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domenica 25 ottobre 2020

Linee guida per insegnanti biblici

RIUNIONE INSEGNANTI - A.S. 2020/2021. LINEE GUIDA DI DAVIDE GALLIANI


I TRE GRADINI MINISTERIALI

1 Timoteo 4:13 Àpplicati, finché io venga, alla lettura, all'esortazione, all'insegnamento.


In questa lettera tra le pastorali, l’Apostolo Paolo suggella tutte le indicazioni date a Timoteo, suo figlio spirituale, con l’esortazione di applicarsi alle seguenti cose:


  • La lettura

  • l’esortazione

  • l’insegnamento.


Da questo caso particolare possiamo comprendere l’importanza generale per ogni predicatore e insegnante biblico di leggere frequentemente la Bibbia non solo per conoscerla ma anche per essere immerso/a nella sua spiritualità. Ma leggere anche con continuità nuovi libri che possano aggiornare e accrescere la propria competenza. Un insegnante infatti non può vivere a lungo di rendita: è necessità del suo ministero formarsi continuamente per comprendere lo stato attuale della ricerca (biblica, esegetica, teologica, archeologica etc.) ed essere preparato tanto per ogni domanda a lezione quanto per rispondere a qualsiasi attacco ideologico fatto dalla società a danno della chiesa. La lettura, poi, ha anche un risvolto liturgico quando viene fatta in chiesa leggendo pubblicamente la Parola di Dio.


Il secondo punto indicato da Paolo riguarda, invece, l’esortazione. Questo aspetto è proprio della predicazione e ciascuno di noi lo può espletare un questo contesto. Lo scopo ultimo di ogni predica, infatti, è quello di esortare il credente a vivere in modo conforme agli insegnamenti del Signore e della tradizione apostolica così come presentati dalle Scritture.


Come terzo punto troviamo infine l’insegnamento. Risulta evidente che sia un’attività diversa da quella dell’esortazione: in questo caso la declinazione non riguarda l’applicazione pratica nella vita del credente ma quello che la causa e determina a monte, ossia il messaggio biblico nella sua interezza e corretta comprensione. Questo è il compito più specifico degli insegnanti biblici: insegnare quello che il testo biblico davvero dice. Questa è la nostra sfida, che tratterò più nello specifico da adesso in poi.


CARATTERISTICHE DEL PERCORSO FORMATIVO


Il percorso formativo all’interno del nostro istituto è principalmente costituito dal corso di Discepolato e dal corso Biblico. Questo viaggio accompagna i credenti verso una crescita spirituale e intellettuale (rinnovamento della mente) e si sviluppa proprio secondo le varie tappe della crescita. 


Nella fase che ci concerne, abbiamo prima un tempo di “fanciullezza spirituale”: nel corso di Discepolato vengono insegnati i principi spirituali già enucleati dai testi biblici e pronti per essere vissuti.


Una volta assimilati questi princìpi si entra in una nuova fase di maturità: nel corso Biblico infatti si iniziano ad apprendere gli strumenti intellettuali necessari per approfondire in autonomia i testi sacri e ricavare da sé il significato dei libri biblici, anche quelli meno evidenti grazie a una graduale acquisizione di comprensione dei vari messaggi e delle competenze letterarie di base.


In quest’ultimo caso mi sento di evidenziare che insegnare non è riempire un vaso ma accendere un fuoco (Plutarco). Quando sono già state messe le basi del discepolo, ancor più di tante nozioni è importante infatti stimolare la passione e la curiositas: non una curiosità oziosa ma, come la intendevano i latini, il desiderio di approfondire autonomamente il senso dell’esistenza o, come nel nostro caso, i testi biblici. Scopo degli insegnanti dunque, a mio avviso, è più di ogni altra cosa ispirare gli alunni a riguardo della bellezza, grandezza e nobiltà degli scritti biblici. Qualunque libro specialistico può dare molte più nozioni e molto più accurate di noi. Ma solo noi possiamo trasmettere la nostra passione e fare sì che questa cambi delle vite. Con questo non voglio dire che non sia necessario insegnare informazioni, ma che queste devono essere al servizio del sacro fuoco della passione e non viceversa. 


