre importanti motivazioni che stanno alla base di questa unità. Di seguito la prima, oggetto di questo approfondimento:

Vi è un corpo solo [...]
Efesini 4:4

C'è un solo sōma, un solo corpo. Per quanto esistano diverse comunità locali in diverse città, per quanto esistano diverse denominazioni cristiane con diverse sfumature dottrinali (ma un'unica fede fondamentale), la Chiesa è una sola: è un unico corpo, il corpo di Cristo. Spiritualmente non esistono diversi corpi, esiste un corpo solo, ben collegato e ben unito al capo. Pertanto l'unica possibilità che esiste è quella di essere parte o non essere parte di questo corpo. Per Paolo questa è molto più di un'immagine: è una vera e propria realtà spirituale.3 

Importante a questo riguardo è anche l'insegnamento di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni al c.15, dove egli si paragona assieme ai discepoli ad una vite con i suoi tralci. La vite come popolo di Dio è una concezione che risale all'Antico Testamento (cfr. Is. 5), ma è nel Salmo 80 che troviamo per la prima volta una associazione tra la vite e il Figlio dell'uomo:

O Dio degli eserciti, ritorna;
guarda dal cielo, e vedi, e visita questa vigna;
proteggi quel che la tua destra ha piantato,
e il germoglio che hai fatto crescere forte per te.

Essa è arsa dal fuoco, è recisa;
il popolo perisce alla minaccia del tuo volto.

Sia la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che hai reso forte per te,

e noi non ci allontaneremo da te.
Facci rivivere, e noi invocheremo il tuo nome. 

Salmi 80:14-18


Il Figlio dell'uomo è forte perché inviato dal Padre, con lo scopo di riavvicinare Dio al suo popolo. Il ministero di Cristo ha permesso questo riavvicinamento, anche se nel tempo presente un indurimento si è prodotto in una parte di Israele, e si manterrà finché non sia salvata la totalità delle persone (elette) di origine non ebraica (Rom. 11:25). Il corpo di Cristo in quanto popolo di Dio, infatti, è tale grazie allo Spirito Santo, ma in virtù del fondamento costituito dall'unico evento storico della croce.4 E' solo attraverso la fede in questo evento e nella persona di Gesù che avviene l'ammissione nella famiglia di Dio (cfr. Ef. 2). L'unità è sotto un solo capo. La corretta comprensione di questa unità è determinante per il giusto comportamento di ogni cristiano nella propria comunità e per il comportamento di ogni comunità locale nei confronti delle altre. Le divisioni e le sètte sono opere della carne (Gal. 5:20), sono opere che sorgono in modo naturale a causa della natura decaduta dell'uomo, ma devono essere sottomesse nella volontà dei credenti attraverso lo Spirito Santo e il rinnovamento della propria mente (Rom. 12:2). Alla fine del I secolo, la comunità di Roma scrisse una lettera a quella di Corinto a causa delle sue divisioni, constatando la seguente situazione:

Ogni onore e abbondanza vi erano stati concessi e si era compiuto ciò che fu scritto: "Il diletto mangiò e bevve, si fece largo e si ingrassò e recalcitrò". Di qui gelosia e invidia, contesa e sedizione, persecuzione e disordine, guerra e prigionia. Così si ribellarono i disonorati contro gli stimati, gli oscuri contro gli illustri, i dissennati contro i saggi, i giovani contro i vecchi. Per questo si sono allontanate la giustizia e la pace, in quanto ognuno ha abbandonato il timore di Dio ed ha oscurato la sua fede; non cammina secondo i comandamenti divini, non si comporta come conviene a Cristo, ma procede secondo le passioni del suo cuore malvagio, in preda alla gelosia ingiusta ed empia attraverso la quale anche "la morte venne nel mondo".
Prima Lettera di Clemente ai Corinzi, c.3

Le passioni le cuore malvagio devono essere fatte morire, così come tutto ciò che è terreno: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e cupidigia, che è idolatria (Col. 3:5). La gelosia deve essere fatta morire, e tutto questo è possibile unicamente mediante lo Spirito (Rm. 8:13), lo stesso Spirito che unisce la Chiesa in sé stessa e con il suo capo. Questo è il tipo di unità del corpo, un'unità non di idee o di intenti ma, come afferma Paolo stesso, un'unità che è dello Spirito.
CONSIDERAZIONI FINALI

L'apostolo Paolo nella Lettera agli Efesini5 esorta questa comunità nella seconda metà del I secolo a mantenere l'unità dello Spirito con il vincolo della pace. Successivamente, egli descrive le caratteristiche fondanti di questa unità, tra i quali la prima è quella dell'unicità del corpo. Vi è infatti un corpo solo: un unico corpo di Cristo che è formato da tutti i veri credenti che sono in comunione con il Signore glorificato. Non ci sono altre possibilità, pertanto è d'obbligo mantenere una buona comunione oltre con il Signore anche con gli altri fratelli e le altre sorelle poiché, volenti o no, l'unione spirituale con loro c'è, e resta. Coloro che si palesano nella loro apostasia e/o nel loro ostinato peccato contro lo Spirito Santo sono esclusi da questa unione, a causa della loro stessa condotta e volontà. Il settarismo e la divisione sono opere della carne e quindi vanno sottomessi allo Spirito in modo da crescere nella santificazione e nella volontà del Signore. In questo modo la Chiesa può edificarsi continuamente pregando mediante lo Spirito, conservandosi nell'amore di Dio e attendendo la misericordia del Signore Gesù Cristo che si manifesterà definitivamente con il suo ritorno, con la risurrezione dei morti e con la vita eterna (Gd. 20,21). Per la gloria di Dio.



Note:

[1] Fonte
[2] Jordi Sanchez Bosh, Scritti Paolini, Paideia, pp. 330-331.
[3] Horst Balz, Gerhard Schneider, Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, II 1541. 
[4] Id. Ibid. II 1543. 
[5] ...O un suo discepolo, secondo la moderna critica biblica. Anche prendendo in considerazione la pseudoepigrafia della lettera, non cambia nessuno dei ragionamenti teologici affrontati in questo approfondimento. Da un punto di vista cristiano, infatti, il testo è in ogni caso ispirato dallo Spirito Santo e pienamente Parola di Dio. Da un punto di vista letterario, invece, nel caso fosse stata scritta da un discepolo di Paolo lo stile teologico sarebbe ampiamente ricondotto al pensiero dell'apostolo e in accordo con quanto presente nelle lettere considerate come certamente autentiche. Per approfondimenti: Jordi Sanchez Bosh, Scritti Paolini, Paideia, pp. 341-355.    
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