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venerdì 9 dicembre 2016

Aspettando il ritorno del Signore (parte I): fedeli nelle persecuzioni

"Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d'uomo."
Daniele 7:13a
Dopo l'introduzione e il commento della Prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi, lavoro intitolato "Il frutto dell'apostolato", iniziamo con questo nuovo approfondimento la sua naturale prosecuzione con il primo articolo di una nuova serie dedicata alla Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi. 

Riepilogando brevemente il contesto storico, in seguito al Concilio di Gerusalemme (Atti XV) l'apostolo Paolo torna ad Antiochia. Da qui, assieme a Sila, riparte per un secondo viaggio missionario attraversando inizialmente la Siria e la Cilicia, fortificando le chiese presenti in queste regioni. A Listra Paolo incontra un credente di nome Timoteo e gli chiede di aggiungersi alla squadra missionaria che, in seguito ad una visione, si dirige prima a Filippi (fondando qui una nuova comunità) e poi a Tessalonica. Dopo alcune settimane di predicazione in sinagoga, diverse persone si convincono e si uniscono a Paolo, ma una immediata persecuzione cittadina spinge l'apostolo con i suoi collaboratori a proseguire lasciando la città e dirigendosi a Berea. Qui restano Sila e Timoteo, mentre Paolo prosegue prima verso Atene e successivamente a Corinto. L'apostolo è preoccupato della salute dei credenti di Tessalonica, ma quando Timoteo e Sila lo raggiungono, possono tranquillizzarlo informandolo del fatto che nonostante la persecuzione e le varie difficoltà, questa chiesa si è ben radicata nella fede e nell'amore cristiano. A Corinto scrive dunque una prima lettera indirizzata a loro tra il 51 e 52 d.C. con l'occasione di istruirli sulla sorte di coloro che sono morti. Da lì a poco però giunge a questi fratelli una falsa lettera scritta a nome di Paolo che pone l'accento sull'estrema prossimità del ritorno del Signore, affermando appunto che "il giorno del Signore è imminente". Ritenendo queste informazioni come imprecise, se non addirittura errate, l'apostolo scrive dunque una seconda lettera - oggetto di questa nuova serie di approfondimenti - per specificare cosa succederà prima della parusìa, ossia prima del ritorno di Gesù.1

Da un punto di vista letterario, la Seconda lettera ai Tessalonicesi possiede delle caratteristiche senza dubbio peculiari: tono e stile infatti si presentano identici alla lettera precedente.2 Le due lettere sono accomunate anche dall'avere entrambe un doppio esordio sotto forma di rendimento di grazie  e una doppia conclusione, in uno schema che possiamo riconoscere nel seguente modo:
  1. Indirizzo (1:1-2)
  2. Primo esordio (1:3-12)
  3. Prima esortazione (2:1-12)
  4. Secondo esordio (2:13-15)
  5. Prima conclusione (2:16-3:5)
  6. Seconda esortazione (3:6-15)
  7. Seconda conclusione (3:16-18)3
Le parole della lettera che non compaiono in nessun'altro scritto dell'apostolo inoltre sono solamente nove, mostrando anche in questo una grande somiglianza con gli altre lettere paoline. Dopo queste considerazioni, possiamo avvicinarci alle prime due sezioni del testo. Le seguenti invece saranno analizzate nei prossimi studi. Di seguito l'inizio:  

Paolo, Silvano e Timoteo, alla chiesa dei Tessalonicesi, che è in Dio nostro Padre e nel Signore Gesù Cristo, grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo.

