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martedì 12 agosto 2014

Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio

Schema della Lettera agli Ebrei
La lettera agli Ebrei è stata scritta da un autore anonimo. Nella storia del cristianesimo si è tentato di associarla ad una presunta paternità di Paolo, Barnaba, Sila, Apollo, Luca, Priscilla, Filippo, Aquila e Clemente di Roma, pur senza raggiungere mai argomentazioni sufficientemente conclusive per nessuno di essi. In ogni caso, come disse Girolamo scrivendo al patrizio Claudieno Postumo Dardano, non ha importanza chi ne sia l'autore, dal momento che è opera di un uomo di chiesa e serve nelle letture giornaliere delle chiese. Clemente (morto il 100 d.C.) è il primo a citarla, nella sua lettera ai Corinzi, assicurando con questa testimonianza la prova di una redazione antecedente al 100. L'utilizzo del tempo presente in molti brani relativi agli elementi rituali del culto nel tempio di Gerusalemme porterebbe la sua redazione ad un periodo precedente al 70 d.C., anno in cui quest'ultimo fu distrutto. Viene quindi comunemente accettata una datazione compresa tra il 67 ed il 69 d.C.

L'autore dà per scontata una buona conoscenza del libro del Levitico, che utilizza ampiamente alla luce del Vangelo proprio per supportare la superiorità del Nuovo Patto in Cristo Gesù. Pur non essendoci un chiaro riferimento ai destinatari dell'epistola, fin dal II secolo essa è conosciuta con il nome "agli Ebrei", proprio per il tipo di tematica trattata, affrontata coinvolgendo in larga parte la tradizione ebraica e l'Antico Testamento. 


Frammento del Papiro 46
Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi. Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi.
Lettera agli Ebrei 1:1-3 

Al contrario delle altre epistole (con qualche eccezione come 1 Giovanni), la lettera agli Ebrei non inizia con il nome del mittente, ma si apre direttamente con una prima frase. Dio (θεός - theos), da molte parti, per molte volte, e in molti modi (πολυμέρως - polumerōs) ha parlato anticamente (πάλαι - palai) ai padri per mezzo dei profeti. Una delle prime difficoltà che il cristianesimo dovette affrontare nel mondo greco romano, è stata quella di superare lo scetticismo di una società che associava l'autorità ed il valore di una filosofia o religione soltanto al grado di antichità. Se una religione pensava di avere un peso maggiore di altre, o addirittura pretendeva di essere l'unica vera, doveva per forza anche essere la più antica. Il cristianesimo invece sembrava essere una novità. Come novità, suscitava interesse (Atti 17:21), ma soltanto in modo superficiale, non avendo apparentemente le caratteristiche per competere con le più antiche tradizioni filosofiche. Nel corso del primo secolo, e dei secoli successivi, il pensiero cristiano comprese sempre meglio la sua identità in relazione con il giudaismo. Comprese di non essere né una setta ebraica (come volevano i giudeo cristiani), né una nuova religione che adorava un nuovo dio (come più tardi affermò Marcione), ma piuttosto la manifestazione di un Nuovo Patto con l'unico e vero Dio, lo stesso Dio dell'Antico Testamento che più volte parlò ai profeti in merito a questa nuova epoca. Ecco quindi la dimostrazione che il cristianesimo non era affatto una novità, ma anzi, derivava dall'antichissima religione giudaica, pur essendone una continuazione divergente. 

In questi ultimi (ἔσχατος - eschatos) giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Lo stesso Dio che ha parlato anticamente ai profeti infatti, ha parlato a noi anche in questi giorni finali, ultimi. Ma lo ha fatto in un modo diverso. Non più attraverso dei messaggi comunicati con il suo Spirito ad alcune persone, ma piuttosto in prima persona attraverso il Figlio. Se la legge è stata data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità infatti sono state date per mezzo di Gesù Cristo (Giovanni 1:17), il Logos preesistente, la Saggezza di Dio che era in principio con Dio ed era Dio stesso (Proverbi 8, Giovanni 1:1). Abbiamo così due epoche. Una prima età, nella quale Dio ha parlato attraverso i profeti, ed una seconda età nella quale Dio ha parlato attraverso il Figlio. In realtà, tutta la lettera non fa altro che affrontare il tipo di relazione esistente in queste due espressioni della rivelazione di Dio, mostrando in molteplici modi quanto Cristo sia superiore a tutti gli elementi del Vecchio Patto. Le cose che abbiamo appreso per mezzo del Figlio quindi, non sono soltanto le ultime ma sono anche quelle definitive