Il mio metodo, per esempio, è quello di procedere presentando anzitutto uno sguardo d’insieme, una panoramica generale ma accurata del libro biblico o tema in questione, spendendo del tempo per trattare gli strumenti esegetici che consentono poi agli studenti di procedere in autonomia. È spesso utile in questo caso interpellare la classe per condurla da un ragionamento iniziale istintivo a uno consapevole nel corso di una o più lezioni. Si può quindi far partire il percorso didattico dalla struttura letteraria o tematica generale per poi presentare le varie sezioni e le peculiarità letterarie (chiasmi, figure retoriche, sviluppo storico di un soggetto) e teologiche. Procedere con un commento minuzioso versetto-per-versetto rischia di inondare i presenti con una mole di informazioni che comunque non possono essere ritenute, versando nei “vasi” una quantità di acqua che finisce senza dubbio per fuoriuscire e andare sprecata. Dalla mia esperienza ho appreso che è meglio che una lezione sia concisa, interattiva e chiara nell’esporre gli snodi principali per poi magari poter dedicare informazioni più dettagliate nelle dispense. Per questo scopo, la parola d’ordine per me è struttura. Affinché una lezione possa lasciare il segno deve poter essere compresa e assimilata, e a questo fine è essenziale che vi sia una struttura di insegnamento e non una esposizione che segue un filo del discorso vago presente spesso solo nella testa dell’insegnante. Ci deve essere un’introduzione, una esposizione, uno o due excursus (tendenzialmente meglio non di più) e una conclusione che riprenda tutti i fili dipanati nella lezione per dare una degna conclusione. Attenzione: per conclusione non intendo risoluzione. Parlando di esegesi e teologia difficilmente possiamo infatti risolvere completamente un problema (le scienze religiose non sono scienze esatte!), ma già solo presentarne i termini e le varie possibili soluzioni può significare raggiungere una conclusione che vada ad accrescere una consapevolezza più profonda e matura.

CONCLUSIONE

Riepilogando, dunque, quello che per me è importante lo possiamo schematizzare nelle seguenti tre parole: 
  • Passione
  • Strumenti
  • Struttura
Quello che gli iscritti si meritano è di ricevere tutta la nostra passione per le Scritture, gli strumenti intellettuali per poter comprendere il loro messaggio e una lezione che sia ben strutturata per questo fine.

domenica 4 ottobre 2020

Tutta la pienezza in lui

INTRODUZIONE

Se c'è un principio cardine nel Cristianesimo questo può essere identificato nella centralità della persona vivente di Gesù Cristo: la centralità nella sua relazione con Dio, nel riscatto del cosmo e della miseria umana attraverso il suo sacrificio e  secondo il proposito eterno del Padre. Questa centralità accomuna tutto il Nuovo Testamento ma viene espressa in modo particolarmente evidente in una serie di brani. Uno di questi lo troviamo nella Lettera ai Colossesi.

Questa lettera è stata scritta per rafforzare la fede della comunità destinataria ma soprattutto per correggere alcuni gravi errori nei quali questi credenti erano caduti. Nella lettera possiamo trovare alcuni indizi su questi errori dottrinali: una credenza a riguardo degli angeli e degli elementi dell'universo (2:8), l'osservanza di una disciplina alimentare, di feste, noviluni, sabati in una forma di esaltazione delle pratiche ascetiche. I promotori di questi insegnamenti devono essere sorti all'interno della fede cristiana ma vennero tacciati dall'autore dell'epistola di non essersi mantenuti stretti al capo, ossia, a Cristo. Ecco che abbiamo trovato quindi il tema principale di questa lettera e di questa mia esposizione.

1. TUTTA LA PIENEZZA

Colossesi 1:19 Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza.


Tutto ha origine in una decisione del Padre, che la teologia cristiana chiama decreto di Dio. I decreti di Dio riguardano i progetti che Dio ha stabilito dall'eternità e che in seguito egli ha puntualmente mandato ad effetto nel mondo e nella storia. Il più importante riguarda proprio il ruolo del Figlio ed è testimoniato da alcune Scritture dell'Antico Testamento che ben presto sono state interpretate dalle comunità cristiane in questo modo. Tra le più importanti troviamo il Salmo 2 e il Salmo 110:


Io annuncerò il decreto:

Il SIGNORE mi ha detto: «Tu sei mio figlio,

oggi io t'ho generato.

Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni

e in possesso le estremità della terra.

Salmo 2:7-8

Questo Salmo messianico descrive originariamente l'intronizzazione di un re di Israele ma il suo significato messianico trascende un singolo evento storico per descrivere profeticamente il momento, nell'eternità fuori dal tempo, in cui Dio Padre ha formulato il decreto di autorità del Figlio e la sua eredità nelle nazioni e proprietà in tutta la terra. Appare chiaro già qui che il potere del Figlio deriva da quello del Padre e che il suo esercizio manifesta un perfetto accordo tra loro, tale che nelle azioni del Figlio si possa ravvedere con esattezza la volontà del Padre. Possiamo considerare però ora anche un secondo esempio.

Il SIGNORE ha detto al mio Signore:

«Siedi alla mia destra

finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi».

Salmo 110:1 

E' significativo per questo caso leggere come Gesù ha citato questo versetto:

Gesù, mentre insegnava nel tempio, disse: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è Figlio di Davide? Davide stesso disse per lo Spirito Santo:

"Il SIGNORE ha detto al mio Signore:

'Siedi alla mia destra,

finché io abbia messo i tuoi nemici sotto i tuoi piedi'".

Davide stesso lo chiama Signore; dunque come può essere suo figlio?» E una gran folla lo ascoltava con piacere.