La lettera si apre con le stesse identiche parole utilizzate nell'indirizzo della prima lettera, aggiungendo però l'indicazione che la grazia e la pace provengono da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo. Paolo è affiancato da Silvano (o Sila) e Timoteo. I due nomi Silvano e Sila sono portati dalla stessa persona, che forse aveva realmente entrambi nomi (il primo latino e il secondo di probabile origine aramaica ma tradotto in greco), o forse vide il proprio nome semitico da un lato grecizzato (Silas) e dall'altro latinizzato (Silvanus).4 Il nome Timoteo invece è greco, e significa "adoratore di Dio".5 All'indirizzo iniziale segue il vero e proprio (primo) esordio:


Noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, com'è giusto, perché la vostra fede cresce in modo eccellente, e l'amore di ciascuno di voi tutti per gli altri abbonda sempre di più; in modo che noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio, a motivo della vostra costanza e fede in tutte le vostre persecuzioni e nelle afflizioni che sopportate. Questa è una prova del giusto giudizio di Dio, perché siate riconosciuti degni del regno di Dio, per il quale anche soffrite. Poiché è giusto da parte di Dio rendere a quelli che vi affliggono, afflizione; e a voi che siete afflitti, riposo con noi, quando il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza, in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al vangelo del nostro Signore Gesù. Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando verrà per essere in quel giorno glorificato nei suoi santi e ammirato in tutti quelli che hanno creduto, perché la nostra testimonianza in mezzo a voi è stata creduta. Ed è anche a quel fine che preghiamo continuamente per voi, affinché il nostro Dio vi ritenga degni della vocazione e compia con potenza ogni vostro buon desiderio e l'opera della vostra fede, in modo che il nome del nostro Signore Gesù sia glorificato in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e Signore Gesù Cristo.
2Tessalonicesi 1:1-12

L'apostolo esordisce con l'affermazione della necessità di un continuo ringraziamento a Dio per la fede e l'amore dei tessalonicesi che continuava a crescere in modo eccellente, e abbondare sempre di più. Già le persecuzioni iniziali non avevano soffocato la loro vita spirituale, ma adesso, passato qualche tempo, la testimonianza della loro fedeltà a Cristo si stava espandendo nelle regioni vicine, incoraggiando gli altri fratelli e dando motivo di gioia alla squadra apostolica di Paolo. Nei Vangeli sinottici troviamo questo importante insegnamento di Gesù, che ben descrive le possibili risposte che ci sono nell'ambito della predicazione evangelica:

Tutte le volte che uno ode la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e porta via quello che è stato seminato nel cuore di lui: questi è colui che ha ricevuto il seme lungo la strada. Quello che ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ode la parola e subito la riceve con gioia, però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato. Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani e l'inganno delle ricchezze soffocano la parola che rimane infruttuosa. Ma quello che ha ricevuto il seme in terra buona è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto e, così, l'uno rende il cento, l'altro il sessanta e l'altro il trenta». 
Matteo 13:19-23