...Che Egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi (αἰών - aiōn). Il termine reso con mondi, significa anche epoca, eternità. In accordo con l'alta cristologia della teologia paolina e giovannea, l'autore presenta immediatamente nella sua lettera il Figlio di Dio come erede e creatore di tutte le cose e di tutto il tempo. Retrospettivamente, tutto l'Antico Testamento parla di Cristo ed è ombra dei beni futuri (Eb 10:1). Egli era la Parola di Dio con la quale è stato creato l'universo, così come viene descritto in Genesi. Egli era presso il Padre come un artefice; era sempre esuberante di gioia giorno dopo giorno, si rallegrava in ogni tempo in sua presenza; si rallegrava nella parte abitabile della sua terra, trovava la sua gioia tra i figli degli uomini. Infatti, Egli è lo splendore della sua gloria e l'immagine esatta (χαρακτήρ - charaktēr) della sua persona (ὑπόστασις - hupostasis). Il termine ipòstasi è proprio quello che sarà in seguito utilizzato nella descrizione della dottrina trinitaria, che vede nel Padre, Figlio e Spirito Santo tre ipòstasi (persone) che sono tuttavia della stessa sostanza. Come disse in altre parole l'apostolo Giovanni, nessuno ha mai visto Dio; l'unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l'ha fatto conoscere. Sebbene questo sia un mistero, è tuttavia un mistero da meditare ed accettare, in quanto nessuno può andare al Padre se non per mezzo di Cristo (Gv 14:6). Nel corso della storia ci sono state molte personalità che hanno interpretato la figura del Figlio in un modo distorto rispetto alla testimonianza delle Scritture, tra le quali spicca in particolar modo il presbitero Ario. Alcuni vedevano in Cristo un semplice uomo
"posseduto" per un certo tempo dallo Spirito Santo, altri vi scorgevano una natura divina solo apparentemente in forma umana, altri ancora pensavano fosse semplicemente YHWH sotto altre spoglie, manifestato in altro "modo", oppure addirittura una divinità differente, per alcuni anche inferiore. Alcune di queste dottrine sono state formulate per difendere il monoteismo, oppure come reazione ad ulteriori e differenti correnti eretiche. In certi casi però, vi posso ravvisare lo stesso smarrimento del popolo di Israele quando, vedendo la gloria e la trascendenza di Dio, non poté fare a meno che costruirsi un idolo d'oro da adorare. Qualcosa di materiale, concreto e conosciuto, che fosse molto più comodo rispetto ad un unico Dio onnipotente e invisibile (Es 32). In questa occasione il Signore aveva appena finito di comunicare a Mosè le modalità di costruzione del tabernacolo e dell'arca del patto, a prova della sua volontà di rivelarsi maggiormente e dimorare nel suo popolo. Allo stesso modo, dopo la dimora di Dio tra il suo popolo nella persona del Figlio, e la piena rivelazione del Nuovo Patto testimoniato dagli apostoli, alcuni ancora una volta non compresero tutto questo, volendo invece "costruire" qualcosa di più comodo ed accettabile: un idolo a forma di Cristo. 