Marco 12:35-37

Il paradosso che Gesù evidenzia agli scribi riguarda la natura del Messia. In quanto discendente di Davide, infatti, doveva essere inferiore a lui ma Davide stesso in quanto autore del Salmo lo definisce suo Signore: come mai? Evidentemente, pur essendo suo discendente, la natura dell'autorità di Cristo non doveva essere solamente derivante dalla sua stirpe regale umana ma da un ordine di natura superiore: l'autorità di Dio. Questa conclusione fa emergere dalle nebbie del mistero l'identità e la vera autorità di Gesù Cristo in quanto Figlio di Dio non secondo le concezioni antiche di questo titolo in Israele (al pari di qualsiasi re del popolo eletto) ma con un rapporto filiale rispetto al Padre che l'evangelista Giovanni definirà con il termine "unigenito". Gesù è Figlio di Dio in un modo unico, speciale e diverso rispetto ai re del passato e a tutti i credenti che possono dirsi figli di Dio. In cosa consiste però questa unicità? Nell'avere in sé tutta la pienezza a differenza di chiunque altro in cielo e sulla terra. Nello gnosticismo, e molto probabilmente nella dottrina erronea di Colossi, il pleroma - ossia la pienezza - rappresentava l'intero sistema di potenze celesti e di spirituali emanazioni che procedevano da Dio. Ecco quindi che questa idea viene spazzata via dalla completezza di Gesù Cristo e dalla mancanza di necessità di altri intermediari. Come leggiamo anche nella Prima Lettera a Timoteo, c'è infatti un solo Dio e un solo mediatore tra lui e gli uomini: Cristo Gesù uomo. 

2. TUTTA LA RICONCILIAZIONE

Colossesi 1:20a ...e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui...

La mediazione di Cristo ha alcune caratteristiche uniche oltre a quella della sua esclusività: il fatto di avere uno scopo preciso e un'efficacia totale. 

Lo scopo dell'incarico di mediazione del Figlio, infatti, è ben preciso ed è quello di realizzare una riconciliazione tra il Padre e tutte le cose create. Il termine tradotto con "riconciliare" viene reso al meglio dall'immagine della riconciliazione tra due sposi che hanno deciso di divorziare. Laddove c'era amore e una completa unione ora si trova ostilità e separazione, ma nonostante la grande difficoltà rimane la speranza di una riconciliazione. Probabilmente ora ci sono delle ferite nell'anima, dei tradimenti nella fiducia, ma per quanto arduo è sempre possibile intraprendere un percorso di restaurazione. Questo è il percorso che Cristo ha intrapreso per volontà del Padre verso di noi. Adamo e Eva hanno tradito la fiducia del Creatore, Israele ha tradito il rapporto con il suo Dio rivolgendosi frequentemente a divinità straniere (idoli) arrivando a uccidere i profeti che denunciavano queste trasgressioni. Per questo motivo il Figlio di Dio è intervenuto in prima persona per ricucire uno strappo avvenuto non solo con l'umanità ma, per estensione, con l'intera creazione sottoposta a vanità anche se non per sua stessa volontà. Questa riconciliazione però non è avvenuta gratuitamente né senza sacrificio.

3. TUTTO IL CREATO

Colossesi 1:20b avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli.

La pace che possiamo vivere, infatti, è stata ottenuta da Cristo attraverso il sangue della sua croce, ossia attraverso la sua morte. Una morte non accidentale ma accolta in modo sofferto e consapevole come unico modo per ripristinare l'armonia perduta. Ogni riconciliazione ha un prezzo e in questo caso è stato il più alto. L'iniziativa è stata di Dio, in accordo con il Figlio, in modo univoco. Di questo accordo ne beneficia ogni cosa sulla terra e nel cielo in quanto la direzione verso cui stiamo andando è il ritorno di Cristo e il compimento di una piena rigenerazione in lui di ogni cosa. Dicendo questo però non dobbiamo pensare a una generica e universale salvezza per l'umanità nella sua interezza in quanto è necessario che ogni individuo conosca e accolga consapevolmente il dono di Dio, e che decida di rinnovare la propria mente seguendo i pensieri e la volontà rivelata del Creatore per poter essere trovato allineato all'ordine del mondo che verrà. Sia che questa decisione derivi dal libero arbitrio umano sia che derivi dalla prescelta divina, anche se la pace conquistata è universale essa non si può sperimentare senza una consapevolezza personale. La buona notizia del Vangelo, tuttavia, è che questo dono esiste. Questo dono si può accogliere. Perché questa è la volontà di Dio.  

CONCLUSIONE

Una delle vette della cristologia del Nuovo Testamento compare nel primo capitolo della Lettera ai Colossesi. In questo testo apprendiamo che è stata la volontà del Padre far abitare tutta la pienezza della divinità solo e unicamente in Gesù Cristo e non in una moltitudine di esseri spirituali. Egli è l'immagine del Dio invisibile, è il Figlio Unigenito di Dio e l'unico in grado, con il proprio sacrificio di sangue, di riconciliare con sé gli uomini così come tutto il creato. 

Nonostante le difficoltà e sofferenze del tempo presente, dunque, c'è una speranza di trovare comprensione, perdono, riscatto e restaurazione presso Dio e questa speranza è presente esclusivamente in Gesù. Tanto le cose che sono sulla terra, quanto le cose che sono nei cieli, trovano la propria pace proprio in lui. 

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