Questi credenti di Tessalonica non sono stati un terreno roccioso: arrivando la tribolazione e la persecuzione infatti non si sono sviati, ma hanno perseverato.  Essi erano infatti una "terra buona"; hanno ascoltato la parola, l'hanno compresa, e nonostante le difficoltà hanno da subito portato frutto. Non solo: con il persistere dei problemi, la loro fede ha potuto crescere in modo eccellente e il loro amore per gli altri abbondare sempre di più. Questa costanza è una prova del giusto giudizio di Dio, in quanto manifesta anticipatamente la giustizia di questi fratelli e l'ingiustizia dei loro persecutori, mostrando prima del giorno del giudizio quale sarà l'intervento del giusto Giudice. Egli, infatti, in quel giorno non potrà che rendere afflizione a coloro che stavano affliggendo la chiesa disubbidendo al Vangelo, e rendere riposo invece a coloro che per amore del Vangelo di Cristo stavano soffrendo così intensamente. Tutto questo sarà evidente nel momento in cui il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza, in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al vangelo del nostro Signore Gesù. Una descrizione dal sapore apocalittico che sicuramente si accorda con quella del profeta Daniele, nel settimo capitolo del suo libro, ma anche con la successiva Apocalisse di Giovanni al c. XIX. Il Signore Gesù tornerà dal cielo, nella medesima maniera in cui è stato visto ascendervi (Atti I), e lo farà per giudicare: per colmare finalmente le ingiustizie che si sono accumulate nella storia, inaugurando un regno eterno di pace e giustizia. Ma anche per essere glorificato nei suoi santi, ossia nel pieno compimento della sua redenzione nei loro confronti, nel momento in cui tutti i credenti (tra i quali anche i tessalonicesi conosciuti da Paolo) potranno ammirarlo in tutta la sua maestà. I martiri di ogni tempo stanno aspettando che venga fatta giustizia, e la risposta di Dio in questo tempo è quella di riposarsi ancora un po' di tempo, finché sia completo il numero dei  compagni di servizio e dei propri fratelli (Ap. VI:XI). Questo è un tempo di servizio, in attesa del giorno del Signore. Dopo queste parole, Paolo termina il primo esordio con una preghiera di intercessione: prega infatti continuamente per i credenti di Tessalonica, chiedendo a Dio che li renda degni della sua chiamata, e che porti a compimento - con potenza - ogni loro buon desiderio e l'opera della loro fede. Per portare a termine i buoni desideri che vengono da Dio, per portare a compimento le opere della fede è necessaria la potenza di Dio stesso, l'azione dello Spirito Santo.6 Così come la chiamata, anche il volere e l'agire infatti sono prodotti da Dio, secondo il suo disegno benevolo (Fil. II:XIII). La vita cristiana non è una vita statica, che al raggiungimento di un obiettivo rallenta la propria corsa e si riposa, ma al contrario è una vita che può venire simboleggiata da una intensa attività agonistica che dura sino al momento della propria morte. Le opere della fede sono opere che durano tutta una vita, e che sono state precedentemente preparate da Dio stesso per la sua gloria (Ef. II:X). Sono opere che necessitano di preghiera, per essere radicate nella fede e non nella carne, e per poter essere sostenute continuamente dalla potenza dello Spirito. Per questo motivo Paolo intercedeva davanti a Dio per i credenti di Tessalonica, e per questo stesso motivo ogni credente dovrebbe pregare per sé stesso e per i propri fratelli e le proprie sorelle in Cristo. Questa preghiera conclude il brano, così come questa stessa preghiera dovrebbe concludere ogni momento spirituale passato insieme alla chiesa, in modo che il nome del nostro Signore Gesù sia glorificato in noi, e noi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e Signore Gesù Cristo.

CONCLUSIONE

In questo primo articolo dedicato alla Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi, abbiamo ripercorso brevemente le tappe storiche che portarono alla redazione di questa epistola. Abbiamo considerato alcune peculiarità letterarie dell'opera, e lo schema generale nel quale può essere suddiviso il testo complessivo. In modo particolare, l'attenzione si è soffermata nella parte iniziale, costituita dall'indirizzo della lettera e dal suo primo esordio. 

Nel breve tempo passato tra l'invio della precedente lettera e la necessità di scrittura di questa seconda, la chiesa di Tessalonica è rimasta salda nell'integrità cristiana; ma per correggere gli insegnamenti di una falsa lettera, l'apostolo Paolo è dovuto intervenire una seconda volta, specificando gli eventi che dovranno precedere il ritorno del Signore (che saranno approfonditi prossimamente). Prima di entrare nel vivo dell'argomento però, egli loda i tessalonicesi per la loro condotta, li rassicura sulla vicina giustizia di Dio (in questo caso una giustizia retributiva) e prega per loro: che venga portato a compimento ogni loro buon desiderio e l'opera della loro fede attraverso la potenza di Dio. Una preghiera che deve essere molto vicina ad ogni credente, per un percorso condiviso da tutta la chiesa ed un traguardo comune: la glorificazione del Signore in noi e la nostra in lui.



Note:

[1] Per approfondire l'occasione della lettera e l'ipotesi di pseudoepigrafia:
Jordi Sanchez Bosh, Scritti paolini, Paideia, p.145 e seguenti. Il presente studio procede dal presupposto più semplice: ossia che la lettera sia autentica.
[2] Per approfondire il linguaggio e lo stile della lettera:
Id. Ibid. p. 146-147.
[3] Id. Ibid. p. 148.
[4] Horst Balz, Gerhard Schneider, Dizionario esegetico del Nuovo Testamento, Paideia, II 1333.
[5] Id. Ibid. II 1631.
[6] Francesco Mosetto, Lettere ai Tessalonicesi, Edizioni Messaggero Padova, p.78.

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