E' Gesù Cristo infatti, che sostiene (φέρω - pherō̄  ) tutte le cose con la parola della sua potenza (δύναμις - dunamis), e che dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi. Sebbene anche i deisti concordino con l'esistenza di un Dio creatore, la Scrittura è chiara nell'affermare che questo stesso Dio non solo ha creato il cosmo, ma ne è anche il supremo sostenitore. Gesù Cristo non ha solo creato i mondi ma li sostiene anche al presente. Egli, pur essendo alla destra del Padre, continua a sostenere ogni aspetto del creato. Il Catechismo Maggiore di Westminster affermerà che "le opere della divina provvidenza sono la Sua attività santissima, sapientissima e potentissima di preservazione e governo di tutte le Sue creature. Essa consiste nello stabilire le Sue creature e le loro azioni per la Sua propria gloria." Ogni credente ha piena ragione a confidare nella provvidenza e nel governo che il Signore ha sempre esercitato nella storia, e di cui le Scritture testimoniano in abbondanza. L'apostolo Paolo spiegò agli Ateniesi di come Dio ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, ed è così anche al tempo presente. Il governo di Cristo è attuato con la parola della sua potenza. La stessa potenza (dunamis) che egli promise ai discepoli per pentecoste (Atti 1:8), che permette la salvezza per chiunque crede (Rm 1:16) e che ha risorto Gesù Cristo (Filippesi 3:10), è in atto in questo stesso istante per il sostentamento di tutte le cose. Ebbene, questo Signore, ha compiuto la purificazione dei peccati, esattamente come prescritto a Mosè (Cfr. Levitico, in particolare il capitolo 16), ma in modo perfetto ed eterno:

Ma venuto Cristo, sommo sacerdote dei beni futuri, egli, attraverso un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d'uomo, cioè, non di questa creazione, è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue. Così ci ha acquistato una redenzione eterna.
Ebrei 9:11,12 

Dopo di che, si è seduto alla destra della maestà del Padre, nei luoghi altissimi, da dove intercede di continuo per ogni credente, fino al suo ritorno (Cfr. Rm 8:34, Ef 1:20, Col 3:1). In questi pensieri troviamo la giustizia salvifica di Dio, la potenza che può sostenerci e che agirà esplodendo nel massimo del suo splendore al momento della resurrezione e della piena manifestazione dei figli di Dio (Rm 8). Questo è il cuore del cristianesimo stesso, la ragione della fede ed il suo scopo, il luogo dal quale tutti noi credenti proveniamo ed anche quello in cui tutti noi, insieme, siamo diretti. Questo è il senso della lode, dell'adorazione, della lettura biblica devozionale, dello studio, delle celebrazioni domenicali, delle opere di misericordia, dell'esercizio dei doni spirituali, dell'evangelizzazione, dell'assistenza sociale, della collaborazione ministeriale, della scrittura di libri spirituali, e di ogni altro aspetto della vita. Ogni cosa proviene da lui ed è per lui, Gesù Cristo: il creatore e compitore della nostra comune fede. 


Considerazioni finali

La lettera agli Ebrei è da considerare tra i massimi esponenti neotestamentari della cosiddetta alta cristologia, mostrando, insegnando e convincendo della piena divinità ed umanità di Gesù Cristo. Nei soli tre versetti di apertura, presenta un'eccezionale ricchezza teologica che anticipa di un paio di decenni quella giovannea, seguendo senza dubbio le orme che l'apostolo Paolo calcò a questo riguardo, soprattutto nella sua lettera ai Filippesi. 

Questi versetti presentano una chiara cerniera con l'Antico Testamento, dal quale non ci si vuole discostare completamente ma piuttosto utilizzare per dimostrare il significato più profondo del cristianesimo e dell'opera di espiazione del Signore, allontanandosi invece da coloro che tanto allora quanto oggi vorrebbero mettere il vino nuovo in otri vecchi (cfr. Mc 2:22). 

Nel solo terzo versetto, abbiamo di fatto il riassunto dell'intero Vangelo: la natura di Cristo, il significato del suo sacrificio e la sua attuale condizione gloriosa alla destra del Padre. Queste uniche due frasi sembrano di fatto riassumere l'intera lettera, senza peraltro omettere alcun elemento significativo. 

La loro (ri)scoperta è senz'altro una magnifica occasione di approfondire la propria fede, nutrendola con le stesse parole che hanno esortato, edificato e consolato un numero incalcolabile di cristiani in questi ultimi duemila anni. 

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